Nei primi due terzi vi è la corrente funny dovuta ai canali HCN regolati da nucleotidi ciclici come C AMP e attivati per iperpolarizzazione quindi a -60 o -65 mV che prevedono una corrente di sodio in ingresso secondo gradiente (Non sono selettivi e si lasciano attraversare anche da potassio e calcio ma a -65 mV vi è un gradiente Elettrochimico che permette l'ingresso esclusivo solo di sodio), Nell'ultimo terzo si ha una corrente del calcio dovuta ai canali del calcio voltaggio dipendenti T a bassa soglia di attivazione LVA che si attivano intorno a -40 o meno -50 mV e sono detti T perché hanno una rapida cinetica di attivazione e inattivazione e quindi generano una corrente transiente e sono i Cav 3.1 e 3.2
Non sono selettivi e si lasciano attraversare anche da potassio e calcio ma a -65 mV vi è un gradiente Elettrochimico che permette l'ingresso esclusivo solo di sodio)
,pNell'ultimo terzo della fase si ha una corrente del calcio dovuta ai canali del calcio voltaggio dipendenti T a bassa soglia di attivazione che si attivano intorno a -40 o meno -50 mV e sono detti T perché hanno una rapida cinetica di attivazione e inattivazione e quindi generano una corrente transiente e sono i Cav 3.1 e 3.2
Cav 1.2-1.3, Che sono canali voltaggio dipendenti di tipo L ad alta soglia di attivazione che si attivano quando il prepotenziale Raggiunge la soglia di attivazione e quindi si innesca il potenziale d'azione che dà avvio alla fase di depolarizzazione. Tale potenziale d'azione è un potenziale d'azione al calcio poiché è dato da una corrente entrante di calcio e non di sodio e avrà una fase risalita più lenta rispetto al potenziale nervoso perché la corrente di calcio è più lenta di quella del sodio
La ripolarizzazione è dovuta all'inattivazione dei canali del calcio di tipo L e all'attivazione di una corrente uscente di K detta corrente Ikdr, Attraverso i canali Kv11.1-7.1 Che sono canali delayed rectified potassium distinti in rapid e Slow rispettivamente che fanno uscire il potassio. Vi è anche un debole contributo nell'ultima parte di una corrente del potassio uscente attraverso i canali GIRK (G protein inward rectified K channels, Kir3.1-3.4), Che sono attivati dalla acetilcolina e hanno un ruolo nella regolazione della frequenza cardiaca infatti il sistema parasimpatico li rende più attivi e diminuisce il ritmo cardiaco
L'esaurimento della corrente iperpolarizzante del potassio Ikdr, Lo sviluppo della corrente funny Depolarizzante attraverso i canali HCN, Lo sviluppo di una corrente al calcio attraverso i canali T LVA
La fase di depolarizzazione arriva un picco di +20 mV mentre la fase di depolarizzazione arriva a -65 o -70 mV valore al quale si aprono i canali HCN che fanno entrare una corrente al sodio e inizia la depolarizzazione spontanea
A -40 mV nell'ultimo un terzo della fase di depolarizzazione spontanea o pre potenziale
0,8 m/s quindi ogni 0,8 secondi il nodo senoatriale genera un potenziale d'azione
Attraverso gap junction che connettono tra loro i cardio miociti e connettono i cardiomiociti con le cellule di conduzione permettendo l'accoppiamento elettrico e quindi un propagarsi del potenziale d'azione a tutte le cellule limitrofe come un sincizio funzionale
Dimensioni molto inferiori, Un unico nucleo centrale, Diversa organizzazione del reticolo sarcoplasmatico, Presenza dei dischi intercalati che marcano l'individualità dei miociti, Presenza di gap junction che sono vie a bassa resistenza che permettono una propagazione del PA rapida e una scarica sincrona
da 1 m/s a 0,05 m/s dovuto al fatto che le fibre sono di piccolo diametro e le gap junction sono poco numerose e ciò permette agli altri completare la contrazione prima che i ventricoli vengano attivati così che si fissa atriale ventricolare risultano eventi temporalmente separati con un ritardo dell'impulso di 80 130 ms
Presso il nodo senoatriale tra 0,02 e 0,1 m metri al secondo, Presso gli atri tra 0,5 e 1 m/s, Presso il nodo senoatriale tra e 0,05 m/s, Lungo il fascio di His e Purkinje da 1,5 a 4 m/s, Presso ventricoli 1 m/s
Sì tutte le cellule tranne quelle dei setti interventricolare e interatriale e atrio ventricolare
Il nodo Senoatriale ne genera 70, Il nodo atrioventricolare 50 e il fascio di His 20, La pendenza del pre potenziale è maggiore Dove vi è una maggiore densità dei canali HCN e quindi una corrente funny più marcata questo permette un minor tempo per raggiungere la soglia di attivazione potenziale e quindi più potenziali d'azione nell'arco di tempo e si verifica presso il nodo senoatriale
Dove vi è una maggiore densità dei canali HCN e quindi una corrente funny più marcata questo permette un minor tempo per raggiungere la soglia di attivazione potenziale e quindi più potenziali d'azione nell'arco di tempo e si verifica presso il nodo senoatriale
Nell'effetto cronotropo positivo che mira ad aumentare la frequenza cardiaca si ha un aumento della pendenza del pre potenziale e quindi una accentuata ingresso di sodio è un aumento discarica dei potenziali d'azione, Invece nell'effetto cronotropo negativo si ha una riduzione della pendenza del prepotenzeiale E quindi una minore corrente entrante di sodio e una minore frequenza di scarica dei potenziali d'azione e minore frequenza cardiaca
Aumentare o diminuire la pendenza della depolarizzazione spontanea o prepotenziale (Maggiore è la pendenza è maggiore la corrente di sodio entrante e quindi la frequenza dei potenziali d'azione e la frequenza cardiaca), Aumentare o diminuire il potenziale di membrana alla fine di un PA (Se diminuisce si allontana dalla soglia e necessiterà più tempo per raggiungerloae generare il potenziale d'azione), Modificare la soglia per la generazione dei PA
Il sistema nervoso autonomo agisce attraverso il nervo vago nel caso del sistema parasimpatico e delle fibre post gangliari provenienti dai gangli cervicali superiore, media inferiore nel caso del sistema orto simpatico. Questi due sistemi agiscono Modificando la pendenza del pre potenziale e in particolare il sistema orto simpatico rilascia noradrenalina e il parasimpatico acetilcolina. La Noradrenalina lega i recettori metabotropico beta1 associata alla proteina Gs che attiva la adenilato ciclasi e porta ad un aumento del C AMP che quindi migliora l'efficienza dei canali HCN regolati dai nucleotidi ciclici aumenta l'intensità della corrente funny E quindi un aumento della pendenza del pre potenziale e quindi un elemento della frequenza di scarica e quindi dell f cardiaca (Inoltre il C AMP va ad attivare la PKA che quindi si avrà anche una maggiore pendenza nella fase di depolarizzazione). invece l'acetilcolina a livello il nodo senoatriale interagisce con un recettore muscarinici metabotropico M2 associato alla proteina Gi che ha due effetti cioè inattiva la delineato ciclo Lassie e quindi abbassa i livelli di C AMP che porta a una minore corrente Funny agendo sui canali HCN e una minore corrente del calcio tramite de fosforilazione e quindi viene ridotta la frequenza di scarica e avendo una minore pendenza la curva del pre potenziale e quindi una minore frequenza cardiaca , Inoltre stimola i canali GIRK con maggiore corrente uscente di K e ripolarizzazione fino valori più negativi e questo fa sì che per raggiungere la soglia del potenziale d'azione occorre più tempo e si abbia quindi una diminuzione della frequenza di scarica
La Noradrenalina Rilasciata dalle fibre post gangliari provenienti dai neuroni dei gangli cervicali superiore e medio inferiore lega Presso le cellule del nodo senoatriale i recettori metabotropico beta1 associata alla proteina Gs che attiva la adenilato ciclasi e porta ad un aumento del C AMP che quindi migliora l'efficienza dei canali HCN regolati dai nucleotidi ciclici aumenta l'intensità della corrente funny E quindi un aumento della pendenza del pre potenziale e quindi un elemento della frequenza di scarica e quindi dell f cardiaca (Inoltre il C AMP va ad attivare la PKA che quindi si avrà anche una maggiore pendenza nella fase di depolarizzazione).
l'acetilcolina Rilasciata dal nervo opaco a livello il nodo senoatriale interagisce con un recettore muscarinici metabotropico M2 associato alla proteina Gi che ha due effetti cioè inattiva la delineato ciclo Lassie e quindi abbassa i livelli di C AMP che porta a una minore corrente Funny agendo sui canali HCN e una minore corrente del calcio tramite de fosforilazione e quindi viene ridotta la frequenza di scarica e avendo una minore pendenza la curva del pre potenziale e quindi una minore frequenza cardiaca , Inoltre stimola i canali GIRK con maggiore corrente uscente di K e ripolarizzazione fino valori più negativi e questo fa sì che per raggiungere la soglia del potenziale d'azione occorre più tempo e si abbia quindi una diminuzione della frequenza di scarica
1 Assenza della fase di depolarizzazione spontanea, Non vi è il pre potenziale poiché sono assenti i canali HCN e la corrente funny
2 Fase di plateau (che è assente nelle cellule di conduzione) in cui il potenziale di membrana rimane depolarizzato a 0 mV per 200 ms peri cardiomiociti atriali e 400 ms per i cardio miociti ventricolare quindi si ha anche una diversa durata
3 Fase di depolarizzazione e ripolarizzazione più ripide
4 Potenziale di membrana a riposo più negativo che nelle cellule di conduzione ovvero è -90 mV ed è necessario il PA generato dal sistema di conduzione per generare un PA nei miociti di lavoro che non sono capaci di generarlo spontaneamente
Perché così è ben lontano dal valore soglia di attivazione del potenziale d'azione e quindi i miei citi di lavoro sono incapaci di generare spontaneamente potenziali d'azione anche perché sono privi di canali HCN e quindi di attività pacemaker. Tale valore negativo è mantenuto grazie ai canali Kir (inward rectified, Cioè si lasciano attraversare dagli ioni sulla potenziale di membrana negativo sono a rettificazione interna Kir2.1-2.2) Che iperpolarizzano la membrana grazie a una corrente uscente di potassio
All'apertura dei canali voltaggio dipendenti per il sodio Nav1.5 che sono assenti nelle cellule del tessuto di conduzione e quindi si ha un classico potenziale al sodio e non al calcio come per quelle del tessuto di conduzione. Tali canali hanno una cinetica veloce quindi hanno una rapida attivazione e altrettanto rapida inattivazione. Inoltre la depolarizzazione permessa anche dalla chiusura dei canali Kir che si attivano a potenziali negativi e sono responsabili dell iperpolarizzazione ma vengono inattivati quando il potenziale diventa più positivo intorno ai +20 mV
all'inattivazione dei canali Nav1.5 Responsabili della depolarizzazione rapida che hanno una rapida cinetica di inattivazione e all'apertura dei canali potassio voltaggio dipendenti Kv 4.2-4.3 anch'essi a rapida cinetica di attivazione e inattivazione (Mentre in genere hanno l'ente cinetiche ) che determina una corrente uscente transiente di K detta corrente Ito ovvero transient outward. Il potenziale scende da +30 mV a 0 mV
La fase di depolarizzazione parte da -90 mV e arriva a +30 mV mentre la fase di ripolarizzazione parziale precoce scende da +30 mV a 0 mV dove si arresta e vi resta per centinaia di 1000 secondi per la fase di plateau
Flusso entrante di calcio attraverso i canali CAV di tipo L Cav1.2-1.3 e Flusso uscente di potassio attraverso i canali DRK Kv 11.1-7.1 (rapid-slow). quindi non ci sono variazioni del potenziale perché tante cariche positive entrano tante escono e la il potenziale di membrana rimane all'un valore di 0 mV per centinaia di millisecondi e questo permette l'accoppiamento e eccitazione contrazione grazie all'entrata di calcio e del fondamentale per evitare il tetano muscolare
in attivazione dei canali del calcio di tipo L e quindi interruzione del flusso entrante di cariche calcio mentre perdura l'attivazione dei canali di DKR e quindi si ha un flusso uscente di cariche potassio e vengono attivati i canali KIR e si ha un ulteriore flusso uscente di cariche positive che porta a una negativizzazione del potenziale di membrana fino a -90 mV fino all'arrivo del potenziale d'azione successiva dal nodo senoatriale e si ha quindi una fase quattro di riposo
Già durante la fase tre di ripolarizzazione vengono attivati i canali KIR e si ha un ulteriore flusso uscente di cariche positive che porta a una negativizzazione del potenziale di membrana fino a -90 mV. Tale valore permane fino all'arrivo del potenziale d'azione successivo dal nodo senoatriale e si ha quindi una fase quattro di riposo. Cioè è dovuta al fatto che i cardiomiociti atriali e ventricolari non avendo canali HCN non possono generare potenziali d'azione spontaneamente essendo molto lontano tale valore di potenziale dalla soglia di attivazione, ma lo generano dopo stimolo del PA dal nodo SA
La corrente al sodio è assente nel tessuto di conduzione mentre è presente in quello di lavoro nella fase di depolarizzazione rapida quindi si parla di potenziale al sodio mentre nel caso del tessuto di conduzione è un potenziale al calcio, Invece la corrente funny è assente nei miociti di lavoro che quindi hanno un potenziale di riposo più negativo e più lontano dal valore soglia per attivare un potenziale d'azione e quindi non avranno capacità di generarlo spontaneamente al contrario di quelle del tessuto di conduzione
Perché permette l'accoppiamento eccitazione contrazione dovuta all'entrata di calcio e impedisce il tetano muscolare dato che il cuore deve essere un organo non tetanizzabili
In quelli atriali ha una forma più triangolare e la fase di Plateau è quasi inesistente, ha una durata minore perchè è molto più accentuata la fase uno di ripolarizzazione parziale precoce poiché è più accentuata l'espressione dei canali transient outward curret per il potassio, Sono espressi anche altri canali del potassio nano ultra rapide che polarizzano maggiormente la membrana e hanno una più rapida cinetica di attivazione, Le correnti Slow sono quasi assenti
(In entrambi però la genesi del potenziale d'azione si ha solo in seguito a un potenziale d'azione che arriva dal sistema di conduzione)
lo ione calcio la cui concentrazione durante il potenziale d'azione varia da 0,1 micro molari a cinque 10 micro molari quindi sia un aumento di circa 100 volte dovuta all'aumentata permeabilità al calcio durante la fase di plateau e la liberazione di calcio da reticolo sarcoplasmatico mediante un rilascio di calcio indotto dal calcio
nella fase di plateau vi è un ingresso del calcio extracellulare dai canali CAV di tipo L che è responsabili del 20 40% di aumento totale del calcio intracellulare durante il potenziale d'azione ed è NECESSARIO MA NON SUFFICIENTE infatti è necessario che questo calcio entrato agisca sui recettori Rianodinici di tipo due Ryr2 e si abbia un rilascio da calcio indotto da calcio e quindi anche un rilascio del calcio intracellulare da parte del reticolo sarcoplasmatico che porta a un aumento del 50 80% della concentrazione intracellulare che varia da 0,1 micro molari a cinque 10 micro molari aumentando in modo uniforme in tutta la cellula
Nel muscolo scheletrico l'intera quantità di calcio proviene dal reticolo sarcoplasmatico quindi è intracellulare e non non è necessario calcio extracellulare, invece nei muscolo cardiaco è necessario che entri calcio extracellulare dei canali CAV di tipo L durante la fase di plateau che porta al 20 40% dell'aumento totale di calcio intracellulare però esso è necessario ma non sufficiente infatti tale calcio deve legarsi ai recettori rianodinici di tipo due e portare a un rilascio di calcio indotto da calcio in modo che venga rilasciato anche calcio intracellulare dal reticolo sarcoplasmatico che porterà un aumento del 60 80% del calcio intracellulare
1 Arrivo potenziale d'azione
2 Ingresso del calcio extracellulare attraverso i CAV di tipo L (Questa è la fase assente nel muscolo-scheletrico)
3 Attivazione dei recettori Rianodinici RyR2 nel cardiaco e RyR 1 nello scheletrico
4 rilascio di calcio da reticolo sarcoplasmatico
5 Formazione del sistema troponina tropomiosina (Legame del calcio alla Tn C. della troponina così da mediare la formazione di tale Sistema)
6 Contrazione dei sarcomeri
1 Il motoneurone somatico rilascia acetilcolina a livello della giunzione neuromuscolare
2 Ingresso netto di sodio attraverso i canali recettori per l'acetilcolina che induce un potenziale d'azione Dato che si ha una depolarizzazione che è sempre sopra soglia
3 Il potenziale d'azione nei tubuli T modifica la conformazione dei recettori di DHP Didropiridinici
4 I recettore di DHP cambiando conformazionale porta un'apertura dei canali RyR Ovvero dei recettori rianodinici Che portano il rilascio di calcio dal reticolo sarcoplasmatico e un aumento del calcio intracellulare
5 il calcio calcio lega la troponina permettendo il legame Actina miosina
6 La testa di miosina attua il colpo di forza e Il filamento di actina scorre verso il centro del sarcomero
L'interazione ovvero rilevare informazioni che provengono dalla linea esterna interno elaborarne e generare risposte adeguate
E la capacità di trasdurre e codificare e percepire le informazioni provenienti dall'ambiente esterno sia dall'ambiente interno e quindi passare da uno stimolo ad una sensazione e poi percezione
1 rilevazione, Cioè contatto con lo stimolo e trasformazione dello stimolo segnale elettrico che viene compreso che genera il potenziale d'azione lungo la via sensoriale
2 Codificazione che permette al segnale elettrico di assumere significato a livello periferico, Lo stimolo che è scomposto in segnali elettrici e a livelli più alti di integrazione Tali segnali vengono rimessi insieme e si ha la ricostruzione nervosa Dello stimolo
3 Trasmissione
4 Elaborazione rappresentazione ovvero allo stimolo costruito viene assegnato un significato e si passa così dalla sensazione alla percezione
La fisiologia oggettiva è una voce di studio che misura oggettivamente le modificazioni la via sensoriale, La fisiologia soggettiva dà informazioni sulla sensazione O percezione di uno stimolo specifico del soggetto, le neuroscienze cognitive studiò le funzioni cerebrali complesse quali linguaggio memoria attenzione emozioni e si studiano attraverso il test della psicologia e test comportamentali
Per modalità si intende la proprietà della fibra Sensitiva legata al tipo di energia dello stimolo in grado di attivare in un unico tipo di recettore e di Via sensoriale. Esistono sensibilità specifiche che possiedono un organo di sensi specializzato e sono vista olfatto udito gusto equilibrio, Poi vi sono le sensibilità somatiche che appartengono al sistema somatosensoriale e somato viscerale e sono l'esterocezione che include meccano eccezioni superficiale per eccezione eccezione per rilevare i segnali dall'ambiente esterno, Proprio eccezione rilevando informazioni che provengono dal nostro corpo ovvero dai muscoli tendini articolazioni, Interocezione rileva informazioni relative a organi interni
Forma di energia di varia natura che deve essere trasformata nel segnale che il sistema nervoso possa comprendere successivamente trasmetterci un potenziale d'azione che deve essere adeguato ovvero attivare il proprio recettore anche con energia minima dato che ogni recettore è specifico per una specifica energia
Recettori di classe uno come nocicettori che hanno terminazioni libere di fibre afferenti primarie e i canali ionici sono sul terminale della fibra afferente primaria quindi una variazione del potenziale a livello della sezione libera se raggiunge la soglia va ad attivare il potenziale d'azione della fibra stessa, Recettori di classe due come le cellule ciliate vestibolari che stabiliscono contatto con la fibra afferente primaria tramite la sinapsi quindi il recettore rileva e traduce lo stimolo genera una depolarizzazione che attiva i canali per il calcio e si ha rilascio di neurotrasmettitore nel vallo sinaptico, Recettori di classe tre come coni e bastoncelli che sono connessi alla fibra Afferente primaria tramite l'intermezzo di un interneuroni
Intensità, Durata e adattamento, Localizzazione, Soglia
codice di frequenza ovvero maggiore frequenza di scarica dei recettore è indice di un segnale più intenso ma il limite del codice di frequenza è la durata del periodo di refrattarietà assoluta, Codice di popolazione ovvero Reclutamento di un numero maggiore di recettori e di fibre afferenti quanto più lo stimolo è intenso
I recettori a lento adattamento determinano una variazione del potenziale di membrana che si mantiene con un lieve decremento per tutta la durata e quindi sono adatti a codificare aspetti statici come l'intensità dello stimolo, Le fibre a lenta adattamento continuano a scaricare per tutta la durata dello stimolo diminuendo progressivamente alla loro frequenza e quindi sono più adatta a codificare la durata dello stimolo. I recettori rapido adattamento determina una variazione di potenziale all'applicazione dello stimolo ma subito dopo ritorna al potenziale di membrana e infine determina un'altra variazione di potenziale alla rimozione dello stimolo sono quindi adatti a codificare aspetti dinamici quindi la velocità di cambiamento dello stimolo, Le fibre a rapida adattamento scaricano all'inizio dello stimolo poi smettono di scaricare e ricaricano nuovamente alla fine dello stimolo e quindi possono dare informazioni sulla durata dal momento che segnalano l'inizio e la fine ma sono più adatte per le caratteristiche dinamiche dello stimolo come la velocità
I recettori a lento adattamento determinano una variazione del potenziale di membrana che si mantiene con un lieve decremento per tutta la durata e quindi sono adatti a codificare aspetti statici come l'intensità dello stimolo, Le fibre a lenta adattamento continuano a scaricare per tutta la durata dello stimolo diminuendo progressivamente alla loro frequenza e quindi sono più adatta a codificare la durata dello stimolo.
I recettori rapido adattamento determina una variazione di potenziale all'applicazione dello stimolo ma subito dopo ritorna al potenziale di membrana e infine determina un'altra variazione di potenziale alla rimozione dello stimolo sono quindi adatti a codificare aspetti dinamici quindi la velocità di cambiamento dello stimolo, Le fibre a rapida adattamento scaricano all'inizio dello stimolo poi smettono di scaricare e ricaricano nuovamente alla fine dello stimolo e quindi possono dare informazioni sulla durata dal momento che segnalano l'inizio e la fine ma sono più adatte per le caratteristiche dinamiche dello stimolo come la velocità
Tramite il fenomeno dell'adattamento ovvero l'evento per cui la risposta che recettori dà dalla variazione del potenziale di membrana è diversa nei cosiddetti recettori a rapido o lento adattamento
Dalle dimensioni del campo ricettivo ovvero più è grande e più imprecisa la localizzazione e dalla densità di innervazione ovvero più alto il numero di fibre afferenti per numero di recettori più è alta la precisione nel localizzare lo stimolo. Di solito il rapporto tra densità di innervazione e campi recettivi e inversamente proporzionale quindi i campi recettivi piccoli avranno una maggiore densità di innervazione e una maggiore rappresentazione a livello corticale
È il potere di risoluzione della modalità sensoriale , la capacità di discriminare due stimoli e identificarli come distinti in base alla loro localizzazione cioè in base a quanto sono distanti ed è determinata dal campo ricettivo e dalla densità di innervazione
La soglia e la quantità minima di energia energia che lo stimolo deve avere: nel caso della soglia fisiologica è misurabile con micro elettrodi ed è la minima energia per poter attivare una fibra afferente mentre nel caso della soglia psicologica misurabile con specifici test è la minima energia per evocare una sensazione cosciente. In distretti ad elevata densità di innervazione vi è concordanza fra soglia fisiologica e psicologica mentre i distretti a bassa densità di innervazione la soglia psicologica è più alta di quella fisiologica.
Convergenza ovvero il fenomeno per cui un singolo neurone arriva le informazioni provenienti da più neuroni in modo da rafforzare il segnale se prevalgono gli stimoli eccitatori si ha quindi una sommazione spaziale. Divergenza che il fenomeno per cui singolo neurone trasmette informazioni a più neuroni in parallelo in modo da salvaguardare la trasmissione in caso di emissione di una fibra attraverso la ridondanza. Circuiti inibitori che sono formati da neuroni GABA che mediante inibizione feed forward in avanti o inibizione a feedback indietro permettono di selezionare e privilegiare una via piuttosto che altre quindi l'inibizione laterale permette un aumento del contrasto e la discriminazione dello stimolo
E lo stop finale dell'elaborazione dello stimolo e consiste nel trasformare la sensazione in identificazione e percezione ovvero nel ricomporre lo stimolo con le sue modalità così da averne avere propria rappresentazione a livello corticale
Le unimodali ricevono informazioni diverse ma relative a una stessa modalità sensoriale mentre le poli modali ricevono informazioni relative a più modalità sensoriali e le integrano permettendo la reale percezione e identificazione
No rappresentiamo una percezione soggettiva che una ricostruzione operata al nostro sistema nervoso anche in maniera condizionata dall'esperienza
Submodalita modalità statiche sono pressione intensità durata e forma mentre quelle dinamiche velocità e vibrazione
È la capacità di rilevare stimoli meccanici applicati alla cute e dell'espressione appunto della sensibilità tattile ed è la soglia di riconoscimento di uno stimolo e la capacità di discriminare tra due stimoli che differiscono nell'intensità nello spazio o nel tempo quindi l'acuità sensoriale
Nelle regioni cutanee ad alta densità di innervazione
Canali sensibili allo stiramento la cui deformazione porta all'apertura e al passaggio di sodio e depolarizzazione che ne esca il potenziale d'azione e la fibra afferente e i canali attivati indirettamente dalle proteine della MEC e del cito scheletro
Dalla densità di innervazione cioè la capacità di distinguere due stimoli di intensità diversi, Dalle dimensioni dei campi recettivi c'è la capacità di distinguere due stimoli localizzati in punti diversi, Dall'intensità dello stimolo che è intesa come capacità di discriminare due stimoli distinti nel tempo cioè le vibrazioni
Per stimoli di bassa frequenza sono necessarie intensità molto alte mentre per stimoli ad alta frequenza sono sufficienti anche intensità basse
Quelli a lento adattamento codificano gli aspetti statici e sono i Dischi di Merkel ed i Ruffini Mentre quelli a rapida adattamento codificano gli aspetti dinamici e sono i corpuscoli di Meissner e di Pacini
I recettori tattili superficiali detti di tipo uno sono quelli nella regione Sab epidermica e sono i corpuscoli di Messner e i dischi di Merkel mentre i recettori tattili profondi di tipo due sono nella regione dermica e sono i corpuscoli di Pacini e di Ruffini
I corpuscoli di Merkel che sono recettori tattili superficiali a lenta adattamento che quindi rilevano caratteristiche statiche come durata e pressione e scaricano a frequenze maggiori per l'oggetto appuntito poiché rileva una pressione maggiore in un'area più piccola mentre scaricano a frequenza minori per l'oggetto smusso poiché rilevA una pressione minore dato che l'area di applicazione è più grande (P=F/A)
sono recettori tattili superficiali a lenta adattamento che quindi rilevano caratteristiche statiche come durata e pression
I campi recettivi sono puntiformi quindi vi è una massima acuità sensoriale nel determinare la localizzazione esatta dello stimolo e si ha un potere di risoluzione molto alto pari a 0,5 mm ma vi è una bassa densità di innervazione ovvero un rapporto uno a uno tra la fibre recettore e quindi sono meno adatti rispetto ad altri recettori per distinguere stimoli di intensità diverse quindi sono i più fini in assoluto ma sono meno sensibili
Essendo recettori rapido adattamento rilevano le caratteristiche dinamiche cioè velocità e vibrazione e quindi veicolano informazioni relative alla direzione del movimento dell'oggetto
I corpuscoli di Merkel sono corpuscoli incapsulati all'interno dei quali si dirama un unico fibra afferente con le sue terminazioni mentre i corpuscoli di Meissner sono corpuscoli incastrati all'interno delle quali si diramano dalle tre alle cinque fibre afferenti quindi vi arriva il segnale da un numero maggiore di neuroni
Hanno un'elevata densità di innervazione e quindi una maggiore sensibilità nel rilevare l'intensità dello stimolo quindi vi è un'elevata acuità sensoriale nel distinguere stimoli di intensità diverse e una soglia percettiva più bassa rispetto ai corpuscoli di Merkel per cui bastano deformazioni della cute molto più piccole però hanno campi recettivi piccoli piccoli ma meno piccoli piccoli dei corpuscoli di Merkel quindi una minore acuità sensoriali nel discriminare due stimoli applicati a distanze molto ridotte. Quindi sono molto più sensibili in termini di intensità ma meno fini
Sono recettori a lento adattamento quindi adatti a rilevare le caratteristiche statiche dello stimolo quali pressione intensità e in particolare veicolano le informazioni relative al riconoscimento della forma di oggetti grandi mentre quelli di Merkel degli oggetti piccoli piccoli. Sono localizzati parallelamente alle linee di forza nelle pieghe dell'articolazioni delle dita Quindi rilevano la posizione che assumono le dita per Tenere un determinato oggetto e hanno campi recettivi più ampi quindi una rilevazione meno precisa della localizzazione dello stimolo
sono recettori rapido adattamento quindi le caratteristiche dinamiche dello stimolo come la vibrazione e veicolano informazioni relative a riconoscimento della superficie dell'oggetto e sono sensibili alle vibrazioni di alte frequenze quindi a consentire la percezione della superficie di uno strumento mentre quelli di Meissner sono sensibili vibrazioni di basse frequenze
Quelli Profondi di Pacini sono sensibili alle vibrazioni di alte frequenze tra i 60 e 400 Herz quindi adatti a consentire una percezione della superficie di uno strumento per permetterne il corretto utilizzo e quindi Veicolano informazioni relative al riconoscimento della superficie dell'oggetto. Quelli superficiali di Meissner sono sensibili alle vibrazioni di basse frequenze tra 5:55 hertz cioè alle vibrazioni che vengono generate dall'attrito degli oggetti e quindi consentono di percepire in che direzione sta avvenendo lo scivolamento di un oggetto e veicolano le informazioni relative alla alla direzione del movimento dell'oggetto
La funzione della guaina mielinica è proprio quella di rendere il corpuscolo di Pacini a rapida adattamento infatti il segnale di stiramento porta la depolarizzazione del recettore che innesca il potenziale d'azione nella fibra afferente primaria che rilascia glutammato già a livello del corpuscolo. Il glutammato attiva anche i recettori per il glutammato presenti sulla lamella interna della cellula di Schwann che rilascia GABA come risposta e GABA agisce sulla fibra andando a inibire il segnale eccitatorio quindi la fibra smette di scaricare per il resto della durata dello stimolo. La rimozione della cellula di Schwann fa sì che questo corpuscolo di Pacini diventi un recettore a lento adattamento
Sono più ampi rispetto a quelli di Merkel e di Meissner e quindi sono meno fini ovvero permettono una rilevazione meno precisa della localizzazione dello stimolo
25% sono dischi di Merkel, 40% corpuscoli di Meissner, 20% corpuscoli di Ruffini e 15% corpuscoli di Pacini e in particolare i recettori superficiali che si trovano a livello delle dita presso le impronte digitali dove i segnali vengono maggiormente amplificati: i dischi di Merkel al centro delle creste papillari formando grappoli mentre i corpuscoli di Meissner ai lati delle creste papillari formando strutture a catene. I recettori profondi invece sono localizzati sia a livello delle dita ma soprattutto a livello del palmo della mano
I corpuscoli di Merkel scaricano continuamente da quando l'oggetto viene preso con una lieve diminuzione della scarica quando viene appoggiato è un piccolo rialzo della scarica quando viene rilasciato quindi l'informazione costruita a livello corticale e la forza di presa in base alla pressione applicata. I corpuscoli di Meissner scaricano quando l'oggetto viene afferrato poi smettono di scaricare e scaricano quando viene rilasciato e quindi a livello corticale viene ricostruita la velocità di applicazione della forza. I corpuscoli di Ruffini scaricano tonica ma vengono inibiti quando ricevono lo stimolo quindi a livello corticale e ricostruito il movimento della mano. I corpuscoli di Pacini scaricano solo nei quattro momenti salienti complementari a Ruffini cioè durante il contatto a inizio sollevamento quando viene poggiato e quando rilasciato quindi a livello corticale è ricostruita la tempistica dell'azione
Dai corpuscoli di Merkel la forza di presa in base alla pressione applicata, Dai corpuscoli di Meissner la velocità di applicazione della forza, Dai corpuscoli di Ruffini il movimento della mano, Dai corpuscoli di Pacini la tempistica dell'azione
Fibre A beta che sono fibre di grandi dimensioni mielinizzate e quindi ad alta velocità di conduzione
VIA DEI CORDONI POSTERIORI O LEMNISCO MEDIALE, deputata la trasmissione delle informazioni tattili provenienti da tronco e arti che ha il neurone di primo ordine con il soma nel ganglio delle radici posteriori e la fibra ascendente che sale ipsi lateralmente nel midollo spinale e arriva al neurone di sordo ordine presso il bulbo dove si ha il nucleo gracile che riceve le informazioni dati sei in giù e il nucleo colato che riceve dati sei in su e l'assone a questopunto decussa nel bulbo e si ha la formazione delle lemenisco mediale che arriva fino al neurone di terzo ordine presso il talamo nel nucleo ventro postero laterale VPL controlaterale che poi proietterà al quarto stato della corteccia presso S1
LEMNISCO TRIGEMINALE, la via deputata la trasmissione delle informazioni tattili provenienti dalla testa dalla faccia in cui i neuroni primordine al soma nel ganglio di Gasser il neurone di secondo ordine è presso la componente Pontina del nucleo principale del trigemino e l'assone decussa e sale lungo il tronco encefalico accanto al menisco mediale e arrivane uno di persone che si trova presso il talamo ma a livello del nucleo ventro postero-mediale VPM controlaterale che poi proietta al quarto stato della corteccia presso S1
VIA DEI CORDONI POSTERIORI O LEMNISCO MEDIALE, deputata la trasmissione delle informazioni tattili provenienti da tronco e arti che ha il neurone di primo ordine con il soma nel ganglio delle radici posteriori e la fibra ascendente che sale ipsi lateralmente nel midollo spinale e arriva al neurone di sordo ordine presso il bulbo dove si ha il nucleo gracile che riceve le informazioni dati sei in giù e il nucleo colato che riceve dati sei in su e l'assone a questopunto decussa nel bulbo e si ha la formazione delle lemenisco mediale che arriva fino al neurone di terzo ordine presso il talamo nel nucleo ventro postero laterale VPL controlaterale che poi proietterà al quarto stato della corteccia presso S1
LEMNISCO TRIGEMINALE, la via deputata la trasmissione delle informazioni tattili provenienti dalla testa dalla faccia in cui i neuroni primordine al soma nel ganglio di Gasser il neurone di secondo ordine è presso la componente Pontina del nucleo principale del trigemino e l'assone decussa e sale lungo il tronco encefalico accanto al menisco mediale e arrivane uno di persone che si trova presso il talamo ma a livello del nucleo ventro postero-mediale VPM controlaterale che poi proietta al quarto stato della corteccia presso S1
VPM, la rappresentazione della faccia e in senso medio laterale si ha la bocca il volto e la nuca
VPL, In senso medio laterale si ha la mano l'arto superiore il tronco l'arto inferiore
Porta la perdita della sensibilità tattile ipsi lateralmente perché le vie di trasmissione dell'informazione sensitiva ovvero la via dei cordoni posteriori o lemenisco mediale e quello trigeminale non decurtano il midollo spinale ma a livello del tronco-encefalico
Area 1 e 3B che sono deputate alla ricezione di informazioni meccanocettive dal talamo in particolare la 1 per gli stimoli cutanei superficiali mentre la 3b per la meccanocezionw superficiale, L'area 2 riceve informazioni convergenti sia meccanocettive che propriocettive dai recettori profondi, L'area 3A è implicata nella propriocezione. L'area che riceve la maggior parte delle informazioni talamiche e poi distribuisce all'interno della corteccia S1 e la 3b quindi deficit più gravi sono proprio lesioni alla 3b. invece lesioni all'area uno esitano nella perdita della capacità di riconoscere caratteristiche della superficie dello stimolo però viene conservata la capacità di riconoscere la dimensione e l'opposto succede se ci sono lesioni dell'area due
L'area che riceve la maggior parte delle informazioni talamiche e poi distribuisce all'interno della corteccia S1 e la 3b quindi deficit più gravi sono proprio lesioni alla 3b. invece lesioni all'area uno esitano nella perdita della capacità di riconoscere caratteristiche della superficie dello stimolo però viene conservata la capacità di riconoscere la dimensione e l'opposto succede se ci sono lesioni dell'area due
Una colonna corrisponde alla rappresentazione una specifica area del corpo ed è un segmento della corteccia che si estende in senso radiale dallo strato superficiale uno a quello più profondo sei e allinea neuroni che rispondono a stimoli provenienti dalla stessa parte del corpo, Quindi vi è una segregazione in S1 della superficie corporea in cui mani e labbra sono rappresentati piu lateralmente tronco genitali più medialmente. Le macro colonne in cui sono rappresentate le informazioni provenienti dalla mano sono allora volta organizzate in micro colonne in cui si segregano le informazioni provenienti da ciascun dito
L'area 3B proietta alla 1 mentre l'area 2 riceve sia da 3a che 3B info già elaborate da esse e le integra. Tutte e quattro le aree proiettano poi direttamente alla corteccia somatosensoriale secondaria
A livello dell'area somestetica secondaria S2 che si trova sopra al solco laterale nel lobo temporale, Dove si ha un'integrazione dei diversi segnali interpretati in base a un codice di popolazione ovvero la risultante di tutte le risposte dei singoli neuroni e un codice di frequenza in base alla frequenza di scarica con cui i neuroni corticali ricevono e riproiettano
Si passa dal rapporto uno a uno dei recettori periferico e il campo ricettivo della fibra afferente primaria ad un rapporto 300 a uno in cui il campo ricettivo del neurone dell'area 3B è la risultante della convergenza di 300 400 afferenze meccanocettive
Area tre a e area 3B hanno nei campi ricettivi più piccoli e piuttosto localizzati quindi i neuroni rispondono alla stimolazione localizzata sull'estremità del dito e i i campi ricettivi rispondono al principio di organizzazione colonnare che segue l'informazione relativa al dito, L'area uno ai campi recettivi che si estendono a comprendere l'estremità di vita contigue quindi neuroni che si attivano contemporaneamente quando si attivano queste porzioni della mano, Nell'area due i campi recettivi dei neuroni sono più complessi si estendono dalla porzione superficiale dell'eredità fino a interessare tutta l'estinzione delle dita e quindi i neuroni si attivano durante uno specifico movimento di manipolazione dell'oggetto, Le aree associative unimodali e Polimodali hanno campi ricettivi non sono estesi come superficie interessando tutte le dita della mano ma anche relativi a entrambe le mani quindi vi arrivano informazioni da entrambe le mani durante il movimento di manipolazione degli oggetti
nel caso in cui venga amputato un dito le aree di proiezione che ricevono informazioni dalle dita si riorganizzano in risposta all'assenza di queste informazioni nel senso che a livello corticale neuroni non muoiono ma subiscono un'importante modifica nel tipo di informazione che ricevono ovvero perdendo questa informazione vengono promossi dei processi di riorganizzazione e i neuroni che avevano le loro colonne nel dito estendo i loro campi recettivi ad altre parti della mano . Questa riorganizzazione in seguito a deafferentazione ovvero perdita di informazione è responsabile della plasticità che comporta la modificazione dei contatti sinaptici o delle connessioni tra aree diverse a seguito dell'esperienza
Dopo una deprivazione sensoriale temporanea a brevissimo tempo abbiamo una nuova mappatura dei circuiti locali quindi i neuroni vicino alle aree anestetizzate estendono il loro campo ricettivo alle aree vicine e nel momento in cui comincia a svanirne l'effetto abbiamo la sensazione di un ingrandimento nella superficie delle aree vicine al punto in cui è stata effettuata l'anestesia
è una modalità sensoriale che fa parte dell’esterocezione e consente la rilevazione di stimoli nocicettivi, che portano alla sensazione e poi alla percezione del dolore. La nocicezione è la rilevazione da parte dei nocicettori di uno stimolo e la conseguente attivazione della via afferente.
il dolore è una sensazione che ha una specifica funzione fisiologica protettiva, si intende un’esperienza sensoriale ed emotiva spiacevole, associata ad un danno tissutale reale o potenziale;
Dunque, il dolore si può manifestare anche in assenza dello stimolo nocicettivo periferico; è frutto di un’elaborazione complessa di segnalo da parte del SNC.
Per dolore si intende un’esperienza sensoriale ed emotiva spiacevole, associata ad un danno tissutale
reale o potenziale;
Dunque, il dolore si può manifestare anche in assenza dello stimolo nocicettivo periferico; è frutto di un’elaborazione complessa di segnalo da parte del SNC.
La nocicezione è la rilevazione da parte dei nocicettori di uno stimolo e la conseguente attivazione della via afferente.
In generale si parla di dolore quando si considera l’esperienza globale, risultante dalla somma dei segnali provenienti dal tessuto danneggiato e dei fattori psicologici che li modulano;
Diversamente si parla di nocicezione per descrivere tutti i processi di trasduzione bioelettrica a livello dei nocicettori e tutti gli eventi nervosi di conduzione dei segnali dalla periferia ai centri superiori.
In altre parole:
- la nocicezione si riferisce a ciò che fa parte della fisiologia oggettiva;
- il dolore si riferisce alla fisiologia oggettiva + quella soggettiva (esperienza globale di dolore e sofferenza)
In base al meccanismo di insorgenza in classificato indolore nocicettivo e neuropatico, In base al sito di insorgenza viene classificato in dolore somatico e viscerale, In base al tempo di insorgenza E quindi al tipo di fibre che trasportano informazione è classificato indolore rapido Con fibre A delta e lento Con fibre C, In base alla natura del dolore si ha una componente epicritica del dolore e una componente emotiva
dolore nocicettivo -> insorgenza in seguito a uno stimolo periferico, in una sede rappresentata proprio dal sito in cui si trova il recettore;
dolore neuropatico -> insorgenza in assenza di uno stimolo periferico, a causa di una lesione o di un’infiammazione della fibra che porta l’informazione nocicettiva (FIBRIOMIALGIA).
Nocicettori appartenenti alla famiglia dei transient receptors), che sono canali cationici transienti e aspecifici (cioè fanno passare varie specie ioniche) e sono attivati in maniera specifica dal calore (Stimoli propri di altre modalità sensoriali sono specifici nell'attivare la via nocicettive quando sono di elevata intensità cioè il calore entro i 43° attiverà i termo accettori ma se superiore attiva i nocicettori) e sensibili alla capsaicina peperoncino
Sono terminazioni nervose libere non incapsulate quindi i recettori di classe uno e sono sensibili a uno stimolo di natura termica meccanica o chimica quindi anche a stimoli propri di altre modalità sensoriali che sono specifici nell'attivare la via nocicettive se sono elevate intensità
I Canali Nav1.7 (Ma ci sono anche i recettori in cui la depolarizzazione è legata all'uscita di Cl tramite i canali del cloro attivati dal calcio)
Quelli che normalmente sono silenti ma possono attivarsi nel corso dei processi infiammatori o per il rilascio di sostanze, sono espressi esclusivamente a livello dei visceri e sono associati al dolore viscerale
Quelli che rispondono in maniera specifica a uno stimolo adeguato che può essere meccanico o termico E sono associati al dolore epi critico permettendo una maggiore discriminazione dello stimolo dolorifica, non hanno una specificità assoluta ma rispondono anche a stimoli di altra natura se questi sono applicati con elevata intensità ( la specificità è data proprio dal fatto che hanno una soglia molto bassa per un determinato stimolo è molto alta per gli altri quindi rispondo più più facilmente ad uno stimolo rispetto ad altri). Quelli termici hanno una bassa soglia per stimoli termici (se temperatura minore di 5 °C e o maggiore di 43 °C) e un'alta soglia per gli stimoli meccanici, Invece quelli meccanici possono rispondere anche a stimoli termici se questi superano i 53 °C quindi si parla la sensibilità complementare
Nocicettori SPECIFICI che rispondono in maniera specifica uno stimolo adeguato che può essere meccanico termico (Non si parla di specificità assoluta poiché possono rispondere anche a stimoli di altra natura ma hanno una soglia molto bassa per un determinato stimolo è molto alta per gli altri e quindi risponderanno meglio ad un certo stimolo), SILENTI (Si attivano solo nel corso di processi infiammatori o per il rilascio di sostanze e normalmente sono silenti e sono associati al dolore viscerale trovandosi esclusivamente a livello dei visceri), POLIMODALI ( Risponde in maniera aspecifica a tutti e tre i tipi di stimoli meccanici termici e chimici perché sono attivati Non solo dallo stimolo ma soprattutto dalle sostanze chimiche rilasciate nel sito di lesione in concomitanza allo stimolo e che hanno potere alogeno)
Quelli che rispondono in maniera specifica a tutti e tre i tipi di stimoli cioè meccanici termici e chimici se più intensi rispetto a quelli che attivano i meccanocettori e termocettori, La specificità è data dal fatto che non sono attivati solo dallo stimolo ma soprattutto dalle sostanze chimiche che vengono rilasciate nel sito di lesione in concomitanza con lo stimolo e sono sostanze chimiche con potere algogeno ovvero che inducono un dolore lento dopo lesione tissutale come bradichinina, Serotonina ioni H più istamina e ATP. Non consentono di discriminare con precisione le caratteristiche dello stimolo dolorifica quindi sono associatei a un dolore sordo diffuso e meno localizzato
Sono sostanze chimiche rilasciate da macrofagi e mastociti poste infiammazione della zona lesa che inducono quindi un dolore lento dopo una lesione tissutale e sono bradichinina, Serotonina, Ioni H più, Istamina, ATP. Tali sostanze attivano i nocicettori polimodali
Per il dolore rapido che primario acuta localizzato le fibre a delta (associate a nocicettori specifici) , Dolore lento che secondario urente pulsante cronico le fibre C (associate a nocicettori polimodali) . Tali fibre non sono distribuite in maniera uniforme perché a livello cutaneo possiamo trovare ugualmente fibre A delta e C mentre a livello viscerale quasi quasi esclusivamente fibre C quindi uno stimolo applicata alla cute porterà l'insorgenza di una sensazione dolorifica più rapida rispetto a uno stimolo applicato a un viscere)
Quello di primo ordine al soma del ganglio delle radici posteriori come per la via dei cordoni posteriori mentre il neon di secondo ordine si trova nel midollo spinale a livello di specifici lamine di rexed dove terminano le diversi fibre
Le fibre a delta contattano i neuroni della lamina uno e cinque che sono detti i neuroni specifici perché ricevono informazioni epi critiche associate a nocicettori specifici a cui sono associate le fibre a delta, Le fibre C vanno a contattare i neuroni della lamina 2:05 che sono detti i neuroni ad ampio spettro dinamico poiché ricevono informazioni meno precise da tali fibre associate a nocicettori Polimodali. Quindi nella lamina cinque si ha una convergenza di informazioni anche perché riceve sia la info nocicettive che tattile
Dal momento che fibre nocicettive provenienti da nocicettori cutanei e fibre nocicettive provenienti da nocicettori viscerali proiettano alla stessa lamina cinque del midollo spinale il dolore viscerale viene spesso percepito a livello superficiale come dolore cutaneo. Inoltre dato che convergono la stessa lamina anche fibre nocicettive cutanee viscerali che provengono da distretti corporei diversi a volte il dolore viscerale può essere percepito a livello superficiale e regioni distanti dal viscere
A livello del neurone di secondo ordine si ha un ipersensibilizzazione della fibra afferente per cui il perdurare dello stimolo invece di provocare assuefazione e quindi adattamento provoca un aumento della risposta (Infatti i nocicettoriInfatti i non vanno incontro a processi di adattamento perché hanno una funzione Protettiva ma vanno incontro a fenomeni di iperalgesia). quindi si ha una percezione dolorifica in seguito a stimoli meccanici e tattili normalmente innocui applicati in periferia rispetto alla lesione perché lo stimolo tattile in una zona circostante la lesione attiva la fibra AB che va a eccitare il neurone di secondo ordine della lamina cinque che riceve sia le fibre a beta che a delta che C e viene potenziato e si ha un Wind Up dalla continua stimolazione da parte della fibra primaria e sarà così eccitato anche dalla fibra A beta non nocicettiva e porterà a percezione del dolore
iperalgesia periferica -> vengono liberate nel sito di lesione delle sostanze (istamina e prostaglandine) che determinano un abbassamento della soglia di attivazione delle fibre nocicettive; la sensazione di dolore sarà evocata anche da stimoli che prima non avevano intensità sufficiente per attivare quelle fibre nocicettive;
- iperalgesia centrale -> più la fibra afferente primaria stimola con il glutammato il neurone di II ordine, più il neurone di II ordine scarica ad alta frequenza e per tempi prolungati (wind up).
In entrambi i casi di iperalgesia, l’ipereccitazione della fibra nervosa si può estendere ad altri neuroni della via, per cui anche i neuroni adiacenti risentono di questo fenomeno ed esaltano l’intensità dello stimolo;
inoltre, anche uno stimolo tattile, applicato nella zona adiacente a quella lesa, si può trasformare in uno stimolo dolorifico, dal momento che la soglia del nocicettore si è abbassata (ALLODINIA MECCANICA).
Secondo la teoria del gate control, dal momento che:
- fibre Aβ (tattili) e fibre Aδ (nocicettive) convergono sulla stessa lamina (V);
- il contatto sinaptico fra la fibra Aβ e il neurone della lamina V è mediato da un interneurone inibitorio;
uno stimolo tattile può andare a inibire la trasmissione di un segnale dolorifico lungo le vie ascendenti del midollo spinale.
Il fascio neo spino talamico o componente laterale trasporta la componente epicritica del dolore cioè gli aspetti discriminativo sensoriali e quindi conferisce le caratteristiche di qualità localizzazione e intensità e proietta il talamo al neurone di terzo ordine presso il VP L. Il fascio paleo spino talamico o componente mediale trasporta la componente emotiva del dolore e ciò gli aspetti affettivo motivazionali e ha il neuroni di terzo ordine nel talamo presso i nuclei intra laminari. Entrambe le vie poi terminano presso un neurone di quarto ordine a livello del quarto strato della corteccia ma il sistema laterale presso S1 mentre quello mediale alle aree del sistema limbico e ha anche proiezioni più diffuse ai centri sottocorticali come formazione reticolare collicolo superiore e sostanza grigia periacqueduttale ipotalamo e amigdala per produrre risposte comportamentali e viscerali mediate dal SNA
intende l’insieme dei sistemi corticali che presiedono alla codificazione della nocicezione, quindi un sistema diffuso e complesso che è responsabile appunto della connotazione soprattutto sgradevole che ha questa modalità sensoriale.
le informazioni trasportate dal fascio neo spino talamico o componente laterale della via spino talamica Relative alla componente epicritica del dolore arrivano all'area som estetica primaria S1 che poi proietterà S2 e ad aree associative di ordine gerarchico superiore mentre le informazioni trasportate dal fascio palio spino talamico relative alla componente emotiva del dolore vengono proiettati ad aree del sistema limbico come la corteccia cingolata anteriore e l'insula e sono responsabili quindi la connotazione affettiva spiacevole e associata al dolore
In caso di lesione dell'insula si ha un'assenza di risposta emozionale al dolore ma il dolore viene comunque percepito e caratterizzato da S1 proprio perché si ha una segregazione del due componenti laterale e mediale della via spino Talamica
Si perché è sottoposta una variabilità individuale data ai meccanismi periferici di elaborazione dello stimolo e ai meccanismi centrali di controllo del dolore.
Sono interneuroni inibitori attivati dalle proiezioni discendenti Serotoninergiche Provenienti dai nuclei del rafe della sostanza grigia periacqueduttale. Tali cellule rilasciano Oppioidi come neuromediatori come ad esempio l'encefaline che riducono il potenziale d'azione fra la fibra afferente primaria e il neurone di secondo ordine quindi inibiscono il rilascio di glutammato da parte del neurone presinaptico iper polarizzano il neurone sinaptico e bloccano il segnale ascendente. È uno dei sistemi di controllo discendente che permette che i dolori di uguale intensità possono essere percepiti in maniera diversa a seconda del contesto dello stato motivazionale e dello stato emotivo del soggetto
hanno un effetto analgesico, in quanto vanno a:
- stimolare le cellule OFF;
- inibire le cellule ON -> hanno un effetto di facilitazione della trasmissione del dolore). riducono il rilascio di glutammato agendo sulla fibra afferente primaria a livello presinaptico, riducono la risposta post sinaptica iperpolarizzante il neurone di secondo ordine che ha recettori MU attivati dagli oppioidi accoppiati a proteine G inibitorie che portano a una minor produzione del C AMP che ha effetto sui canali ionici K inward Rectified rendendoli più attivi e portando a iperpolarizzazione. Gli oppioidi modulano anche gli stessi centri che modulano il dolore cioè aumentano l'attività dei neuroni del grigio periacqueduttale (Nuclei del rafe che inviano proiezioni discendenti Serotoninergiche)
di due tipi:
- sistemi di controllo in entrata -> bloccano la via in ingresso evitandone l’ascesa (cioè il gate control)
- sistemi centrali di controllo discendente -> bloccano la via ascendente tramite proiezioni discendenti.
è una modalità sensoriale che fa parte del sistema somatosensoriale e consente la rilevazione di stimoli termici, che portano alla sensazione e poi alla percezione della temperatura, cioè del caldo e del freddo.
Lo stimolo che attiva questa modalità sensoriale è uno stimolo termico, cioè un valore di temperatura che cada al di fuori del range di neutralità termica, che è compreso fra 31 e 36°C:
- stimoli inferiori ai 31°C vengono percepiti come freddo - stimoli superiori ai 36°C vengono percepiti come caldo.
terminazioni nervose libere non incapsulate, sono recettori di classe uno. Fanno parte della famiglia dei recettori TRPV per la capsaicina (di cui esistono sei isoforme diverse), a cui appartengono anche i nocicettori; è l’intensità dello stimolo termico applicato a determinare l’attivazione della via nocicettiva o di quella termocettiva: stimoli di temperatura compresa fra 17 e 31 °C e fra 36 e 45 °C attivano la via termo percettiva mentre stimoli superiore a 45 °C è inferiore ai 17 °C attivano la via nocicettive
Fanno parte della famiglia dei recettori TRPV per la capsaicina (di cui esistono sei isoforme diverse), a cui appartengono anche i nocicettori; è l’intensità dello stimolo termico applicato a determinare l’attivazione della via nocicettiva o di quella termocettiva: stimoli di temperatura compresa fra 17 e 31 °C e fra 36 e 45 °C attivano la via termo percettiva mentre stimoli superiore a 45 °C è inferiore ai 17 °C attivano la via nocicettive
È un fenomeno in cui la specificità dei termorecettori viene meno perché la temperatura supera improvvisamente 45 °C come in un'immersione in acqua bollente e prima che si attivino le fibre nocicettive e c'è un momento in cui i termocettori del caldo smettono di scaricare perché è stato scaricato il range di competenze e si verifica una scarica da parte dei termocettori del freddo. In questo modo si attiva la via specifica per il freddo che arriva sia in corteccia e fa sì che subito prima di avvertire il dolore si determini per un attimo una sensazione di freddo risposta uno stimolo molto caldo
non è uniforme, per cui:
- ci sono aree del corpo che non presentano recettori per il freddo; Ma la maggior parte delle regioni corporee presentano superfici recettoriali che privilegiano i recettori per il freddo Rispetto a quelli per il caldo. I termocettori sono localizzati prevalentemente sulla superficie corporea ma sono presenti anche su organi organi interni e quelli presenti su organi interni sono importanti nel mediare la funzione della termoregolazione.
Intanto la frequenza di scarica è proprio il modo di codificare l'intensità e quindi il valore di temperatura. Quelli per il caldo sono associate a fibre C che scaricano in maniera crescente ma man mano che la temperatura aumenta raggiungendo un picco intorno ai 43 °C per poi cessare di scaricare a temperature più alte. Invece i frigocettori Associati a fibre A delta scaricano a maggiore frequenza quando la temperatura scende al di sotto dei 31 °C con un piccolo scarica intorno ai 27 °C, Riducono la loro frequenza di scarica per temperature più alte e sono inattivi a temperature come 43 °C per poi ricaricare a temperature superiori ai 45 e 50 °C per il cosiddetto freddo paradosso. Quindi l'uomo è meno sensibile al riscaldamento rispetto al raffreddamento
No sono recettori a rapido adattamento che colgono preferenzialmente gli aspetti dinamici dello stimolo quindi le variazioni di temperatura piuttosto che la costanza e per questo motivo spesso ci si abitua ad una determinata temperature e si avverte solo il cambio di temperatura rispetto a quella precedente
E ad opera delle fibre a delta e fibre C e prosegue tramite la via spino talamica come lo stimolo nocicettivo per terminare a livello della corteccia ma durante il passaggio attraverso il neurone di secondo e terzo ordine e quindi attraverso le lamine di Rexed del midollo spinale e il nucleo ventro-laterale del talamo si verificano fenomeni di sommazione che condizionano la sensazione di caldo e freddo in corteccia
La percezione cosciente della temperatura si ha a livello corticale. S1 elabora gli aspetti discriminativi dello stimolo come la natura caldo o freddo l'intensità la durata e la sede di insorgenza così da condurre alla sensazione dello stimolo che poi andrà incontro ad un effetto di sommazione integrando tutti i segnali termici applicati a livello corporeo in base al numero di recettori stimolati e arrivare alla percezione (Quindi aree recettoriali più estese trasmettono segnali più intensi per il fenomeno di sommazione che si verifica a livello del neuroni di secondo e terzo ordine quindi presso le lamine di rexed del midollo spinale e presso il talamo e pertanto è possibile paradossalmente non avvertire una temperatura altissima applicata a un punto piccolissimo e avvertire la temperatura meno elevata applicata ad aree più estese del corpo
perché la sensazione di caldo e freddo che viene elaborata a livello corticale è legata all'intensità della stimolazione e ha un effetto di sommazione quindi a livello corticale si verifica un'integrazione di tutti i segnali termici applicati a livello corporeo sulla base del numero di recettori stimolati e aree recettoriali più estese e trasmettono segnali più intensi per il fenomeno di sommazione che si verifica a livello del neurone di secondo e terzo ordine quindi a livello delle lamine di Rexed del midollo spinale e a livello del nucleo ventro postero laterale del talamo
il mantenimento di una temperatura corporea costante avviene grazie a centri di integrazione ipotalamici (area pre ottica contenente neuroni che scaricano a una certa frequenza in base alla temperatura), che presentano un set-point intorno ai 37°C (Che però può essere modificato in determinate situazioni come infezioni batteriche che impostano valori fisiologico più alto) e, grazie alla continua ricezione di informazioni relative alla temperatura (sia esterna che corporea), sono in grado di rilevare eventuali variazioni rispetto ai valori fisiologici di set-point;
quando la temperatura corporea si discosta dal range fisiologico, questi centri la riportano al valore di set-point:
- tramite riflessi involontari (ad es. freddo -> brivido) e risposte non coscienti (ad es. caldo -> vasodilatazione e attivazione ghiandole sudoripare, freddo -> vasocostrizione) che chiamano in causa il SNA;
- in alcuni casi anche tramite risposte comportamentali coscienti (ad es. freddo -> indossare un maglione) che chiamano in causa il SNS.
È un innalzamento fisiologico del set point ipotalamico di temperatura corporea che da 37 °C passa a 39 °C e quindi vengono messe in atto strategie volte a innalzare la temperatura corporea Verso tale nuovo valore di riferimento, tra le quali proprio la febbre, a scopo protettivo cioè per difendere da microrganismi patogeni. In caso di infezione batterica infatti i batteri rilascia tossine e i macrofagi riconoscono e rilasciano citochine che stima il nervo vago del sistema parasimpatico a proiettare il nucleo del tratto solitario i cui neuroni rilasciano adrenalina che presso l'aria preottica dell'ipotalamo va ad attivare la cicloossigenasi due COX2 e vengono rilasciate le prostaglandine due che innalzano il set point verso valori più alti e quindi vengono attuate risposte al freddo come vasocostrizione, Brivido e piloerezione, Secrezione adrenalina e risposta comportamentale quale coprirsi
modalità sensoriale che rientra nella categoria delle sensibilità specifiche e consente la rilevazione di stimoli visivi, che sono rappresentati dalla luce. L’organo della vista è l’occhio, che contiene un sistema di mezzi diottrici e una superficie recettoriale rappresentata dalla retina.
la luminanza e l'intensità luminosa per unità di superficie quindi si misura in candela su metro quadrato e rappresenta lo stimolo oggettivo cioè la quantità di luce che arriva all'oggetto. La luminosità si basa sul confronto che il sistema visivo fa tra le informazioni provengono dall'oggetto rispetto allo sfondo e quindi rappresenta lo stimolo soggettivo
stimolo che attiva la modalità sensoriale Della vista è proprio il fotone della luce visibile, cioè la radiazione elettromagnetica di lunghezza d’onda compresa fra i 400 e i 600nm (spettro del visibile che va dal violetto che ha una lunghezza d'onda minore e una frequenza maggiore al rosso che ha una lunghezza d'onda maggiore una frequenza minore ). Più precisamente il segnale che viene rilevato un contrasto di luminanza ossia un contrasto fra la luminanza della sorgente luminosa e la luminanza dello sfondo (L'analisi di contrasto inizia già nella retina)
si parla di natura costruttiva dell'analisi visiva perché in periferia linfo luminosa viene rilevata viene codificata e scomposta secondo le Submodalità quali colore contrasto orientamento movimento poi viene ricomposta ed elaborata per gradi. L'analisi visiva di primo livello si ha già presso la retina dove si ha l'analisi contrasto poi analisi di livello successivo si hanno lungo le vie visive passando da V1 a V2 in cui si arriva una forma e poi l'analisi visiva finale si ha presso le cortecce associative dove vi è la segregazione della via del cosa che riconosce e classifica identifica l'oggetto e la via del dove che elabora il movimento e rappresenta lo spazio extras
Forma di memoria basata su esperienze visiva pregressa
disco ottico
- punto in cui si forma il nervo ottico;
- è privo di fotorecettori: rappresenta un punto cieco nella visione (la visione binoculare consente di compensare questo);
fovea
- presenta la maggiore densità di fotorecettori (coni, non bastoncelli) E per questo è maggiormente rappresentata a livello corticale;
- si trova al centro della macula lutea, cioè una regione di circa 3mm circondata dal pigmento xantofilla, il quale assorbe i raggi UV.
La retina che è l'elemento nervoso dell'occhio contenente i fotocettori E si trova nella parte posteriore dell'occhio mentre nella parte anteriore dell'occhio ci sono i mezzi dittici che hanno la funzione di lente convergente che fa sì che l'immagine dell'oggetto che stiamo guardando cade a fuoco sulla retina e in particolare presso la fovea
1 EPITELIO PIGMENTATO Che contiene i segmenti esterni dei foto recettori che sono strettamente dipendenti da esso perché esso ha una funzione di supporto trofico Dato che è molto vascolarizzato , di turn-over dei dischi apicali dei foto recettori, Di riduzione della dispersione della luce grazie al pigmento, Di metabolismo della vitamina a retinale attraverso il ciclo visivo che prevede la rigenerazione del cromoforo.
2 STRATO NUCLEARE ESTERNO Contiene il corpo dei fotorecettori
3 STRATO PLESSIFORME ESTERNO Contiene la sinapsi fra i Foto recettori e le cellule bipolari
4 STRATO NUCLEARE INTERNO Contiene i corpi delle cellule bipolari, interneuroni che mediano il rapporto foto recettore cellula gangliari
5 STRATO PLESSIFORME INTERNO Dove avviene la sinapsi fra cellule bipolari e cellule gangliari
6 STRATO DELLE CELLULE GANGLIARI Contenenti i corpi delle cellule gangliari che sono i neuroni di primordine della via visiva Che ricevono l'informazione dei Foto recettori tramite le cellule bipolari e i cui assoni formano il nervo ottico
1 EPITELIO PIGMENTATO Che contiene i segmenti esterni dei foto recettori che sono strettamente dipendenti da esso perché esso ha una funzione di supporto trofico Dato che è molto vascolarizzato , di turn-over dei dischi apicali dei foto recettori, Di riduzione della dispersione della luce grazie al pigmento, Di metabolismo della vitamina a retinale attraverso il ciclo visivo che prevede la rigenerazione del cromoforo.
Gli strati plessiformi sono gli strati in cui avvengono le sinapsi
3 STRATO PLESSIFORME ESTERNO Contiene la sinapsi fra i Foto recettori e le cellule bipolari
5 STRATO PLESSIFORME INTERNO Dove avviene la sinapsi fra cellule bipolari e cellule gangliari
Ai recettori di classe tre ovvero recettori connessi alla fibra afferente primaria tramite l'intermezzo di una cellula bipolare (Interneuroni), Infatti si ha la sinapsi tra foto recettori e cellule bipolari presso lo strato plessiforme esterno e poi si ha la sinapsi fra cellule bipolari e cellule gangliari presso lo strato plessiforme interno, Cioè l'informazione passa dal recettore alla fibra afferente primaria cioè la cellula gangliari tramite l'interposizione di una cellula bipolare (Circuito retinico a tre neuroni)
- le cellule orizzontali (nello strato plessiforme esterno, in cui realizzano contatti reciproci fra i fotorecettori);
- le cellule amacrine (nello strato plessiforme interno, in cui prendono contatto sia con le cellule gangliari sia con le cellule bipolari, tramite sinapsi sia chimiche che elettriche)
- la rappresentazione del corpo nello spazio;
- la percezione della posizione degli arti e delle altre parti del corpo (senso del sè);
- il senso di movimento degli arti;
tramite gli stimoli propriocettivi, e grazie all’integrazione di stimoli visivi, uditi, vestibolari e tattili, la corteccia è in grado di ricostruire la mappa corporea, cioè la rappresentazione interna della forma del corpo (come siamo fatti), dei rapporti fra le varie parti e dei suoi cambiamenti dinamici (come ci muoviamo).
Le informazioni propriocettive, dando alla corteccia il senso di posizione e di movimento, sono fondamentali per il controllo di movimenti involontari, automatici e volontari.
stimolo propriocettivo è uno stimolo meccanico, come quelli che riguardano il tatto, la nocicezione e l’udito, che agisce deformando la struttura del recettore in questione.
FUSO NEUROMUSCOLARE a cui sono associate le fibre di tipo Ia e II, ORGANO TENDINEO DI GOLGI a cui sono associate fibre Ib, RECETTORI ARTICOLARI
(Queste tre fibre sono fibre elevata velocità di conduzione poiché realizzate grande diametro ovvero sono fibre A delta)
Sono poste in parallelo quindi sullo stesso asse del muscolo E pertanto lo stimolo adeguato è lo stiramento ovvero la modifica di lunghezza delle fibre muscolari
FIBRE A SACCHETTO DI NUCLEI Che hanno un rigonfiamento centrale in cui si addensano tutti i nuclei e i poli contengono gli elementi contrattili
FIBRE A CATENA che hanno i nuclei affiancati in fila come in una catena, e i poli che contengono gli elementi contrattili.
In base alla risposta che danno allo stiramento del muscolo, le fibre fusali sono di tre tipi:
Le fibre a catena seguono in modo lineare l’allungamento del muscolo e sono più sensibili alla fase statica (Che si presenta dopo la fase dinamica quindi dopo aver raggiunto una certa lunghezza).
Le fibre a sacchetto dinamiche sono più sensibili alla fase dinamica, infatti hanno i poli molto densi, che offrono attrito allo stiramento, e una regione centrale elastica, che offre resistenza allo stiramento ma viene stirata dalla tensione realizzata all’altezza dei poli; Hanno una variazione di lunghezza più rapida e quando il muscolo ha raggiunto la lunghezza finale, queste fibre riducono un po’ la loro lunghezza.
quando lo stiramento termina e si passa dalla fase dinamica alla fase statica, non c’è più la forza di trazione a livello dei poli e quindi la parte centrale del fuso si decontrae, portando ad uno stacco abbastanza netto fra la fase statica e la fase dinamica.
Le fibre a sacchetto statiche sono più sensibili alla fase statica.
Al tipo di innervazione afferente che esse ricevono: le fibre a sacchetto dinamiche sono innervati dalla fibra Ia Che ha un'elevata velocità di conduzione e contatta la parte centrale della fibra fusale con terminazioni anulospirali avvolgendone completamente il centro e Mostra un comportamento più fasico cioè a una legata frequenza di scarica in fase di allungamento che viene ridotta leggermente nella fase statica (Sono fibre rapide adattamento che scaricano all'inizio alla fine). Invece le fibre a sacchetto statiche e le fibre a catena sono innervate da fibre di tipo II CHE HANNO UNA MINORE VELOCITÀ DI CONDUZIONE E CONTATTANO LA PARTE POLARE DELLA FIBRA FUSA CON TERMINAZIONI A FIORAME E QUINDI PROIETTANO DIFFUSAMENTE AI POLI DELLA FIBRA PRESSO LA PERIFERIA QUINDI AVRANNO UN COMPORTAMENTO PIÙ TONICO SEGUENDO COSTANTEMENTE L'ALLUNGAMENTO E AUMENTANDO LA FREQUENZA DI SCARICA DURANTE L'ALLUNGAMENTO SCARICANDO TUTTO IL TEMPO PERCHÉ SONO A LENTA ADATTAMENTO
la fibra I–a segnala l’inizio dell’allungamento (cioè l’inizio della fase dinamica), poi scarica a elevata frequenza nella fase di maggiore allungamento, e infine riduce la frequenza di scarica quando si verifica il rilassamento della parte centrale delle fibre a sacchetto (cioè quando si passa dalla fase dinamica alla fase statica), Quindi coglie la dinamica degli arti la velocità e la direzione del movimento.
la fibra II segnala l’inizio dell’allungamento ma poi ha una sorta di adattamento, per cui non scarica più per tutta la durata della fase dinamica (Coglie la posizione statica degli arti)
il fuso neuromuscolare può essere regolato nella sua lunghezza, grazie al fatto che presenta, accanto all’innervazione afferente, anche un’innervazione efferente.
Infatti il fuso neuromuscolare, nelle regioni polari, riceve un’innervazione motoria da parte di un γ- motoneurone posizionato a livello delle corna anteriori del midollo spinale:
quando l’a-motoneurone si attiva e fa contrarre il muscolo, si verifica un’iniziale accorciamento del fuso, quindi le fibre afferenti primarie non vengono più stirate, non si genera più il potenziale d’azione e diminuisce la frequenza di scarica; ma, poiché durante il movimento la corteccia ha continuamente bisogno di informazioni sulla posizione degli arti, essa attiva contemporaneamente anche il γ-motoneurone, che determina la contrazione dei due poli delle fibre fusali, e quindi lo stiramento della parte centrale; l’allungamento della regione centrale causa lo stiramento delle fibre afferenti, e quindi l’aumento della frequenza di scarica.
Questo avviene durante il movimento volontario, cioè quando la contrazione del muscolo è controllata dalla corteccia, che quindi può attivare anche il γ-motoneurone;
nel caso di contrazioni riflesse o di stimolazione elettrica del muscolo, NON si verifica l’attivazione dei γ-motoneuroni e quindi la frequenza di scarica del fuso neuromuscolare si riduce.
il γ-motoneurone è l’elemento che permette il controllo da parte dei centri superiori sui recettori inferiori E quindi la regolazione della sensibilità del fuso:
- se la corteccia deve avviare un movimento molto fine e le servono informazioni altamente dettagliate, può potenziare l’attività dei γ-motoneuroni, in modo da aumentare la frequenza di scarica del fuso e ricevere un maggior numero di informazioni propriocettive (γ-motoneurone determina la contrazione dei due poli delle fibre fusali, e quindi lo stiramento della parte centrale; l’allungamento della regione centrale causa lo stiramento delle fibre afferenti, e quindi l’aumento della frequenza di scarica anche il muscolo è contratto e non stirato);
- viceversa la corteccia può inibire i γ-motoneuroni se la ricezione di informazioni propriocettive deve essere depotenziata
Il fuso si trova in mezzo alle fibre muscolari ed è formata una capsula esterna che contiene dalle tre alle otto fibre muscolari modificate dette intra fusali (Che ricevono innervazione afferente dalle fibre a delta tipo Ia e II)disposte in parallelo rispetto a quelle extra fusali. L'organo tendineo di Golgi si trova all'interfaccia tra tendine e muscolo ed è disposto in serie rispetto al muscolo ed è una struttura incapsulata e piccola al quinta si trovano fibre collagene inframmezzate da terminazioni nervose della fibra Ib
Per il fuso neuromuscolare è lo stiramento o l'allungamento del muscolo, quindi la modificazione della lunghezza mentre per l'organo tendineo è la modificazione dello stato di tensione durante la contrazione muscolare
il muscolo si contrae;
- le fibrocellule si accorciano;
- aumenta la tensione a livello dei tendini;
- l’organo tendineo di Golgi, che si trova all’interfaccia tra tendine–muscolo, risente dell’aumento di tensione a livello tendineo e viene stirato;
- lo stiramento dell’organo tendineo di Golgi comporta uno stiramento delle fibre di collagene in esso contenute, e quindi uno schiacciamento delle terminazioni nervose inframmezzate alle fibre di collagene;
quindi nella fibra afferente si verifica una modificazione del potenziale e la generazione di un potenziale d’azione: la contrazione del muscolo determina variazioni nella frequenza di scarica delle fibre afferenti primarie, perché determina lo schiacciamento della fibra afferente e l’apertura dei canali ionici attivati da stimoli meccanici.
Si trova all’interno delle articolazioni, in particolare a livello delle articolazioni della mano, in cui
collabora con i recettori di Ruffini (situati a livello delle pieghe della mano).
È una struttura piccola e associata a fibre afferenti primarie di tipo II; infatti lo stimolo che il recettore articolare è la variazione di posizione dell’articolazione
lo stimolo che attiva il fuso è la variazione di lunghezza della fibra muscolare,
l’allungamento e la contrazione del muscolo determinano variazioni nella frequenza di scarica di queste fibre afferenti primarie, che hanno una scarica tonica a riposo.
1. Quando il muscolo si allunga, il fuso viene stirato e nella fibra afferente primaria aumenta la frequenza di scarica;
Questo avviene perché la fibra afferente viene stirata e si aprono i canali ionici sensibili allo stiramento che su di essa si trovano, con conseguente generazione di potenziali d’azione: L’apertura del canale ionico, che ha conduttanza mista, porta l’ingresso di Na+ inducendo depolarizzazione che se di entità sufficiente, scatenerà il potenziale di azione a livello del primo nodo di Ranvier e il segnale verrà trasportato attraverso le vie della propriocezione.
2. Quando il muscolo si contrae, nella fibra afferente primaria aumenta la frequenza di scarica, perché il fuso neuromuscolare può essere regolato nella sua lunghezza, grazie al fatto che presenta, accanto all’innervazione afferente, anche un’innervazione efferente da parte di un γ- motoneurone posizionato a livello delle corna anteriori del midollo spinale
Il neurone di I ordine ha la fibra periferica a contatto con il propriocettore e il soma nel ganglio delle radici posteriori; la fibra centrale può seguire due vie:
1. al di sopra di T1, l’assone del neurone di I ordine si unisce alla via dei cordoni posteriori (all’interno della quale viaggia in posizione segregato rispetto alle fibre meccanocettive) e ascende nel midollo spinale fino al tronco encefalico; arrivata a livello del bulbo, contatta un neurone di II ordine, situato nel nucleo cuneato
2. al di sotto di T1, l’assone del neurone di I ordine contatta un neurone di II ordine, situato nel nucleo dorsale di Clarke a livello del corno intermedio laterale.
Da questa stazione, l’assone del neurone di II ordine può seguire diverse vie:
- proiezione al cervelletto: dal nucleo dorsale di Clarke si diparte il fascio dorsale spino-
cerebellare, che ascende posteriormente nel midollo spinale e raggiunge lo spino- cerebellum
- connessioni spinali: dal nucleo di Clarke partono una serie di proiezioni collaterali che contattano neuroni del midollo spinale, situati più rostralmente o più caudalmente
- via ascendente: l’assone del neurone di II ordine, dal nucleo dorsale di Clarke, si riunisce alla via dei cordoni posteriori, ascende nel midollo spinale, raggiunge il bulbo del tronco encefalico e contatta un neurone di III ordine, situato nel nucleo gracile.
Dai nuclei gracile e cuneato, il neurone (di II ordine per la sensibilità propriocettiva al di sopra di T1, di III ordine per la sensibilità propriocettiva al di sotto di T1) va a contattare un neurone di III o IV ordine, situato nel talamo, a livello del nucleo ventro-postero-laterale;
dal talamo l’informazione raggiunge il IV strato della corteccia somatosensoriale.
Per quanto riguarda le informazioni propriocettive provenienti dalla faccia, cioè dai muscoli masticatori, queste viaggiano attraverso il nervo trigemino, raggiungono il nucleo mesencefalico del V, e poi, tramite il lemnisco trigeminale, raggiungono il nucleo ventro-postero-mediale del talamo.
il primo livello di elaborazione si ha a livello dell'area somestetica primaria in particolare presso l'area 3a di Bradman che poi proietta l'area 2 dove si ha una prima forma di integrazione tra informazioni tattili e propriocettive e che poi proietta all'area somestetica secondaria S2 che è un'area associativa unimodale che proietterà le aree parietali 5 e 7 che sono aree associative Polimodali
In condizioni basali, si consumano circa 300ml di O2 al minuto e si producono circa 250ml di CO2 al minuto;
meccanismo che ci permette di scambiare aria con l’ambiente esterno in maniera ciclica (15/17 volte al minuto), sviluppando un flusso d’aria entrante e uscente dai polmoni
No, Il respiro è un’attività automatica, influenzabile in qualche modo dalla volontà, ma non sotto il suo controllo: ci sono dei centri nervosi, a livello del tronco encefalico, preposti alla regolazione del ritmo respiratorio e che soggiacciono ad una molteplicità di stimoli corticali, ma possiedono una loro intrinseca capacità autonoma. Infatti si può decidere volontariamente di interrompere la respirazione, ma dopo un po’ gli stimoli di natura chimica, generati dall’accumulo di CO2 e dalla carenza di O2, mandano un segnale ai centri nervosi del tronco encefalico che fanno riprendere la respirazione nonostante la volontà di bloccarla.
1 ventilazione polmonare
2 Scambio per diffusione di ossigeno e anidride carbonica tra polmoni e sangue
3 Trasporto tramite sangue
4 Scambio per diffusione tra sangue e tessuti
Quindi vi è una cooperazione tra sistema cardiovascolare e respiratorio
Come nel sistema cardiovascolare, poiché l’aumento del numero di ramificazioni è superiore rispetto alla diminuzione del calibro, la sezione trasversa complessiva dell’albero bronchiale diminuisce leggermente nelle prime 3-4 generazioni, e successivamente aumenta in maniera considerevole.
Considerando l’aria che scorre nelle vie respiratorie come un fluido, possiamo affermare che, per il principio di costanza del flusso, se la sezione totale aumenta, allora la velocità di scorrimento del fluido diminuirà in maniera proporzionale: quindi la velocità di scorrimento dell’aria sarà elevata nelle prime generazioni dell’albero bronchiale, e molto ridotta nelle ultime generazioni.
È una delle due parti dell'albero bronchiale insieme alla porzione respiratoria, Il sistema di conduzione va dalla faringe fino alla XVII generazione dell’albero bronchiale (bronchioli respiratori).
Questa porzione non è deputata agli scambi gassosi veri e propri (“spazio morto”), ma ha principalmente una funzione di conduzione, cioè di trasportare l’aria dall’esterno fino alla porzione respiratoria e viceversa.
Questo spazio morto ammonta a 150ml.
In realtà non si tratta di un vero e proprio spazio morto, perché esso svolge una serie di funzioni
estremamente importanti: - Conduzione dell’aria;
- Riscaldamento dell’aria
- Umidificazione dell’aria
- Depurazione dell’aria
(+fonazione e olfatto)
dalla XVII generazione dell’albero bronchiale (bronchioli respiratori) fino agli alveoli.
Questa è la porzione deputata agli scambi gassosi veri e propri, che in queste generazioni bronchiali hanno luogo in maniera progressivamente crescente.
L’enorme aumento della sezione totale nelle ultime generazioni dell’albero bronchiale, è funzionale ad amplificare al massimo l’area disponibile per gli scambi respiratori: infatti gli alveoli polmonari sono 300-500 milioni e, con la loro struttura, realizzano un’enorme superficie di contatto alveolo-capillare, pari a 50-100m2
- numero di atti respiratori in un minuto;
- mediamente in un adulto è pari a 12-16 atti respiratori al minuto;
- è inversamente proporzionale alla grandezza dell’organismo;
- nel bambino la frequenza è molto più elevata 35-40 atti respiratori al minuti;
- Volume di aria che il polmone scambia con l’ambiente esterno in un singolo atto respiratorio tranquillo; - in un adulto è pari a 0,5L (500ml);
- è l’analogo della gittata sistolica;
volume d’aria che il polmone scambia con l’ambiente esterno in un minuto;
- è dato dal prodotto di volume corrente e frequenza respiratoria; - può essere considerato come l’analogo della gittata cardiaca;
se il volume minuto è pari a volume corrente (0,5L) X frequenza respiratoria (15), allora mediamente in un adulto è pari a 7,5L/min (questo valore può aumentare fino a 100L/min con un aumento della profondità o della frequenza del respiro, o scendere fino a 1,5L/min, ma situazioni di questo tipo vengono sopportate dall’organismo solo per poco tempo
- rapporto tra anidride carbonica prodotta e ossigeno consumato;
- In condizioni basali il nostro organismo consuma 300ml di ossigeno e produce 250ml di anidride carbonica;
- volume d’aria che in un minuto è utile al fine degli scambi gassosi;
Non tutta l’aria che inaliamo arriva fino alla porzione respiratoria:
- dei 500cc di aria che inaliamo con un atto respiratorio (volume corrente), 150cc si fermano nello spazio morto non influendo sugli scambi gassosi;
- la porzione respiratoria è raggiunta da 350cc (500cc - 150cc), che sono effettivamente utili ai fini della respirazione.
Quindi la ventilazione alveolare è simile alla ventilazione polmonare, ma la frequenza non moltiplica il volume corrente, bensì il volume corrente decurtato di quella quota che rimane nello spazio morto;
ventilazione alveolare = frequenza respiratoria (15) X [volume corrente (500cc) – volume dello spazio morto (150cc)] = 5L/min.
è più vantaggioso aumentare la profondità del respiro e quindi il volume corrente
Lo spazio morto è 150 cc.
In condizioni basali 500- 150 fa 350 cc;
350 x 15 atti respiratori fa 5 litri al minuto circa.
- raddoppiamo il volume corrente -> Perdiamo comunque 150 cc e sono utilizzabili 850 cc di aria. (850 X 15 = 12,7 L al minuto)
- manteniamo il volume corrente a 500 cc (ne perdiamo comunque 150 per lo spazio morto per ogni atto respiratorio) e raddoppiamo la frequenza respiratoria -> sprechiamo più volte la quantità di aria che finisce nello spazio morto. (350 × 30 = 10,5 L al minuto)
Dal punto di vista della ventilazione alveolare aumentare la profondità del respiro aumenta la quantità di aria utile ai fini dello scambio gassoso in modo maggiore che non aumentando la frequenza.
- volume d’aria che, con uno sforzo inspiratorio, possiamo aggiungere a quello inspirato nel corso di un atto respiratorio tranquillo, cioè è la quota d’aria introdotta con un’inspirazione forzata;
- mediamente in un adulto è pari a 2,5L
- volume d’aria che, con uno sforzo espiratorio, possiamo aggiungere a quello espirato nel corso di un atto respiratorio tranquillo;
- mediamente in un adulto è pari a 1,5L
- volume d’aria che rimane nel polmone dopo il massimo sforzo espiratorio; - mediamente in un adulto è pari a 1,5L.
anche dopo una grande espirazione forzata, non si può mai svuotare completamente il polmone, perché gli alveoli contengono sempre al loro interno una quota di aria (quindi, quando inspiriamo, i 350cc di aria ricca di O2 che arrivano agli alveoli, si mescolano con un volume preesistente di aria contenuto negli alveoli, che ha composizione di O2 e CO2 molto diversa);
Somma di più volumi polmonari
- volume che l’apparato respiratorio è in grado di contenere;
- volume di aria che l’apparato respiratorio può scambiare + volume che non può essere scambiato e resta
contenuto all’interno dell’apparato respiratorio;
- quindi la capacità polmonare totale è data da capacità vitale (4,5L) + volume residuo (1,5L) e mediamente in un adulto è pari a 6L.
- volume massimo che può essere scambiato dall’apparato respiratorio con l’ambiente esterno a seguito di un massimo sforzo inspiratorio seguito da un massimo sforzo espiratorio;
- il soggetto butta fuori prima l’aria che aveva inspirato con il massimo sforzo, poi il volume corrente e poi un’ulteriore quota che espira con il massimo sforzo;
- capacità vitale = volume di riserva inspiratoria (2,5L) + volume corrente (0,5L) + volume di riserva espiratoria (1,5L) = mediamente in un adulto è pari a 4,5L.
- volume d’aria che rimane nel polmone al termine di una respirazione tranquilla;
- è pari al volume residuo, che rimane nel polmone e non può essere espulso nemmeno dopo il massimo sforzo espiratorio, e a quella quota di aria che normalmente rimane nel polmone, ma che può essere espulsa con il massimo sforzo espiratorio;
- CFR = volume residuo (1,5L) + volume di riserva espiratoria (1,5L) = mediamente in un adulto 3L.
La capacità vitale forzata viene determinata chiedendo al soggetto di fare un massimo sforzo inspiratorio e poi di fare un massimo sforzo espiratorio nel modo più veloce possibile;
in questo modo si può determinare il volume di espirazione massima in un secondo, definito anche FEV1, che può svelare in modo particolarmente efficace problemi relativi alle resistenze (ad esempio asma da bronco-costrizione);
l’aumento delle resistenze incide in maniera determinante non tanto sul volume totale che riusciamo a espellere, quanto piuttosto sulla velocità con cui lo espelliamo, causando un rallentamento.
In una persona sana il rapporto uno su FVC è uguale all'80% quindi l'area totale ispirata in un secondo di ispirazione forzata è pari all'80% della capacità funzionale totale
Tramite la spirometria si possono misurare: - volume corrente;
- volume di riserva inspiratoria;
- volume di riserva espiratoria;
- capacità vitale;
tuttavia NON è possibile misurare il volume residuo, e di conseguenza non si può calcolare la CFR.
si inserisce nella campana del normale spirometro una quantità nota di elio (gas scarsamente solubile nel sangue, quindi non passa dagli alveoli al sangue e rimane intrappolato nell’apparato respiratorio).
- Si collega il soggetto allo spirometro in seguito a un’espirazione tranquilla, cioè in condizioni di CFR; - poi si dice al soggetto di respirare con naso chiuso;
- dopo una serie di atti respiratori succede che l’elio si distribuisce in maniera uguale tra la campana dello spirometro e l’interno dell’apparato respiratorio;
poiché l’elio non viene consumato, la stessa quantità che avevamo messo nello spirometro si è distribuita in un volume più ampio, quindi è cambiata la sua concentrazione (Q=CxV).
Noti:
- il volume dello spirometro;
- la quantità di elio;
- la sua concentrazione nel volume dello spirometro;
- la sua concentrazione quando si è distribuito nello spirometro e nell’apparato respiratorio;
considerando che abbiamo collegato il soggetto allo spirometro alla fine di un’espirazione, quindi quando il volume del suo apparato respiratorio corrispondeva a CFR;
possiamo ricavare la CFR:
- calcolo il volume in cui si è distribuito l’elio alla fine sapendo la concentrazione e la quantità; - poi calcolo la CFR facendo il volume in cui si è distribuito l’elio e sottraggo il volume dello spirometro.
il soggetto sta seduto in una cabina di vetro (che può essere isolata dall’aria esterna tramite una valvola) e può respirare e a valvola chiusa, lo sforzo inspiratorio determina:
1. un aumento del volume toracico -> una diminuzione della pressione intrapolmonare;
2. una diminuzione del volume di aria all’interno della cabina -> un aumento della pressione dell’aria nella cabina;
quindi dopo lo sforzo respiratorio pressione e volume della cabina sono cambiati, ma il loro prodotto è rimasto lo stesso prima e dopo l’inspirazione (legge di Boyle).
Quindi sapendo che: P×V prima dello sforzo inspiratorio = P×V dopo lo sforzo inspiratorio;
conoscendo:
- P e V della cabina prima dello sforzo inspiratorio; - P della cabina dopo lo sforzo inspiratorio;
ci si può ricavare V dopo lo sforzo inspiratorio;
conoscendo V della cabina prima e dopo lo sforzo inspiratorio -> si può calcolare il DV.
Tenendo conto che il volume della cabina è diminuito di quel tanto di cui è aumentato quello del polmone, possiamo sapere di quanto è variato il volume nel polmone;
tendendo sempre conto che: P×V=K
conoscendo:
- V del polmone dopo l’atto inspiratorio;
- P del polmone prima e dopo l’atto inspiratorio (tramite misurazione con manometro dentro la bocca);
possiamo ricavarci V prima dell’atto inspiratorio, cioè la CFR.
• volume corrente (400-500 mL) • capacità funzionale residua (2.3-3,5 L) • volume di riserva inspiratoria (2-3 L) • capacità inspiratoria
• volume di riserva espiratoria (1,2-1,8 L) • capacità vitale (4.5-5,0 L)
• volume residuo (1.0-1.8 L) • capacità polmonare totale (6 L)
1. Massa corporea
2. Sesso: in particolare la capacità vitale (CV), il volume residuo (VR) e la capacità polmonare totale (CPT) nella donna sono all’incirca l’80% di quelli dell’uomo.
3. Età: nell’anziano abbiamo
- una riduzione della capacità polmonare totale;
- una importante riduzione della capacità vitale (CV); - un amento del volume residuo.
4. Posizione del corpo: la capacità funzionale residua (CFR) risulta essere ridotta in clinostatismo.
- in ortostatismo la gravità porta i visceri più in basso;
- in clinostatismo i visceri risalgono e vanno ad esercitare una compressione sul diaframma -> si riduce il volume di riserva espiratoria (VRE) poichè la compressione esercitata dai visceri nei confronti del diaframma diminuisce la capacità di espansione del diaframma verso il basso nel corso di una espirazione forzata.
SINDROME OSTRUTTIVA (asma bronchiale):
- caratterizzato da una costrizione bronchiale (contrazione delle cellule muscolari della parete dei bronchi), quindi da un incremento delle resistenze al flusso.
- laddove l’espirazione diventa più difficile, assistiamo ad un aumento significativo della capacità funzionale residua (CFR).
SINDROME RESTRITTIVA (fibrosi polmonare):
- un irrigidimento della struttura del polmone;
- una difficoltà ad espandersi;
- la capacità funzionale residua (CFR) viene ad essere diminuita
1. DIFFUSIONE -> processo passivo che avviene a livello alveolo-capillare e consiste nel passaggio di O2
e CO2 dall’aria alveolare al sangue capillare e viceversa;
2. CONVEZIONE -> processo attivo che richiede una spesa energetica e consiste nel passaggio di aria dalle narici e dal cavo orale agli alveoli;
Pressione atmosferica (PB)
- pressione dell’aria atmosferica; ☐- pari a 760mmHg;
- si misura con un manometro.
Pressione alveolare o intrapolmonare (PA)
- pressione che vige all’interno degli alveoli, cioè nel polmone; - misurabile con un manometro in bocca a naso e bocca chiusi;
Pressione endopleurica o intratoracica (PIP)
- pressione che vige nel cavo pleurico, (=nel mediastino e nel torace);
- mediamente pari a -3mmHg (=-5cmH2O) -> c’è un gradiente pressorio cranio-caudale, tale per cui, per effetto della gravità, la pressione endopleurica è più alta alla base del polmone rispetto all’apice;
- misurabile con una metodologia indiretta posizionando il manometro nel tratto inframediastinico dell’esofago;
Pressione transpolmonare (PTP= PA-PIP)
- pressione a cavallo del polmone, cioè gradiente pressorio fra l’interno e l’esterno del polmone (cioè cavo pleurico e torace);
- differenza tra la pressione alveolare e la pressione intrapleurica;
Pressione transtoracica (PTT= PIP-PB)
- pressione a cavallo del torace, cioè gradiente pressorio fra l’interno e l’esterno del torace (cioè l’ambiente esterno);
- differenza tra la pressione intratoracica e la pressione atmosferica;
Pressione transmurale (PTM = PTP+PTT = PA-PB)
- pressione a cavallo dell’intera struttura, cioè gradiente pressorio fra l’interno del polmone e l’ambiente esterno;
- pressione transpolmonare (fra interno del polmone e cavo pleurico) + pressione transtoracica (fra cavo pleurico e ambiente esterno) Ptm= Ptp+Ptt = Pa-Pip + Pip-Pb = Pa (P alveolare) - PB (p atm)
Pressione transpolmonare (PTP= PA-PIP)
- pressione a cavallo del polmone, cioè gradiente pressorio fra l’interno e l’esterno del polmone (cioè cavo pleurico e torace);
- differenza tra la pressione alveolare e la pressione intrapleurica;
Pressione transtoracica (PTT= PIP-PB)
- pressione a cavallo del torace, cioè gradiente pressorio fra l’interno e l’esterno del torace (cioè l’ambiente esterno);
- differenza tra la pressione intratoracica e la pressione atmosferica;
Pressione atmosferica (PB)
- pressione dell’aria atmosferica; ☐- pari a 760mmHg;
- si misura con un manometro.
Pressione alveolare o intrapolmonare (PA)
- pressione che vige all’interno degli alveoli, cioè nel polmone; - misurabile con un manometro in bocca a naso e bocca chiusi;
Pressione endopleurica o intratoracica (PIP)
- pressione che vige nel cavo pleurico, (=nel mediastino e nel torace);
- mediamente pari a -3mmHg (=-5cmH2O) -> c’è un gradiente pressorio cranio-caudale, tale per cui, per effetto della gravità, la pressione endopleurica è più alta alla base del polmone rispetto all’apice;
- misurabile con una metodologia indiretta posizionando il manometro nel tratto inframediastinico dell’esofago;
Pressione transmurale (PTM = PTP+PTT = PA-PB)
- pressione a cavallo dell’intera struttura, cioè gradiente pressorio fra l’interno del polmone e l’ambiente esterno;
- pressione transpolmonare (fra interno del polmone e cavo pleurico) + pressione transtoracica (fra cavo pleurico e ambiente esterno) Ptm= Ptp+Ptt = Pa-Pip + Pip-Pb = Pa (P alveolare) - PB (p atm)
Un flusso è generato da un gradiente di pressione e avviene vincendo delle resistenze (F=ΔP/R) Poiché c’è flusso se c’è un gradiente pressorio (cioè se c’è differenza fra pressione atmosferica e pressione intrapolmonare), l’inspirazione e l’espirazione sono generate da modificazioni della pressione intrapolmonare (dal momento che la pressione atmosferica non può essere modificata) causata da variazioni di volume del polmone stesso:
- se la pressione intrapolmonare scende al di sotto di quella atmosferica si ha l’inspirazione;
- se la pressione intrapolmonare supera quella atmosferica si ha l’espirazione;
- nella ventilazione assistita è la pressione esterna che viene portata sopra e sotto i valori di riferimento;
- nella ventilazione fisiologica la pressione atmosferica è stabile e ciò che si modifica nel tempo è la
pressione all’interno del polmone.
Per la legge di Boyle (P×V=K, cioè il prodotto di volume e pressione è una costante, quindi a un aumento del volume corrisponde sempre un calo di pressione, e viceversa), modificazioni di volume si traducono sempre in modificazioni di pressione. Quindi il meccanismo tramite il quale l’apparato respiratorio genera queste modificazioni cicliche della pressione intrapolmonare, consiste in modificazioni cicliche del volume del polmone
- dal lavoro dei muscoli respiratori (che favoriscono l’espansione);
- dalle resistenze offerte dall’apparato respiratorio (che si oppongono all’espansione).
Il meccanismo tramite il quale l’apparato respiratorio genera queste modificazioni cicliche della
I muscoli inspiratori che sono attivi durante la respirazione tranquilla per consentire l'ispirazione e portano un aumento del volume della gabbia toracica del polmone e quindi ha una diminuzione della espressione intra polmonare in particolare il diaframma è responsabile del 70 75% dell'aumento di volume mentre i muscoli intercostali esterni del 25%.
I muscoli espiratori determina la riduzione del volume della gabbia toracica del polmone e quindi un aumento della pressione intra polmonare e sono attivi solo durante la respirazione forzata mentre l'ispirazione tranquilla viene passivamente per le proprietà elastiche del sistema e sono i muscoli addominali e gli intercostali interni
CAVO PLEURICO: spazio virtuale, ripieno di liquido pleurico, che si trova fra il foglietto parietale e il foglietto viscerale della pleura che riveste il polmone.
- foglietto viscerale -> strettamente adeso al parenchima polmonare - foglietto parietale -> strettamente adeso alla gabbia toracica
Tramite il cavo pleurico il polmone è funzionalmente accoppiato alla gabbia toracica.
- film sottile di 10μm;
- prodotto come ultrafiltrato del plasma (stessa composizione in elettroliti del plasma, ma privo di proteine); - quantità: 2ml per kg di peso corporeo;
- turnover continuo: si produce per filtrazione dai capillari sottopleurici ma viene anche ad essere riassorbito attraverso la pompa aspirante data dagli stomi linfatici (Se si sbilanciano filtrazione e riassorbimento ci sarà un accumulo di liquido, un versamento pleurico e quello che fisiologicamente deve favorire lo scivolamento tra le strutture, va a diventare un impedimento a quella che è la fisiologica espansione del polmone). in un'ora o la completa sostituzione ricambio di tale liquido
-Favorisce lo scivolamento e impedisce il distacco tra i due foglietti pleurici
ELASTICHE -> contribuiscono alle variazioni volumetriche del polmone: - tensione superficiale;
- fibre elastiche del polmone e della gabbia toracica;
NON ELASTICHE -> resistenza al flusso e attrito interno
Il polmone e la gabbia toracica esprimono la loro elasticità in maniera diversa
Nel polmone le forze elastiche tendono sempre al ridimensionamento del suo volume ossia allo svuotamento e al collasso, nel torace le forze elastiche hanno un verso che dipende dal volume della gabbia toracica e possono essere espressi in diversi opposti ovvero a bassi volumi la forza elastica del torace e tende a espandere la struttura mentre grossi volumi la forza elastica del torace tende a un ridimensionamento del polmone e il volume al quale il toracico equilibrio dal punto di vista delle forze elastiche è il 60% della capacità vitale
torace e polmone sono vincolati meccanicamente mediante la pleura che aderisce:
- con il foglietto parietale alla gabbia toracica le cui forse elastiche tendono ad un ampliamento del volume polmonare;
- con il foglietto viscerale al parenchima polmonare Le cui forse e elastiche tendono al collasso del polmone.
Le forze elastiche esercitate da polmone e gabbia toracica e un corretto drenaggio del liquido pleurico fanno in modo che La pressione del cavo pleurico sia una pressione subatmosferica: a capacità funzionale residua, la pressione all’interno del cavo pleurico è circa 3 mmHg al di sotto della pressione atmosferica (o -5 cm H2O)
Le forze elastiche uguali e contrarie del torace e del polmone sono il fattore determinante della depressione presente all’interno del cavo pleurico.
in condizioni fisiologiche la pressione endopleurica, che è il motore determinante della meccanica respiratoria, è mantenuta a valori subatmosferici principalmente dalle forze opposte esercitate da polmone e torace (stirano il cavo), ma anche dal corretto drenaggio e turn-over del liquido pleurico.
A CFR:
- il polmone, per la presenza delle fibre elastiche, tende a collassare su sé stesso;
- le fibre elastiche presenti nella gabbia toracica spingono il torace ad andare verso un ampliamento del suo volume;
le forze elastiche di polmone e torace sono uguali e opposte (pari a -5cmH2O), quindi si equilibrano. (Tale punto di equilibrio può essere spostato dalla contrazione muscolare si interviene il sistema nervoso centrale
in condizioni fisiologiche la pressione endopleurica, che è il motore determinante della meccanica respiratoria, è mantenuta a valori subatmosferici principalmente dalle forze opposte esercitate da polmone e torace (stirano il cavo), ma anche dal corretto drenaggio e turn-over del liquido pleurico.
al termine di un’espirazione tranquilla, a capacità funzionale residua, il sistema è in equilibrio -> se in questo momento non intervenisse l’azione dei muscoli inspiratori il sistema rimarrebbe fermo.
Questo perché a CFR:
- il polmone, per la presenza delle fibre elastiche, tende a collassare su sé stesso;
- le fibre elastiche presenti nella gabbia toracica spingono il torace ad andare verso un ampliamento del suo volume;
le forze elastiche di polmone e torace sono uguali e opposte (pari a 5cmH2O), quindi si equilibrano
I centri nervosi del tronco encefalico proiettano ai segmenti cervicale e toracico del midollo spinale, andando ad attivare ritmicamente i motoneuroni del nervo frenico e dei nervi intercostali;
CONTRAZIONE DEI MUSCOLI INSPIRATORI
- ESPANSIONE DEL VOLUME DELLA GABBIA TORACICA (La forza dei muscoli si esprime sulla
parete toracica che si esprime sul foglietto parietale del cavo pleurico)
- Il polmone continua ad opporre una resistenza (il foglietto viscerale è adeso al polmone)
Stiramento del cavo pleurico (AUMENTO DI VOLUME DEL CAVO PLEURICO) DIMINUZIONE DELLA PRESSIONE ENDOPLEURICA (da -3mmHg a -6mmHg)
AUMENTO DELLA PRESSIONE TRANSPOLMONARE
(Essendo la pressione transpolmonare data dalla differenza fra la pressione all’interno del polmone (intrapolmonare) e la pressione all’esterno del polmone (endopleurica), la diminuzione della pressione endopleurica determina un aumento della pressione transpolmonare)
AUMENTO DEL VOLUME DEL POLMONE
(perché diminuisce la pressione all’esterno quindi si espande)
DIMINUZIONE DELLA PRESSIONE INTRAPOLMONARE AL DI SOTTO DI QUELLA ATMOSFERICA
(Legge di Boyle: aumenta il volume -> diminuisce la pressione)
Se la pressione intrapolmonare diventa subatmosferica, per gradiente pressorio, dall’esterno l’aria entra nel polmone, fino al momento in cui la pressione nell’alveolo avrà eguagliato quella atmosferica, cioè sarà 0.
(quindi non è l’ingresso di aria a determinare l’aumento di volume del polmone, ma è l’aumento di volume a determinare l’ingresso di aria).
No, non è l’ingresso di aria a determinare l’aumento di volume del polmone, ma è l’aumento di volume a determinare l’ingresso di aria).
Durante l'ispirazione la diminuzione della pressione endopleurica determina un aumento della pressione transpolmonare e quindi un
AUMENTO DEL VOLUME DEL POLMONE che si espande a cui segue la
DIMINUZIONE DELLA PRESSIONE INTRAPOLMONARE AL DI SOTTO DI QUELLA ATMOSFERICA
(Legge di Boyle: aumenta il volume -> diminuisce la pressione)
Se la pressione intrapolmonare diventa subatmosferica, per gradiente pressorio, dall’esterno l’aria entra nel polmone, fino al momento in cui la pressione nell’alveolo avrà eguagliato quella atmosferica, cioè sarà 0.
Quando si arresta il ciclico treno di potenziali d’azione mandato dai nuclei del tronco encefalico, la fibrocellula dei muscoli respiratori si ripolarizza e i muscoli si rilassano -> il sistema subisce un ritorno elastico che lo riporta alla condizione di equilibrio, cioè alla CFR.
RILASSAMENTO DEI MUSCOLI INSPIRATORI
RESTRINGIMENTO DEL VOLUME DELLA GABBIA TORACICA
RIDUZIONE DEL VOLUME DEL CAVO PLEURICO
AUMENTO DELLA PRESSIONE ENDOPLEURICA
(Fino ai valori iniziali)
DIMINUZIONE DELLA PRESSIONE TRANSPOLMONARE
(fino ai valori iniziali)
RIDUZIONE DEL VOLUME DEL POLMONE
AUMENTO DELLA PRESSIONE INTRAPOLMONARE AL DI SOPRA DI QUELLA ATMOSFERICA
(legge di Boyle)
Dato l’aumento della pressione intrapolmonare al di sopra di quella atmosferica di circa 1mmHg, per gradiente pressorio, l’aria esce dal polmone verso l’esterno, fino al momento in cui la pressione nell’alveolo avrà eguagliato quella atmosferica, cioè sarà 0;
a questo punto la pressione intrapolmonare e quella atmosferica sono entrambe 0 e ci ritroviamo a CFR.
La pressione endopleurica negativa poiché finché la pressione del cavo pleurico è inferiore a quella del polmone esso può espandersi quindi quanto maggiore è l'espansione del polmone che vogliamo generare tanto maggiore dovrà essere la depressione della pressione intrapleurica
No non vi è alcun flusso d'aria poiché In CFR si ha PA = PB quindi PTM = 0
Il cambiamento della pressione intrapleurica che si modifica durante il ciclo si riflette sulla pressione transtoracica dato che esse è uguale alla differenza tra la pressione intrapleurica e la pressione atmosferica che resta costante. Essa parte da -5 cm H2O A CFR e durante l'ispirazione diventa più negativa fino a -8 cm H2O per poi riaumentare nell'espirazione. Questo perché i muscoli ispiratori contratti tirano il foglietto parietale e tendono a staccare i foglietti E questo porterà la pressione trans polmonare che è uguale alla pressione alveolare meno quella intrapleurica diventare più positiva poiché la pressione intrapleurica diventa più negativa e quindi il polmone potrà dilatarsi maggiormente
Durante il ciclo respiratorio la pressione transmurale ha un andamento sinusoidale con oscillazioni di circa 1 mmHg al di sopra e al di sotto della pressione atmosferica.
PTM = PA (p alveolare) - PB (p atmosferica)
In CFR si ha PA = PB quindi PTM = 0
In INSPIRAZIONE:
PA scende al di sotto di PB fino a un valore -1mmHg PTM = -1mmHg (tale valore è raggiunto a metà ispirazione)
Man mano che entra l’aria negli alveoli, aumenta la pressione all’interno del polmone (PA) -> il grafico della pressione transmurale piano piano risale, estinguendo progressivamente il gradiente pressorio.
Si ritorna a PA = PB -> Il gradiente pressorio è completamente estinto e l’aria smette di entrare
PTM = 0
In ESPIRAZIONE:
PA sale al di sopra di PB fino a un valore + 1mmHg PTM= +1mmHg (Tale valore massimo è raggiunto a metà espirazione)
Man mano che esce aria dagli alveoli, PA diminuisce e il grafico della pressione transmurale piano piano riscende, estinguendo il gradiente pressorio;
quando PA = PB di nuovo, allora il gradiente pressorio è completamente estinto e il flusso si arresta e si torna alla situazione iniziale di CFR
dipendono dall’entità della deformazione;
sono indipendenti da:
- velocità;
- accelerazione della deformazione;
cioè si manifestano in condizioni statiche.
Il parenchima polmonare è ricco di fibre elastiche con un’organizzazione a maglia o rete che conferisce alla struttura una grande elasticità;
La forza elastica generata da queste fibre è direttamente proporzionale all’aumento di volume a cui questo è sottoposto e si esprime sempre e comunque nello stesso verso, cioè verso l’interno, in senso opposto rispetto all’ampliamento del volume (assimilabile a un palloncino);
Quindi la forza elastica del polmone tende sempre allo svuotamento.
sviluppa una forza elastica
che si può esprimere in verso diverso (assimilabile a una molla):
- qualora il torace venga stirato al di sopra di una soglia di equilibrio, esso eserciterà una forza
elastica per tornare ai valori iniziali diretta verso l’interno;
- qualora venga compresso al di sotto di una soglia di equilibrio, esso eserciterà una forza elastica per tornare ai valori iniziali diretta verso l’esterno.
rappresenta la resistenza elastica che offre la maggiore resistenza all’espansione del polmone (2/3 Della resistenza elastiche);
È dovuta al fatto che l’alveolo è bagnato, cioè rivestito da un film liquido.
La tensione superficiale è una forza di attrazione (pari a circa 70dyn/cm) tra le molecole di acqua che si trovano all’interfaccia aria-liquido, che le tiene a contatto l’una con l’altra come se fossero
legate da un elastico;
L'unità di misura della tensione superficiale è una forza (dyn) rapportata ad una lunghezza (cm):
dyn/cm.
Poiché l’acqua forma un sottile velo all’interno dell’alveolo, questa forza che stringe le molecole d’acqua l’una all’altra fa sì che le pareti dell’alveolo coperte da questo velo tendano ad avvicinarsi, cioè dà come risultante una forza centripeta che si oppone all’espansione dell’alveolo e spinge verso il collasso della struttura.
Il sistema si trova all’equilibrio nella misura in cui c’è una pressione uguale e contraria in grado di bilanciare la forza esercitata dalla tensione superficiale che spinge al collasso quindi l'aria all'interno di ogni alveolo genera una pressione che si oppone a questa tensione data dalla legge di LaPlace P=2T/r
Il sistema si trova all’equilibrio nella misura in cui c’è una pressione uguale e contraria in grado di bilanciare la forza esercitata dalla tensione superficiale che spinge al collasso quindi l'aria all'interno di ogni alveolo genera una pressione che si oppone a questa tensione data dalla legge di LaPlace P=2T/r. quindi a parità di tensione superficiale tanto più piccola è il raggio tanto maggiore sarà la pressione che l'aria dell'alveolo deve generare. dato che ai polmoni il lavoro dei muscoli respiratori deve quindi vincere sia la resistenza offerta dalle fibre elastiche che la resistenza all'espansione offerta dalla tensione superficiale si creerebbe un problema di gradienti pressori negli alveoli e ciò viene risolto dal surfattante
agente tensioattivo che abbassa la tensione superficiale.
Viene prodotto dagli pneumociti di tipo 2 (sono in numero maggiore, ma caratterizzano il 5% di superficie alveolare ) del polmone e subisce un accurato processo di turn-over;
Il surfattante contiene:
- il fosfolipide dipalmitoilfosfatilcolina; - fosfatidilglicerolo;
- proteina SP-A;
- albumina; - IgA;
- ioni Ca++;
viene prodotto a partire dalla 24°-25° settimana di vita gestazionale;
Si parla della Acute Respiratory Distress Syndrome ed è dovuta al fatto che il surfattante viene prodotto a partire dalla 24°-25° settimana di vita gestazionale;
questo rappresenta un problema clinico importante per i bambini nati prematuri.
Nei casi di nascita prematura la produzione del surfattante può risultare inadeguata e insufficiente, e pur avendo muscoli respiratori e apparato neuromuscolare funzionanti, essa non è in grado di garantire un’adeguata espansione del polmone e un’adeguata ventilazione, poiché le resistenze sono troppo elevate.
Oggi possiamo sopperire a questa mancanza istillando il tensioattivo per via tracheale, avvalendoci di ventilazione meccanica, oppure se c’è rischio di parto pre-termine possiamo stimolare la produzione di surfattante con un trattamento farmacologico a carico della madre.
Il surfattante è in grado di diminuire la forza della tensione superficiale grazie alla struttura delle proprie molecole; queste presentano:
- un polo idrofilo, che si dispone a contatto con l’acqua;
- un polo idrofobo, che si dispone verso l’aria e spinge verso l’alto;
Quindi esso si dispone a livello dell'interfaccia area acqua e si interpone tra le molecole d’acqua, così da minimizzarne le forze di attrazione reciproca, cioè le forze di Tensione superficiale
Abbassando la tensione superficiale, riduce la principale resistenza offerta dall’apparato respiratorio all’espansione del polmone (se non ci fosse il surfattante, a parità di lavoro dei muscoli inspiratori, l’espansione del polmone sarebbe molto minore e quindi la ventilazione difficoltosa).
2. Abbassando la tensione superficiale, cioè la forza che porta gli alveoli al collasso, svolge un importantissimo ruolo nel mantenere equilibrati e pervi gli alveoli (atelettasia).
Infatti gli alveoli non hanno tutti la stessa dimensione, e, per la legge di Laplace, a parità di tensione superficiale ogni alveolo deve generare una pressione inversamente proporzionale al raggio;
3. minimizzare le differenze di ventilazione fra gli alveoli (Permettendo una maggiore espansione negli alveoli più piccoli e una minore espansione negli alveoli più grandi).
Inoltre riduce la forza che richiama acqua dall’interstizio verso gli alveoli, così che gli alveoli siano bagnati ma non allagati.
Perché permette una maggiore espansione negli alveoli più piccoli e una minore espansione negli alveoli più grandi infatti un alveolo di dimensioni elevate offre una resistenza maggiore alla sua espansione perché già disteso e quindi sviluppa una tensione superficiale maggiore data la minore densità di surfattante e tale tensione si opporrà l'eccessiva espansione invece dal livello più piccolo avrà un'espansione meno frenata perché la tensione superficiale è ridotta da un'elevata densità di surfattante, Quindi esso non Ha una densità omogenea tra alveoli più piccoli più grandi
(quindi all'apice del polmone gli alveoli sono più distesi e quindi vi sarà una minore densità di surfattante e una maggiore tensione superficiale e sarà possibile una minore espansione perché sarà essa ostacolata, Invece alla base gli alveoli saranno più piccoli e meno distesi quindi vi sarà una maggiore densità di surfattante una minore tensione superficiale e sarà possibile una maggiore espansione
gli alveoli non hanno tutti la stessa dimensione, e, per la legge di Laplace, a parità di tensione superficiale ogni alveolo deve generare una pressione inversamente proporzionale al raggio;
QUINDI se non ci fosse il surfattante:
- a causa della tensione superficiale gli alveoli più piccoli genererebbero una pressione maggiore;
- essendo gli alveoli comunicanti, l’aria passerebbe per gradiente pressorio dagli alveoli più piccoli (che hanno pressione maggiore) a quelli via via sempre più grandi (che hanno pressione minore):
- la conseguenza di questo è che collasserebbero tutti gli alveoli e alla fine si creerebbe un’unica grande bolla, come un unico grande alveolo in sostituzione di tutti gli alveoli, col risultato che si avrebbe una superficie di scambio ridotta all’1%.
È proprio il surfattante a impedire che questo avvenga, perché il surfattante ha un’azione diversa in funzione della sua densità, cioè della sua concentrazione per unità di superficie -> negli alveoli più piccoli (che se avessero tensione superficiale uguale agli alveoli più grandi dovrebbero sviluppare una pressione che li porterebbe al collasso) c’è una maggiore densità di superficie, quindi ha un’azione tensioattiva più elevata, e quindi determina una tensione superficiale più bassa.
Il surfattante è alla base del fenomeno dell’isteresi polmonare, cioè ha un’azione tensioattiva di intensità differente a seconda che le sue molecole si avvicinino o si allontanino fra loro.
Infatti la tensione superficiale all’interfaccia aria-acqua ha sempre lo stesso valore indipendentemente dalla superficie e un normale detergente avrebbe su questa tensione superficiale un’azione tensioattiva stabile e immodificabile;
al contrario il surfattante ha un’azione tensioattiva più cospicua quando le sue molecole si avvicinano, mentre è meno intensa quando le molecole si allontanano. Pertanto a parità di volume Nel grafico PV del polmone isolato avrò due diversi valori pressori a seconda di come viene raggiunto tale volume se attraverso un'espirazione che permette porta un allontanamento delle molecole di surfattante E quindi ha una minore azione tensioattiva o un'ispirazione che porta a un avvicinamento e quindi a una maggiore azione tensioattiva.
QUINDI:
- più l’alveolo si espande;
- più le molecole di surfattante si allontanano l’una dall'altra; - minore è l’azione tensioattiva;
- maggiore la resistenza offerta dalla tensione superficiale e maggiore P necessaria per contrastarla
ARDS (sindrome da stress respiratorio acuto), patologia in cui non si produce surfattante:
nel grafico pressione – volume, la curva di riempimento e quella di svuotamento sono attaccate perché non si verifica il fenomeno dell’isteresi polmonare e la curva è molto più spostata verso il basso e verso destra:
una determinata variazione pressoria comporta una variazione di volume estremamente inferiore, perché non c’è il surfattante ad abbassare la tensione superficiale, che quindi offre resistenza elastica all’espansione;
Ne consegue che la ventilazione è estremamente ridotta.
ci permette di calcolare a fronte di una variazione della pressione transpolmonare di quanto si modifica il volume del polmone, quanto si distende -> questo ci dà una misura della distensibilità e dell’elasticità della struttura ed è utile in particolare per comprendere l’effetto del surfattante.
Si verifica il fenomeno dell’ISTERESI POLMONARE: ad uno stesso valore di pressione transpolmonare, non corrisponde un unico valore di volume in fase di riempimento e di svuotamento polmonare, poiché in fase di svuotamento, allo stesso valore di pressione, corrisponde un volume ben più alto;
tale fenomeno è dovuto alla specifica caratteristica funzionale del surfattante.
Infatti il surfattante ha un’azione tensioattiva più cospicua quando le sue molecole si avvicinano.
Quando in fase di svuotamento (espirazione) le molecole di surfattante si avvicinano l’un l’altra, esse esercitano un’azione tensioattiva maggiore rispetto alla fase si riempimento (in cui si allontanavano) e quindi, a fronte della stessa variazione pressoria, la variazione di volume in fase di svuotamento è maggiore.
CURVA DI RIEMPIMENTO
1. inizialmente, all’aumentare della pressione transpolmonare in ascisse, cioè al diminuire della pressione endopleurica, NON si verifica un significativo aumento del volume in ordinate (tratto iniziale della curva è quasi piatto);
questo è dovuto al fatto che il polmone è collassato, quindi le pareti collabiscono e offrono una grande resistenza all’espansione.
Superato questo valore che noi chiamiamo pressione di apertura abbiamo quindi che le variazioni della pressione transpolmonare si traducono in una variazione di volume
2. Quando la pressione transpolmonare raggiunge valori di circa 7cmH2O (cioè la pressione endopleurica scende a -7cmH2O), si verifica che, all’aumentare della pressione transpolmonare, cioè al diminuire della pressione endopleurica, si verifica un progressivo aumento del volume pressoché lineare;
questo andamento quasi lineare è dovuto al fatto che il polmone è un corpo con un comportamento quasi perfettamente elastico ma proprio perché il polmone non è un corpo completamente elastico il grafico non è esattamente lineare.
3. Quando si raggiungono i massimi volumi polmonari, la curva tende nuovamente ad appiattirsi.
Non si verifica punto a punto lo stesso scenario della curva di riempimento, ma al contrario si vede che in fase di svuotamento la compliance del polmone è ben maggiore rispetto alla fase di riempimento.
Si verifica il fenomeno dell’ISTERESI POLMONARE: ad uno stesso valore di pressione transpolmonare, non corrisponde un unico valore di volume in fase di riempimento e di svuotamento polmonare, poiché in fase di svuotamento, allo stesso valore di pressione, corrisponde un volume ben più alto;
tale fenomeno è dovuto alla specifica caratteristica funzionale del surfattante.
Infatti il surfattante ha un’azione tensioattiva più cospicua quando le sue molecole si avvicinano.
Quando in fase di svuotamento (espirazione) le molecole di surfattante si avvicinano l’un l’altra, esse esercitano un’azione tensioattiva maggiore rispetto alla fase si riempimento (in cui si allontanavano) e quindi, a fronte della stessa variazione pressoria, la variazione di volume in fase di svuotamento è maggiore
Viene messa in evidenza la dipendenza dell isteresi polmonare dal surfattante, Infatti in assenza di aria ma usando una soluzione fisiologica che non permette la creazione dell'interfaccia aria acqua NON si verifica lo scollamento della curva di riempimento e quella di svuotamento, quindi non avviene il fenomeno dell’isteresi polmonare;
Avendo sostituito l’aria con la soluzione salina, non esiste più l’interfaccia aria-acqua, quindi non esiste più la tensione superficiale e quindi non è necessario il surfattante.
Inoltre tale grafico risulta molto più spostato verso sinistra, e questo è dovuto al fatto che, a parità di pressione, c’è un aumento di volume di gran lunga maggiore, perché, non essendoci tensione superficiale, viene a mancare la principale resistenza elastica che si oppone all’espansione del volume polmonare:
in assenza di tensione superficiale, il polmone risponde ad una variazione di pressione con una variazione di volume che dimostra una compliance molto più elevata.
Nell’apparato respiratorio la compliance (cioè la distensibilità) viene studiata tramite la curva pressione – volume, ovvero in base a quali siano le variazioni di volume che conseguono ad una variazione di pressione:
- le variazioni di volume non sono espresse in mL ma in %CV;
- il valore di volume pari a 0%CV non corrisponde a un volume polmonare veramente pari a 0, ma al volume residuo;
La compliance è espressa dal rapporto DV/DP
La compliance è espressa dal rapporto DV/DP, per cui:
una struttura è tanto più distendibile, cioè ad alta lcompliance, quanto maggiore è la variazione di volume che consegue ad una variazione unitaria di pressione.
La compliance è strettamente dipendente dalle resistenze, perché il lavoro dei muscoli inspiratori determinerà una variazione del volume del polmone in misura diversa a seconda delle resistenze opposte dall’apparato respiratorio: maggiori sono le resistenze, minore sarà la compliance, cioè la variazione di volume e quindi la ventilazione.
L’unità di misura della compliance è L/cm H2O o L/mmHg. La compliance è il reciproco della elastanza (C= 1/E).
Compliance totale= modificazione del volume polmonare a fronte di una modificazione del gradiente pressoria alveoli/ambiente (PTM-pressione transmurale)
Compliance polmonare= modificazione del volume polmonare a fronte di una modificazione del gradiente pressorio alveoli/interno torace (PTP-pressione transpolmonare)
Compliance parete toracica= modificazione del volume polmonare a fronte di una modificazione del gradiente pressorio ambiente/interno torace (PTT-pressione transtoracica)
Indica quanto varia il volume polmonare (DV) a fronte di variazioni della pressione transpolmonare cioè fra alveoli e cavo pleurico (DP).
grafico mostra che il polmone esercita un a forza elastica che si esprime in un unico verso (verso il collasso) e si comporta come un corpo quasi perfettamente elastico, perchè, all’aumenare del gradiente pressorio (pressione transpolmonare), il volume polmonare cresce in maniera pressoché lineare perché a massimi volumi, cioè avvicinandoci al 100%, la curva tende ad appiattirsi, cioè la compliance diminuisce perché, a fronte di stesse variazioni del gradiente pressorio, il volume aumenta molto meno rispetto al tratto precedente della curva.
Questa curva dimostra che:
nel polmone la compliance è massima a volumi minimi (si intende volume residuo, non volume 0):
infatti il tratto della curva di maggiore pendenza è quello iniziale e rappresenta una condizione in cui, per variazioni unitarie di pressione, si hanno massime variazioni di volume (quindi massima compliance).
Durante una respirazione tranquilla serve un gradiente pressorio di circa 2,5cmH2O per determinare una variazione di volume di 500cc, quindi la compliance polmonare è: DV/DP= 500cc / 2,5cmH2O = 0,2L/cmH2O.
Durante una respirazione tranquilla serve un gradiente pressorio di circa 2,5cmH2O per determinare una variazione di volume di 500cc, quindi la compliance polmonare è: DV/DP= 500cc / 2,5cmH2O = 0,2L/cmH2O.
Misuro i volumi polmonari tramite lo spirometro e facendo ispirare al soggetto volumi noti di aria dicendogli di contrarre i muscoli respiratori in modo da eliminare le forze elastiche del torace controbilanciate proprio dalla forza sviluppata dai muscoli respiratori. Misura la pressione endopleurica a glottide aperta ai muscoli respiratori contratti misurando la pressione endoesofagea che il suo stesso valore (Perché è nel mediastino adesa al foglietto parietale della pleura e quindi la depressione del cavo pleurico si trasmette all'esofago ) facendo deglutire un palloncino collegato a un manometro al paziente
E a volume residuo ovvero a 0% della capacità vitale dove la pressione transpolmonare è pari a zero e il polmone non tende né a espandersi né a collassare quindi il polmone tende sempre a VR e quindi al collasso
E massima a volume minimi in particolare raggiunge il suo punto di equilibrio a VR Volume residuo cioè allo 0% della capacità vitale E quindi a CF R è relativamente alta mentre a CPT è bassa ed è minima volumi elevati per cui a volumi elevati dovrà applicare una pressione elevata per avere variazioni volumetriche
Fibrosi polmonare:
la struttura si irrigidisce e si abbassa la compliance;
quindi il grafico si appiattisce e si abbassa, perché, a parità di variazione pressoria, si avrà una variazione di volume molto più esigua rispetto alla situazione normale, perché la struttura si lascia distendere di meno -> ventilazione deficitaria.
Enfisema polmonare (rottura dei setti interalveolari):
la struttura diventa più cedevole e si perdono le resistenze elastiche;
quindi il grafico si alza moltissimo, perché, a parità di variazione pressoria, si avrà una variazione di volume esageratamente grande, perché la struttura si lascia distendere troppo -> ventilazione deficitaria.
La compliance della gabbia toracica indica quanto varia il volume polmonare (DV) a fronte di variazioni della pressione transtoracica cioè fra cavo pleurico e ambiente esterno (DP).
Il grafico pressione – volume della compliance toracica si costruisce misurando:
- i volumi polmonari: tramite lo spirometro e facendo inspirare al soggetto volumi noti di aria, dicendogli di rilassare i muscoli respiratori ma chiudere la glottide per stabilizzare il volume ad un dato valore (In questo modo l'aria intrappolata nel polmone contrasta le forze elastiche del polmone e posso isolare solo le proprietà elastiche del torace);
- la pressione endopleurica a muscoli respiratori rilassati e glottide chiusa: in questo modo essa diventa una misura dell’elasticità del torace, dal momento che è data dalla forza elastica del torace e da quella del polmone, ma facendo chiudere la glottide al soggetto viene antagonizzata la componente elastica del polmone quindi rimane solo quella toracica.
La pressione endopleurica perché essa è data la forza elastica del torace e da quella del polmone
mostra l’ambivalenza del torace, cioè il concetto secondo cui il torace presenta un punto di equilibrio al di sopra del quale la forza elastica si esprime in un verso e al di sotto del quale la forza elastica si esprime nel verso opposto.
Tale punto di equilibrio corrisponde a circa il 60%CV, in corrispondenza del quale la pressione vale 0. - Per volumi al di sopra di questo punto di equilibrio (cioè da 100%CV a 60%CV), il torace esprime una
forza elastica che tende a ridimensionare il volume per riportarlo all’equilibrio;
- per volumi al di sotto del punto di equilibrio (cioè sotto 60%CV), il torace esprime una forza elastica orientata in verso opposto che tende ad espandere il volume per riportarlo all’equilibrio.
al di sotto del punto di equilibrio servono variazioni pressorie molto maggiori per determinare la stessa variazione volumetrica del tratto al di sopra del punto di equilibrio:
- per passare da 100%CV a 80%CV (cioè DV=20%CV) basta un DP di circa 2cmH2O;
- per passare da 20%CV a 0%CV (cioè sempre DV=20%CV) serve un DP di 10cmH2O.
Quindi questa curva dimostra che nel torace la compliance è massima a volumi massimi.
nel torace la compliance è massima a volumi massimi.
Infatti il tratto della curva di maggiore pendenza è quello superiore Nella curva pressione volume e rappresenta una condizione in cui,
per variazioni unitarie di pressione, si hanno massime variazioni di volume (quindi massima compliance).
Considerando che il punto di equilibrio corrisponde al 60% di capacità vitale CV in corrispondenza del quale la pressione transtoracica è pari a zero, Dal grafico si vede che al di sotto del punto di equilibrio servono variazioni pressorie molto maggiori per determinare la stessa variazione volumetrica del tratto al di sopra del punto di equilibrio:
- per passare da 100%CV a 80%CV (cioè DV=20%CV) basta un DP di circa 2cmH2O;
- per passare da 20%CV a 0%CV (cioè sempre DV=20%CV) serve un DP di 10cmH2O.
punto di equilibrio corrisponde a circa il 60%CV, in corrispondenza del quale la pressione vale 0. - Per volumi al di sopra di questo punto di equilibrio (cioè da 100%CV a 60%CV), il torace esprime una
forza elastica che tende a ridimensionare il volume per riportarlo all’equilibrio;
- per volumi al di sotto del punto di equilibrio (cioè sotto 60%CV), il torace esprime una forza elastica orientata in verso opposto che tende ad espandere il volume per riportarlo all’equilibrio.
la compliance totale indica quanto varia il volume polmonare (DV) a fronte di variazioni della pressione transmurale cioè fra alveoli e ambiente esterno (DP).
La compliance totale del sistema toraco-polmonare non è altro che la risultante della compliance delle due componenti, la compliance del polmone e del torace.
Il grafico pressione – volume della compliance totale è dato dalla risultante delle altre due curve, e quindi si realizza lasciando che sia la gabbia toracica che il polmone esprimano la propria forza elastica, perciò:
- i muscoli respiratori devono essere rilasciati;
- la glottide deve essere aperta;
per conoscere il volume si fanno inspirare al soggetto volumi noti di aria con naso e bocca chiusi;
per conoscere la pressione transmurale sappiamo già quella atmosferica e determiniamo quella intrapolmonare misurando la pressione nella bocca (con naso e bocca chiusi, la pressione nella cavità orale è uguale a quella nel polmone).
1. A volumi prossimi a 100%CV, in condizioni di massima espansione del sistema toraco-polmonare:
- il polmone esprime la sua massima forza elastica che tende al ridimensionamento della struttura;
- il torace, trovandosi al di sopra del suo punto di equilibrio, esprime una forza elastica che tende al ridimensionamento della struttura (perciò nello stesso verso del polmone): A massimi volumi polmonari (100%CV) il sistema toraco-polmonare ha una massima spinta verso il ridimensionamento del volume, data sia dalla forza elastica del torace che dalla forza elastica del polmone.
Quando il volume arriva a 60%CV:
- il torace raggiunge il suo punto di equilibrio perciò la sua forza elastica è pari a 0;
- il polmone continua ad esprimere la sua forza elastica orientata sempre nello stesso verso;
in questo punto la curva della compliance del sistema toraco-polmonare incrocia quella della compliance polmonare, perché il contributo elastico del torace in questa situazione è 0. Quindi a 60%CV il sistema toraco-polmonare ha una spinta verso il ridimensionamento del volume, data esclusivamente dalla forza elastica del polmone.Quindi
Quando il volume arriva a 35%CV la curva della compliance del sistema toraco-polmonare incrocia l’asse delle ordinate, e in quel punto la forza elastica del torace continua ad esprimersi in verso opposto a quella del polmone ma le due si equivalgono, quindi nessuna prevale sull’altra e il sistema toraco-polmonare non si muove. 35%CV corrisponde alla CFR, quindi il sistema toraco-polmonare non subisce nessuna spinta e rimane all’equilibrio perché la forza elastica del polmone e quella del torace sono uguali e contrarie.
35%CV corrisponde alla CFR, quindi il sistema toraco-polmonare non subisce nessuna spinta e rimane all’equilibrio perché la forza elastica del polmone e quella del torace sono uguali e contrarie. Quando il volume arriva a 35%CV la curva della compliance del sistema toraco-polmonare incrocia l’asse delle ordinate, e in quel punto la forza elastica del torace continua ad esprimersi in verso opposto a quella del polmone ma le due si equivalgono, quindi nessuna prevale sull’altra e il sistema toraco-polmonare non si muove.
Quando il volume scende al di sotto della CFR: il torace si trova ancora al di sotto del suo punto di equilibrio quindi continua ad esprimere una forza elastica diretta verso l’espansione della struttura, che in questo caso non è solo opposta alla forza elastica del polmone ma è anche superiore ad essa e perciò avrà la meglio.Quindi al di sotto di CFR (35%CV) il sistema toraco- polmonare ha una spinta verso l’espansione del volume, data dalla prevalenza della forza elastica del torace su quella opposta del polmone.Quindi
per spostare il sistema da questo punto di equilibrio è sempre necessario un lavoro, mentre il ritorno a questa condizione è sempre un ritorno elastico passivo:
- per portare il sistema al di sopra della CFR (cioè inspirazione tranquilla o forzata) serve il lavoro dei muscoli inspiratori (mentre per tornare all’equilibrio dopo l’inspirazione non serve lavoro, perché si utilizza l’energia elastica passiva immagazzinata nella struttura);
- per portare il sistema al di sotto della CFR (cioè espirazione forzata) serve il lavoro dei muscoli espiratori (mentre per tornare all’equilibrio dopo l’espirazione forzata non serve lavoro, perché si utilizza l’energia elastica passiva immagazzinata nella struttura).
il grafico mette in evidenza che il tratto di massima pendenza della curva è quello compreso fra 60%CV e 40%CV, cioè in questo tratto espandere il sistema comporta un lavoro minore, perché una stessa variazione di pressione determina qui una massima variazione volumetrica del sistema.
Nel sistema toraco-polmonare la compliance è massima a volumi compresi fra 60%CV e 40%CV, cioè laddove si realizza una respirazione tranquilla. in condizioni fisiologiche la respirazione tranquilla viene a collocarsi in quel tratto della curva deltaV/ deltaP in cui il sistema toraco-polmonare esprime la sua massima distensibilità.
Il sistema è calibrato in modo tale da collocare la respirazione tranquilla in un ambito in cui il sistema ha la sua massima distensibilità, e quindi espandere il sistema toraco-polmonare comporta una spesa energetica minima.
(Scendendo dal 60%CV fino al 40%CV:
- il torace scende al di sotto del proprio punto di equilibrio quindi la sua forza elastica si esprime
verso l’espansione della struttura, cioè in verso opposto alla forza elastica del polmone; - il polmone continua ad essere orientata verso il ridimensionamento della struttura;
in questa fase la forza elastica del polmone è preponderante e vince su quella esercitata dal torace in verso opposto.)
in condizioni fisiologiche la respirazione tranquilla viene a collocarsi in quel tratto della curva deltaV/ deltaP in cui il sistema toraco-polmonare esprime la sua massima distensibilità.
Il sistema è calibrato in modo tale da collocare la respirazione tranquilla in un ambito in cui il sistema ha la sua massima distensibilità, e quindi espandere il sistema toraco-polmonare comporta una spesa energetica minima.
il tratto di massima pendenza della curva è quello compreso fra 60%CV e 40%CV, cioè in questo tratto espandere il sistema comporta un lavoro minore, perché una stessa variazione di pressione determina qui una massima variazione volumetrica del sistema.
Nel sistema toraco-polmonare la compliance è massima a volumi compresi fra 60%CV e 40%CV, cioè laddove si realizza una respirazione tranquilla.
Sia l’invecchiamento che alcune patologie riducono la forza dei muscoli respiratori;
Quindi:
- lo spostamento attivo dal punto di equilibrio è più limitato; - si ha una diminuzione della CV;
- si ha un aumento del volume residuo;
-> ventilazione deficitaria.
Inoltre, se la curva della compliance del sistema toraco-polmonare è data dalla risultante delle
altre due, e se la curva della compliance del polmone con fibrosi era spostata verso destra, allora Anche la curva del sistema toraco polmonare con fibrosi è spostata verso destra e
Questo significa che con la stessa spesa energetica da parte dei muscoli respiratori, Si ottiene una variazione di volume molto minore e quindi una ventilazione molto meno efficace
Il segmento esterno contiene dei dischi, che possono essere:
- invaginazioni della membrana plasmatica (come nel caso dei coni);
- separati dalla membrana plasmatica (come nel caso dei bastoncelli).
Questi dischi di membrana contengono l’elemento recettoriale vero e proprio, cioè il fotopigmento opsina, che è formato da:
- una componente proteica (7 eliche transmembrana con estremità N-terminale e C-terminale poste alle estremità del disco);
- un cromoforo (molecola che risente dell’assorbimento della luce da parte della componente proteica), cioè la vitamina A–retinale in configurazione 11-cis.
- una componente proteica (7 eliche transmembrana con estremità N-terminale e C-terminale poste alle estremità del disco);
- un cromoforo (molecola che risente dell’assorbimento della luce da parte della componente proteica), cioè la vitamina A–retinale in configurazione 11-cis.
CANALI CNG (cyclic nucleotide gated channels) sul segmento esterno
canali cationici aspecifici (fanno passare Na+ e Ca++);
non sono attivati dal voltaggio, ma sono ligando-attivati -> il ligando li attiva sul versante intracellulare ed è rappresentato da un nucleotide ciclico, il cGMP (simili ai canali HCN, ma quelli sono attivati dal voltaggio e solo regolati dai nucleotidi ciclici);
CANALI PASSIVI per il K+ sul segmento interno
Sono perennemente aperti e consentono un continuo flusso uscente di K+; Questo flusso va a bilanciare il flusso entrante di Na+ e Ca++ (depolarizzante).
La trasduzione operata dai fotorecettori è la conversione di un’onda elettromagnetica in un segnale elettrico (È un potenziale d'azione ma un potenziale graduato);
ha caratteristiche molto particolari: a livello della prima sinapsi non si genera un potenziale d’azione, perché lo stimolo luminoso non induce una depolarizzazione, bensì un’iperpolarizzazione; QUINDI: i fotorecettori trasmettono un segnale correlato all’inibizione, dal momento che l’arrivo del fotone non determina il rilascio di NT, ma al contrario una riduzione del rilascio di NT (Quindi il segnale di luce viene visto come Iperpolarizzazione e un minore Rilascio di Glutammato mentre il segnale di buio viene visto come una depolarizzazione a -40 mV e rilascio di glutammato)
IN CONDIZIONI DI BUIO
In condizioni di riposo, cioè in condizioni di buio, il
potenziale di membrana dei fotorecettori è di -40mV (cioè parzialmente depolarizzato);
questo è dovuto al fatto che:
- il buio comporta un’alta concentrazione di cGMP all’interno del fotorecettore;
- di conseguenza i canali CNG sono aperti e consentono un flusso entrante di Na+ e Ca++;
- essendo il flusso entrante di Na+ e Ca++ più consistente rispetto al flusso uscente di K+ (dovuto ai canali passivi per il K+), determina questa lieve depolarizzazione del potenziale di membrana;
- in questa condizione in cui la cellula è parzialmente depolarizzata si ha effettivamente un rilascio di NT (glutammato) a livello della sinapsi fotorecettore–cellula bipolare.
a livello della prima sinapsi non si genera un potenziale d’azione, perché lo stimolo luminoso non induce una depolarizzazione, bensì un’iperpolarizzazione;
QUINDI: i fotorecettori trasmettono un segnale correlato all’inibizione, dal momento che l’arrivo del fotone non determina il rilascio di NT, ma al contrario una riduzione del rilascio di NT. (Quindi il segnale di luce viene visto come Iperpolarizzazione e un minore Rilascio di Glutammato mentre il segnale di buio viene visto come una depolarizzazione a -40 mV e rilascio di glutammato. questo perché in condizioni di luce si riduce il GM P ciclico e quindi vengono fusi in canali CNG e non si avrà una corrente depolarizzante di sodio e calcio e si avrà iperpolarizzazione mentre al buio si ha un aumentoGMP ciclico e questo porterà all'apertura dei canali CNG E all'entrata di sodio e calcio che formano la corrente depolarizzante che porterà a rilascio di glutammato provocando depolarizzazione
In condizioni di riposo, cioè in condizioni di buio, il
potenziale di membrana dei fotorecettori è di -40mV (cioè parzialmente depolarizzato);
questo è dovuto al fatto che:
- il buio comporta un’alta concentrazione di cGMP all’interno del fotorecettore;
- di conseguenza i canali CNG sono aperti e consentono un flusso entrante di Na+ e Ca++; (Corrente al buio di polarizzante data al 90% dal sodio al al 10% dal calcio)
- essendo il flusso entrante di Na+ e Ca++ più consistente rispetto al flusso uscente di K+ (dovuto ai canali passivi per il K+), determina questa lieve depolarizzazione del potenziale di membrana;
- in questa condizione in cui la cellula è parzialmente depolarizzata si ha effettivamente un rilascio di NT (glutammato) a livello della sinapsi fotorecettore–cellula bipolare.
- In condizioni di luce arriva il fotone e traferisce la sua energia alla vitamina A–retinale dell’opsina contenuta nei dischi del fotorecettore;
- la vitamina A–retinale assorbe l’energia del fotone e modifica la propria conformazione da retinale 11-cis a retinale tutto-trans;
- la modifica conformazionale del cromoforo fa sì che questo si allontani dalla componente proteica
del fotopigmento opsina, il quale subisce una conseguente variazione conformazionale: La rodopsina ☐diventa batorodopsina -> lumirodopsina -> metarodopsina I -> metarodopsina II.
l’instabilità fra questa proteina e il retinale è talmente elevata che il retinale si stacca dalla molecola e poi fuoriesce dallo stesso fotorecettore, per essere poi riciclato dall’epitelio pigmentato.
- La metarodopsina II si sposta e va ad interagire con la proteina G trasducina (La trasducina è una proteina G che nella sua forma inattiva lega il GDP, mentre nella sua forma attivata dall’interazione con la rodopsina attiva rilascia il GDP e accoglie nella sua tasca il GTP).
- l’interazione opsina–trasducina attiva la trasducina, determinando l’allontanamento della sua subunità βγ e il legame della subunità α al GTP;
- il complesso subunità α–GTP attiva l’enzima fosfodiesterasi, che idrolizza e degrada il cGMP.
- La diminuzione della concentrazione di cGMP determina la chiusura dei canali CNG;
- la conseguente interruzione del flusso entrante di Na+ e Ca++, associata al persistere del flusso uscente di K+ attraverso i canali passivi, porta a un’iperpolarizzazione del fotorecettore, che sarà tanto maggiore quanto maggiore è la quantità di fotone assorbito (cioè l’intensità del segnale luminoso), e quindi il numero di canali CNG chiusi (però oltre una certa intensità luminosa non si evoca risposta perché il recettore va incontro a saturazione e consuma l’opsina);
- conseguenza dell’iperpolarizzazione è un minore rilascio di glutammato a livello della sinapsi Foto recettore cellula bipolare
- un singolo fotopigmento opsina può attivare 800 trasducine;
- le 800 trasducine attivano 800 fosfodiesterasi;
- ciascuna delle fosfodiesterasi può idrolizzare 6 cGMP, determinando la chiusura di 200 canali CNG e quindi 1mV di iperpolarizzazione.
- Il retinale tutto trans si stacca dalla molecola e viene convertito all’interno del fotorecettore in retinolo tutto trans;
- il retinolo tutto trans esce dal fotorecettore e si lega ad una proteina di trasporto che lo porta all’epitelio pigmentato;
- l’epitelio pigmentato lo riassorbe e all’interno di quest’ultimo avviene la riconversione del retinolo in retinale 11-cis.
- il retinale 11-cis rigenerato viene restituito al fotorecettore attraverso un sistema che prevede ancora una volta il suo legame ad una proteina di trasporto che lo riporta a livello del fotorecettore.
Nonostante questo processo richieda tempo, l’efficacia del è tale che anche in condizione di luce molto intensa la velocità di rigenerazione del cromoforo è sufficiente per mantenere in attività un numero significativo e sufficiente di molecole di fotopigmento.
I bastoncelli sono dotati di elevata sensibilità alla luce caratteristica che rende particolarmente adatti alla visione scopica serale cioè sono eccitati anche da un singolo fotone e risultano attivi in situazioni in cui la luminanza è troppo bassa per poter attivare i coni. I bastoncelli hanno però un basso potere di risoluzione cioè una bassa acuità sensoriale E quindi sono inadatti alla visione a colori e dei dettagli. Tali caratteristiche sono dovute all'effetto di sommazione che si verifica a livello delle cellule bipolari ciascuna delle quali riceve la convergenza di 15 30 bastoncelli e presenta quindi un campo ricettivo abbastanza grande . I coni sono dotati di scarsa sensibilità alla luce il che li rende più adatti alla visione Fotopica diurna cioè necessitano di un numero maggiore di fotoni per essere eccitati e risultano attivi in situazioni in cui la luminanza è alta al punto che i bastoncelli risultano saturati. Essi hanno un elevato potere di risoluzione cioè un'alta acuità sensuale quindi sono particolarmente adatti alla visione dei colori. Questo è dovuto al rapporto uno a uno che vi è tra il fusto recettore la cellula bipolare che esso contatta per cui la singola cellula bipolare riceve informazioni da uno o pochi Coni e quindi avrà un campo ricettivo molto piccolo e invierà alla cellula Gangliari
A volumi compresi tra il 40% e il 60% di CV
Negli altri recettori lo stimolo viene trasdotto In una depolarizzazione nella membrana mentre nei Foto recettori in una iperpolarizzazione
I bastoncelli sono a lenta adattamento quindi lo stimolo luminoso determinano i bastoncelli una risposta prolungata invece i coni sono a rapido adattamento quindi lo stimolo luminoso determinò una risposta rapida che conferisce coni una maggiore specificità nell'inviare segnali più discriminati
I bastoncelli sono implicati in un circuito convergente quindi segnali provenienti da più bastoncelli convergono su una singola cellula bipolare e si ha quindi un effetto di sommazione della convergenza di 15:30 bastoncelli a livello della cellula bipolare che avrà quindi un campo ricettivo abbastanza grande. I coni sono implicati in circuiti in cui vi è un rapporto uno a uno fra il foto recettore e la cellula bipolare che esso contatto quindi la singola cellula bipolare riceve informazioni da uno o pochi coni e avrà un campo ricettivo molto piccolo. questo è legato appunto all'elevata acuità sensoriale e scarsa sensibilità all'intensità della stimolazione luminosa dei coni le cui cellule bipolari hanno un campo ricettivo molto piccolo e alla scarsa acuità sensoriale e all elevata sensibilità all'intensità della stimolazione luminosa dei bastoncelli legati a cellule bipolari con campo ricettivo abbastanza grande
Coni e bastoncelli differiscono per sensibilità, acuità sensoriale e adattamento:
CONI
- scarsa sensibilità alla luce
- elevato potere di risoluzione
- rapido adattamento
- le cellule bipolari presentato un campo recettivo piccolo
BASTONCELLI
- elevata sensibilità alla luce
- basso potere di risoluzione
- lento adattamento
- le cellule bipolari presentato un campo recettivo grande
Alla variazione del potenziale di 1 mV in verso di iperpolarizzazione
è uno degli stati di transizione che assume la rodopsina (Parte proteica del fotopigmento ) legata alla retinale 11 CIS quando assorbe l'energia del fotone e va incontro a delle variazioni conformazionali fino a tale forma così instabile che il retinale diventa tutto trans e cambia configurazione (A seguito del cambiamento di conformazione della proteina quindi). Legata alla retinale tutto trans la metarodopsina due è attiva e può reagire con la transducina che è una G Protein che porta una cascata di trasduzione in cui l'alfa GTP lega l'alfa fosfodiesterasi che porta alla riduzione del GM P ciclico
vi sono fenomeni di adattamento che fanno sì che:
- in condizioni di bassi livelli di illuminazione il sistema abbia una maggiore sensibilità;
- al contrario quando l’intensità di illuminazione aumenta abbiamo una riduzione della sensibilità al fotone che previene fenomeni di saturazione.
Questo fenomeno è chiamato adattamento alla luce o al buio.
Il fenomeno dell’adattamento è complesso e mediato da diversi meccanismi, uno di questi è il meccanismo di adattamento a livello del fotorecettore, che fa sì che il fotorecettore stimolato dalla luce, tenda a diminuire la sensibilità alla luce stessa.
È un processo che sembrerebbe essere legato alle variazioni della concentrazione di Ca2+.
In condizioni di alta concentrazione di Ca2+ (quindi buio dato che esso entra dai canali CNG aperti) osserviamo tutti effetti inibitori Che mirano ad aumentare la sensibilità dei bastoncelli:
- inibisce CNG;
- inibisce la guanilato ciclasi, così da ridurre il cGMP,
- inibisce la rodopsina chinasi:
-> fosforila la rodopsina;
-> aumenta l’interazione con l’arrestina (proteina che distacca la rodopsina dalla trasducina), così da sfavorir il distacco E quindi mantenere una Minore quantità di rodopsina attiva.
la riduzione della concentrazione di Ca2+ che si ha in seguito allo stimolo luminoso (luce = chiusura dei canali CNG) porta ad una serie di meccanismi volti a diminuire la sensibilità del recettore, riportando quindi lo stato di buio a livello del fotorecettore.
Questi meccanismi portano a:
- una più rapida attivazione dei CNG;
- una maggiore e più rapida riformazione del cGMP (GMP ciclico) Dato che la guanilato ciclasi non è inibita dal calcio;
- un maggiore distacco della rodopsina dalla trasducina (Perché la rodopsina kinasi non è inibita dal calcio essendo esso ridotto).
Tutti eventi che mi riportano la condizione iniziale, quindi precedente alla ricezione dello stimolo luminoso (il fotorecettore iperpolarizzato post stilo luminoso si depolarizza per poter poi essere nuovamente ri iperpolarizzato)
Perché vanno incontro a saturazione dato che hanno una maggiore sensibilità e basta un singolo fotone per determinare n essi una iperpolarizzazione di 1 mV
- i bastoncelli sono 90/100 milioni, e sono molto espressi in periferia e quasi assenti nella fovea; - i coni sono 4/6 milioni, e sono quasi assenti in periferia e molto concentrati a livello della fovea;
In particolare a livello della foveola si trovano esclusivamente coni e essendo presenti nella foveavun’elevata densità di espressione di coni e un’elevata densità di innervazione, in quest’area si ha la massima acuità visiva; per questo motivo l’occhio effettua continui sforzi per fare in modo che lo stimolo cada a livello della fovea, così che l’oggetto d’interesse venga mantenuto sul fuoco.
L’elevata acuità visiva della fovea dipende dal fatto che essa è formata soprattutto da coni, i quali sono associati a cellule gangliari con campi recettivi molto piccoli (0,1-1°);
Al contrario in periferia i campi recettivi delle cellule gangliari sono più grandi (3-10°).
rappresenta l’angolo visivo minimo, cioè la distanza minima alla quale due punti vengono percepiti come distinti, e vale mediamente 0,0016°.
Questo valore di 0,0016° come potere risolutivo dell’occhio, corrisponde a una distanza di 5μm e significa che due punti, per essere risolti come due punti separati, dovranno andare a stimolare due coni che siano ad una distanza minima di circa 5 μm;
Per distanze minori lo stimolo entra bel camp recettivo dell’uno e dell’altro cono e non viene distinto completamente.
Dal punto di vista clinico l’acuità visiva si misura in decimi di visus
CELLULE GANGLIARI CENTRO–ON:
vengono eccitate (cioè aumentano la loro frequenza di scarica) quando lo stimolo luminoso cade al
centro del loro campo recettivo;
di contro, l’oscuramento del campo recettivo al centro determina una loro inibizione.
CELLULE GANGLIARI CENTRO–OFF:
vengono inibite (cioè riducono la loro frequenza di scarica) quando lo stimolo luminoso cade al centro del loro campo recettivo;
di contro, l’oscuramento del campo recettivo al centro determina una loro eccitazione.
Un singolo fotorecettore, ad esempio un cono, può essere collegato a due diverse cellule gangliari, per il tramite di due diverse cellule bipolari:
il singolo cono è implicato in un circuito divergente, in cui fa sinapsi:
- sia con una cellula bipolare centro–ON, che fa sinapsi con una cellula gangliare centro–ON; - sia con una cellula bipolare centro–OFF, che fa sinapsi con una cellula gangliare centro–OFF.
il cono è depolarizzato e rilascia glutammato a livello delle sinapsi con le cellule bipolari
(buio → cGMP→ canali CNG aperti → depolarizzazione → rilascio di glutammato.);
il glutammato ha un diverso effetto sulle due cellule bipolari, e quindi sulle due cellule gangliari:
-eccita la cellula bipolare centro off perché esprime molti recettori NDMA ovvero recettori ionotropici per il glutammato quindi questa si depolarizzare e va a sua volta eccitare la cellula gangliari centro a cui è collegata;
-Inibisce la cellula bipolare centro perché si lega ai recettori metabolici di tipo sei che sono accoppiati ad una proteina G che determina la chiusura dei canali cationici con conseguente iperpolarizzazione e inibizione anche della cellula gangliari Centro on a cui è collegata.
Quindi l’attivazione delle cellule gangliari centro–OFF segnala il passaggio a uno stato di buio;
- l’attivazione delle cellule gangliari centro–ON segnala il passaggio a uno stato di luce; - l’attivazione delle cellule gangliari centro–OFF segnala il passaggio a uno stato di buio;
Infatti in condizioni di buio viene eccitata la cellula bipolare centro off e viene inibita la cellula bipolare centro on mentre in caso di stimolo luminoso avviene il contrario e le cellule bipolari sono quelle che comunicano con le rispettive cellule gangliari eccitandole o inibendole
Il cono se interviene uno stimolo luminoso si iperpolarizza E rilascia meno glutammato e questo minore rilascio di glutammato determina il venir meno dell'inibizione sulla cellula bipolare Centro on che quindi si attiva e eccita la cellula gangliari Centro on, Il venir meno della eccitazione della cellula bipolare centro off che quindi si inattiva e fa inattivare anche la cellula gangliari centro off.
QUINDI:
- l’attivazione delle cellule gangliari centro–ON segnala il passaggio a uno stato di luce;
La codificazione dello stimolo avviene già a livello del NEURONE DI I ORDINE (CELLULE GANGLIARI), e le submodalità che vengono scomposte possono riguardare:
- la polarità dello stimolo -> caratteristiche di luce e buio
- la risoluzione spaziale -> rappresentazione grezza in movimento e fine statica - la risoluzione temporale -> transitoria o permanente
- il filtro spettrale -> dissezione spettrale della luce
(In particolare antagonismo centro periferia è che permette di cogliere i contrasti di luminanza e informazione luce buio)
CELLULE GANGLIARI CENTRO–ON, oltre ad essere attivate quando lo stimolo cade al centro, sono inibite quando lo stimolo cade in periferia;
CELLULE GANGLIARI CENTRO–OFF, oltre ad essere inibite quando lo stimolo cade al centro, sono Attivate quando lo stimolo cade in periferia. Ciò fa sì che il sistema possa confrontare un determinato segnale rispetto al contorno cioè confrontare all'interno del campo ricettivo l'informazione portata da un cono centro rispetto ai coni adiacenti periferia
A massima frequenza di scarica quando il segnale cade esattamente sul cono al centro e il campo recettivo e non c'è presenza di segnale in periferia, Poi man mano che il segnale si estende verso la periferia la frequenza di scarica diminuisce quindi il segnale viene smorzato perché viene meno l'iniziale contrasto centro periferia (Quindi alcuni segnali possono apparire valorizzati perché c'è un maggiore contrasto centro periferia mentre altri appaiono smorzati perché c'è un minore contrasto centro periferia)
fanno in modo che la via attivata dal cono al centro venga eccitata di meno quando anche i coni in periferia sono eccitati dallo stimolo luminoso, cioè quando lo stimolo si estende in periferia;
l’azione di queste cellule orizzontali avviene con il meccanismo della “riduzione della riduzione di glutammato”:
1. La luce cade sul cono al centro:
- i coni in periferia sono al buio -> depolarizzati -> liberano glutammato
- il glutammato stimola le cellule orizzontali -> rilasciano GABA
- Il GABA induce ulteriore iperpolarizzazione del cono al centro -> rilascia meno glutammato - attivazione della cellula bipolare centro-on e della cellula centro gangliare centro-on
2. La luce cade anche in periferia
- il cono in periferia rilascia una quantità inferiore di glutammato
- la cellula orizzontale non viene stimolata e non rilascia GABA
- il cono al centro è meno iperpolarizzato
- NON vengono eccitate la cellula bipolare centro-on e la cellula gangliare centro-on
E quel valore di pressione oltre il quale le variazioni della pressione polmonare si traducono in una variazione di volume ed equivale a 7 cm di H2O ovvero la pressione endopleurica è scesa -7 cm di H2O. questo perché nella curva di riempimento del grafico pressione volume dei polmoni isolato o curva di stessi polmonare all'inizio all'aumentare la pressione polmonare in ascissa cioè diminuire la pressione endo pleurica non si verifica un significativo aumento del volume in ordinate perché il polmone è collassato quindi le pareti con Labi cono e offrono una grande resistenza all'espansione e solo superata tale valore di pressione di apertura si avrà una variazione di volume all'aumentare della pressione
- per l’80% da resistenze al flusso (resistenze viscose); - per il 20% dall’attrito interno (resistenze inerziali);
Esse dipendono:
- dalla velocità;
- dall’accelerazione della deformazione;
Cioè si manifestano in condizioni dinamiche e dipendono dalle caratteristiche del flusso.
Nel corso di una ventilazione tranquilla, il lavoro dei muscoli respiratori serve a vincere le sole resistenze elastiche, perché le resistenze non elastiche sono assolutamente trascurabili;
possono invece diventare importanti in diverse condizioni patologiche e nell’iperventilazione, che quindi comporta una maggiore spesa energetica si avrà una spesa energetica per:
- vincere le resistenze elastiche e variare il volume della gabbia toracica;
- vincere queste resistenze viscose e inerziali.
flusso può essere:
1. flusso laminare
• La velocità massima del flusso è al centro delle vie aeree
• La velocita minima è al ridosso della parete delle vie aeree
• La velocità diminuisce con il quadrato della distanza radiale dal centro del condotto. • La fronte di flusso è a forma ogivale
• È un flusso silenzioso
• Si sposta in maniera unidirezionale
-Ha una spesa energetica minore
-Numero di Reinhold minore di 2000
2. flusso turbolento
• È un moto che si sviluppa lungo due assi (longitudinale e trasversale)
• Genera dei vortici
• È un flusso rumoroso
• si osserva un incremento dell’attrito interno -> abbiamo un aumento delle resistenze -> per garantire il transito del fluido, avremmo una spesa energetica maggiore rispetto al flusso laminare.
-Numero di Reinhold maggiore di 3000 mila
3. flusso di transizione (cioè una via di mezzo fra laminare e turbolento).
I fattori determinante la resistenza al flusso è la quarta potenza del raggio perché secondo la legge di Poisseuille R=8nl/Pi greco r^4.
Il fatto che sia alla quarta potenza implica che, a fronte di piccole modificazioni del raggio, si hanno importanti variazioni del flusso.
Poiché R= DP/F, si può calcolare la resistenza al flusso offerta dalle vie aeree conoscendo l’entità del flusso (con un flussimetro) e il gradiente pressorio fra l’interno del polmone e l’aria atmosferica:
in condizioni fisiologiche le resistenze delle vie aeree valgono circa 1,5cmH2O/L/s;
in condizioni patologiche questo valore può aumentare anche di 10 volte, con ripercussioni sulla spesa energetica necessaria per garantire un’adeguata ventilazione.
A determinare che il flusso sia laminare o turbolento sono una serie di fattori espressi dal numero di Reynolds (Re=2rvr/h):
- se Re è basso il flusso è laminare;
- se Re è alto il flusso è turbolento -> determinato dall’aumento di raggio, densità e velocità e la
diminuzione della viscosità.
Quindi la probabilità che si verifichi un flusso turbolento o un flusso laminare dipende dal rapporto fra forze inerziali (numeratore) e forze viscose (denominatore).
Normalmente, considerando tubi lisci dritti e senza biforcazioni, se Re<2000 il flusso è laminare, se Re >3000 il flusso è turbolento;
Nelle vie aeree la transizione da flusso laminare a flusso turbolento si realizza per valori di Re molto più bassi, quindi ci sarà una situazione per la quale:
- solo nei bronchioli terminali c’è un flusso laminare;
- nelle grandi vie aeree superiori si verifica un flusso turbolento;
- nella gran parte dell’albero bronchiale c’è un flusso di transizione;
Questa differenza è dovuta al fatto che la turbolenza è legata a un aumento del diametro e della velocità, e infatti le vie aeree superiori hanno un diametro maggiore e un flusso più veloce;
in condizioni di iper-ventilazione aumenta la velocità del flusso, quindi in una sezione con flusso di transizione questo può virare verso la turbolenza.
Il rapporto tra flusso e sezione di un condotto rappresenta una velocità: 𝑣 = F/S -> A parità di flusso la velocità è inversamente proporzionale alla superficie della sezione.
Nei bronchioli la sezione trasversale totale aumenta in maniera significativa, soprattutto a partire dalla 4° generazione dell’albero bronchiale (anche se la sezione del singolo bronchiolo diminuisce);
infatti, mentre il calibro del condotto diminuisce, la ramificazione delle generazioni bronchiali fa si che la risultante dell’area aggregata sia immensamente superiore a quella delle vie aree superiori.
Di conseguenza si avrà una notevole diminuzione della velocità del flusso.
Questa variazioni di flusso e velocità nell’albero bronchiale, si accompagna a un diverso movimento delle molecole d’aria:
- dal naso alla XVI generazione prevalgono movimenti convettivi che avvengono sulla base di un gradiente pressorio, e quindi richiedono un lavoro per generare questo gradiente;
- dalla XVII alla XXIII generazione prevale il fenomeno della diffusione, che non richiede lavoro perché il movimento non avviene sulla base di un gradiente pressorio ma per un fenomeno passivo.
poiché il flusso turbolento richiede una maggiore spesa energetica quindi offre una maggiore resistenza al flusso, si può affermare che la resistenza è massima nel primo tratto delle vie aeree:
- l’80% della resistenza totale è fornita dalle vie aeree superiori (metà per quanto riguarda vie nasali faringe e laringe, e metà per quanto riguarda i bronchi fino alla VII generazione);
- solo il 20% della resistenza totale è fornita dalle vie aeree di diametro inferiore a 2mm (a partire dalla XX generazione);
infatti quando iperventiliamo cerchiamo di abbassare le resistenze delle vie aeree superiori aprendo la bocca, così bypassiamo la resistenza offerta dalle vie nasali.
la regolazione del calibro dei bronchi è sottoposto al controllo:
- del SN simpatico -> rilascia noradrenalina -> agisce sui recettori metaboprotici β2 adrenergici; (Bronco dilatazione)
- del SN parasimpatico -> rilascia acetilcolina -> agisce sui recettori metaboprotici M3; (Broncocostrizione)
- della midollare del surrene (Bronco Dilatazione)
Le catecolamine rilasciate dal SNs e dal surrene hanno l’effetto di determinare broncodilatazione: interagiscono con recettori adrenergici β2, cioè recettori metabotropici accoppiati a proteina Gs, che attivano la via dell’Adenilato Ciclasi:
- attivazione dell’adenilato ciclasi;
- aumento [cAMP]
- inibizione della fosforilazione della miosina;
- inibizione della contrazione delle cellule muscolari lisce dei bronchi.
L’acetilcolina rilasciata dal SNp ha l’effetto di determinare broncostrizione, tramite interazione con recettore M3, cioè recettore metabotropico accoppiato a proteina Gq, che attiva la via della fosfolipasi C:
- Conversione del fosfatidil inositolo in diacilglicerolo-inositoltrifosfato; -> diacilglicerolo attiva la PKC;
-> inositoltrifosfato legandosi a recettori specifici presenti sul reticolo endoplasmatico, induce il rilascio di calcio;
- questo processo è funzionale all’aumento della contrazione.
1. istamina -> esercita un’azione attivatoria sulle cellule muscolari bronchiali. (Broncocostrizione ) Questo ha grande importanza nelle reazioni allergiche, caratterizzate da broncospasmo;
2. leucotrieni; (Broncocostrizione)
3. diminuzione della PCO2 alveolare -> broncostrizione.
4. Risposte riflesse -> si generano per un circuito nervoso a partire dalla stimolazione di specifici recettori. Agenti irritanti quali fumo di sigaretta, polveri, gas-nocivi, infezioni possono scatenare una via riflessa che porta all’attivazione delle fibre vagali delle vie parasimpatiche con liberazione di acetilcolina e broncocostrizione.
5. La stessa meccanica ventilatoria influisce sulle resistenze delle vie aeree, dal momento che queste non sono costanti in tutte le fasi del ciclo:
A volume residuo le resistenze delle vie respiratorio sono molto superiori rispetto alle resistenze al 100%CV;
Questo è dovuto al fa tto che, procedendo verso i bronchioli terminali, viene meno l’impalcatura cartilaginea delle vie aeree che le mantiene pervie, e quindi:
- a volumi minimi i bronchioli terminali sono schiacciati e offrono maggiore resistenza al flusso; - a volumi massimi sono aperti perché vengono stirati dal parenchima circostante che si dilata.
meccanica ventilatoria influisce sulle resistenze delle vie aeree, dal momento che queste non sono costanti in tutte le fasi del ciclo:
A volume residuo le resistenze delle vie respiratorio sono molto superiori rispetto alle resistenze al 100%CV;
Questo è dovuto al fa tto che, procedendo verso i bronchioli terminali, viene meno l’impalcatura cartilaginea delle vie aeree che le mantiene pervie, e quindi:
- a volumi minimi i bronchioli terminali sono schiacciati (Raggio diminuisce) e offrono maggiore resistenza al flusso; - a volumi massimi sono aperti perché vengono stirati dal parenchima circostante che si dilata E la resistenza diminuisce perché si ha un raggio maggiore
In condizioni fisiologiche FEV1≈ 80% della capacità vitale forzata.
Il rapporto tra FEV1 e capacità vitale forzata esprime l’indice di Tiffenau, che in condizioni fisiologiche equivale a 0,8.
se aumentano le resistenze al flusso come nelle pneumopatie ostruttive FEV1 diventa 42% Mentre la capacità vitale forzata non cambia notevolmente Quindi l'indice si riduce mentre nelle pneumopatie restrittive come la fibrosi il sistema reso rigido e cambia la capacità di riempimento del polmone e quindi la capacità vitale forzata viene ad essere ridotta FEV1 e 90% quindi l'indice aumenterà leggermente.
valuta il lavoro eseguito dai muscoli respiratori per vincere le resistenze elastiche;
Riempire il polmone con 500cc di aria, il volume corrente, a livello di capacità funzionale residua ha un costo energetico inferiore rispetto alla stessa variazione di volume ad altri volumi polmonari ( È richiesto un lavoro maggiore più ci si discosta da cfr perché si riduce la compliance e sarà necessaria maggiore energia per mantenere il sistema toraco-polmonare ad un determinato valore alto di volume)
il lavoro inspiratorio totale è dato dal: - lavoro per vincere le resistenze
elastiche;
- lavoro per vincere le resistenze non elastiche.
L’espirazione in condizioni fisiologiche avviene passivamente.
Può avere un costo energetico anche a volume corrente nel momento in cui aumentano le resistenze al flusso:
- durante l’inspirazione il lavoro dei muscoli vince le resistenze elastiche del polmone -> questa energia viene immagazzinata sotto forma di energia potenziale elastica del sistema;
- Fintanto che il lavoro per il flusso uscente di aria è inferiore all’energia potenziale elastica immagazzinata dal sistema, questo avviene passivamente:
L’energia potenziale viene restituita in fase espiratoria, in parte per vincere le resistenze al flusso durante l’uscita dell’aria, e in parte viene dissipata sotto forma di calore.
a CFR E nel momento di transizione tra ispirazione ed espirazione
Le resistenze non elastiche giocano poco quando abbiamo una respirazione tranquilla; il peso relativo delle resistenze al flusso diviene progressivamente crescente quando abbiamo una respirazione profonda e veloce.
Un aumento della profondità del respiro porta :
- aumento dell’espansione del polmone; - aumento del flusso di aria entrante;
avrà come forza motrice una depressione nel cavo pleurico misurata con una pressione trans toracica progressivamente e proporzionalmente maggiore.
È chiaro quindi che: l’entità e l’andamento della pressione trans toracica dipendono dalle resistenze elastiche e non elastiche offerte dal sistema all’espansione della gabbia toracica del polmone e alla generazione del flusso.
Se passiamo da un piccolo flusso, con una ventilazione di 500cc, in cui sono rilevanti solo le resistenze elastiche , ad una ventilazione più profonda, Dove ha un ruolo anche la resistenza non elastica , si ha che la spesa energetica, espressa come variazione della pressione endopleurica, è notevolmente superiore.
La spesa energetica per vincere le resistenze elastiche In condizioni stati è largamente sovrastata dalla spesa energetica necessaria per determinare un intenso flusso entrante di aria In condizioni dinamiche
1. una curva simmetrica che indica la depressione nel cavo pleurico in condizioni statiche (in cui il flusso non esiste o è insignificante) nelle quali vi sono solo resistenze elastiche -> indica la pressione necessaria per determinare l’espansione del polmone vincendo quelle che sono le resistenze elastiche.
2. una curva asimmetrica, reale (in condizioni dinamiche), che descrive la pressione transtoracica;
Le due curve coincidono nel punto in cui non c’è flusso.
In sostanza accade che l’energia necessaria per espandere il polmone e generare il flusso, espressa come pressione transtoracica, è maggiore di quella necessaria per la sola espansione della struttura per vincere le resistenze elastiche.
Lo scollamento tra le due curve esprime il lavoro necessario prende possibile il flusso e il il punto in cui le curve si scollano maggiormente e il punto nel quale c'è il maggior flusso ovvero a metà ispirazione.
Il lavoro necessario per rendere possibile il flusso e nel punto in cui le curve si scollano maggiormente e il punto in cui c'è il maggior flusso ed è p a metà ispirazione Mentre il punto in cui le due curve coincidono e quindi non è necessario Lavoro non essendoci scollamento è il punto in cui non c'è il flusso ovvero il punto di transizione tra ispirazione ed espirazione
In virtù di un aumento delle resistenze al flusso in relazione ad un intenso broncospasmo si verifica un considerevole incremento della spesa energetica per il flusso uscente l'espirazione. L'energia necessaria per garantire il flusso uscente e l'aria è superiore all'energia che era stata immagazzinata dall'elasticità del sistema polmonare polmonare e quindi in queste condizioni patologiche l'ispirazione non è + un sistema passivo ma richiede il lavoro dei muscoli espiratori
In genere espirazione e passiva non richiede il lavoro di tali muscoli poiché viene rilasciata l'energia elastica immagazzinata dal sistema toraco polmonare durante l'ispirazione. Essi entra in gioco durante l'ispirazione forzata e a volume corrente quando le resistenze al flusso sono tali che il lavoro necessario per garantire il flusso uscente dell'aria aria eccede l'energia immagazzinata nel sistema sistemato polmonare in virtù della sua sua elasticità quindi in caso di condizioni patologiche come il broncospasmo E patologie ostruttive
ventilazione alveolare = (volume corrente - spazio morto) x frequenza respiratoria
Il lavoro è una curva con andamento bifasico, Poiché è dato dal lavoro statico più il lavoro dinamico. Il lavoro statico o elastico è quello che prevale a basse frequenze e ci dice che all'aumentare della frequenza bisogna diminuire il volume per mantenere costante la ventilazione alveolare quindi il lavoro elastico richiesto è minore all'aumentare della frequenza ed è alto a basse frequenze. Quindi possiamo dire che il lavoro totale a basse frequenze essendo dato dal lavoro elastico ha un valore elevato che poi tende ad abbassarsi all'aumentare della frequenza. Intorno ai 15 atti respiratori al minuto o la ventilazione con la minor spesa energetica ovvero in cui è richiesto il minor lavoro totale a riposo. Poi all'aumentare della frequenza quindi ad alte frequenze prevale la componente di Lavoro dinamica che aumenta l'aumentare della frequenza ovvero un andamento opposto rispetto allo statico perché se il flusso aumenta la velocità aumenta e avrò maggiore resistenze non elastiche e quindi sarà richiesto un maggiore lavoro dinamico ad altre frequenze. Quindi ricapitolando la curva del lavoro totale a valori elevati a basse frequenze poi tende a diminuire fino a raggiungere il minimo intorno a 15 atti respiratori al minuto per poi riaumentare fino a raggiungere una un elevato valore ad alte frequenze
Il lavoro necessario per vincere le resistenze elastiche, infatti, è tanto maggiore quanto maggiore è l’espansione del polmone;
di conseguenza il lavoro:
- diminuisce al diminuire della frequenza respiratoria. - aumenta all’aumentare della frequenza respiratoria.
Questo perché se aumenta la frequenza dovrò diminuire il volume corrente per mantenere costante la ventilazione alveolare e quindi dovrò spandere meno il polmone e sarà richiesto un lavoro elastico minore all'aumentare delle frequenze. Nel grafico del lavoro totale il lavoro statico è prevalente a basse frequenze che quindi avranno un alto valore di lavoro totale
il lavoro dinamico aumenta all'aumentare della frequenza quindi ha un andamento opposto rispetto allo statico perché se il flusso aumenta la velocità aumenta e si avranno maggiori resistenze non elastiche e quindi un maggiore lavoro richiesto per superarle. Il lavoro dinamico è quello prevalente nella curva del lavoro totale ad altre frequenze dove quindi sarà richiesto un Elevato lavoro
La minor spesa energetica intorno ai 15 atti respiratori al minuto che il valore di frequenza respiratoria a riposo dato che il nostro sistema tende a lavorare con il dispendio della minima energia
membrana alveolo – capillare ha uno spessore talmente sottile (0,5μm) da permettere ai gas un processo di diffusione passiva che non chiedeAlcuna spesa energetica. È formata da cinque strati che sono all'epitelio alveolare (formato da pneumocisti di tipo uno molto sottili ) e la membrana basale di tale epitelio il tessuto interstiziale la membrana basale Dell'endotelio e l'endotelio capillare
- i movimenti alla base della meccanica respiratoria erano movimenti convettivi (spesa energetica); - i movimenti alla base degli scambi gassosi sono movimenti passivi di diffusione.
Il gradiente di pressione parziale cioè la concentrazione (Dato che si parla di un elemento probabilistico cioè della probabilità di urtare la parete passare dall'altra parte per equiparare la concentrazione tra i due compartimenti), L'area di contatto, Lo spessore della barriera, Il film liquido che riveste alveolo e quindi la solubilità del gas che deve diffondervi
Il numero di molecole che passa sarà tanto più grande quanto è maggiore la superficie.
La superficie alveolocapillare, nel nostro caso, è ampia 70/100m2, una superficie assolutamente in eccesso rispetto al fabbisogno minimo, per cui il polmone può tollerare processi patologici che comportino una riduzione della stessa.
La diffusione dei gas attraverso la membrana dipende da:
LA COSTANTE DI DIFFUSIONE (D= K X SOLUBILITÀ GAS/ √PM): dipende:
- dalla solubilità del gas;
- dal peso molecolare del gas;
LA VELOCITÀ DI DIFFUSIONE (V = K X DP X D X A/S):
- dipende dal gradiente di pressione parziale dei gas;
- è direttamente proporzionale alla costatante di diffusione;
- è direttamente proporzionale all’area di contatto fra sangue e capillare;
- è inversamente proporzionale allo spessore della membrana alveolo-capillare.
il ΔP della CO2 è molto più basso di quello dell’O2;
MA la velocità di diffusione è assolutamente adeguata per entrambi i gas perché non dipende solo dal DP ma anche dalla solubilità, e la solubilità della CO2 è molto maggiore di quella dell’O2. - la solubilità dell’ossigeno è 1.3 μmol L^-1/mmHg;
- la solubilità della CO2 è 32 μmol L^-1/mmHg,, mentre ΔP CO2 = 46mmHg – 40mmHg = 6mmHg e ΔP O2 = 100mmHg – 40mmHg = 60mmHg. Pur essendo ΔP10 volte maggiore nell'ossigeno la solubilità dell'anidride carbonica non è 10 volte maggiore di quella dell'ossigeno perché la velocità non è influenzata solo dal processo di diffusione ma anche dalla relazione col sangue e su come sono trasportate le molecole di gas quindi la velocità dipende nel caso della anidride carbonica anche dal tempo impiegato per reagire con l'emoglobina e con l'anidrasi carbonica e lo scambiatore cloro bicarbonato che vanno a rallentare il processo mentre nell'ossigeno queste relazioni sono secondarie non di primaria importanza come per l'anidride carbonica e quindi la solubilità dell'anidride carbonica è solo 3/5 volte maggiori rispetto a quella dell'ossigeno
Pur essendo ΔP10 volte maggiore nell'ossigeno la solubilità dell'anidride carbonica non è 10 volte maggiore di quella dell'ossigeno perché la velocità non è influenzata solo dal processo di diffusione ma anche dalla relazione col sangue e su come sono trasportate le molecole di gas quindi la velocità dipende nel caso della anidride carbonica anche dal tempo impiegato per reagire con l'emoglobina e con l'anidrasi carbonica e lo scambiatore cloro bicarbonato che vanno a rallentare il processo mentre nell'ossigeno queste relazioni sono secondarie non di primaria importanza come per l'anidride carbonica e quindi la solubilità dell'anidride carbonica è solo 3/5 volte maggiori rispetto a quella dell'ossigeno
La solubilizzazione dei gas è definita dalla legge di Henry: la quantità di ossigeno disciolto nel film liquido è direttamente proporzionale alla pressione parziale dell’ossigeno;
Dipende in maniera importante da una proprietà chimico-fisica dei gas, la SOLUBILITÀ.
Secondo la legge di Graham: la diffusione è inversamente proporzionale alla radice quadrata del peso
molecolare del gas in questione.
i pesi molecolari dell’ossigeno (32) e della CO2 (44) sono diversi, ma non così tanto: nella legge di Graham, quindi, è come se avessimo lo stesso valore.
È presente invece una differenza tra i valori di solubilità dei due gas: - la solubilità dell’ossigeno è 1.3 μmol L^-1/mmHg;
- la solubilità della CO2 è 32 μmol L^-1/mmHg,
L’ossigeno, dunque, è associato ad un valore enormemente inferiore.
Il concetto di pressione parziale è definito dalla legge di Dalton: la pressione totale di una miscela di gas (quali sono l’aria e il sangue) è data dalla somma delle pressioni parziali dei singoli gas, quindi la pressione parziale di un gas è il suo contributo alla pressione totale della miscela;
Date la composizione percentuale della miscela di gas e la pressione totale, la legge di Dalton permette di calcolare la pressione di ciascun costituente. PRESSIONE PARZIALE = PRESSIONE TOTALE X CONCENTRAZIONE
Gli scambi gassosi per diffusione dipendono dal gradiente di pressione parziale del singolo gas a cavallo della struttura.
l’aria presente negli alveoli è diversa:
1. sia rispetto all’aria inspirata
l’aria negli alveoli è data:
- dall’aria inspirata che entra;
- dalla CFR preesistente negli alveoli con cui essa si mescola, che ha una composizione differente rispetto all’aria inspirata;
2. sia rispetto all’aria espirata
l’aria espirata è data:
- dall’aria Che fuoriesce dagli alveoli;
- dalla Quantità d'aria che rimane nello spazio morto con cui essa si mescola che ha una composizione identica all'aria atmosferica perché non effettua scambi;
COMPOSIZIONE ARIA ATMOSFERICA (INSPIRATA):
- per il 79% da N2;
- per il 21% da O2;
- per lo 0,3% da CO2;
COMPOSIZIONE ARIA ESPIRATA:
- per il 79% da N2;
- per il 16% da O2; - per il 4,5% da CO2;
QUINDI: l’aria espirata è più povera di ossigeno e più ricca di anidride carbonica rispetto all’aria inspirata, poiché, a livello dell’interfaccia alveolo – capillare, l’O2 passa dall’alveolo al capillare, mentre la CO2 dal capillare all’alveolo.
La COMPOSIZIONE ARIA ALVEOLARE: - per il 79% da N2;
- per il 14% da O2;
- per il 5,5% da CO2.
Ptot alveolo = Patm (760mmHg) – PH2O (47mmHg) = 713 mmHg; - PO2 alveolo = 14% di 713mmHg = 100mmHg
- PCO2 alveolo = 5,5% di 713mmHg = 40mmHg
NEL SANGUE VENOSO:
- LA PRESSIONE PARZIALE DI O2 È PARI A 40mmHg;
- LA PRESSIONE PARZIALE DI CO2 È PARI A 46mmHg.
In virtù di questo gradiente di pressioni parziali fra l’aria alveolare e il sangue venoso, accade che: A livello della barriera alveolo – capillare, il sangue venoso del capillare si mette in equilibrio con l’aria dell’alveolo e diventa sangue arterioso.
A) composizione dell’aria inspirata
B) pressione atmosferica
C) attività metabolica -> elevato consumo di O2 e produzione di CO2
D) ventilazione alveolare:
- in iperventilazione c’è una riduzione di PCO2 e aumento di O2 -> alcalosi respiratoria
- in ipoventilazione c’è un aumento di PCO2 e una diminuzione di PO2 -> acidosi respiratoria
Nel sangue arterioso Presente nel capillare dopo la diffusione a livello alveolare dato che prima presentava sangue venoso:
- LA PRESSIONE PARZIALE DI O2 È PARI A 97mmHg
- E LA PRESSIONE PARZIALE DI CO2 È PARI A 40mmHg.
Nei tessuti periferici
- LA PRESSIONE PARZIALE DI O2 È PARI A 40mmHg
- E LA PRESSIONE PARZIALE DI CO2 È PARI A 46mmHg.
QUINDI: a livello dei tessuti periferici, il sangue arterioso del capillare si mette in equilibrio con l’interstizio dei tessuti e diventa sangue venoso.
Cioè:
Il sangue abbandona il tessuto per raggiungere la parte destra del cuore con pressioni parziali identiche a quelle del tessuto: - O2 = 40 mmHg
- CO2 = 46mmHg
La perfusione polmonare rappresenta il volume di sangue utile agli scambi gassosi che raggiunge il polmone in un minuto;
Corrisponde alla gittata cardiaca: GC = GS X F = 70ml x 70/min = 5L/min
5L/min è anche il valore della ventilazione alveolare;
IN CONDIZIONI BASALI PERFUSIONE POLMONARE E VENTILAZIONE ALVEOLARE HANNO LO STESSO VALORE (5L/min).
La pressione arteriosa media nel circolo polmonare è di circa 15mmHg e nel passaggio da arteria a
capillare sito verifica un lieve calo pressorio, tale per cui la pressione nel capillare è 8-9mmHg. Mentre la pressione alveolare non varia all’interno del polmone, la pressione nel capillare subisce
differenze spostandosi dall’apice alla base del polmone.
La posizione ortostatica, quindi la gravità, influenza la pressione del capillare di 0,73mmHg per ogni
cm di dislivello dal cuore:
- per ogni cm di polmone che si trova al di sopra del cuore la pressione diminuisce di 0,73mmHg;
- per ogni cm di polmone che si trova al di sotto del cuore la pressione aumenta di 0,73mmHg.
Considerando che il polmone si estende per 10cm al di sopra e per 10cm al di sotto del livello del cuore, le differenze pressorie consistono in un aumento o in una diminuzione di pressione pari a 7,3mmHg (0,73mmHg×10cm);
Dal momento che la perfusione polmonare dipende anche dalla pressione capillare, queste differenze alto-basso nella pressione del capillare si tradurranno in differenze nella perfusione.
La perfusione polmonare dipende dal circolo polmonare che è un circolo a bassa pressione e quindi dipende dalla pressione del capillare. Mentre la pressione alveolare non varia all’interno del polmone, la pressione nel capillare subisce
differenze spostandosi dall’apice alla base del polmone.
La posizione ortostatica, quindi la gravità, influenza la pressione del capillare di 0,73mmHg per ogni
cm di dislivello dal cuore:
- per ogni cm di polmone che si trova al di sopra del cuore la pressione diminuisce di 0,73mmHg;
- per ogni cm di polmone che si trova al di sotto del cuore la pressione aumenta di 0,73mmHg.
Considerando che il polmone si estende per 10cm al di sopra e per 10cm al di sotto del livello del cuore, le differenze pressorie consistono in un aumento o in una diminuzione di pressione pari a 7,3mmHg (0,73mmHg×10cm);
Dal momento che la perfusione polmonare dipende anche dalla pressione capillare, queste differenze alto-basso nella pressione del capillare si tradurranno in differenze nella perfusione.
1. Apice del polmone:
pressione alveolare > pressione del capo arterioso del capillare > pressione del capo venoso del capillare
la pressione dell’alveolo soverchia quella del capillare, quindi il capillare viene schiacciato, quindi la perfusione è minima;
2. A livello del cuore:
Pressione del capo arterioso del capillare > pressione alveolare > pressione del capo venoso del capillare quindi la pressione dell’alveolo soverchia quella del capo venoso ma non del capo arterioso, quindi il
capo venoso è ostruito mentre quello arterioso no, quindi la perfusione è intermedia;
3. Alla base del polmone:
Pressione del capo arterioso del capillare > pressione del capo venoso del capillare > pressione alveolare
quindi la pressione del capillare supera quella dell’alveolo, quindi si ha la massima dilatazione del capillare, quindi la perfusione è massima.
1. Apice del polmone:
pressione alveolare > pressione del capo arterioso del capillare > pressione del capo venoso del capillare
la pressione dell’alveolo soverchia quella del capillare, quindi il capillare viene schiacciato, quindi la perfusione è minima;
2. A livello del cuore:
Pressione del capo arterioso del capillare > pressione alveolare > pressione del capo venoso del capillare quindi la pressione dell’alveolo soverchia quella del capo venoso ma non del capo arterioso, quindi il
capo venoso è ostruito mentre quello arterioso no, quindi la perfusione è intermedia;
3. Alla base del polmone:
Pressione del capo arterioso del capillare > pressione del capo venoso del capillare > pressione alveolare
quindi la pressione del capillare supera quella dell’alveolo, quindi si ha la massima dilatazione del capillare, quindi la perfusione è massima. Quindi il valore di perfusione polmonare di 5L/min è un valore medio complessivo, perché di fatto esso varia nell’ambito del polmone: procedendo dall’apice verso la base del polmone, la perfusione polmonare aumenta.
La ventilazione alveolare rappresenta il volume di aria utile agli scambi gassosi che entra nell’alveolo in un minuto;
in una respirazione tranquilla il volume utile agli scambi respiratori è pari a 350cc (volume corrente 500cc – volume dello spazio morto 150cc) e la frequenza respiratoria è pari a circa 12 atti al minuto:
quindi la ventilazione alveolare VA = 350cc×12/min = 4,2L/min (o 5L/min con frequenza 15).
Variazioni della ventilazione alveolare comportano una variazione dei valori di pressione parziale di CO2 e O2:
- iperventilazione -> diminuzione PCO2 -> alcalosi respiratoria
- ipoventilazione -> aumento PCO2 -> acidosi respiratoria
il valore di ventilazione alveolare di 5L/min è un valore medio complessivo, perché di fatto esso varia nell’ambito del polmone.
La ventilazione alveolare dipende dalla distensibilità dell’alveolo che dipende dalla pressione endopleurica;
La pressione endopleurica subisce differenze spostandosi dall’apice alla base del polmone perchè il polmone è come sospeso nella pleura e appeso dall’apice: quindi, considerando il suo peso non trascurabile, si genera una forza di trazione diretta dall’alto verso il basso, tale per cui:
- le porzioni superiori della pleura viscerale sono sottoposte a una forza di trazione maggiore; - le porzioni più inferiori risentono di uno stiramento minore;
questo maggiore stiramento delle porzioni superiori della pleura fa sì che la pressione nel cavo pleurico sia minore all’apice rispetto alla base.
La conseguenza di questo gradiente di pressione endopleurica alto-basso è la formazione di un gradiente di pressione transpolmonare, perché, laddove la pressione endopleurica è più bassa, aumenta la pressione transpolmonare, e quindi il grado di dilatazione dell’alveolo.
per via di questo gradiente di pressione transpolmonare, gli alveoli non sono espansi tutti allo stesso modo, ma sono più dilatati all’apice rispetto alla base del polmone;
dal momento che la compliance del polmone è massima a volumi minimi, gli alveoli situati all’apice del polmone (quindi più dilatati) si espandono di meno.
Dove la distensibilità degli alveoli è maggiore, la ventilazione alveolare sarà maggiore; QUINDI: procedendo dall’apice verso la base del polmone, la ventilazione alveolare aumenta
Il rapporto ventilazione/perfusione è un importante indicatore della capacità di trasferimento: - di O2 dall’aria alveolare al sangue capillare;
- della CO2 dal sangue capillare all’aria alveolare.
Poiché mediamente nel polmone la ventilazione vale 5L/min e mediamente la perfusione vale anch’essa 5L/min, il rapporto ventilazione/perfusione vale 1.
Nello specifico, abbiamo delle importanti variazioni regionali; il rapporto è:
- massimo all’apice con un valore di 3,3,;
- minimo alla base con circa un valore di 0,63.
Il rapporto ventilazione/perfusione non è costante nelle diverse aree del polmone, ma è molto maggiore all’apice rispetto alla base;
Questo è dovuto al fatto che non solo perfusione e ventilazione variano nell’ambito del polmone (aumentando procedendo dall'apice verso la base), ma variano in maniera non omogenea procedendo dall’apice verso la base, l’aumento della perfusione è notevolmente superiore rispetto all’aumento della ventilazione.
Se, scendendo verso il basso, la perfusione (denominatore) aumenta rispetto alla ventilazione (numeratore), il rapporto ventilazione/perfusone risulta diminuito;
dal momento che un maggiore rapporto ventilazione/perfusione si traduce in una maggiore ossigenazione del sangue, la conseguenza del gradiente alto-basso del rapporto ventilazione/perfusione è che l’ossigenazione del sangue è maggiore a livello dell’apice rispetto alla base del polmone.
• la dipendenza del muscolo scheletrico dal SNC è totale (“muscolo scheletrico è attuatore del sistema nervoso”), quindi la contrazione avviene solo se c’è il comando da parte del SN e, se esso non invia nessun comando, il muscolo non si contrae e progressivamente va incontro a degenerazione e paralisi, diventando prima tessuto connettivo e poi adiposo;
Invece il muscolo capisce il mio cardico con l'asse del sistema centrale l'azione modulatrice perché queste muscolature sono in grado di contrarsi autonomamente e il sistema nervoso puo solo aumentare di diminuire le contrazioni
sono i filamenti contrattili (actina e miosina) e l’importanza dello ione calcio.
PASSIVE
estensibilità(capacità del muscolo di essere stirato)
elasticità (forza di richiamo con scopo protettivo, che impedisce una completa estensione)
ATTIVE
contrattilità(capacità di sviluppare energia)
eccitabilità (capacità di subire modificazioni dello stato elettrico)
fascicoli di fibre (Rivestiti da perimisio), composti da fibre muscolari (Rivestite da endomisio), all’interno delle quali vi sono le miofibrille, contenenti i proteici che rappresentano i veri e propri elementi motori del muscolo. Il muscolo nel complesso e rivestito da epimisio
. Sono tipicamente cilindriche, molto lunghe e polinucleate (un solo nucleo sarebbe insufficiente a controllare l’espressione di tutte leproteine di una cellula talmente lunga).
Dunque, ogni nucleo ha il proprio dominio di appartenenza e andrà a regolare l’espressione delle proteine funzionali al meccanismo molecolare del proprio dominio, garantendo l’omogeneità dell’attività lungo la fibrocellula muscolare (stessa quantità di proteine per ogni domino nucleare).
• Fascicoli di fibre (diametro 100-1000 micrometri)
• Fibrocellule muscolari (diametro 10-100 micrometri e lunghezza 0.1-15 cm)
• Miofibrille (elementi subcellulari; diametro 1micrometro)
• Filamenti proteici
Il sarcoma è l'unità anatomica funzionale del muscolo che ha la forma cilindrica ed è lungo da 1,5 a 3,5 µm con lunghezza ottimale pari a 3,3 µm e ogni fibra Di 4 cm ne contiene circa 20.000
Compreso tra due linee Z o disch Z all'interno delle quali si alternano delle bande A o I aseconda che siano anisotropi O isotropo, simmetriche rispetto al centro che prende il nome di linea o Disco M. le bande I sono a cavallo delle linee Z e sono formate da filamenti sottili, Le bande A sono formate dai filamenti spessi e all'estremità filamenti spessi e sottili si sovrappongono, La zona H è la regione centrale della banda formata solo da filamenti spessi, La linea M è la banda dove si attaccano i filamenti spessi e i dischi Z sono strutture proteiche a zigzag dove si attaccano i filamenti sottili
Possono essere disposti in serie e determinano il grado di accorciamento della cellula e poi del muscolo o in parallelo in tal caso definiscono la forza sviluppata dalla fibro cellula muscolare
Il sarcomero, essendo contrattile, non ha una lunghezza univoca, ma questa oscilla tra la sua massima contrazione e la sua massima estensione: tra 1,5 e 3,5 micron; con una lunghezza ottimale (alla quale il sarcomero riesce a generare la forza maggiore) di 2,3 micron. Una fibrocellula di 4cm saràcostituita da circa 20.000 sarcomeri in serie.
il complesso della troponina(composto a sua volta di 3 subunità: TnC, TnI, TnT); la tropomiosina
• la titina e la nebulina (che concorrono alla stabilizzazione del sarcomero, mantenendo
).
• La distrofina
la proteina C
è la Proteina più grande presente nel nostro organismo, ha circa 25k amminoacidi e un peso di 3000 kDa. Si trova dalla linea M fino ad un disco Z dove non sono presenti le actine ed è formata da una serie di quattro aminoacidi detti dominio PEVK Che conferisce alla titina una grande elasticità che permette di stabilizzare la miosina e agire da molla quindi accumulare energia elastica durante la fase attiva di contrazione ATP dipendente e rilasciare questa energia per riportare poi il sarcomero alle lunghezze iniziali, quindi il rilascio avviene passivamente. Patologie legate ad essa portano irrigidimento muscolare. Inoltre haun ruolo strutturale regolando l'allineamento tra actina e miosina
essa connette il citoscheletro al sarcolemma, dona dunque struttura tridimensionale alla fibrocellula, Quindi mentre le altre proteine sono disposte in senso longitudinale nel sarcomero essa è disposta trasversalmente e unisce i filamenti di Actina Ai sarcoglicani che sono proteine transmembrana situate sul saccolemma e creano così punti di rigidità che impediscono l'afflosciamento. Se la distrofina dovesse essere deficitaria, la struttura si “affloscia”, vi è una perdita di forza, dovuta al fatto che la distrofina ha un ruolo fondamentale nel mediare la forza contrattile, sviluppata dalle proteine contrattili, sul sarcolemma, che è la struttura attaccata ai tendini
Sono ancorati alla linea Z e sono composti da actina G globulare che polimerizza in presenza di ATP a formare l'actina F filamentosa formata da 400 monomeri di G. ogni globulo di actina presenta un sito di legame per le teste di miosina E ha una struttura a doppia elica (A doppio filamento di actina avvolto a elica) alla quale si associano proteine regolatrici o adattatrici. tali proteine sono la tropomiosina anch'essa proteina filamentosa a doppia elica che si superavvolge presso il solco del dell'elica del filamento di actina e impedisce che la testa di miosina possa interagire con il singolo globulo di actina sovrapponendosi fisicamente al sito di legame e la Troponina, molecola “ponte” presente a intervalli regolari che, mettendo in comunicazione actina e tropomiosina, può modificare la propria conformazione trascinando via la tropomiosina ed esponendo i siti di legame dell’actina per la miosina. Ogni miofibrilla contiene circa 3000 filamenti di actina.
molecola “ponte” presente a intervalli regolari che, mettendo in comunicazione actina e tropomiosina, può modificare la propria conformazione trascinando via la
tropomiosina ed esponendo i siti di legame dell’actina per la miosina.
La troponina è un complesso trimerico: • la TnC, la più centrale, è capace di legare il calcio, ione fondamentale per la contrazione di tutti i muscoli (quattro siti di legame per il Ca2+: 2 ad alta affinità e due a bassa affinità);
• la TnT che lega la tropomiosina e fa da ponte tra le altre due proteine;
• la TnI che è quella attaccata all’actina si definisce “inibitoria” perché impedisce, in condizioni “normali”,
in assenza dello ione calcio essa inibisce l’attività ATPasica della testa di miosina adiacente.
è la MIOSINA II: esamero composto da 4 catene leggere (LMM) e 2 catene pesanti (HMM). struttura “a mazza da golf” con una Lunga coda ad alfa elica , Un collo S2 che rappresenta il cardine su cui la molecola si muove e una Testa globulare mobile S1.
Una molecola di miosina si compone di due teste e due code avvolte tra loro. Il filamento spesso di miosina,
Ancorato alla linea M , è un fascio di 150 nm e di 300 molecole di miosina le cui teste sono rivolte all'esterno in una disposizione a tripla elica. Il collo e il cardine su cui la testa compie i movimenti che determina il grado di velocità del movimento e può essere modulato dalla kinasi della catena leggera della miosina MLCK Che va a fosforilare proprio la catena Leggera miosina cioè il collo rendendola più rapido nei movimenti. La testa invece è formata da due importanti siti di cui uno è il sito di legame per l'actina e l'altro è un sito ATPasico che idrolizza ATP per prendere l'energia per il movimento
La Fibro cellula muscolare è una cellula cilindrica non bidimensionale. quindi tagliando in una sezione trasversale notiamo che ha una struttura estremamente regolare se si potrebbe definire un reticolo cristallino in cui i filamenti spessi hanno intorno i filamenti sottili di actina in una struttura regolare e esagonale quindi ogni miosina è circondata da sei filamenti di actina ed entrambi i filamenti sono disposti ad elica con le teste di miosina disposte a tripla elica su un filamento di actina disposte a doppio elica . questa struttura
regolare fa si che “in ogni momento, in ogni punto dello spazio, ci sarà sempre una testa di miosina pronta a legare un monomero di actina nelle tre dimensioni in maniera omogenea”.
Infatti, grazie a questa struttura “elicoidale” vi sarà sempre un numero omogeneo di teste di miosina
che nello spazio sarà pronta a legare uno dei monomeri sull’esagono intorno. Ricapitolando: questa struttura regolare serve ad assicurare in maniera perfetta l’omogeneità della contrazione muscolare, che deve avvenire in una singola direzione.
Quando il muscolo si contrae, mantenendo uguale la simmetria, i dischi Z ed i filamenti di actina scorrono avvicinandosi al centro del sarcomero. Le teste di miosina e filamenti di actina si avvicinano verso la linea M, e poi vengono riportati nella posizione iniziale dalla titina. la zona bianca Cioè la banda I si è ridotta mentre
zona scura Cioè la banda A è rimasta uguale
ciclo dei ponti trasversali parteda una fase, definita di attacco/rigor, dove il muscolo è completamente rigido ed è bloccato in questa fase accorciato , la miosina non lega ATP o altre molecole, ha bassa energia ed è rigidamente attaccata ad un monomero di actina, nei confronti del quale ha altissima affinità.
1. Il legame dell’ATP sulla testa della MHC riduce l’affinità della miosina per l’actina, causandone la dissociazione.
2. L’idrolisi dell’ATP porta alla formazione di ADP e Pi, che rimangono legati alla testa della miosina. Il risultato dell’idrolisi è che il collo e la testa della MHC ruota di circa 45° verso l esterno portandosi in asse con la coda, con la testa della miosina che si sposta di 12 nm e risulta allineata con un monomero di actina situato due monomeri più avanti al precedente (ne salta uno)
3. Si ha la formazione di ponti trasversali deboli, poiché l’idrolisi della molecola di ATP “attiva” la molecola di miosina, consentendo un lieve aumento dell’affinità della testa della miosina per l’actina (Modulata anche dall'aumento di calcio). Si ricordi che sei filamenti sottili circondano ogni filamento spesso.
4. Il rilascio del Pi innesca un importante aumento dell’affinità del complesso miosina-ADP per l’actina. Questa è la rate-limiting step del ciclo dei ponti, e in seguito al rilascio del Pi si ha la generazione del colpo di forza, poiché il collo della miosina ruota Di 45° verso l'interno con la testa che rimane associata all’actina, garantendo uno spostamento del filamento sottile verso la linea M di circa 8-10 nm
5. Il rilascio dell’ADP consente la generazione di un secondo e più leggero colpo di forza (di 2-4 nm), con la miosina che torna nello stato di attacco/rigor a bassa energia, ad alta affinità per l’actina e senza molecole legate.
Tale processo avviene in maniera sincrona sia nello stesso sarcomero, sia in sarcomeri diversi, e la fluidità è assicurata dal fatto che le teste della miosina lavorano in maniera alternata, Cioè quando una testa si sta contraendo l'altra si sta preparando E quindi i ponti sono reclutati in maniera non sincrona Data la struttura cristallina che garantisce l'omogeneità della contrazione. Ogni molecola di actina farà 50 cicli al secondo circa
ATP che dà energia la miosina per poter ruotare e gli ioni calcio Liberi nel citosol che legano l'troponina
controllo temporale del ciclo dei ponti trasversi avviene nella terza fase, impedendo la formazione dei ponti trasversi finché non si ha un aumento della [Ca2+]i. La terza fase del ciclo dei ponti riguarda, infatti, la formazione di un ponte trasversale debole, la cui formazione normalmente è impedita dal fatto che la tropomiosina impedisce il legame della miosina all’actina. Tale interazione può venir meno solo a patto di avere un aumento della [Ca2+]i, che passa da 10^-7 M a 10-5 M. Si ricorda che la subunità TnC della troponina ha due coppie di siti per il Ca2+, una coppia di siti ad elevata affinità, che in condizioni fisiologiche sono sempre occupati, e una coppia di siti a bassa affinità, che rispondono a variazioni della [Ca2+]i. Si evidenzia che:
• La regione contenente i siti ad elevata affinità di Ca2+, che sono sempre occupati, lega costantemente la TnI
• Per quanto riguarda la regione contenente i siti a bassa affinità per il Ca2+:
o A basse[Ca2+]i tale regione non interagisce con TnI
o Ad alte [Ca2]i tale regione interagisce con TnI inducendo la traslocazione della
tropomiosina di circa 25°, consentendo alla testa della miosina di interagire debolmente con il monomero di actina (fase 3 del ciclo dei ponti). Inoltre, finchè la [Ca2+]i non aumenta, la TnI inibisce l’attività ATPasica della testa di miosina, evitando inutili dispendi energetici. In ultima istanza, nel muscolo, no calcio (e no ATP) no party.
La terza fase del ciclo dei ponti riguarda la formazione di un ponte trasversale debole, la cui formazione normalmente è impedita dal fatto che la tropomiosina impedisce il legame della miosina all’actina. Tale interazione può venir meno solo a patto di avere un aumento della [Ca2+]i, che passa da 10^-7 M a 10-5 M. Si ricorda che la subunità TnC della troponina ha due coppie di siti per il Ca2+, una coppia di siti ad elevata affinità, che in condizioni fisiologiche sono sempre occupati, e una coppia di siti a bassa affinità, che rispondono a variazioni della [Ca2+]i. Si evidenzia che:
• La regione contenente i siti ad elevata affinità di Ca2+, che sono sempre occupati, lega costantemente la TnI
• Per quanto riguarda la regione contenente i siti a bassa affinità per il Ca2+:
o A basse[Ca2+]i tale regione non interagisce con TnI
o Ad alte [Ca2]i tale regione interagisce con TnI inducendo la traslocazione della
tropomiosina di circa 25°, consentendo alla testa della miosina di interagire debolmente con il monomero di actina (fase 3 del ciclo dei ponti)
Inoltre, finchè la [Ca2+]i non aumenta, la TnI inibisce l’attività ATPasica della testa di miosina, evitando inutili dispendi energetici. In ultima istanza, nel muscolo, no calcio (e no ATP) no party.
Il potenziale di riposo delle fibrocellule muscolari scheletriche è intorno a -80/-95 mV, ed è quindi più negativo di quello neuronale. Ricordando l’equazione di Goldman-Hodgkin-Katz, i tre ioni coinvolti nella determinazione del potenziale di riposo sono lo ione K+, lo ione Na+ e lo ione Cl-. Lo ione Cl-, in particolare, ha un ruolo molto importante nelle fibrocellule muscolari, al contrario di ciò che avveniva a livello neuronale, tant’è che sono molte le patologie del muscolo che prevedono un coinvolgimento dei canali del Cl-, come la distrofia miotonica. Il potenziale di membrana a riposo, in particolare, è dato dal K+ e dal Cl-, poiché sono presenti numerosi canali passivi per il Cl-, che consentono la negativizzazione del potenziale di riposo, mentre il ruolo del sodio è assolutamente trascurabile, visto che a potenziale di riposo la permeabilità a questo ione è praticamente nulla. In aggiunta a ciò, a livello delle fibrocellule muscolari, le concentrazioni ioniche transmembrana sono differenti da quelle a livello neuronale, ed in particolare abbiamo un aumentato gradiente del K+ e del Cl-. Quindi, il muscolo parte da un potenziale di membrana più negativo rispetto a quello neuronale.
. Una singola giunzione neuromuscolare possiede circa 1000 zone attive, e ogni potenziale d’azione porta al rilascio di 100-200 vescicole (o quanti) di Ach, a fronte di un pool totale di vescicole del terminale presinaptico di circa 200-250mila vescicole. In ogni vescicola sono presenti 4.000 molecole di Ach, per cui il rilascio del contenuto di una singola vescicola consente l’apertura di 2.000 nAchR. La corrente che fluisce in ogni singolo canale provoca un aumento del potenziale di membrana di 0.3 #V, per cui complessivamente, all’arrivo di un potenziale d’azione a livello del terminale presinaptico segue il rilascio di 400.000-800.00 molecole di Ach, che porteranno all’apertura di 200.000-400.000 nAchR, consentendo una variazione di potenziale di circa 70-75 mV, con il potenziale di membrana che, partendo da -90 mV arriva a -20 mV.
Questo PPSE con un’ampiezza è di 70-75 mV è chiamato potenziale di placca, e ha la caratteristica di essere sempre sovrasoglia per l’apertura dei Nav, presenti nelle invaginazioni delle creste della placca motrice. L’apertura dei Nav consente l’insorgenza di un potenziale d’azione a livello della placca motrice (Che si trova al centro della fibro cellula muscolare), che si propaga verso entrambi i lati della fibrocellula muscolare scheletrica grazie alla presenza di Nav lungo tutta la membrana plasmatica
da due fattori, ovvero la quantità del NT liberato e il numero di recettori disponibili.
potenziale d’azione che si è generato, con un leggerissimo delay rispetto a quanto accade a livello dell’α-motoneurone, a livello muscolare. Questo potenziale d’azione ha delle caratteristiche diverse rispetto a quello neuronale, in quanto ha una durata maggiore (3-5ms), con una fase di depolarizzazione e una fase di iperpolarizzazione più durature e larghe rispetto al classico potenziale d’azione neuronale.
Queste differenze sono dovute alla presenza, sulla fibrocellula muscolare, di alcune strutture particolari che sono i tubuli T, invaginazioni della membrana plasmatica che hanno un ruolo cruciale nell’accoppiamento EC ma che aumentano l’area di superficie della membrana. Ma, se quest’ultima aumenta, non può che aumentare anche la capacità di membrana e, quindi, la costante di tempo, portando a questo “slargamento” della curva.
Due molecole e si tratta di un legame cooperativo di cui legame della prima molecola facilita il legame dell'altra
pressione che vige nel cavo pleurico, ed è la stessa che vige nel mediastino e nel torace; mediamente pari a -3mmHg (=-5cmH2O), anche se in realtà la situazione è leggermente diversa, perché il polmone è come appeso, quindi c’è un gradiente pressorio cranio-caudale, tale per cui, per effetto della gravità, la pressione endopleurica è più alta alla base del polmone rispetto all’apice. SI misura inserendo un manometro nell’esofago
circa 1,5cmH2O/L/s; in condizioni patologiche questo valore può arrivare aumentare anche di 10 volte, con ripercussioni sulla spesa energetica
’aria alveolare media è composta per il 79% da N2, per il 14% da O2 e per il 5,5% da CO2. l’aria che inspiriamo, è composta per il 79% da N2, per il 21% da O2 e per lo 0,03% da CO2; mentre l’aria che espiriamo è composta per il 79% da N2, per il 16% da O2 e per il 4,5% da CO2:
il primo esito di una contrazione dei muscoli inspiratori è un ampliamento della gabbia toracica, che si traduce in una diminuzione della pressione endopleurica (arriva a -6mmHg). Essendo la pressione transpolmonare data dalla differenza fra la pressione all’interno del polmone (intrapolmonare) e la pressione all’esterno del polmone (endopleurica), la diminuzione della pressione endopleurica, che consegue alla contrazione dei muscoli inspiratori, determina un aumento della pressione transpolmonare, che a sua volta comporta un aumento del volume del polmone (perché diminuisce la pressione all’esterno quindi si espande) e di conseguenza, per la legge di Boyle, una diminuzione della pressione intrapolmonare al di sotto di quella atmosferica. (Quindi è la pressione endopleurica il motore di tutto, perché più vogliamo espandere il polmone più dobbiamo abbassare la pressione endopleurica). Se la pressione intrapolmonare diventa negativa, cioè diventa subatmosferica, allora, per gradiente pressorio, dall’esterno l’aria entra nel polmone, fino al momento in cui la pressione nell’alveolo avrà eguagliato quella atmosferica, cioè sarà 0 (quindi non è l’ingresso di aria a determinare l’aumento di volume del polmone, ma è l’aumento di volume a determinare l’ingresso di aria).
Quindi durante il ciclo respiratorio la pressione transpolmonare ha un andamento sinusoidale, con oscillazioni ci circa 1mmHg aldi sopra e al di sotto della pressione atmosferica. In fase di CFR, la pressione transpolmonare ha lo stesso valore di quella atmosferica, cioè vale 0mmHg. Poi durante la fase di inspirazione essa scende al di sotto di quella atmosferica fino ad un valore di -1mmHg, perché diminuisce la pressione endopleurica, quindi aumenta la pressione transpolmonare, quindi aumenta il volume del polmone; in questa fase c’è flusso entrante di aria perché c’è un gradiente pressorio. Man mano che entra l’aria negli alveoli però, aumenta la pressione all’interno del polmone e quindi il grafico della pressione transpolmonare piano piano risale, estinguendo
progressivamente il gradiente pressorio; quando la pressione transpolmonare torna ad eguagliare quella atmosferica, cioè torna a 0mmHg, allora il gradiente pressorio è completamente estinto e il flusso si arresta, cioè l’aria smette di entrare. Poi da questa situazione di transizione con flusso 0,
inizia l’espirazione: la pressione transpolmonare sale al di sopra quella di atmosferica fino a +1mmHg, perché aumenta la pressione endopleurica, quindi diminuisce la pressione transpolmonare, quindi diminuisce il volume del polmone; in questa fase c’è flusso uscente di aria perché c’è un gradiente pressorio. Man mano che esce aria dagli alveoli però, la pressione all’interno del polmone diminuisce e quindi il grafico della pressione transpolmonare piano piano riscende,
estinguendo il gradiente pressorio; quando la pressione transpolmonare torna ad eguagliare quella atmosferica, cioè torna nuovamente a 0mmHg, allora il gradiente pressorio è completamente estinto e il flusso si arresta, cioè l’aria smette di uscire, e si torna alla situazione iniziale di CFR.
FOTORECETTORI, sono recettori di tipo III, perché l’informazione passa dal recettore (fotorecettore) alla fibra afferente primaria (cellula gangliare) per il tramite di una cellula bipolare che si interpone fra i due; oltre a questi tre tipi cellulari (cellula bipolare, cellula gangliare e fotorecettore) esistono anche degli interneuroni che consentono un collegamento orizzontale fra i neuroni, cioè le cellule orizzontali (nello strato plessiforme esterno, in cui realizzano contatti reciproci fra i fotorecettori) e le cellule amacrine (nello strato plessiforme interno, in cui prendono contatto sia con le cellule gangliari sia con le cellule bipolari, tramite sinapsi sia chimiche che elettriche)
due tipi di canali ioni: canali CNG, ossia canali cationici aspecifici (fanno passare Na+ e Ca++), che non sono attivati dal voltaggio, ma sono ligando-attivati, con la particolarità che il ligando li attiva sul versante intracellulare ed è rappresentato da un nucleotide ciclico, il cGMP (simili ai canali HCN, ma quelli sono attivati dal voltaggio e solo regolati dai nucleotidi ciclici); canali passivi per il K+, che sono perennemente aperti e consentono un continuo flusso uscente di K+.
in condizioni di buio, il potenziale di membrana dei fotorecettori è di -40mV (cioè parzialmente depolarizzato): questo è dovuto al fatto che il buio comporta un’alta concentrazione di cGMP all’interno del fotorecettore, di conseguenza i canali CNG sono aperti e consentono un flusso entrante di Na+ e Ca++, che, essendo più consistente rispetto al flusso uscente di K+ (dovuto ai canali passivi per il K+), determina questa lieve depolarizzazione del potenziale di membrana; in questa condizione in cui la cellula è parzialmente depolarizzata si ha effettivamente un rilascio di NT (glutammato) a livello della sinapsi fotorecettore–cellula bipolare.
singolo fotopigmento opsina può attivare 800 trasducine, che attivano 800 fosfodiesterasi, ciascuna delle quali può idrolizzare 6 cGMP, determinando la chiusura di 200 canali CNG e quindi 1mV di iperpolarizzazione.
singolo fotopigmento opsina può attivare 800 trasducine, che attivano 800 fosfodiesterasi, ciascuna delle quali può idrolizzare 6 cGMP, determinando la chiusura di 200 canali CNG e quindi 1mV di iperpolarizzazione.
Dipendono dalla vie che esse attivano ovvero nel caso dei bastoncelli sono legate all’effetto di sommazione che si verifica a livello delle cellule bipolari, ciascuna delle quali riceve la convergenza di 15-30 bastoncelli e presenta quindi un campo recettivo abbastanza grande. Invece infatti i coni sono implicati in circuiti in cui spesso vi è un rapporto 1:1 fra il fotorecettore e la cellula bipolare che esso contatta, per cui una singola cellula bipolare riceve informazioni da uno o pochi coni e successivamente le invierà alla cellula gangliare. Quindi l’elevata acuità sensoriale e la scarsa sensibilità all’intensità della stimolazione luminosa sono legate al basso rapporto cono– cellula bipolare e al fatto che queste cellule bipolari presentano quindi un campo recettivo molto piccolo
i bastoncelli sono 90/100 milioni, e sono molto espressi in periferia e quasi assenti nella fovea; i coni sono 4/6 milioni, e sono quasi assenti in periferia e molto concentrati a livello della fovea (in particolare a livello della foveola si trovano esclusivamente coni e si verifica uno spostamento degli strati interni della retina per permettere un migliore passaggio dell’onda elettromagnetica fino allo strato dei fotorecettori senza rifrazione). Il fatto che la fovea presenti un’elevata densità di espressione di coni e un’elevata densità di innervazione, fa sì che in quest’area si abbia la massima acuità visiva; per questo motivo l’occhio effettua continui sforzi per fare in modo che lo stimolo cada a livello della fovea, così che l’oggetto d’interesse venga mantenuto sul fuoco
l’acuità visiva, o potere risolutivo, rappresenta l’angolo visivo minimo, cioè la distanza minima alla quale due punti vengono percepiti come distinti, e vale mediamente 0,0016°, cioè circa 1 minuto. Questo valore di 0,0016° come potere risolutivo dell’occhio, corrisponde a una distanza di 5μm e significa che due punti, per essere risolti come due punti separati, dovranno andare a stimolare due coni che siano ad una distanza minima di circa 5 μm. l’acuità visiva si misura in decimi di visus (visus = angolo visivo minimo = acuità visiva) attraverso le tavole ottotipiche:
collegato a due diverse cellule gangliari, per il tramite di due diverse cellule bipolari: il singolo cono è implicato in un circuito divergente, in cui fa sinapsi sia con una cellula bipolare centro–ON, che a sua volta fa sinapsi con una cellula gangliare centro–ON, sia con una cellula bipolare centro–OFF, che a sua volta fa sinapsi con una cellula gangliare centro–OFF. In condizioni di buio il cono è depolarizzato e rilascia glutammato a livello delle sinapsi con le cellule bipolari; il glutammato ha un diverso effetto sulle due cellule bipolari, e quindi di conseguenza sulle due cellule gangliari: eccita la cellula bipolare centro–OFF, perché questa esprime molti recettori NDMA (recettori ionotropici per il glutammato), quindi questa si depolarizza e va a sua volta a eccitare la cellula gangliare centro–OFF a cui è collegata; inibisce (recettore metabotropico) la cellula bipolare centro–ON, perché si lega a recettori metabotropici di tipo 6, che sono accoppiati ad una proteina G che determina la chiusura dei canali cationici, con conseguente iperpolarizzazione e inibizione anche della cellula gangliare centro–ON a cui è collegata. Se interviene uno stimolo luminoso, il cono si iperpolarizza e rilascia meno glutammato; il minore rilascio di glutammato determina il venir meno dell’inibizione sulla cellula bipolare centro–ON, che quindi si attiva e eccita la cellula gangliare centro–ON, e il venir meno dell’eccitazione sulla cellula bipolare centro–OFF, che quindi si inattiva e fa inattivare anche la cellula gangliare centro–ON. Quindi l’attivazione delle cellule gangliari centro–ON segnala il passaggio da uno stato di buio a uno stato di luce, mentre le cellule gangliari centro–OFF segnalano il passaggio da uno stato di luce a uno stato di buio: in questo modo viene segregata l’informazione luce/buio.
l’attivazione delle cellule gangliari centro–ON segnala il passaggio da uno stato di buio a uno stato di luce, mentre le cellule gangliari centro–OFF segnalano il passaggio da uno stato di luce a uno stato di buio: in questo modo viene segregata l’informazione luce/buio.
Oltre all’informazione luce/buio, questo tipo di circuito consente di codificare l’altra componente dello stimolo che serve ad avere informazioni sui contrasti di luminanza, cioè l’antagonismo centro/periferia. una cellula gangliare centro–ON, questa ha la massima frequenza di scarica quando il segnale cade esattamente sul cono al centro del campo recettivo e non c’è presenza di segnale in periferia; man mano che il segnale si estende verso la periferia, la frequenza di scarica diminuisce, quindi il segnale viene smorzato perché viene meno l’iniziale contrasto centro/periferia. Quindi determinati segnali possono apparire valorizzati perché c’è un maggiore contrasto centro/periferia, mentre altri possono apparire smorzati perché c’è un minore contrasto centro/periferia.
Tale smorzamento del segnale viene mediato dalle cellule orizzontali: queste connettono fra loro i coni di un determinato campo recettivo, e così fanno in modo che la via attivata dal cono al centro venga eccitata di meno quando anche i coni in periferia sono eccitati dallo stimolo luminoso, cioè quando lo stimolo si estende in periferia; l’azione di queste cellule orizzontali avviene con il meccanismo della “riduzione della riduzione di glutammato”: se la luce cade sul cono al centro e non in periferia, i coni in periferia sono al buio, quindi depolarizzati e liberano glutammato, il quale va a stimolare le cellule orizzontali, che rilasciano GABA, il quale induce l’ulteriore iperpolarizzazione del cono al centro (già iperpolarizzato dalla luce), che quindi rilascia meno glutammato e va ad attivare la cellula bipolare centro–ON e la cellula centro gangliare centro–ON; se invece la luce cade anche in periferia, il cono in periferia rilascia una quantità inferiore di glutammato, quindi la cellula orizzontale non viene stimolata e non rilascia GABA, perciò il cono al centro è meno iperpolarizzato e non eccita la cellula bipolare centro–ON e la cellula gangliare centro–ON.
dipende sia dall’antagonismo centro/periferia sia dal Ca++, ossia il fenomeno dell’adattamento alla luce: con l’aumento dell’intensità dello stimolo, diminuisce la sensibilità del sistema visivo (per evitare la saturazione), quindi, man mano che aumenta l’intensità luminosa, sarà necessaria un’intensità maggiore della sorgente affinché questa venga distinta dallo sfondo; questo si traduce in un adattamento della frequenza di scarica. Ogni volta la frequenza di scarica viene scalata in relazione allo sfondo: se aumenta l’intensità luminosa dello sfondo, cioè diminuisce il contrasto centro/periferia, la cellula gangliare riduce la propria frequenza di scarica. La frequenza di scarica quindi non è un indicatore assoluto della luminanza bensì della differenza tra sorgente e sfondo
ogni volta la frequenza di scarica viene scalata in relazione allo sfondo: se aumenta l’intensità luminosa dello sfondo, cioè diminuisce il contrasto centro/periferia, la cellula gangliare riduce la propria frequenza di scarica. Questo permette che la cellula gangliare sia in grado di scaricare per un range così vasto di intensità luminose senza andare incontro a saturazione, ftto dovuto sia dall’antagonismo centro/periferia sia dal Ca++, ossia il fenomeno dell’adattamento alla luce: con l’aumento dell’intensità dello stimolo, diminuisce la sensibilità del sistema visivo (per evitare la saturazione), quindi, man mano che aumenta l’intensità luminosa, sarà necessaria un’intensità maggiore della sorgente affinché questa venga distinta dallo sfondo . La frequenza di scarica quindi non è un indicatore assoluto della luminanza bensì della differenza tra sorgente e sfondo
in condizioni di bassa intensità luminosa i livelli intracellulari di Ca++ sono alti e questo ha un effetto inibitorio sulla Guanilato Ciclasi (# produzione di meno cGMP # minore attivazione dei CNG # iperpolarizzazione), sui canali CNG (complesso Ca++–calmodulina si lega a sito per il cGMP e ne impedisce il legame # iperpolarizzazione) e sulla rodopsina–chinasi; man mano che l’intensità luminosa aumenta, il fotorecettore viene desensibilizzato, cioè la sua risposta alla luce è via via minore, perché diminuiscono i livelli intracellulari di Ca++, quindi si attivano la Guanilato Ciclasi (# produzione di cGMP # maggiore attivazione dei CNG # minore iperpolarizzazione), i canali CNG (#minore iperpolarizzazione) e la rodopsina–chinasi (# fosforilazione della rodopsina # interazione rodopsina–restina # impossibilità di interazione rodopsina–trasducina # minore inibizione dei canali CNG # minore iperpolarizzazione).
sintesi additiva (RGB), per cui si sommano fra loro i colori primari (rosso, verde, blu) per ottenere i colori complementari, cioè ciano (verde + blu), magenta (blu + rosso) e giallo (verde + rosso), e dalla somma di tutti e tre i colori primari si ottiene la luce bianca; sintesi sottrattiva (CMY), per cui si parte dalla luce bianca (che contiene tutti i colori) e la si fa passare attraverso filtri formati da due dei tre colori complementari (ciano, magenta, giallo) per ottenere i colori primari
il nostro sistema visivo è attivato dal sistema additivo RGB
mentre c’è solo un tipo di bastoncelli (sensibile a lunghezze d’onda di 500nm), esistono tre tipi di coni, ciascuno dei quali è sensibile a una specifica lunghezza d’onda (anche se c’è comunque un certo grado di aspecificità, perché ciascun cono può essere eccitato anche da altre lunghezze d’onda se si aumenta l’intensità luminosa): coni S (contenti un’opsina sensibile a lunghezza d’onda di 430nm, cioè al blu), coni M (contenti un’opsina sensibile a lunghezza d’onda di 530nm, cioè al verde) e coni L (contenti un’opsina sensibile a lunghezza d’onda di 570nm, cioè al rosso);
Quando il segnale cade esattamente sul cono al centro e il campo ricettivo e non c'è presenza di segnale in periferia perché man mano che il segnale si estende per la periferia la frequenza di scarica diminuisce perché viene meno l'iniziale contrasto centro periferia
Dall'antagonismo centro periferia e dal calcio
perché ci troviamo in una condizione di luce dove lavorano solo i coni che se sottoposti a una fonte luminosa riducono la loro sensibilità e i bastoncelli sono saturi poiché devono originare la rodopsina fotopigmento che in condizioni elevata luminosità non è pronto nella sua forma attiva col retinale legata alla rodopsina e ci vogliono almeno 10 minuti affinché bastoncelli rigenerino la rodopsina e aumentino la sensibilità al buio ma nel frattempo i coni che sono a rapida adattamento si adattano più rapidamente ma hanno bassa sensibilità e si ha un recupero della sensibilità solo da zero a 10 mV mentre poi da 10 a 10.000 mV quando riaumentano la sensibilità i bastoncelli a lento adattamento
mentre la rilevazione del colore avviene a livello degli specifici recettori, la codificazione vera e propria dell’informazione colore non avviene a livello dei diversi tipi di coni, ma avviene proprio a livello delle cellule gangliari grazie a un circuito centro–ON e centro–OFF, in cui l’ON e l’OFF sono dati da colori diversi. Tale codificazione che inizia presso la retina si basa sulla teoria dell’opponenza cromatica: i segnali di colore sono esaltati nella condizione in cui la cellula sia centro–ON per quel colore e periferia–OFF per il colore opposto (cellule ad opponenza cromatica semplice); le tre linee di opponenza cromatica sono rosso-verde, bianco-nero, blu-giallo. esistono anche cellule coesistite ad Opponenza cromatica che sarebbero stimolate da una luce blu al centro e una periferia gialla off dovuta alla ricezione di informazioni combinate gialle quindi da coni rosso e verde
CELLULE GANGLIARI M: rappresentano la componente magnocellulare (grandi dimensioni). Sono eccitate da cellule bipolari diffuse, quindi hanno un basso potere risolutivo ma un’alta sensibilità; presentano campi recetti grandi; hanno assoni con alta velocità di conduzione, che determinano risposte rapide e transitorie, quindi adatte a codificare aspetti dinamici dello stimolo, come la velocità, la frequenza e il rapido adattamento
$ CELLULE GANGLIARI P: rappresentano la componente parvocellulare (piccole dimensioni). Sono eccitate da cellule bipolari nane (cioè quelle che realizzano rapporto 1:1 con i coni), quindi hanno un alto potere risolutivo ma una bassa sensibilità; presentano campi recetti piccoli; hanno assoni con bassa velocità di conduzione, che determinano risposte lente e prolungate, quindi adatte a codificare aspetti statici dello stimolo, come la durata e le caratteristiche cromatiche (colori)
La via Magnocellulare parte dalle cellule gangliari M arriva agli strati uno e due del corpo genicolato laterale del talamo e proiettano allo strato IV–Ca di V1, questo strato a sua volta proietta allo strato IV–B di V1, che a sua volta proietta alla corteccia V2 per il livello successivo di elaborazione corticale, e in particolare proietta alle strisce spesse di V2. Da qui la via dorsale raggiunge la CORTECCIA MEDIO-TEMPORALE (V5) e poi da lì la CORTECCIA PARIETALE DORSALE.
la via Parvo cellulare parte dalle cellule gangliari P arriva agli strati 3,4,5,6 del corpo genicolato laterale del talamo proiettano allo strato IV–Cb di V1, questo strato a sua volta proietta agli strati II e III di V1, che presentano un’organizzazione in zone blob e inter-blob: i neuroni delle zone blob ricevono informazioni relative al colore, mentre i neuroni delle zone inter-blob ricevono informazioni relative al dettaglio. I neuroni degli strati II e III a loro volta proiettano alla corteccia V2 per il livello successivo di elaborazione corticale, e in particolare i neuroni delle zone blob proiettano alle strisce sottili di V2, mentre i neuroni delle zone inter-blob proiettano alle inter-strisce di V2. Da qui raggiungono la corteccia V4 e da lì la CORTECCIA TEMPORALE INFERIORE, termina cosi la via del cosa
La via Magnocellulare parte dalle cellule gangliari M arriva agli strati uno e due del corpo genicolato laterale del talamo e proiettano allo strato IV–Ca di V1, questo strato a sua volta proietta allo strato IV–B di V1, che a sua volta proietta alla corteccia V2 per il livello successivo di elaborazione corticale, e in particolare proietta alle strisce spesse di V2. Da qui la via dorsale raggiunge la CORTECCIA MEDIO-TEMPORALE (V5) e poi da lì la CORTECCIA PARIETALE DORSALE.
la via Parvo cellulare parte dalle cellule gangliari P arriva agli strati 3,4,5,6 del corpo genicolato laterale del talamo proiettano allo strato IV–Cb di V1, questo strato a sua volta proietta agli strati II e III di V1, che presentano un’organizzazione in zone blob e inter-blob: i neuroni delle zone blob ricevono informazioni relative al colore, mentre i neuroni delle zone inter-blob ricevono informazioni relative al dettaglio. I neuroni degli strati II e III a loro volta proiettano alla corteccia V2 per il livello successivo di elaborazione corticale, e in particolare i neuroni delle zone blob proiettano alle strisce sottili di V2, mentre i neuroni delle zone inter-blob proiettano alle inter-strisce di V2. Da qui raggiungono la corteccia V4 e da lì la CORTECCIA TEMPORALE INFERIORE, termina cosi la via del cosa/ventrale
Il neurone di II ordine si trova nel talamo, a livello del corpo genicolato laterale; anche nel talamo, come nella retina, continua la segregazione delle informazioni: gli assoni delle cellule M, che trasportano le informazioni relative al movimento, vanno a contattare neuroni di II ordine localizzati negli strati 1 e 2 del corpo genicolato laterale; mentre gli assoni delle cellule P, che trasportano le informazioni relative all’identificazione, vanno a contattare neuroni di II ordine localizzati negli strati 3, 4, 5 e 6 del corpo genicolato laterale (la via koniocellulare proietta agli interstrati). Accanto a questo tipo di segregazione, relativa alla submodalità dello stimolo, nel talamo vi è anche una segregazione delle informazioni in base all’emiretina di provenienza (ogni tratto ottico che arriva al talamo porta informazioni dall’emicampo controlaterale, le informazioni provenienti dall’emiretina controlaterale (nasale) arrivano agli strati 1, 4 e 6, mentre le informazioni provenienti dall’emiretina omolaterale (temporale) arrivano agli strati 2, 3 e 5.)
Þ Orientamento. a livello di V1 avviene una prima forma di integrazione, che consiste nella convergenza di informazioni puntiformi, a formare direttrici di orientamento. I neuroni corticali che hanno questi campi recettivi a forma di barretta prendono il nome di cellule semplici e presentano un’organizzazione in senso radiale e un’organizzazione in senso longitudinale: in senso radiale, c’è un’organizzazione in moduli colonnari, per cui neuroni della stessa colonna hanno barrette disposte con lo stesso orientamento, per cui rispondono tutti a uno stimolo che ha lo stesso orientamento nello spazio; in senso longitudinale, c’è un graduale cambiamento dell’orientamento delle barrette fra 0 e 180°. Quindi a livello di V1 ci sono delle microcolonne che contengono neuroni che rispondono a uno specifico orientamento, e macrocolonne/ipercolonne (formate da diverse microcolonne) che contengono tutti gli orientamenti da 0 a 180°. Vi sono anche le cellule complesse, che hanno una scarica continua e presentano campi recettivi a mosaico, formati dalla convergenza di più barrette luminose (quindi i campirecettivi di queste cellule non presentano regioni puntiformi ON/OFF ben definite); quindi queste cellule sono meno selettive per la posizione dei margini di un oggetto, ma sono attivate quando una linea attraversa il loro campo recettivo, quindi sono adatte a rilevare il passaggio di uno stimolo e la velocità con cui questo stimolo attraversa il campo recettivo. Q
l’analisi di primo livello che consiste nella ricomposizione di quelle caratteristiche dello stimolo che vengono scomposte a livello periferico, così da ricostruire informazioni come l’orientamento, il colore, la disparità e la direzione del movimento:
la ricostruzione e l’integrazione delle disparità binoculari e retiniche consente di ottenere la visione stereoscopica, ossia la percezione della tridimensionalità e della profondità dello spazio. Per quanto riguarda le disparità binoculari, le informazioni trasmesse da ciascun occhio rimangono segregate fino al IV strato di V1, e in particolare a livello dello strato IV–C sono segregate in colonne, cioè moduli di dominanza oculare, l’integrazione di queste informazioni, che consente la stereopsi (3D), avviene dallo strato IV–C in poi, per cui le informazioni dell’occhio destro e dell’occhio sinistro convergono e la risposta dei neuroni diventa binoculare: il neurone corticale dà il senso di profondità, perché integra gli stimoli provenienti dai due “punti corrispondenti” della retina, cioè il punto dell’emiretina nasale omolaterale e il punto dell’emiretina temporale controlaterale eccitati da uno stesso stimolo luminoso. Per quanto riguarda le disparità retiniche, V1 presenta tre diversi tipi cellulari che rispondono alle disparità retiniche, cioè al fatto che le parti di un oggetto stimolano porzioni diverse della retina: far cells (che sono stimolate da punti che si trovano oltre il piano di fissazione), tuned zero (che sono stimolate da punti che si trovano sul piano di fissazione, cioè che cadono esattamente a livello della fovea e della foveola), e near cells (che sono stimolate da punti che si trovano davanti al piano di fissazione); questi neuroni corticali elaborano le informazioni provenienti dai vari punti del campo visivo e le integrano per dare il senso di profondità.
Informazioni sulla variazione del contrasto in base alla frequenza spaziale, Sulla velocità di variazioni in contrasto in base alla frequenza temporale e sulla direzione del moto di un oggetto
far cells (che sono stimolate da punti che si trovano oltre il piano di fissazione), tuned zero (che sono stimolate da punti che si trovano sul piano di fissazione, cioè che cadono esattamente a livello della fovea e della foveola), e near cells (che sono stimolate da punti che si trovano davanti al piano di fissazione); questi neuroni corticali elaborano le informazioni provenienti dai vari punti del campo visivo e le integrano per dare il senso di profondità.
L’informazione di colore e dettaglio è rilevata attraverso i coni, trasmessa attraverso la via parvocellulare (che trasporta informazioni fini che permettono l’identificazione dell’oggetto). Dalle cellule gangliari P passa agli strati 3, 4, 5 e 6 del corpo genicolato laterale, raggiunge lo strato IV–Cb di V1; questo strato a sua volta proietta agli strati II e III di V1, che presentano un’organizzazione in zone blob e inter-blob: i neuroni delle zone blob ricevono informazioni relative al colore, mentre i neuroni delle zone inter-blob ricevono informazioni relative al dettaglio. I neuroni degli strati II e III a loro volta proiettano alla corteccia V2 per il livello successivo di elaborazione corticale, e in particolare i neuroni delle zone blob proiettano alle strisce sottili di V2, mentre i neuroni delle zone inter-blob proiettano alle inter-strisce di V2.
L’informazione relativa alla direzione del movimento viene trasmessa attraverso la via magnocellulare (che trasporta informazioni grossolane e rapide che permettono l’identificazione dello spostamento di un oggetto. Dalle cellule gamgliari M, passa agli strati 1 e 2 del corpo genicolato laterale, raggiunge lo strato IV–Ca di V1; questo strato a sua volta proietta allo strato IV–B di V1, che a sua volta proietta alla corteccia V2 per il li
Circuiti retinici: scompongono le immagini in segnali che rappresentano il contrasto e il movimento
(elementi visivi primari: contrasto, orientamento, luminosità, colore, movimento)
V1 (I livello): integra i segnali per analizzare la forma:
1. Analisi dell’orientamento -> identificazione dei contorni
2. Integrazione del contorno
3. Riunione di elementi locali di un’immagine in una percezione unificata di oggetti e sfondo 4. Integrazione delle afferenze dai due occhi
V2 (II livello - intermedio): analisi proprietà riguardanti la superficie, forma e movimento degli oggetti
LIVELLO SUPERIORE:
- V4 -> integra le informazioni su colore e forma degli oggetti
- AREA INFERO-TEMPORALE -> riconoscimento oggetti
- AREA TEMPORALE MEDIALE -> integra i segnali relativi al movimento dei segnali attraverso lo spazio
un’area associativa unimodale in cui si verifica l’analisi visiva di secondo livello o intermedia, che consiste nella ricostruzione di tre aspetti dell’informazione visiva: forma, colore e movimento. questa elaborazione prevede un certo grado di integrazione delle informazioni (integrazione del contorno ovvero le linee ricostruite presso la corteccia visiva primaria vengono messe insieme per creare il contorno dell'oggetto e distinguerlo rispetto allo sfondo), che però rimangono ancora segregate fino ad aree corticali di ordine superiore, che le integreranno del tutto. Per quanto riguarda l’informazione forma, questa ha che fare con i dettagli dell’oggetto, quindi viaggia come componente della via parvocellulare: dalle zone inter-blob degli strati II e III di V1, raggiunge le inter-strisce di V2. Per quanto riguarda l’informazione colore, anch’essa viaggia come componente della via parvocellulare: dalle zone blob degli strati II e III di V1, raggiunge le strisce sottili di V2. Per quanto riguarda l’informazione movimento, questa viaggia con la via magnocellulare: dallo strato IV–B di V1 raggiunge le strisce spesse di V2. Dalle inter-strisce e dalle strisce sottili e spesse di V2 le informazioni saranno poi inviate ad aree associative di ordine gerarchico superiore, tramite le vie dorsale e ventrale.
le vie che utilizzano l’informazione retinica non per la percezione cosciente ma per coordinare una serie di meccanismi incoscienti e involontari, come la regolazione del ritmo circadiano, la regolazione del diametro pupillare e il riflesso pupillare, i movimenti oculari e i movimenti della testa e del collo:
" Regolazione del ritmo circadiano, cioe VIA RETINO IPOTALAMICA Le informazioni retiniche relative alla condizione di luce o di buio permanente possono raggiungere anche il nucleo soprachiasmatico dell’ipotalamo
" Regolazione del diametro pupillare, VIA RETINO PRETETTALE Le informazioni retiniche relative all’intensità della sorgente luminosa possono raggiungere anche il nucleo di Edinger–Westphal, che si trova nella zona pretettale; che attivano i neuroni parasimpatici del nervo oculomotore (III paio), che vanno a innervare il muscolo sfintere della pupilla, inducendo la miosi (riflesso pupillare). Tali informazioni retiniche raggiungono anche la sostanza reticolare mesencefalica, in cui si trovano neuroni che attivano i neuroni pre-gangliari simpatici dei segmenti T1 e T2 (nuclei cilio-spinali di Budge), che a loro volta vanno ad innervare il muscolo dilatatore della pupilla, inducendo la midriasi.
-Movimenti riflessi della testa e del collo e Movimenti oculari cioe VIA RETINO TETTALE. le informazioni retiniche relative alla comparsa di un oggetto nella scena visiva possono raggiungere anche il collicolo superiore, da cui partono motoneuroni che vanno a innervare i muscoli scheletrici del collo e da cui partono neuroni che vanno a contattare i nuclei di quei nervi cranici che innervano i muscoli estrinseci dell’occhio
È una delle vie visive secondarie e prevede che informazioni retiniche, sia relative al movimento di oggetti sia relative al dettaglio, possono essere utilizzate anche per coordinare i movimenti degli occhi, per cui raggiungono sempre il collicolo superiore, da cui partono neuroni che vanno a contattare i nuclei di quei nervi cranici che innervano i muscoli estrinseci dell’occhio che portano a moltissimi movimenti di fissazione involontaria, la cui funzione è prevalentemente quella di mantenere l’oggetto a fuoco sulla retina. Un esempio di movimenti di fissazione involontaria è il tremore continuo dei nostri occhi, che avviene talmente rapidamente (80 cicli al secondo) che noi non ce ne rendiamo conto; questo tremore permette di eccitare in maniera più appropriata i coni e i bastoncelli e di mantenere l’oggetto rappresentato a livello della corteccia. Altro importante esempio è rappresentato dai movimenti saccadici, ossia dei rapidi movimenti dell’occhio che consentono di mettere a fuoco sulla retina i punti salienti di un’immagine, saltando da un punto all’altro. iniltre vi sono i movimenti di vergenza, ossia i movimenti di convergenza (per oggetti vicini) o di divergenza dei bulbi oculari (per oggetti lontani), che servono a mettere a fuoco l’oggetto sulla retina, facendo in modo che la sua proiezione cada a livello della fovea.
tutti i punti del campo visivo che giacciono sul piano di fissazione cadono a livello dell’oroptero, cioè una linea immaginaria che si trova al centro della fovea e rappresenta l’insieme dei punti dell’oggetto che sono messi massimamente a fuoco; i punti del campo visivo che si trovano appena attorno al piano di fissazione cadono a livello dell’area di Panum, cioè la regione che si trova in stretta vicinanza dell’oroptero e rappresenta i punti dell’oggetto messi a fuoco con un certo grado di variabilità; tutti i punti che cadono al di fuori dell’area di Panum non vengono messi a fuoco e appaiono come doppi (nello strabismo si hanno problemi di messa a fuoco e diplopia).
è la porzione dell’ambiente esterno che viene vista da un solo occhio che sia perfettamente immobile e che fissi un punto davanti a sé. I limiti anatomici del campo visivo sono rappresentati dalla fronte, dal naso e dal mento; il campo visivo ha un’ampiezza di 60° nasalmente, 100° temporalmente, 50-60° superiormente, 60-70° inferiormente.
la porzione binoculare del campo visivo è rappresentata da tutti quei punti che cadono sull’oroptero delle retine di entrambi gli occhi (la visione binoculare consente di annullare la macchia cieca, perché l’informazione che cade sulla macchia cieca di un occhio viene invece recepita dall’altro occhio e viceversa); la porzione monoculare del campo visivo è invece rappresentata da tutti quei punti che cadono sull’oroptero della retina di un solo occhio. un punto che si trovi nella porzione binoculare del campo visivo proietta all’emiretina nasale omolaterale e all’emiretina temporale controlaterale, mentre un punto che si trovi nella porzione monoculare del campo visivo proietta esclusivamente all’emiretina nasale omolaterale, perché l’ostacolo rappresentato dal naso non permette di raggiungere l’emiretina temporale controlaterale.
Nella visione binoculare, ogni elemento retinico ha un valore spaziale, cioè un valore che attribuisce a quello specifico punto della retina stimolato una posizione nello spazio; quindi in ciascun occhio a livello retinico esiste un punto che ha lo stesso valore spaziale di un altro punto situato nell’altro occhio, ad esempio le fovee sono punti corrispondenti. l’OROPTERO: una curva immaginaria in cui si trovano tutti i punti che sono a fuoco contemporaneamente su punti corrispondenti della retina.
Nella regione binoculare abbiamo due rappresentazioni dello stesso oggetto: - una che viene dall’occhio destro;
- una che viene dal sinistro;
hanno lo stesso valore spaziale e sono punti corrsipondenti; l’insieme dei punti corrispondenti viene definito oroptero, e le informazioni provenienti da punti corrispondenti vengono fuse dal nostro cervello in quella che si chiama fusione sensoriale e che fa sì che noi non vediamo le immagini come doppie.
Nell’area vicina a questa linea immaginaria esiste un’area che ha una disposizione leggermente più stretta al centro e un pochino più larga lateralmente, l’AREA DI PANUM.
se l’immagine di un oggetto cade nell’area di Panum non eccita due punti corrispondenti, ma punti che essendo in questa area, vengono comunque fusi insieme, dandoci una visione unica e non doppia dell’oggetto.
Quando invece l’oggetto cade al di fuori dell’area di Panum, questo viene visto come doppio.
Nell’area vicina alla linea immaginaria in cui si trovano tutti i punti che sono a fuoco contemporaneamente su punti corrispondenti della retina detta oroptomero, esiste un’area che ha una disposizione leggermente più stretta al centro e un pochino più larga lateralmente, l’AREA DI PANUM.
se l’immagine di un oggetto cade nell’area di Panum non eccita due punti corrispondenti, ma punti che essendo in questa area, vengono comunque fusi insieme, dandoci una visione unica e non doppia dell’oggetto.
Quando invece l’oggetto cade al di fuori dell’area di Panum, questo viene visto come doppio.
La presenza di punti non corrispondenti e la stimolazione di questi nell’area di Panum è invece usata dai neuroni corticali che corrispondono alla stimolazione dei due occhi per conferire il senso di profondità, permettendo quindi la visione tridimensionale, la cosiddetta stereopsi, caratteristica specifica legata alla visione binoculare.
Poiché la proiezione del campo visivo sulla retina è capovolta e rovesciata, e poiché il tratto ottico ha una rappresentazione controlaterale del campo visivo, l’immagine della scena visiva che arriva in corteccia è capovolta, rovesciata, controlaterale e sproporzionatamente grande per i punti che cadono sulla fovea; la corteccia si occupa di risistemare tutto questo, in modo da garantire una percezione corretta della scena visiva
punti appartenenti a porzioni diverse del campo visivo proiettano in modo diverso sulla retina:
- un punto che si trovi nella porzione binoculare del campo visivo proietta all’emiretina nasale omolaterale e all’emiretina temporale controlaterale;
- un punto che si trovi nella porzione monoculare del campo visivo proietta esclusivamente all’emiretina nasale omolaterale, perché l’ostacolo rappresentato dal naso non permette di raggiungere l’emiretina temporale controlaterale.
Dunque il nervo ottico, che si forma dalle fibre mielinizzate e veloci che originano dalle due emiretine, trasporta informazioni dell’emicampo visivo omolaterale (con le fibre dell’emiretina nasale) e informazioni dell’emicampo visivo controlaterale (con le fibre dell’emiretina temporale).
A livello del chiasma ottico si verifica la decussazione delle sole fibre provenienti dalle emiretine nasali.
Quindi nel tratto ottico, che si forma dal chiasma ottico, si trovano le fibre provenienti dall’emiretina temporale omolaterale, e quindi dall’emicampo controlaterale, e le fibre provenienti dall’emiretina nasale controlaterale (perché ha decussato nel chiasma), e quindi dall’emicampo controlaterale: perciò ciascun tratto ottico porta in corteccia informazioni provenienti da un solo emicampo, quello controlaterale.
una lente convergente, per cui presenta:
- un “centro”, ossia il punto intermedio fra la cornea e il cristallino;
- un “fuoco”, ossia un punto su cui i raggi rifratti vengono fatti convergere;
il fuoco di questa lente convergente cade esattamente sulla retina, per cui la “distanza focale” (distanza centro–fuoco) è la distanza fra il centro dell’occhio, a metà fra cornea e cristallino, e la retina, e ha un valore di 17mm.
il potere di rifrazione di una lente quale l occhio, e quindi di questi mezzi diottrici, viene definito potere diottrico e si misura in diottrie: la diottria è il reciproco della distanza focale, per cui un potere diottrico di 1D significa che la lente è in grado di mettere a fuoco un oggetto su un fuoco che si trovi a una distanza di 1m dal centro della lente. Il potere diottrico dell’occhio, dovuto soprattutto alla cornea e al cristallino, è di 59D, cioè l’occhio fa cadere l’oggetto su un fuoco posto a una distanza dal centro di 1/59m=0,017m=17mm, che corrisponde effettivamente alla distanza focale in un occhio emmetrope.
con la miosi il diametro pupillare può passare da 8mm a 1,5mm
l’occhio è in grado di aumentare la curvatura del cristallino, per aumentare il proprio potere di rifrazione in risposta alla presentazione di uno stimolo che si avvicina; il potere di accomodazione dell’occhio o ampiezza accomodativa si misura in diottrie come il potere di rifrazione, ed è dato dalla differenza fra il reciproco del punto prossimo e il reciproco del punto remoto. Il punto remoto è il punto dal quale originano i raggi che vengono proiettati a fuoco sulla retina senza sforzo di accomodazione, e corrisponde ad infinito, quindi il suo reciproco (1/∞) è 0; il punto prossimo è la distanza minima alla quale un oggetto viene messo a fuoco (più vicino del punto prossimo l’oggetto appare sfocato), ed è diverso per ogni soggetto, quindi il suo reciproco ha valore variabile.
Un occhio emmetrope è un occhio in cui i raggi provenienti dall’infinito convergono senza sforzo di accomodazione sul fuoco (retina) che si trova a 17mm dal centro della lente (fra cornea e cristallino) e raggi provenienti da sorgenti più vicine vengono fatti convergere sul fuoco con sforzo di accomodazione, cioè aumentando la curvatura del cristallino. Un occhio miope è un occhio più lungo del normale, quindi la distanza focale fra centro e retina è maggiore di 17mm; in questo caso i raggi provenienti dall’infinito non convergono sulla retina, ma, essendo questa spostata indietro, cadono su un fuoco che si trova più anteriormente rispetto ad essa. Quindi, per correggere questo tipo di difetto, è necessaria una lente divergente che sposti il fuoco più indietro, sulla retina. Un occhio ipermetrope è un occhio più corto del normale, quindi la distanza focale fra centro e retina è maggiore di 17mm; in questo caso i raggi provenienti dall’infinito non convergono sulla retina, ma, essendo questa spostata in avanti, cadono su un fuoco che si trova più indietro rispetto ad essa. Quindi, per correggere questo tipo di difetto, è necessaria una lente convergente che sposti il fuoco più avanti, sulla retina (il nostro occhio è una lente convergente, esso determina spontaneamente un certo grado di accomodazione per compensare l’ipermetropia, ma questa va comunque corretta con una lente artificiale perché il continuo sforzo accomodativo dell’occhio comporta deficit di attenzione, dolori e mal di testa
è una grandezza fisica definita come un insieme di vibrazioni meccaniche, che si propagano in un mezzo elastico; quindi rappresenta un’onda data dall’alternanza di compressione e rarefazione, che viaggia nell’aria alla velocità di circa 340m/s. è lo stimolo adeguato per attivare recettori coclea
tono puro, rappresentabile graficamente con un’onda periodica e sinusoidale, che presenta oscillazioni con un’unica frequenza; suoni complessi, rappresentabili graficamente con onde non sinusoidali ma periodiche, che presentano oscillazioni a diverse frequenze, in cui si distingue una frequenza più bassa detta “frequenza fondamentale”, e frequenze che sono multipli di questa e vengono definite “frequenze armoniche” ; i rumori sono rappresentabili graficamente con oscillazioni né sinusoidali né periodiche a frequenze casuali.
Forma d’onda: descrive le variazioni dell’ampiezza dell’onda in funzione del tempo; nel caso del tono puro si tratta di un’onda sinusoidale
Frequenza: descrive il numero di eventi per secondo, cioè quante volte l’onda si ripete in un secondo; si misura in Hertz (Hz) e corrisponde a un’importante submodalità del suono, che è la tonalità, cioè come noi percepiamo il suono. Il range di frequenze udibili dall’orecchio umano è piuttosto vasto, va dai 20Hz ai 16000Hz (20000Hz nei neonati); ma il range ottimale, in cui l’orecchio ha la massima sensibilità allo stimolo sonoro, è compreso fra i 1000 e i 4000Hz
Ampiezza: descrive la pressione del suono; si misura in W/m2, o più spesso in Decibel (dB), e dà indicazione di un’importante submodalità del suono, che è l’intensità. Generalmente non ci si riferisce ad un valore assoluto di intensità, ma si rapporta sempre l’intensità del suono ad un valore di riferimento. superiore ai 120dB determinano dolore
Fase: descrive il tempo nel quale si presentano eventi sonori diversi; dà indicazione di quanto i due eventi siano sfasati nel tempo e quindi con quale differenza di tempo vengano percepiti dall’orecchio
può essere visto come il rapporto tra la pressione dello stimolo sonoro e la soglia assoluta, ossia la pressione minima che un suono di 1000Hz deve avere per essere percepito ed evocare una sensazione (quindi si parla di una misura psicofisica non assoluta che dipende dalla nostra percezione). Per la definizione del dB si prende in considerazione la soglia acustica a una frequenza particolare (1000Hz), perché la soglia, cioè l’intensità minima che un suono deve avere per essere percepito, non è uguale a tutte le frequenze. Infatti l’orecchio presenta una sensibilità maggiore (cioè una soglia più bassa, cioè una minore intensità minima necessaria allo stimolo per venir percepito) a determinate frequenze, cioè quelle comprese fra i 1000 e i 4000Hz, che corrispondono al range di frequenze del linguaggio parlato a tono di voce normale. Suoni di intensità superiore ai 100dB iniziano a causare danni al sistema uditivo periferico, suoni di intensità superiore ai 120dB determinano dolore
la soglia, cioè l’intensità minima che un suono deve avere per essere percepito, non è uguale a tutte le frequenze. Infatti l’orecchio presenta una sensibilità maggiore (cioè una soglia più bassa, cioè una minore intensità minima necessaria allo stimolo per venir percepito) a determinate frequenze, cioè quelle comprese fra i 1000 e i 4000Hz, che corrispondono al range di frequenze del linguaggio parlato a tono di voce normale; man mano che ci si discosta da questo range di frequenze, la soglia aumenta e quindi è necessaria una maggiore intensità dello stimolo affinché questo venga percepito.
a livello dell’orecchio interno, la conduzione avviene in un mezzo diverso dall’aria (prima liquido e poi membranoso), quindi lo stimolo subisce un rallentamento e una perdita di pressione e di intensità; per evitare che questo determini un eccessivo smorzamento del segnale, orecchio esterno e orecchio medio adoperano un’amplificazione, tramite risonanza meccanica nel primo caso, e tramite leve e differenze di superfici nel secondo caso. A livello dell’orecchio esterno, lo stimolo sonoro entra nel meato acustico esterno tramite il padiglione auricolare, e raggiunge la membrana timpanica, si verifica un’amplificazione selettiva del segnale, per cui la particolare conformazione del padiglione auricolare fa sì che le frequenze intorno ai 3000Hz (quelle a cui siamo più sensibili, che corrispondono alle consonanti occlusive “ba” e “pa”) aumentino di intensità fino a 100 volte. A livello dell’orecchio medio detto regolatore di impedenza, lo stimolo sonoro si trasmette dalla membrana timpanica alla catena di ossicini (martello, incudine, staffa), che a sua volta lo trasmette alla finestra ovale; si verifica un’amplificazione dell’intensità dello stimolo fino a 200 volte, sia grazie al sistema di leve dei tre ossicini, sia grazie al fatto che la finestra ovale è più piccola della membrana timpanica, quindi la stessa forza viene applicata ad una superficie minore, e questo risulterà in una pressione maggiore (perché P=F/S) e quindi in un’intensità maggiore (x200). A livello dell’orecchio medio è presente anche un sistema per regolare la rigidità del sistema di ossicini (muscolo tensore del timpano, che si inserisce sul martello, e muscolo stapedio, che si inserisce sulla staffa), che ha la funzione di irrigidire il sistema sia per smorzare i suoni di sottofondo e per proteggere il sistema stesso da suoni di intensità troppo elevata.
Alterazioni del sistema di conduzione, a carico dell’orecchio esterno o dell’orecchio medio, determinano la cosiddetta sordità conduttiva (≠sordità nervosa, che è dovuta ad alterazioni lungo la via nervosa); tali difetti possono essere compensati tramite l’utilizzo di apparecchi che amplificano il segnale e lo ritrasmettono alla membrana timpanica.
A livello dell’orecchio medio, lo stimolo sonoro si trasmette dalla membrana timpanica alla catena di ossicini (martello, incudine, staffa), che a sua volta lo trasmette alla finestra ovale; nell’orecchio medio si verifica un’amplificazione dell’intensità dello stimolo fino a 200 volte, sia grazie al sistema di leve dei tre ossicini, sia grazie al fatto che la finestra ovale è più piccola della membrana timpanica, quindi la stessa forza viene applicata ad una superficie minore, e questo risulterà in una pressione maggiore (perché P=F/S) e quindi in un’intensità maggiore (x200). A livello dell’orecchio medio è presente anche un sistema per regolare la rigidità del sistema di ossicini (muscolo tensore del timpano, che si inserisce sul martello, e muscolo stapedio, che si inserisce sulla staffa), che ha la funzione di irrigidire il sistema sia per smorzare i suoni di sottofondo provenienti dal nostro corpo, sia per proteggere il sistema stesso da suoni di intensità troppo elevata.
la COCLEA, che si trova nell’orecchio interno, è costituita da un labirinto osseo, cioè un canale osseo lungo 35mm che si avvolge per circa due giri e mezzo, formando una struttura a chiocciola del diametro di 10mm. All’interno di questa struttura ossea sono contenuti i labirinti membranosi, cioè le tre scale separate da membrane: superiormente rispetto alle altre scale e di fronte alla finestra ovale, si trova la scala vestibolare; inferiormente e in continuità con la scala vestibolare per mezzo dell’elicotrema, si trova la scala timpanica; in mezzo fra le altre due scale, si trova la scala media, che è delimitata superiormente dalla membrana di Reissner (che quindi fa da base alla scala vestibolare), inferiormente dalla membrana basilare (che quindi fa da tetto alla scala timpanica), e lateralmente dalla stria vascolare (che produce l’endolinfa contenuta nella scala media). Le tre scale contengono due diversi tipi di liquidi: nella scala timpanica e nella scala vestibolare è contenuta la perilinfa, che ha la stessa composizione del liquido extracellulare, quindi è ricca di Na+ e povera di K+; nella scala media è contenuta l’endolinfa, che è prodotta dalla stria vascolare e ha la stessa composizione del liquido intracellulare, quindi è ricca di K+ e povera di Na+.
nella scala timpanica e nella scala vestibolare è contenuta la perilinfa, che ha la stessa composizione del liquido extracellulare, quindi è ricca di Na+ e povera di K+; nella scala media è contenuta l’endolinfa, che è prodotta dalla stria vascolare e ha la stessa composizione del liquido intracellulare, quindi è ricca di K+ e povera di Na+.
è una specializzazione della membrana basilare e si poggia su di essa. È formato da cellule di sostegno e da cellule ciliate, cilindriche e dotate di stereociglia, che poggiano sulla membrana basilare e sormontate da una membrana gelatinosa, detta membrana tettoria; le cellule ciliate sono di due tipi, cellule ciliate interne e cellule ciliate esterne.
Le cellule ciliate interne sono i veri e propri recettori del segnale acustico e sono 3500, disposte in un’unica fila; queste presentano ciglia disposte su file parallele, in ordine crescente dalla più bassa alla più alta, tutte rivolte verso il ciglio più alto (che non è un kinociglio); Le cellule ciliate esterne non hanno funzione recettoriale e sono 12000, disposte su tre file. Queste hanno probabilmente la funzione di amplificare il segnale che arriva alle cellule ciliate interne, perché sono in grado di contrarsi e abbassarsi per esercitare una trazione sulla membrana tettoria e aumentare quindi la deflessione delle ciglia delle cellule ciliate interne
Le cellule ciliate esterne non hanno funzione recettoriale e sono 12000, disposte su tre file. Queste hanno probabilmente la funzione di amplificare il segnale che arriva alle cellule ciliate interne, perché sono in grado di contrarsi e abbassarsi per esercitare una trazione sulla membrana tettoria e aumentare quindi la deflessione delle ciglia delle cellule ciliate interne: lo stimolo sonoro determina una depolarizzazione anche nelle cellule ciliate esterne; mentre le cellule ciliate interne sono ancora depolarizzate, nelle cellule ciliate esterne la depolarizzazione attiva la prestina, una proteina contrattile sensibile al voltaggio e localizzata nella membrana baso-laterale; l’attivazione e contrazione della prestina determina un accorciamento della cellula ciliata esterna, che in questo modo stira la membrana tettoria e aumenta il movimento delle ciglia delle cellule ciliate interne e quindi la loro depolarizzazione. Questi movimenti e contrazioni delle cellule ciliate esterne determinano l’emissione di un suono (emissione otoacustica) che può essere registrato per lo screening della funzione uditiva.
sono i veri e propri recettori del segnale acustico e sono 3500, disposte in un’unica fila; queste presentano ciglia disposte su file parallele, in ordine crescente dalla più bassa alla più alta, tutte rivolte verso il ciglio più alto (che non è un kinociglio); ciascun ciglio presenta sull’apice un canale per il K+ sensibile allo stiramento, e i canali per il K+ situati su ciglia di file adiacenti sono collegati da tip-link, filamenti proteici a molla (formati da caderina 23 rigida e anchirina elastica), che possono stirare e aprire questi canali. La porzione basale di queste cellule è immersa nella membrana basilare e circondata da liquido extracellulare, che ha una bassa [K+], quindi questa porzione della cellula presenta un normale potenziale di riposo di -60mV; la porzione apicale di queste cellule è a contatto con la membrana tettoria e situata nella scala media, perciò è circondata da endolinfa, che ha un’alta [K+] e una differenza di potenziale rispetto al liquido extracellulare pari a +80mV, quindi questa porzione presenta un potenziale di riposo iperpolarizzato, di -140mV. In condizioni di riposo le ciglia sono dritte e il tip-link è sottoposto a un lieve stiramento, quindi i canali per il K+ sensibili allo stiramento sono parzialmente aperti e c’è un minimo flusso entrante di K+.
l’onda di compressione determina uno scivolamento in avanti della membrana tettoria e uno spostamento verso l’alto della membrana basilare; al contrario, l’onda di decompressione determina uno scivolamento indietro della membrana tettoria e uno spostamento verso il basso della membrana basilare.
L’onda di compressione determina una deflessione delle ciglia verso il ciglio più alto; lo spostamento delle ciglia verso il ciglio più alto determina uno stiramento del tip-link, che a sua volta stira il canale per il K+ sensibile allo stiramento a cui è agganciato, che di conseguenza si apre; dal momento che la porzione apicale della cellula ciliata è fortemente iperpolarizzata (-140mV) e [K+] nell’endolinfa>[ K+] nella cellula, l’apertura dei canali per il K+ innesca un abbondante flusso entrante di K+ (maggiore rispetto al flusso minimo che si ha in condizioni di riposo), che determina una depolarizzazione della cellula ciliata; la depolarizzazione determina l’apertura dei canali del Ca++–voltaggio dipendenti e quindi l’ingresso di Ca++, che favorisce il rilascio di glutammato a livello della sinapsi con il neurone di I ordine. Inoltre il Ca++ apre dei canali per il K+ nella porzione basale della cellula immersa nel liquido extracellulare; in questo modo si determina un flusso uscente di K+, perché [K+] nella cellula>[ K+] nel liquido extracellulare, e il potenziale di membrana ritorna ai valori iniziali; in questo modo la cellula torna a una condizione di riposo, in cui le ciglia sono dritte: in questa situazione il tip-link è comunque sottoposto a una lievissima trazione, quindi i canali per il K+ sensibili allo stiramento sono parzialmente aperti e si verifica un flusso entrante di K+, seppur minimo.
arriva l’onda di decompressione, che determina una deflessione delle ciglia in verso opposto rispetto al ciglio più alto; questo movimento determina il completo rilassamento del tip-link e quindi la completa chiusura dei canali per il K+ sensibili allo stiramento; in questo modo non vi è alcun flusso entrante di K+; inoltre il K+ continua a uscire dalla porzione basale della cellula tramite i canali attivati dal Ca++; tutto questo determina un’ulteriore iperpolarizzazione della cellula ciliata anche al di sotto dei valori di riposo.
La coclea compie un’analisi spettrale delle frequenze che compongono lo stimolo sonoro, cioè è in grado di scomporre il suono in tutte le sue diverse frequenze, grazie a un codice di posizione: infatti la posizione caratteristica delle cellule ciliate interne rispetto alla membrana basilare permette la codificazione delle varie frequenze che compongono uno stimolo sonoro, perché, in base alla loro posizione, le cellule ciliate saranno più sensibili a determinate frequenze. la teoria dell’onda viaggiante di von Békésy, afferma che l’onda sonora, mettendo in vibrazione la membrana basilare, determina, a seconda della frequenza, un movimento diverso in punti diversi della membrana basilare, che non è omogenea nelle sue caratteristiche. Infatti la membrana basilare è più stretta e rigida alla base e più larga e flessibile all’apice: queste caratteristiche anatomiche del mezzo di propagazione dell’onda sonora, cioè la membrana basilare, fanno sì che cellule ciliate poste in punti diversi della membrana basilare rispondano in modo diverso alla vibrazione impressa dalle diverse frequenze (CODICE DI POSIZIONE). Le cellule ciliate situate nella porzione basale e iniziale della membrana basilare sono più sensibili a stimoli ad alta frequenza, perché le alte frequenze hanno un’energia minore che si estingue quasi subito, invece le cellule ciliate situate nella porzione apicale e finale della membrana basilare sono più sensibili a stimoli a bassa frequenza, perché le basse frequenze hanno un’energia maggiore che si estingue più distalmente: quindi il picco di ampiezza massima della vibrazione della membrana basilare si avrà nella porzione basale per le frequenze alte e nella porzione apicale per le frequenze basse.
è più stretta e rigida alla base e più larga e flessibile all’apice: queste caratteristiche anatomiche del mezzo di propagazione dell’onda sonora, cioè la membrana basilare, fanno sì che cellule ciliate poste in punti diversi della membrana basilare rispondano in modo diverso alla vibrazione impressa dalle diverse frequenze (codice di posizione). Le cellule ciliate situate nella porzione basale e iniziale della membrana basilare sono più sensibili a stimoli ad alta frequenza, perché le alte frequenze hanno un’energia minore che si estingue quasi subito, invece le cellule ciliate situate nella porzione apicale e finale della membrana basilare sono più sensibili a stimoli a bassa frequenza, perché le basse frequenze hanno un’energia maggiore che si estingue più distalmente: quindi il picco di ampiezza massima della vibrazione della membrana basilare si avrà nella porzione basale per le frequenze alte e nella porzione apicale per le frequenze basse.
La caratteristica di frequenza del suono è l’elemento che definisce il campo recettivo dei neuroni della via sensoriale uditiva; il fatto che un singolo recettore sia innervato da più neuroni di I ordine, significa che c’è un’alta densità di innervazione e che i campi recettivi di ciascun neurone sono molto piccoli, quindi questo sistema ha un’altissima acuità sensoriale, che gli permette di discriminare variazioni di frequenza anche dell’ordine di 2-3Hz. Il campo recettivo di questi neuroni è descritto dalla curva tonale, cioè un grafico che ha in ascisse la frequenza e in ordinate l’intensità; la curva ha la forma di una V, in cui l’apice rappresenta la soglia minima, cioè la frequenza per la quale si ha la risposta alla minima intensità di stimolazione; man mano che l’intensità aumenta, la V si allarga e quindi aumenta il range di frequenze per le quali si ha la risposta; la forma a V della curva tonale evidenzia che, per una bassa intensità, il recettore ha un’elevatissima specificità (risponde a una sola frequenza, l’apice della V), ma, man mano che aumenta l’intensità, il recettore perde la sua specificità (risponde a un range sempre maggiore di frequenze, allargamento della V). Quindi, non solo i recettori e i neuroni di I ordine rispondono ad un range di frequenze sulla base della loro posizione nella membrana basilare, ma ognuno è più sensibile ad una sola specifica frequenza; questa specificità dei recettori viene persa quando il suono supera un certo valore di intensità, perché suoni troppo intensi fanno vibrare tutta la membrana basilare e quindi si perde la capacità di discriminare la singola frequenza.
La fase dà indicazione di quanto due eventi siano sfasati nel tempo. Fino a una frequenza di 3000-4000Hz, lo sfasamento fra la scarica del neurone di I ordine e le onde dello stimolo sonoro è nullo: quindi fino ad una frequenza di 3000-4000Hz la scarica neuronale segue in fase la frequenza con cui si presenta lo stimolo. la depolarizzazione è massima in corrispondenza della massima deflessione delle ciglia, cioè del picco dell’onda, quindi ad ogni picco dell’onda sonora corrisponde una scarica del neurone del I ordine. Questo meccanismo per cui la scarica del neurone riproduce l’andamento dell’onda è chiamato “phase locking”; con questa modalità di scarica “in locking”, i neuroni segnalano la frequenza dello stimolo acustico, perché ogni scarica del neurone corrisponde a un picco dell’onda e quindi a un evento (frequenza = numero di eventi in un secondo).
L’intensità descrive la pressione del suono e si misura in dB. L’informazione intensità viene codificata tramite un codice di frequenza, per cui la frequenza di scarica del neurone dà indicazione dell’intensità del suono: maggiore è l’intensità del suono, maggiore è la deflessione delle ciglia verso lo stereociglio più alto, quindi maggiore è l’entità della depolarizzazione nel recettore, e maggiore è la quantità di glutammato rilasciato a livello della sinapsi con il neurone di I ordine, e di conseguenza è maggiore la frequenza di scarica del neurone. Quindi il neurone di I ordine scarica a frequenza più elevata se lo stimolo è più intenso (codice di frequenza), ma fino a un limite di 40dB; oltre questo limite, e fino a 120dB (oltre i quali si percepisce dolore), non è più sufficiente un solo neurone per codificare l’informazione intensità, quindi si passa a un codice di popolazione, per cui viene reclutato un numero maggiore di neuroni di I ordine , ciascuno con una diversa soglia di attivazione, per cui ognuno entra in gioco quando si supera un certo valore di intensità.
La durata dello stimolo sonoro viene codificata, come l’intensità, grazie a un codice di frequenza, per cui la frequenza di scarica del neurone di I ordine segnala la durata dello stimolo; in particolare la caratteristica di durata è codificata grazie alla particolare modalità di scarica del neurone afferente, che può essere a rapido o a lento adattamento.
non è un semplice trasferimento dell’informazione, ma elabora il segnale e consente la localizzazione dello stimolo uditivo nello spazio extrapersonale: poiché i campi recettivi dei neuroni di I ordine rappresentano soltanto le diverse frequenze dello stimolo sonoro e non le regioni dello spazio sensoriale, la mappa uditiva dello spazio esterno deve essere ricostruita attraverso un’elaborazione che avviene lungo tale via e consiste l’integrazione delle informazioni differenti provenienti dalle due orecchie. Il neurone di I ordine ha la fibra periferica a contatto con il recettore, il soma nel ganglio di Corti e la fibra centrale che forma il nervo vestibolo–cocleare (VIII paio) e che trasporta informazioni monoaurali (provenienti da un solo orecchio) e organizzate tonotopicamente (ogni specifica frequenza è separata dalle altre); il neurone di I ordine contatta il neurone di II ordine, che ha il soma nel nucleo cocleare (dorsale o ventrale), e riceve informazioni ancora monoaurali e con organizzazione tonotopica (i campi recettivi dei neuroni di II ordine e di ordine successivo sono campi –ON e –OFF, formati dalla convergenza di più campi recettivi di neuroni di I ordine, e scaricano con modalità differenti a seconda della specifica combinazione di frequenze); alcune delle fibre del neurone di II ordine decussano, altre rimangono ipsilaterali, in questo modo si crea un fascio che ha una componente ipsilaterale e una componente controlaterale, quindi trasporta informazioni biaurali (provenienti da entrambe le orecchie); questo fascio contatta il neurone di III ordine, che ha il soma o nel nucleo olivare superiore (mediale o laterale) o nel nucleo del corpo trapezoide, e riceve informazioni biaurali e ancora organizzate tonotopicamente; il neurone di III ordine contatta il neurone di IV ordine, che ha il soma nel collicolo inferiore, e riceve sempre informazioni biaurali; il neurone di IV ordine contatta il neurone di V ordine, che ha il soma nel corpo genicolato mediale del talamo, il quale presenta sempre un’organizzazione tonotopica e riceve sempre informazioni biaurali; infine dal corpo genicolato mediale l’informazione raggiunge il neurone di VI ordine, situato nel IV strato della corteccia acustica primaria. Quindi, mentre le informazioni relative alla composizione spettrale del suono viaggiano segregate lungo tutta la via acustica centrale (organizzazione tonotopica), le informazioni provenienti dalle due orecchie vengono integrate lungo la via a partire da nuckeo cocleare, in modo da avere informazioni sulla localizzazione del suono.
mentre le informazioni relative alla composizione spettrale del suono viaggiano segregate lungo tutta la via acustica centrale (organizzazione tonotopica), le informazioni provenienti dalle due orecchie vengono integrate lungo la via, in modo da avere informazioni sulla localizzazione del suono.
mentre le informazioni relative alla composizione spettrale del suono viaggiano segregate lungo tutta la via acustica centrale (organizzazione tonotopica), le informazioni provenienti dalle due orecchie vengono integrate lungo la via, in modo da avere informazioni sulla localizzazione del suono. Perciò la ricostruzione dell’informazione relativa alla localizzazione della sorgente del suono dipende dalla comparazione delle informazioni che arrivano dalle due orecchie, quuindi dall ASSEGNARE VALORE SPAZIALE ALLE DIFFERENZE BIAURALI, con un meccanismo basato sulla rilevazione delle differenze di fase (per frequenze fino a 3000Hz) o con un meccanismo basato sulla rilevazione delle differenze di intensità (per frequenze oltre i 3000Hz).
Questo meccanismo vale per frequenze inferiori ai 3000Hz, cioè quelle frequenze basse per le quali la testa non rappresenta un vero e proprio ostacolo al suono, ma semplicemente offre un percorso più lungo alla propagazione del suono. Quindi, per via della presenza della testa fra le orecchie, si forma un cono d’ombra sonora e il suono, pur mantenendo la stessa intensità, viene percepito in tempi diversi e arriva prima a un orecchio e poi all’altro; si ha la situazione estrema quando il suono proviene da destra o da sinistra, e quindi deve fare tutto il giro attorno alla testa prima di raggiungere l’orecchio controlaterale. Se ricevono il segnale in momenti differenti, i recettori delle due orecchie scaricheranno in momenti differenti, ed è proprio questa latenza, cioè questo sfasamento tra le informazioni che provengono da un orecchio e quelle che provengono dall’altro, a permettere l’identificazione della provenienza dello stimolo. La struttura implicata in questo meccanismo, cioè nella rilevazione dello sfasamento, è il nucleo olivare superiore mediale, che è in grado di identificare sfasamenti in un range di 10-700μs, ed è formato da neuroni che rappresentano un “rilevatore di coincidenza”: ciascun neurone riceve lo stimolo proveniente dalle due orecchio nello stesso istante, perché è contattato da fibre provenienti dall’uno e dall’altro orecchio, che sono di lunghezza diversa per fare in modo che lo stimolo arrivi nello stesso momento (più lunga dall’orecchio da cui parte prima, più corta dall’orecchio da cui parte dopo); ciascun neurone misura una specifica latenza, cioè uno specifico sfasamento, perché è collegato in maniera specifica a due fibre provenienti dalle due orecchie che hanno una determinata differenza di lunghezza e quindi trasportano stimoli con una determinato sfasamento; creando LINEE DI RITARDO, il neurone poi invierà l’informazione alla corteccia, che attribuirà a questa differente latenza una specifica posizione nello spazio: quindi questo sistema consente di ottenere informazioni sulla localizzazione del suono, perché ogni neurone del nucleo olivare superiore mediale è specifico per un particolare valore di sfasamento interaurale.
è il nucleo olivare superiore mediale, che è in grado di identificare sfasamenti in un range di 10-700μs, ed è formato da neuroni che rappresentano un “rilevatore di coincidenza”: ciascun neurone riceve lo stimolo proveniente dalle due orecchio nello stesso istante, perché è contattato da fibre provenienti dall’uno e dall’altro orecchio, che sono di lunghezza diversa per fare in modo che lo stimolo arrivi nello stesso momento (più lunga dall’orecchio da cui parte prima, creando LINEE DI RITARDO, più corta dall’orecchio da cui parte dopo); ciascun neurone misura una specifica latenza, cioè uno specifico sfasamento, LINEE DI RITARDO, perché è collegato in maniera specifica a due fibre provenienti dalle due orecchie che hanno una determinata differenza di lunghezza e quindi trasportano stimoli con una determinato sfasamento; il neurone poi invierà l’informazione alla corteccia, che attribuirà a questa differente latenza una specifica posizione nello spazio: quindi questo sistema consente di ottenere informazioni sulla localizzazione del suono, perché ogni neurone del nucleo olivare superiore mediale è specifico per un particolare valore di sfasamento interaurale. minimo sfasamento colto è di 10 microsecondi e permette di identificare differenze di localizzazione di 1 ° centimetro
Questo meccanismo vale per frequenze superiori ai 3000Hz, cioè quelle frequenze alte per le quali la testa rappresenta un vero e proprio ostacolo al suono; in questo caso l’intermezzo della testa causa una diminuzione dell’intensità del suono, per cui a un orecchio arriva un suono più intenso e all’altro orecchio arriva un suono meno intenso. La struttura implicata in questo meccanismo, cioè nella rilevazione della differenza di intensità, è il nucleo olivare superiore laterale, con il coinvolgimento anche del nucleo del corpo trapezoide: i neuroni del nucleo olivare superiore laterale vengono eccitati da stimoli provenienti dall’orecchio ipsilaterale e inibiti da stimoli provenienti dall’orecchio controlaterale. Quindi un suono proveniente da sinistra determina uno stimolo più intenso proveniente dall’orecchio sinistro, quindi i neuroni del nucleo olivare superiore laterale sinistro vengono eccitati e avranno una maggiore frequenza di scarica (neuroni sx eccitati perché stimolo ipsilaterale); contemporaneamente i neuroni del nucleo olivare superiore laterale destro vengono inibiti, tramite un circuito inibitorio che coinvolge il nucleo del corpo trapezoide, e avranno una minore frequenza di scarica (neuroni dx inibiti perché stimolo controlaterale). Lo stimolo arriva anche all’orecchio destro e determina un’inibizione controlaterale dell’oliva superiore laterale sinistra e un’eccitazione ipsilaterale dell’oliva superiore laterale destra; ma, dal momento che lo stimolo destro è meno intenso del sinistro, l’azione inibitoria/eccitatoria dello stimolo sinistro sovrasta quella dello stimolo destro, e quindi si ha come effetto netto l’inibizione dell’oliva superiore laterale destra e l’eccitazione dell’oliva superiore laterale sinistra, in modo proporzionale alla differenza di segnale che c’è fra un orecchio e l’altro. In seguito all’elaborazione che avviene a livello dei nuclei olivari superiori, con questi due meccanismi, avviene una successiva elaborazione anche nel collicolo inferiore, che contiene una vera e propria mappa di rappresentazione dello spazio extrapersonale, con neuroni che rispondono selettivamente quando lo stimolo proviene da un determinato punto dello spazio. Questa stessa organizzazione si ritrova anche nel talamo, a livello del corpo genicolato mediale.
Meccanismo basato sulla rilevazione delle differenze di fase. Questo meccanismo vale per frequenze inferiori ai 3000Hz, cioè quelle frequenze basse per le quali la testa non rappresenta un vero e proprio ostacolo al suono, ma semplicemente offre un percorso più lungo alla propagazione del suono. Quindi, per via della presenza della testa fra le orecchie, si forma un cono d’ombra sonora e il suono, pur mantenendo la stessa intensità, viene percepito in tempi diversi e arriva prima a un orecchio e poi all’altro; si ha la situazione estrema quando il suono proviene da destra o da sinistra, e quindi deve fare tutto il giro attorno alla testa prima di raggiungere l’orecchio controlaterale. Se ricevono il segnale in momenti differenti, i recettori delle due orecchie scaricheranno in momenti differenti. La struttura implicata in questo meccanismo, cioè nella rilevazione dello sfasamento, è il nucleo olivare superiore mediale, che è in grado di identificare sfasamenti in un range di 10-700μs, ed è formato da neuroni che rappresentano un “rilevatore di coincidenza”.
Meccanismo basato sulla rilevazione delle differenze di intensità. Questo meccanismo vale per frequenze superiori ai 3000Hz, cioè quelle frequenze alte per le quali la testa rappresenta un vero e proprio ostacolo al suono; in questo caso l’intermezzo della testa causa una diminuzione dell’intensità del suono, per cui a un orecchio arriva un suono più intenso e all’altro orecchio arriva un suono meno intenso. La struttura implicata in questo meccanismo, cioè nella rilevazione della differenza di intensità, è il nucleo olivare superiore laterale, con il coinvolgimento anche del nucleo del corpo trapezoide
si trova nel lobo temporale e corrisponde alle aree di Broadmann 41 e 42; si tratta di una corteccia primaria, che e si occupa della ricostruzione delle caratteristiche dello stimolo, che sono state scomposte a livello periferico. presenta un’organizzazione in moduli colonnari, in cui vengono segregate le informazioni:
Þ Frequenza. La corteccia acustica primaria presenta ancora un’organizzazione tonotopica, per cui è formata da colonne di isofrequenza, formate da neuroni che rispondono tutti a una specifica frequenza; quindi l’organizzazione colonnare rispecchia la mappa di posizione presenza a livello dell’organo del Corti, per cui a ogni specifica posizione dei recettori sulla membrana basilare corrisponde una specifica frequenza e quindi una specifica colonna di isofrequenza. Perciò a questo livello l’informazione di frequenza è mantenuta ancora segregata, con un’organizzazione tonotopica in cui c’è una maggiore rappresentazione delle frequenze comprese fra i 1000 e i 4000Hz, cioè il range a cui l’orecchio umano è più sensibile.
Þ Localizzazione. La corteccia acustica primaria ha anche una mappa di rappresentazione dello spazio esterno ed è organizzata in moduli colonnari in cui segregano informazioni che poi saranno ricostruite per identificare l’esatta provenienza del suono. Questi moduli sono: colonne di sommazione, che segregano informazioni biaurali, perché sono formate da neuroni EE che si eccitano per stimoli provenienti sia da un orecchio (E) sia dall’altro (E); colonne di soppressione, che segregano informazioni monoaurali, perché sono formate da neuroni EI che sono eccitati da stimoli provenienti dall’orecchio controlaterale (E) e inibiti da stimoli provenienti dall’orecchio ipsilaterale (I).
La corteccia acustica primaria ha anche una mappa di rappresentazione dello spazio esterno ed è organizzata in moduli colonnari in cui segregano informazioni che poi saranno ricostruite per identificare l’esatta provenienza del suono. Questi moduli sono: colonne di sommazione, che segregano informazioni biaurali, perché sono formate da neuroni EE che si eccitano per stimoli provenienti sia da un orecchio (E) sia dall’altro (E); colonne di soppressione, che segregano informazioni monoaurali, perché sono formate da neuroni EI che sono eccitati da stimoli provenienti dall’orecchio controlaterale (E) e inibiti da stimoli provenienti dall’orecchio ipsilaterale (I).
La corteccia acustica primaria presenta ancora un’organizzazione tonotopica, per cui è formata da colonne di isofrequenza, formate da neuroni che rispondono tutti a una specifica frequenza; quindi l’organizzazione colonnare rispecchia la mappa di posizione presenza a livello dell’organo del Corti, per cui a ogni specifica posizione dei recettori sulla membrana basilare corrisponde una specifica frequenza e quindi una specifica colonna di isofrequenza. Perciò a questo livello l’informazione di frequenza è mantenuta ancora segregata, con un’organizzazione tonotopica in cui c’è una maggiore rappresentazione delle frequenze comprese fra i 1000 e i 4000Hz, cioè il range a cui l’orecchio umano è più sensibile. Le cortecce di ordine gerarchico superiore si occuperanno di codificare per ogni specifica frequenza una lettera o un suono, e quindi di permettere il linguaggio
La corteccia A1 è associata a due aree, l’area caudo-mediale e l’area rostrale, e insieme a queste due aree forma il core. Dal core l’informazione raggiunge il BELT, che è formato dall’area caudo-laterale e dall’area anteriore, ed è un’area associativa unimodale. Dal belt l’informazione raggiunge aree associative di ordine gerarchico superiore attraverso due canali distinti:
-Via dorsale. Dal belt, e in particolare dall’area caudo-laterale, l’informazione raggiunge la CORTECCIA PARIETALE POSTERIORE, che è un’area associativa polimodale che integra informazioni provenienti da varie modalità sensoriali; dalla corteccia parietale posteriore l’informazione raggiunge poi il LOBO FRONTALE, e in particolare le aree correlate al movimento, cioè l’area motoria e l’area pre-motoria. Questa via è finalizzata alla localizzazione dello stimolo, quindi viene definita via del dove?
-Via ventrale. Dal belt, e in particolare dall’area anteriore, l’informazione raggiunge prima il PARABELT, un’altra area associativa unimodale, e poi T2/T3, che infine proiettano al
LOBO TEMPORALE (wernike), e in particolare ad aree coinvolte nel comportamento a livello cognitivo e nella capacità decisionale. Questa via è finalizzata all’identificazione dello stimolo, quindi viene definita via del cosa?
movimenti di natura rotatoria (rollio lungo l’asse x, beccheggio lungo l’asse y, imbardata lungo l’asse z). Le accelerazioni angolari del capo, questi sono rilevati dai CANALI SEMICIRCOLARI, che sono orientati lungo i tre assi, quindi riescono a percepire qualsiasi direzione di rotazione: canale semicircolare laterale, che rileva rotazioni lungo l’asse x; canale semicircolare anteriore, che rileva rotazioni lungo gli assi y e z; canale semicircolare posteriore, che rileva rotazioni lungo gli assi y e z.
CRESTE AMPOLLARI, per quanto riguarda i canali semicircolari, e dalla MACULA, per quanto riguarda gli organi otolitici. In entrambi i casi il recettore è rappresentato dalle cellule ciliate, che hanno stereociglia disposte in ordine crescente di altezza e rivolte verso un kinociglio; la posizione del kinociglio determina l’asse di polarizzazione dell’organo recettoriale: nelle creste ampollari (contenute nelle ampolle dei canali semicircolari) di ciascun canale semicircolare tutte le cellule ciliate hanno il kinociglio rivolto nella stessa direzione; nella macula del sacculo il kinociglio è orientato in senso opposto rispetto alla striola (sottile linea di riferimento), mentre nella macula dell’utricolo il kinociglio è orientato in direzione della striola.
anche in fase di riposo con le ciglia disposte verticalmente, si verifica un flusso entrante di K+ tale da determinare una depolarizzazione e il rilascio di glutammato a livello della sinapsi con la fibra afferente primaria, che scarica un potenziale d’azione; quindi nel sistema vestibolare il neurone di I ordine ha una scarica tonica persistente, perché gli arriva un continuo segnale da parte del recettore. Tale scarica tonica può essere modulata in senso di aumento o diminuzione della frequenza (codice di frequenza di scarica) fa sì che i centri superiori siano continuamente informati, e quindi possano effettuare correzioni del movimento molto rapide, sulla base delle informazioni vestibolari afferenti.
(Quando arriva uno stimolo che porta alla deflessione delle ciglia verso il kinociglio, si verifica una depolarizzazione nel recettore che rilascia una quantità maggiore di glutammato e il neurone di I ordine aumenti la propria frequenza di scarica rispetto alla scarica tonica, quando arriva uno stimolo che porta alla deflessione delle ciglia in verso opposto rispetto kinociglio, si verifica una iperpolarizzazione nel recettore che smette di rilasciare glutammato e fa sì che il neurone di I ordine riduca la propria frequenza di scarica rispetto alla scarica tonica di base).
uno stesso stimolo (movimento della testa in un verso) determina un aumento della frequenza di scarica nel nervo ipsilaterale e una riduzione della frequenza di scarica nel nervo controlaterale; questo diverso segnale sarà poi integrato ed elaborato dai centri superiori, per ricostruire con precisione il movimento. Se i due canali semicircolari laterali (destro e sinistro) lavorano in coppia rilevando lo stimolo che li eccita in maniera opposta, allo stesso modo il canale anteriore destro lavora in coppia con il canale posteriore sinistro, e il canale posteriore destro lavora in coppia con il canale anteriore sinistro.
Le ampolle sono i recettori dei canali e sono formate dalle cellule ciliate, che hanno il corpo posizionato su un epitelio detto “cresta” e le ciglia all’interno della cupola, una struttura gelatinosa che le avvolge (quindi a deflessioni della cupola corrispondono deflessioni delle ciglia) e occupa tutta la sezione dell’ampolla in modo da costituire una sorta di barriera al passaggio dell’endolinfa. I meccanismo che porta alla deflessione delle ciglia coinvolge l’endolinfa, che è contenuta all’interno del labirinto membranoso dei canali semicircolari. Quando la testa ruota in una certa direzione, ad esempio vero sinistra, si verifica una rotazione dei canali semicircolari e quindi della cupola; al contrario, l’endolinfa, che è dotata di un’inerzia elevata, non segue il movimento della testa e rimane ferma: se, mentre l’endolinfa rimane ferma, la testa si muove, l’endolinfa sbatte contro la cupola, causandone una deflessione e di conseguenza una deflessione delle ciglia dei recettori. Nei canali semicircolari che si trovano dal lato della rotazione (in questo caso sinistra), il movimento inerziale dell’endolinfa è in direzione dell’ampolla (movimento ampullipeto) e determina una deflessione delle stereociglia in direzione del kinociglio, quindi si verifica una depolarizzazione del recettore e un aumento della frequenza di scarica della fibra afferente primaria. Invece nei canali semicircolari che si trovano dal lato della rotazione (in questo caso destra), il movimento inerziale dell’endolinfa è in direzione opposta all’ampolla (movimento ampullifugo) e determina una deflessione delle stereociglia in direzione opposta al kinociglio, quindi si verifica una iperpolarizzazione del recettore e una diminuzione della frequenza di scarica della fibra afferente primaria. Quindi uno stesso stimolo (movimento della testa in un verso) determina un aumento della frequenza di scarica nel nervo ipsilaterale e una riduzione della frequenza di scarica nel nervo controlaterale; questo diverso segnale sarà poi integrato ed elaborato dai centri superiori, per ricostruire con precisione il movimento. Se i due canali semicircolari laterali (destro e sinistro) lavorano in coppia rilevando lo stimolo che li eccita in maniera opposta, allo stesso modo il canale anteriore destro lavora in coppia con il canale posteriore sinistro, e il canale posteriore destro lavora in coppia con il canale anteriore sinistro.
essi rilevano le accelerazioni retto-lineari del capo. La struttura recettoriale si trova nella macula dell’utricolo e del sacculo, ed è formata dalle cellule ciliate, che hanno il corpo posizionato su un epitelio e le ciglia proiettate in direzione verticale per l’utricolo e in direzione orizzontale per il sacculo (quindi l’utricolo è adatto a rilevare movimenti lineari sul piano orizzontale e il sacculo a rilevare movimenti lineari sul piano verticale); queste ciglia sono immerse in una sostanza gelatinosa, che presenta una membrana fibrosa con dei sassolini di carbonato di calcio (otoconi), chiamata membrana otolitica, coinvolta nel meccanismo che porta alla deflessione delle ciglia. La membrana otolitica è dotata di una certa mobilità quindi si muove in seguito a movimento della testa, ma offre un’elevata inerzia perché gli otoconi la rendono pesante; quindi l’inclinazione della testa in un senso causa un movimento inerziale in senso opposto di questa membrana, e quindi una deflessione delle ciglia, che determina depolarizzazione, se le ciglia si muovono verso il kinociglio, o iperpolarizzazione, se le ciglia si muovono in verso opposto al kinociglio (la posizione del kinociglio determina l’asse di polarizzazione: questo è rivolto verso la striola nell’utricolo e in verso opposto alla striola nel sacculo). Ad esempio un movimento di inclinazione della testa in avanti comporta un movimento inerziale della membrana otolitica indietro, quindi una deflessione delle ciglia dell’utricolo verso il kinociglio, e quindi una depolarizzazione dei recettori nell’utricolo; al contrario un movimento di inclinazione della testa indietro comporta un movimento inerziale della membrana otolitica in avanti, quindi una deflessione delle ciglia dell’utricolo nel verso opposto al kinociglio, e quindi una iperpolarizzazione dei recettori nell’utricolo.
codice di frequenza di scarica.
Il fatto che il neurone di I ordine abbia una scarica tonica che può essere modulata in senso di aumento o diminuzione della frequenza (codice di frequenza di scarica) fa sì che i centri superiori siano continuamente informati, e quindi possano effettuare correzioni del movimento molto rapide, sulla base delle informazioni vestibolari afferenti.
viene utilizzato un codice di frequenza di scarica. In una rotazione a velocità costante, l’informazione che viene codificata è la velocità, perché la scarica neuronale tonica è in fase con la velocità del movimento. Poiché è l’accelerazione/decelerazione a determinare la deflessione della cupola, e quindi la deflessione delle ciglia, la depolarizzazione/iperpolarizzazione del recettore e l’aumento/ diminuzione della frequenza di scarica del neurone di I ordine, nei movimenti a velocità costante si avrà una variazione della frequenza di scarica solo all’inizio e alla fine del movimento, perché si ha un’accelerazione e decelerazione solo in fase iniziale e finale (cioè quando la testa inizia a muoversi e quando si ferma), mentre nel corso del movimento l’endolinfa segue il labirinto conformandosi al movimento della testa e quindi non sbatte contro la cupola. Le caratteristiche di questo movimento a velocità costante vengono quindi ricostruite dai centri superiori, a partire dall’analisi della frequenza di scarica del neurone di I ordine, che prima aumenta, poi ritorna costante ai livelli basali, e poi diminuisce. Invece in un rapido movimento, l’informazione che viene codificata è l’accelerazione, perché la scarica neuronale fisica è in fase con l’accelerazione del movimento. Quando il movimento è molto rapido, si verifica una rapida accelerazione e un’immediata decelerazione, per cui la cupola viene deflessa, con depolarizzazione e aumento della frequenza di scarica della fibra afferente primaria, e immediatamente torna alla posizione iniziale, con ritorno alla frequenza basale di scarica della fibra afferente primaria. Le caratteristiche di questo movimento molto rapido vengono quindi ricostruite dai centri superiori, a partire dall’analisi della frequenza di scarica del neurone di I ordine, che si modifica per uno stretto lasso di tempo, aumentando molto rapidamente e tornando ai livelli basali altrettanto rapidamente.
15 secondi
Il neurone di I ordine ha la fibra periferica a contatto con il recettore, il soma nel ganglio di Scarpa e la fibra centrale che forma il nervo vestibolo–cocleare (VIII paio); l’assone del neurone di I ordine va a contattare il neurone di II ordine, che ha il soma nel nucleo vestibolare (superiore, inferiore, laterale o mediale). Questi nuclei vestibolari ricevono informazioni da tutti i canali semicircolari e dagli organi otolitici, ma le mantengono segregate sulla base della provenienza, perché sono formati da neuroni che ricevono preferenzialmente afferenze da uno dei canali semicircolari o da uno degli organi otolitici. Dal neurone di II ordine localizzato nei nuclei vestibolari l’informazione può seguire diverse vie: via riflessa, proiezione al cervelletto, via ascendente (neurone di III ordine che si trova nel talamo, a livello del nucleo ventro-postero-laterale; il neurone talamico di III ordine va a contattare il neurone di IV ordine, che si trova in corteccia. La CORTECCIA VESTIBOLARE non è definita in modo preciso, in quanto ci sono più aree deputate alla ricezione di informazioni vestibolari)
è una modalità sensoriale che fa parte del sistema somatosensoriale e consente la rappresentazione del corpo nello spazio, la percezione della posizione degli arti e delle altre parti del corpo, e il senso di movimento degli arti
consiste in una contrazione riflessa del muscolo bicipite in risposta ad uno stiramento del muscolo stesso: quando il muscolo bicipite viene stirato, il fuso neuromuscolare si allunga e rileva l’allungamento delmuscolo; l’informazione relativa all’allungamento viene inviata al midollo spinale tramite la fibra afferente primaria I–a (fibra coinvolta nell’invio di informazioni di rapido e improvviso allungamento); la fibra I–a contatta direttamente un a-motoneurone del muscolo bicipite, realizzando così un circuito molto semplice, l’arco riflesso, cioè un circuito monosinaptico dineuronico che prevede il diretto passaggio dell’informazione da un neurone sensitivo a un a-motoneurone; l’a- motoneurone attivato dalla fibra I–a determina la contrazione delle fibre del muscolo bicipite. La contrazione del bicipite, e quindi la flessione dell’avambraccio, si accompagna a una contemporanea inibizione del muscolo antagonista, realizzata sempre dalla fibra I–a, tramite un circuito inibitorio che coinvolge un interneurone. Controllo del riflesso tramite auto-feedback negativo sul motoneurone alfa (inibizione ricorrente) grazie agli interneuroni inibitori: cellule di Renshaw. La funzione di questo riflesso è quella di far fronte a variazioni del carico a cui sono sottoposti i muscoli e le articolazione, per mantenere la posizione iniziale: l’attivazione del fuso neuromuscolare continuamente riporta il muscolo e l’articolazione alla posizione di partenza, agendo sui muscoli che hanno rilevato la variazione di lunghezza (controllo a feedback negativo sulla lunghezza muscolare)
Lo stimolo che attiva l’organo tendineo di Golgi è la modificazione dello stato di tensione del tendine durante la contrazione muscolare. se il muscolo si contrae il fuso si accorcia, se il muscolo si distende il fuso si allunga, quindi lo stimolo che attiva il fuso neuromuscolare è la modificazione di lunghezza delle fibre muscolari.
consiste in un rilassamento riflesso del muscolo bicipite, in risposta ad una contrazione del muscolo stesso: il muscolo si contrae, quindi l’organo tendineo di Golgi viene stirato e aumenta la frequenza di scarica della fibra I–b; nel midollo spinale la fibra I–b contatta e attiva un interneurone inibitorio, che va così a inibire l’a-motoneurone del muscolo agonista, che quindi si decontrae; in questo modo la fibra I–b realizza un circuito che non è monosinaptico (come nel caso del riflesso miotatico), ma prevede l’intermezzo di un interneurone inibitorio. Contemporaneamente la fibra I–b va ad attivare un interneurone eccitatorio, che attiva l’a-motoneurone del muscolo antagonista, che quindi si contrae. Una funzione di questo riflesso è quella di proteggere il tendine, che, durante una contrazione protratta del muscolo, può andare incontro ad uno stiramento eccessivo; ma la funzione principale di questo riflesso è quella di distribuire la forza di contrazione in maniera omogenea tra le fibre extrafusali che compongono il muscolo: il muscolo si contrae e, con il riflesso miotatico inverso, le fibre in serie con l’organo tendineo di Golgi sono inibite e si rilasciano; quindi vengono reclutate più facilmente le altre fibre meno inibite, e la forza si ridistribuisce. Anche questo circuito, come quello del riflesso miotatico, può essere controllato dai centri superiori e fornire risposte diverse a seconda del contesto., ad esempio nel passo della locomozione, la contrazione del muscolo flessore plantare non determina la risposta inibitoria, perché è funzionale alla stabilizzazione della caviglia durante la fase di appoggio del passo,
Il sistema motorio efferente, che viene attivato in seguito allo stimolo sensoriale, è rappresentato dal SNS. A seconda della provenienza dello stimolo sensoriale che attiva la risposta, si dividono in:
̈ Riflessi profondi. Sono i riflessi propriocettivi, cioè quei riflessi in cui l’informazione sensoriale, che produce la risposta motoria, proviene dai fusi neuromuscolari o dagli organi tendinei di Golgi. Questi riflessi hanno un ruolo nel mantenimento della postura e del tono muscolare; esempi sono il riflesso miotatico e il riflesso miotatico inverso
̈ Riflessi superficiali. Sono i riflessi esterocettivi, cioè quei riflessi in cui l’informazione sensoriale, che produce la risposta motoria, proviene dalla cute o dalle mucose; il sistema motorio efferente è rappresentato dal SNS. Questi riflessi hanno un ruolo protettivo. Esempi sono il riflesso corneale e il riflesso plantare. Un altro esempio è rappresentato dai riflessi addominali, che consistono nella contrazione dei muscoli addominali, in seguito a stimolazione della cute nella regione addominale; poiché i muscoli addominali hanno la funzione di proteggere la cavità addominale, la loro contrazione riflessa ha una funzione protettiva. Un altro esempio è il RIFLESSO FLESSORIO, che è un riflesso nocicettivo, cioè la risposta motoria è innescata da uno stimolo nocicettivo rilevato da un nocicettore superficiale
è un riflesso somatico superficiale quindi esterocettivo e in particolare nocicettivo, cioè la risposta motoria è innescata da uno stimolo nocicettivo rilevato da un nocicettore superficiale: il nocicettore viene attivato dallo stimolo dolorifico, quindi si attiva la fibra A–d; questa, oltre ad ascendere in corteccia, emette delle collaterali che vanno a contattare un interneurone eccitatorio, che attiva l’a-motoneurone del muscolo flessore, e un interneurone inibitorio, che inibisce l’a-motoneurone del muscolo estensore. Quindi questo riflesso consiste nel fatto che lo stimolo nocicettivo determina l’allontanamento della porzione del corpo coinvolta, tramite la contrazione del muscolo flessore e il rilasciamento del muscolo estensore ipsilaterali. Anche questo riflesso, come quello miotatico, è accompagnato da una risposta crociata, per cui controlateralmente, cioè sul lato opposto del corpo, viene evocata una risposta speculare: la fibra A–d emette delle collaterali che vanno ad attivare un interneurone eccitatorio, per l’a-motoneurone del muscolo estensore, e un interneurone inibitorio, per l’a-motoneurone del muscolo flessore; la funzione di questa risposta, sul lato opposto del corpo, è quella di mantenere l’equilibrio e stabilizzare la postura, perché i muscoli estensori sono anti-gravitari (in alcuni casi questa risposta può determinare un vero e proprio salto all’indietro).
circuito che si verifica a livello del midollo spinale, senza il coinvolgimento della corteccia: l’a-motoneurone di un muscolo agonista si attiva e determina la contrazione del muscolo; ma contemporaneamente emette una collaterale che va ad attivare un interneurone di Renshaw, cioè un interneurone inibitorio GABAergico, che va ad inibire l’a-motoneurone del muscolo agonista stesso: si tratta quindi di un’auto-inibizione a feedback da parte del motoneurone stesso. Allo stesso tempo, l’interneurone inibitorio di Renshaw va a inibire anche l’interneurone inibitorio attivato dalla fibra I–a per inibire l’a-motoneurone del muscolo antagonista, e in questo modo determina l’attivazione di quel motoneurone e la contrazione del muscolo antagonista. Questo meccanismo che inibisce il muscolo agonista e attiva il muscolo antagonista è un sistema di autocontrollo, che limita temporalmente e spazialmente la scarica neuronale dell’a-motoneurone; infatti la contrazione del muscolo agonista avviene (l’a- motoneurone rilascia Ach a livello del muscolo), ma viene dato un tempo per questo effetto di contrazione. Inoltre l’interneurone di Renshaw rappresenta un elemento sul quale i centri superiori possono esercitare il proprio controllo, in modo da rendere il sistema più o meno responsivo.
le vie che partono dalla corteccia (sistema laterale) vanno a contattare i motoneuroni che si trovano lateralmente nelle corna anteriori del midollo, per il controllo dei movimenti fini operati dalla muscolatura distale degli arti; mentre le vie che partono dal tronco dell’encefalo (sistema mediale) vanno a contattare i motoneuroni che si trovano medialmente nelle corna anteriori del midollo, per il controllo del tono posturale.
. Gli interneuroni propriospinali lunghi si trovano medialmente e quindi ricevono afferenze dal sistema mediale proveniente dal tronco dell’encefalo; avendo assoni lunghi, si estendono per molti segmenti e attraversano la linea mediana, stabilendo contatti bilaterali e facendo quindi in modo che ci sia un’azione coordinata dei muscoli assiali dei due lati del corpo nella correzione e nel mantenimento della postura; questi interneuroni, contattando i motoneuroni con proiezioni diffuse e bilaterali, sono implicati in un controllo poco fine della muscolatura posturale. Gli interneuroni propriospinali brevi si trovano lateralmente e quindi ricevono afferenze dal sistema laterale proveniente dalla corteccia; avendo assoni brevi, si estendono per pochi segmenti e rimangono ipsilaterali; avendo proiezioni puntuali e unilaterali, questi interneuroni sono implicati in un controllo fine della muscolatura distale.
Sistema mediale. È costituito dalle fibre discendenti di un motoneurone superiore situato nel tronco dell’encefalo, che si distinguono in due componenti, una laterale e una mediale (alle quali si aggiungono le vie aminergiche). Le fibre della componente mediale vanno a contattare (bilateralmente con interneuroni lunghi) un motoneurone inferiore situato nella componente mediale delle corna anteriori del midollo spinale: quindi si tratta di un sistema che controlla soprattutto il tono posturale, perché va a controllare la muscolatura assiale prossimale. Le fibre della componente laterale vanno a contattare (ipsilateralmente con interneuroni brevi) un motoneurone inferiore situato nella componente laterale delle corna anteriori del midollo spinale: quindi si tratta di un sistema che controlla la muscolatura distale degli arti, anche se con una precisione inferiore rispetto al sistema laterale proveniente dalla corteccia. Componente dorsale contatta i muscoli flessori, la ventrale gli estensori.
- via vestibolo-spinale mediale: origina dal nucleo vestibolare mediale e termina a livello dei primi segmenti cervicali e toracici del midollo spinale; è implicata nel controllo posturale ipsilaterale della testa e del collo, in risposta a variazioni della posizione della testa (segnalate dagli organi otolitici e dai canali semicircolari). Si tratta di risposte a feedback, che prevedono una perturbazione della postura e una risposta alla perturbazione
- via vestibolo-spinale laterale: origina dal nucleo vestibolare laterale e raggiunge tutti i segmenti del midollo spinale; è implicata nel controllo posturale ipsilaterale di tutto il corpo e nel mantenimento dell’equilibrio, in seguito a variazioni della posizione del corpo. Anche in questo caso si tratta di risposte riflesse a feedback
- via reticolo-spinale mediale: origina dalla sostanza reticolare pontina e raggiunge tutti i segmenti del midollo spinale; è implicata nel controllo bilaterale del tono posturale di tutto il corpo, tramite facilitazione dei motoneuroni dei muscoli assiali estensori anti-gravitari e inibizione della muscolatura flessoria. Rispetto alle risposte vestibolari, la sostanza reticolare, in virtù della sua connessione con la corteccia, permette dei meccanismi di anticipazione: quando viene prevista una perturbazione dell’equilibrio e della postura (so che sto per compiere una certa azione), si attiva la via reticolo-spinale anche prima che venga effettuato il movimento, per fornire un sostegno posturale preparatorio e preparare il corpo alla modificazione posturale - via reticolo-spinale laterale: origina dalla sostanza reticolare bulbare e raggiunge tutti i segmenti del midollo spinale; è implicata nel controllo bilaterale del tono posturale di tutto il corpo, tramite facilitazione della muscolatura flessoria e inibizione della muscolatura estensoria. Anche in questo caso, la sostanza reticolare permette correzioni posturali anticipatorie
- via tetto-spinale: origina dal collicolo superiore e termina a livello dei segmenti cervicali del midollo spinale; è implicata nel controllo ipsilaterale dei movimenti del collo e della testa in risposta a stimoli visivi
Vie laterali:
- via rubro-spinale: origina dalla componente magnocellulare del nucleo rosso, e raggiunge tutti i segmenti del midollo spinale; è implicata nel controllo controlaterale grossolano della muscolatura distale degli arti, e ha un ruolo importante negli animali, ma controverso nell’essere umano, perché si tratta di un controllo molto meno fine e preciso rispetto a quello operato dal sistema laterale proveniente dalla corteccia
Via aminergiche:
- via cerulo-spinale: origina dal locus coeruleus e dalla sostanza reticolare, decorre nel cordone laterale, e usa come NT la noradrenalina; esercita effetti modulatori di tipo inibitorio
- via rafe-spinale: origina dai nuclei del rafe, decorre nel cordone laterale e nel cordone anteriore, e usa come NT la serotonina; esercita effetti modulatori di tipo inibitorio sulle corna dorsali e tipo facilitatorio sulle corna ventrali
È costituito dalle fibre discendenti di un motoneurone superiore situato in corteccia, che si dividono in una via diretta e in una via indiretta. Le fibre della via diretta vanno a contattare direttamente (o tramite un interneurone) il motoneurone inferiore, che si trova o nel tronco dell’encefalo (per la faccia) o nella componente laterale delle corna anteriori del midollo spinale: quindi questo sistema agisce soprattutto sui muscoli distali degli arti, controllando attività motorie particolarmente raffinate (ad esempio, manipolazione degli oggetti). Le fibre della via indiretta non contattano direttamente il motoneurone inferiore, ma raggiungono il tronco dell’encefalo, a livello del nucleo rosso o della sostanza reticolare, che a loro volta inviano proiezioni discendenti ai motoneuroni inferiori, o laterali o mediali, per il controllo grossolano dei movimenti distali o per il controllo del tono posturale.
Vie indirette:
- via cortico-rubra: origina da aree corticali motorie e termina nel nucleo rosso, da cui origina il fascio rubro-spinale
- via cortico-reticolare: origina da aree corticali motorie e termina nella sostanza reticolare, da cui originano i fasci reticolo-spinali; è implicata nel controllo con meccanismo anticipatorio di attività riflesse finalizzate al mantenimento della postura
Vie dirette:
- via cortico-bulbare: origina dal V strato di aree corticali correlate al movimento e raggiunge i nuclei dei nervi cranici situati nel bulbo; molti assoni cortico-bulbari hanno connessioni bilaterali, tranne alcuni che hanno connessioni solo controlaterali con il nucleo motore del trigemino, il nucleo motore del faciale (parte inferiore della faccia), e il nucleo dell’ipoglosso; la funzione di questa via è il controllo dei movimenti della faccia
- via cortico-spinale (via piramidale): origina dal V strato della corteccia motoria primaria; a livello delle piramidi bulbari il 90% delle fibre decussa e raggiunge i motoneuroni inferiori controlaterali situati lateralmente, quindi si occupa del controllo controlaterale dei movimenti fini degli arti distali e soprattutto della mano (il contatto con il motoneurone inferiore è mediato da interneurone, tranne nel caso dei motoneuroni dei muscoli della mano, in cui il contatto è diretto); il 10% delle fibre non decussa a livello delle piramidi, decorreipsilateralmenteeraggiungegliinterneuroni propriospinali lunghi, che hanno contatti bilaterali con i motoneuroni inferiori situati medialmente, quindi si occupa del controllo bilaterale della muscolatura prossimale del tronco
ha un’organizzazione somatotopica (a regioni corticali vicine corrispondono raggruppamenti di muscoli), con un “homunculus motorio” che vede i muscoli della faccia più lateralmente e gli arti più medialmente. Caratteristica fondamentale di quest’area è che nella corteccia motoria primaria non c’è la rappresentazione del singolo muscolo, ma c’è la rappresentazione del movimento: questo significa che sono codificate le azioni, con i muscoli che si devono attivare in maniera sincrona per quell’azione. Quindi la stimolazione di determinate aree corticali non porta alla contrazione di un singolo muscolo, ma di un pattern di muscoli che compiono un determinato movimento; infatti ogni fibra del fascio cortico-spinale non termina sul motoneurone di un singolo muscolo, ma ha connessioni divergenti su motoneuroni di più muscoli per l’esecuzione di specifici compiti motori (non posso decidere di contrarre il muscolo abduttore lungo del pollice, ma posso decidere di fare un determinato movimento, durante il quale quel muscolo si contrae): per il controllo dei movimenti fini ogni fibra contatta pochi motoneuroni, per il controllo dei movimenti grossolani ogni fibra ha contatti diffusi con molti motoneuroni.
NO, nella corteccia motoria primaria non c’è la rappresentazione del singolo muscolo, ma c’è la rappresentazione del movimento: questo significa che sono codificate le azioni, con i muscoli che si devono attivare in maniera sincrona per quell’azione. Quindi la stimolazione di determinate aree corticali non porta alla contrazione di un singolo muscolo, ma di un pattern di muscoli che compiono un determinato movimento; infatti ogni fibra del fascio cortico-spinale non termina sul motoneurone di un singolo muscolo, ma ha connessioni divergenti su motoneuroni di più muscoli per l’esecuzione di specifici compiti motori
corrisponde all’area di Broadmann 4 ed è responsabile dell’invio del comando motorio (ESECUZIONE); è una corteccia primaria, sede del motoneurone superiore che con il suo assone dà origine alle vie discendenti, che controllano il motoneurone inferiore direttamente o indirettamente. È una corteccia agranulare, perché non ha uno stato IV (strato che riceve input) molto sviluppato, invece ha uno strato V (strato che invia output) ben sviluppato, che contiene cellule piramidali normali (90%, diametro di 4μm) e cellule piramidali giganti o cellule di Betz (5%, contatto senza interneurone con motoneurone inferiore, diametro di 20μm, elevatissima velocità di conduzione come ad esempio i movimenti delle dita della mano).
all’area di Broadmann 6; è una corteccia associativa, ed è responsabile di aspetti più astratti del controllo motorio, che hanno a che fare con l’ideazione del movimento (STRATEGIA). mentre i motoneuroni di M1 sono implicati in azioni dirette allo spazio personale (ad esempio manipolazione oggetti), i motoneuroni della corteccia pre-motoria sono implicati in azioni dirette allo spazio extra-personale (“a distanza di un braccio”). Al contrario dei neuroni piramidali di M1, che scaricano durante l’esecuzione del movimento, i neuroni piramidali delle aree pre-motorie scaricano soprattutto durante la fase che precede il movimento, quindi codificano l’intenzione di compiere il movimento, a cui poi può non seguire necessariamente l’esecuzione del movimento. le aree laterali, ricevendo informazioni dalla corteccia parietale posteriore, sono implicate nell’intenzione a compiere un movimento sulla base di stimoli esterni; mentre le aree mediali, ricevendo informazioni dalla corteccia pre- frontale, sono implicate nell’intenzione a compiere un movimento sulla base di stimoli intrinseci, correlati alla sfera emotiva.
fa prte delle le aree laterali della corteccia premotoria e ricevendo informazioni dalla corteccia parietale posteriore, sono implicate nell’intenzione a compiere un movimento sulla base di stimoli esterni. ha un ruolo molto specifico nel controllo visivo del movimento, quindi riceve informazioni visive dalla corteccia parietale posteriore e le utilizza per l’ideazione e l’applicazione di uno schema motorio (area specifica detta “frontal eye field”); ha un ruolo anche nell’integrazione di informazioni sulla posizione e l’ampiezza del target, e quindi nel controllo di movimenti della mano guidati dallo guardo (coordinazione occhio-mano); inoltre è coinvolta nella codifica di segnali dal mondo esterno, basati su associazioni arbitrarie, quindi movimenti appresi e diventati automatici (ad es. davanti a un semaforo)
fa parte delle aree laterali, ricevendo informazioni dalla corteccia parietale posteriore, sono implicate nell’intenzione a compiere un movimento sulla base di stimoli esterni. ha un ruolo nella codifica di movimenti di evitamento e raggiungimento da parte di testa e braccio, in seguito a stimoli visivi nello spazio peri-personale; quindi è implicata nel circuito parieto-frontale, tramite il quale riceve informazioni relative allo spazio peri-personale, necessarie per organizzare i movimenti di evitamento/raggiungimento all’interno di questo spazio (ad es. camminando schiviamo un ostacolo). Inoltre quest’area ha un ruolo fondamentale nella codifica dello scopo dell’azione, quindi modula la forza al tipo di azione (ad es. se devo dare schiaffo o carezza faccio stesso movimento ma con forza diversa); correlata a questa funzione, c’è un altro ruolo importante, che consiste nella trasformazione delle proprietà tridimensionali dell’oggetto in appropriate azioni ad esso dirette, cioè tramite il circuito parieto-frontale questa corteccia riceve informazioni sensoriali relative a un target e, in base a queste, modula la forza e la modalità dell’azione (ad es. uso più o meno forza a seconda che l’oggetto sia più o meno fragile, o più o meno pesante). Una caratteristica importante della corteccia pre-motoria ventrale è la presenza di un’area (F5), che contiene i cosiddetti neuroni specchio (mirror neurons), non codificano il movimento, ma codificano lo scopo e l’intenzione di compiere il movimento (infatti le aree pre-motorie hanno a che fare con aspetti astratti del movimento, cioè si attivano all’intenzione di compiere il movimento, ma la loro attivazione non determina necessariamente l’effettiva esecuzione del movimento). Sicuramente questi neuroni specchio sono implicati anche nell’apprendimento motorio per imitazione
area motoria supplementare e del cingolo: è coinvolta nella programmazione del movimento in risposta a motivazioni interne, indipendentemente da stimoli provenienti dall’ambiente esterno; quindi presenta connessioni con la corteccia pre-frontale, che ha a che fare con il decision-making e con la motivazione. La rimozione di quest’area riduce il numero di movimenti autoindotti spontanei, ma non altera la capacità di eseguire movimenti in risposta a stimoli esterni. L’area supplementare motoria è implicata nella valutazione degli esiti delle azioni; l’area del cingolo è implicata nell’espressione del comportamento emotivo, che chiama in causa sia il SNS sia il SNA (le emozioni si manifestano sia con risposte comportamentali volontarie sia con risposte viscerali)
è stato definito sia neuronal machine, in quanto è una sorta di computer coinvolto nel controllo del movimento, sia elemento di memoria, in quanto è coinvolto nell’apprendimento dei movimenti. Infatti il cervelletto, nell’ambito del controllo motorio, offre un contributo migliorativo al movimento, per cui ha la caratteristica di essere in grado di rilevare l’errore motorio, cioè rilevare la differenza tra il movimento pianificato e il movimento eseguito (esito del movimento), e corregge questo errore sia durante il movimento stesso (neuronal machine) sia memorizzando la correzione (elemento di memoria), in modo da permettere in seguito l’esecuzione più corretta del movimento
Corrisponde al flocculo e al nodulo; riceve afferenze dal sistema vestibolare, e invia efferenze ai nuclei vestibolari, per il mantenimento della postura e dell’equilibrio. Per quanto riguarda le afferenze, il vestibolo-cerebellum riceve sia dai nuclei vestibolari sia direttamente da collaterali dell’VIII nervo; in entrambi i casi le afferenze sono ipsilaterali. Per quanto riguarda le efferenze, il vestibolo-cerebellum trasmette gli output direttamente dalla corteccia cerebellare, senza passare per i nuclei profondi; tali proiezioni raggiungono i nuclei vestibolari, che a loro volta inviano proiezioni ai motoneuroni inferiori del midollo spinale e del tronco dell’encefalo, per la regolazione dell’equilibrio e per il riflesso vestibolo-oculare.
Corrisponde al verme e alla porzione ad esso adiacente; riceve segnali prevalentemente dal midollo spinale, per il controllo dei movimenti dei muscoli prossimali e distali. Per quanto riguarda le afferenze, lo spino-cerebellum riceve afferenze ipsilaterali dal midollo spinale: in particolare riceve proiezioni dal nucleo dorsale di Clarke, che funzione da stazione di ritrasmissione per afferenze propriocettive, e dal nucleo cuneato esterno, che funge da stazione di ritrasmissione per afferenze tattili; le informazioni sensoriali provenienti dal midollo possono anche non raggiungere direttamente lo spino-cerebellum, ma passare prima per la corteccia cerebrale (vedi cerebro-cerebellum) o per l’oliva inferiore. Nello spino- cerebellum vi è una rappresentazione del corpo ipsilaterale e somatotopica. Per quanto riguarda le efferenze, lo spino-cerebellum trasmette gli output tramite i nuclei interpositi e il nucleo del fastigio, che, tramite il peduncolo cerebellare inferiore, inviano proiezioni a centri deputati al controllo dei movimenti del tronco e della muscolatura prossimale e distale degli arti: inviano proiezioni crociate alla corteccia motoria controlaterale, che invia fibre discendenti ai motoneuroni inferiori, che si trovano nella componente laterale delle corna anteriori e innervano la muscolatura distale degli arti (controllo movimenti fini); inviano anche proiezioni ipsilaterali alla sostanza reticolare e ai nuclei vestibolari, che a loro volta contattano i motoneuroni inferiori, che si trovano nella componente mediale delle corna anteriori e innervano la muscolatura assiale e prossimale degli arti (controllo posturale).
Corrisponde alla porzione più laterale degli emisferi cerebellari; riceve e invia segnali prevalentemente dalla/alla corteccia cerebrale, per l’ideazione di movimenti altamente specializzati, che prevedono un’alternanza spazio-temporale, come ad esempio la semplice alternanza pronazione-supinazione o la complessa formulazione del linguaggio. Informazioni ipsilaterali alla corteccia e controlaterali al corpo. Per quanto riguarda le afferenze, il cerebro-cerebellum riceve sia dalla corteccia parietale posteriore (quindi afferenze sensitive) sia dalle aree pre-motorie (quindi segnali motori); gli assoni che discendono dal V strato della corteccia, per raggiungere il cerebro- cerebellum, possono seguire due vie: dalla corteccia contattano i nuclei pontini del tronco encefalico, che fanno da stazione di ritrasmissione e inviano 20 milioni di fibre afferenti all’emisfero cerebellare controlaterale, tramite il peduncolo cerebellare medio (gli input corticali motori sono controlaterali, quindi le fibre che vanno dai nuclei pontini al cerebro- cerebellum decussano di nuovo perché nel cerebro-cerebellum ci deve essere una rappresentazione ipsilaterale, per poter inviare comandi motori ipsilaterali); le afferenze corticali passano prima per: oliva, sostanza reticolare o nuclei pontini. Le informazioni sensoriali che arrivano al cerebro- cerebellum possono raggiungere o la corteccia cerebellare, che le invia ai nuclei profondi, o direttamente i nuclei profondi, che le ritrasmettono come efferenze. Per quanto riguarda le efferenze, il cerebro-cerebellum trasmette gli output tramite il nucleo dentato, che invia proiezioni controlaterali alla corteccia pre-motoria, che si occupa della pianificazione dei movimenti, e alla corteccia motoria, che a sua volta invia proiezioni discendenti, che contattano i motoneuroni inferiori, che si trovano nella componente laterale delle corna anteriori e innervano la muscolatura distale degli arti (controllo movimenti fini). Oltre a inviare efferenze in corteccia, il cerebro-cerebellum è implicato in un circuito a feedback: il nucleo dentato mandadellecollateralialnucleorosso(componenteparvocellulare),cheasua volta trasmette all’oliva inferiore, che riproietta al cerebro-cerebellum tramite ilpeduncolo cerebellare inferiore; quindi il segnale ritorna al cervelletto.
Le fibre muscoidi provengono dai nuclei pontini, che a loro volta sono contattati dalla corteccia cerebrale (ma trasportano anche le informazioni provenienti dal midollo spinale); sono assoni glutammatergici. Queste fibre, giunte nella corteccia cerebellare, eccitano le cellule dei granuli (interneuroni eccitatori, recettori NMDA), da cui originano le fibre parallele, cioè fibre che decorrono parallele ai folia e si biforcano a T; queste fibre vanno a fare sinapsi eccitatoria (AMPA e M1 che permettono sommazione temporale o spaziale) con moltissime cellule di Purkinje disposte in fila: si tratta di un’informazione assai divergente (sinapsi con molte cellule), ma di una sinapsi molto debole (una sola sinapsi per ogni cellula). La scarsa intensità nella forza di contatto, determina una risposta della cellula di Purkinje che fa sì che l’informazione sia più grezza. Le fibre muscoidi sono associate a uno “spike semplice”, cioè una serie di potenziali d’azione semplici, che si susseguono a una frequenza di 20-50Hz (elevata, perché una singola cellula di Purkinje riceve un gran numero di afferenze). Le fibre muscoidi vanno anche a contattare direttamente i nuclei profondi. Le fibre muscoidi sono coinvolte nei processi che conducono alla genesi dei movimenti e rappresentano il comando per determinare l’output.
Le fibre rampicanti provengono dall’oliva inferiore, che a sua volta è contattata dal nucleo rosso, contattato dalla corteccia cerebrale; sono anch’essi assoni glutammatergici. Queste fibre, “arrampicatesi” fino alla corteccia cerebellare, eccitano direttamente le cellule di Purkinje, senza passare per lo strato dei granuli, e andando a contrarre milioni di sinapsi con una singola cellula: si tratta di un’informazione assai convergente (molte sinapsi su una sola cellula), e quindi di una sinapsi molto forte (la cellula riceve una grande quantità di glutammato tutta insieme). L’elevata intensità nella forza di contatto, determina una risposta della cellula di Purkinje che fa sì che l’informazione sia più fine ed elaborata. Le fibre muscoidi sono associate a uno “spike complesso”, cioè una gobba di depolarizzazione, su cui si inseriscono dei potenziali d’azione. Le fibre rampicanti vanno anche a contattare direttamente i nuclei profondi. Si pensa che il segnale delle fibre rampicanti sia coinvolto nella principale funzione del cervelletto, cioè il feedback moto-sensoriale (correzione dell’errore), e quindi sia un segnale di addestramento, che segna l’errore e determina una correzione a lungo termine del movimento. Tale correzione a lungo termine avviene tramite la Long Term Depression (LTD), che consiste nella modificazione della forza della sinapsi ed è alla base dell’apprendimento motorio; questa modificazione avviene grazie alla fibra rampicante, a livello della sinapsi fra fibre parallele e cellule di Purkinje. Normalmente avviene che la fibra parallela rilascia glutammato a livello della cellula di Purkinje, la quale si attiva e rilascia GABA a livello dei nuclei profondi, inibendo l’output del cervelletto. Quando nel movimento si verifica un errore, la fibra rampicante si attiva e trasporta il segnale di errore; raggiunge anch’essa la cellula di Purkinje, e il rilascio di glutammato, contemporaneamente dalla fibra rampicante e da quella parallela, causa nella cellula di Purkinje un consistente aumento dei livelli intracellulari di Ca++, il quale entra tramite i recettori AMPA e NMDA, abbondantemente attivati dalla grande quantità di glutammato; l’eccesso di Ca++ intracellulare fa da rilevatore di coincidenza dei due segnali (quello proveniente dalla fibra rampicante e quello proveniente dalla fibra parallela) e segnale la necessità di correggere la situazione: il Ca++ attiva (tramite IP3) la PKC, che fosforila il recettore AMPA, determinandone l’internalizzazione, in modo che la risposta della cellula di Purkinje al glutammato sia ridotta; in questo modo si riduce l’attivazione della cellula di Purkinje, che invia meno proiezioni GABAergiche inibitorie ai nuclei di uscita, e quindi si verifica un maggiore output eccitatorio da parte di questi nuclei. Quindi le fibre rampicanti forniscono un segnale di addestramento in grado di segnalare l’errore e di correggerlo, con un miglioramento dell’efficacia dell’output, tramite LTP.
tramite LTP. il segnale delle fibre rampicanti sia coinvolto nella principale funzione del cervelletto, cioè il feedback moto-sensoriale (correzione dell’errore), e quindi sia un segnale di addestramento, che segna l’errore e determina una correzione a lungo termine del movimento. Tale correzione a lungo termine avviene tramite la Long Term Depression (LTD), che consiste nella modificazione della forza della sinapsi ed è alla base dell’apprendimento motorio; questa modificazione avviene grazie alla fibra rampicante, a livello della sinapsi fra fibre parallele e cellule di Purkinje. Normalmente avviene che la fibra parallela rilascia glutammato a livello della cellula di Purkinje, la quale si attiva e rilascia GABA a livello dei nuclei profondi, inibendo l’output del cervelletto. Quando nel movimento si verifica un errore, la fibra rampicante si attiva e trasporta il segnale di errore; raggiunge anch’essa la cellula di Purkinje, e il rilascio di glutammato, contemporaneamente dalla fibra rampicante e da quella parallela, causa nella cellula di Purkinje un consistente aumento dei livelli intracellulari di Ca++, il quale entra tramite i recettori AMPA e NMDA, abbondantemente attivati dalla grande quantità di glutammato; l’eccesso di Ca++ intracellulare fa da rilevatore di coincidenza dei due segnali (quello proveniente dalla fibra rampicante e quello proveniente dalla fibra parallela) e segnale la necessità di correggere la situazione: il Ca++ attiva (tramite IP3) la PKC, che fosforila il recettore AMPA, determinandone l’internalizzazione, in modo che la risposta della cellula di Purkinje al glutammato sia ridotta; in questo modo si riduce l’attivazione della cellula di Purkinje, che invia meno proiezioni GABAergiche inibitorie ai nuclei di uscita, e quindi si verifica un maggiore output eccitatorio da parte di questi nuclei.
Strato dei granuli: cellule eccitatori
Strato delle cellule del Purkijie: proiettano ai nuclei profondi
Strato molecolare: prolungamenti dendritici Purkinjie
Le cellule presenti nella corteccia cerebellare sono: interneuroni, sia eccitatori glutammaterigici (come le cellule dei granuli e le cellule unipolari a spazzola), sia inibitori GABAergici (come le cellule di Golgi, le cellule stellate e le cellule a canestro), e cellule del Purkinje, neuroni inibitori GABAergici, che rappresentano l’unica popolazione cellulare di trasmissione d’uscita dalla corteccia cerebellare.
Nuclei di ingresso: nucleo accumbens, nucleo caudato e putamen (=corpo striato)
̈ Nuclei di uscita: globo pallido interno e sostanza nera pars reticularis
̈ Nuclei modulatori: nuclei subtalamici, globo pallido esterno e sostanza nera pars compacta
come il cervelletto, si occupano della regolazione del movimento, ma non hanno accesso diretto sul motoneurone inferiore, piuttosto sono alla base di un circuito che coinvolge principalmente la corteccia. Il loro compito è quello di regolare l’avvio corretto dei movimenti volontari, il termine dell’azione e la selezione del programma motorio: cioè si occupano di inizio e fine del movimento e durante l’azione inibiscono gli altri programmi motori che potrebbero interferire nell’esecuzione fluida e mirata del movimento (concetti di attenzione e motivazione, quindi sistema con elevato grado di elaborazione corticale). I due nuclei d’ingresso, caudato e putamen, ricevono informazioni segregate:
- il caudato riceve informazioni relative al controllo del movimento degli occhi dalla corteccia prefrontale, dai campi oculari frontali e dalla corteccia parietale posteriore. La via d’uscita proietta sia alla corteccia per via del talamo, sia ai motoneuroni superiori del collicolo
- il putamen riceve informazioni relative al controllo del movimento di arti e tronco dalla corteccia motoria, pre-motoria e somato-sensoriale. La via d’uscita proietta alla corteccia motoria primaria e pre-motoria
si occupano di “decision-making”, cioè di prendere una decisione opportuna e quindi sono coinvolti anch’essi nell’avvio di azioni, ma di carattere cognitivo invece che motorio. Questo circuito coinvolge anche la corteccia pre-frontale, il sistema dopaminergico e il sistema limbico, cioè quelle strutture relative alla motivazione, alla gratificazione e all’emozione (che guidano in modo inconscio il nostro comportamento). Si distinguono due diversi circuiti:
- Circuito prefrontale: elaborazione di un’azione adeguata al contesto sociale. Corteccia prefrontale dorso-laterale # caudato # globo pallido # corteccia prefrontale dorso-laterale #cortecce motorie
- Circuito limbico: elaborazione di un’azione sulla base delle emozioni, della motivazione e delle ricompense. Amigdala, ippocampo, corteccia del cingolo, corteccia orbito-frontale, corteccia prefrontale # nucleo accumbens # aree del sistema limbico
quando non c’è afferenza corticale, i neuroni di entrata (striato) sono molto
iperpolarizzati (down-state) quindi non scaricano, mentre i neuroni di uscita (globo pallido interno e sostanza nera pars reticularis) sono depolarizzati e hanno un’attività tonica spontanea inibitoria sul talamo # inibizione movimento. Invece quando si deve avviare movimento: neurone piramidale del V strato di M1 #proiezione glutammatergica a dendriti di neurone spinoso medio del nucleo striato (modulati da interneuroni colinergici e da neuroni dopaminergici di sostanza nera pars compacta) #proiezione GABAergica inibitoria a globo pallido interno e sostanza nera pars reticularis #globo pallido e sostanza nera inibiti smettono di inibire talamo #proiezione in corteccia aumentata (aumento output corticale #attività motoria aumenta #avvio movimento)
: il globo pallido esterno ha un’attività tonica spontanea inibitoria su nucleo subtalamico; il nucleo subtalamico ha un’attività tonica spontanea eccitatoria sul globo pallido interno; globo pallido interno ha attività tonica spontanea inibitoria sul talamo. Quando si deve pianificare il movimento: nucleo striato #proiezione GABAergica inibitoria a neuroni spinosi medi di globo pallido esterno #globo pallido esterno inibito smette di inibire nucleo subtalamico #nucleo subtalamico disinibito eccita ancora di più globo pallido interno # globo pallido interno eccitato inibisce ancora di più talamo # proiezione in corteccia diminuita (diminuzione output corticale # attività motoria diminuisce # inibizione movimenti impropri)
Lo stesso input corticale agisce sia sulla via diretta sia sulla via indiretta, ma attivando popolazioni di neuroni differenti, che esprimono anche recettori dopaminergici diversi; questo da sì che la dopamina abbia l’effetto complessivo di potenziare la via diretta, perché va contemporaneamente a stimolare la via diretta e a inibire la via indiretta; la dopamina viene rilasciata se c’è ricompensa:
! Recettori D1: associati a proteina G stimolatoria ed espressi da neuroni della via diretta #stimolazione via diretta
! Recettori D2: associati a proteina G inibitoria ed espressi da neuroni della via indiretta # inibizione via indiretta
eccita direttamente il nucleo subtalamico che ha un’attività tonica spontanea eccitatoria sul globo pallido interno; globo pallido interno ha attività tonica spontanea inibitoria sul talamo (diminuzione output corticale # attività motoria diminuisce # inibizione movimenti impropri)
Disturbi dei gangli della base possono coinvolgere il circuito non motorio – cognitivo (ad es. schizofrenia, sindrome di Tourette, sindrome ossessivo-compulsiva) o il circuito motorio e in questo caso si può trattare di disturbi ipercinetici dovuti a deficit della via indiretta (ad es. corea di Huntington) o ipocinetici dovuti a deficit del sistema dopaminergico e quindi della via diretta (ad es. morbo di Parkinson)
sono cortecce di ordine gerarchico superiore al primo, perciò rappresentano tutto ciò che sta dietro alle cortecce primarie (prima di M1 e dopo S1). Le cortecce associative sono unimodali, quando si occupano di ricostruire ed integrare informazioni relative da un’unica modalità sensoriale; invece sono polimodali, quando integrano e combinano informazioni relative a più modalità sensoriali. Le cortecce associative fanno parte della neocortex, quindi hanno la classifica organizzazione laminare in 6 strati. Si occupano delle delle funzioni cognitive superiori ci si riferisce alla capacità di prestare attenzione, di identificare, di pianificare ed eseguire comportamenti adeguati a stimoli sia interni che esterni
La corteccia associativa parietale è una corteccia polimodale; È COINVOLTA NEI PROCESSI DI ATTENZIONE E NEI PROCESSI DI CONSAPEVOLEZZA DI SÉ E DEGLI STIMOLI COMPLESSI CHE CIRCONDANO IL NOSTRO CORPO. Infatti quest’area ha la capacità di integrare le informazioni provenienti da tutte le aree sensoriali e dalle cortecce associative unimodali, per ricostruire una mappa dello spazio personale, peripersonale ed extrapersonale. Lesioni di quest’area comportano alterazioni complesse in termini di percezione dello spazio personale ed esterno (atassia ottica), di integrazione visuo-motoria, di attenzione selettiva. LAteralizzazione della funzione dell'attenzione sul lobo parietale destro
La corteccia associativa parietale è una corteccia polimodale; È COINVOLTA NELL’IDENTIFICAZIONE E NEL RICONOSCIMENTO DEGLI STIMOLI. Infatti quest’area riceve le informazioni soprattutto dal sistema visivo, cioè il sistema che maggiormente permette di identificare. Lesioni di quest’area comportano delle alterazioni in termini di identificazione degli oggetti i soggetti possono essere incapaci di avere una rappresentazione dell’oggetto e di riconoscerlo, oppure possono essere incapaci di riconoscere i volti [prosopagnosia] (e può mancare proprio il concetto di volto)
La corteccia associativa parietale è una corteccia polimodale e rappresenta il livello gerarchico più alto; infatti È COINVOLTA NEL CONTROLLO COGNITIVO DEL COMPORTAMENTO E NEL DECISION MAKING,QUINDIPERMETTEDIADEGUARELAPROPRIAPERSONALITÀALCONTESTOSOCIALEINCUICI SI TROVA. riceve informazioni dalla via dorsale sul contesto spaziale e, sulla base di queste informazioni, permette di prendere decisioni e di organizzare il comportamento cosciente; poi riceve informazioni dalla via ventrale e dal sistema limbico (ricompensa) e, sulla base di queste informazioni, permette di organizzare il comportamento cognitivo, subordinato allo stato emotivo. . Dunque questa corteccia fa in modo che il comportamento non sia un semplice riflesso, ma sia il prodotto di una decisione, che tiene conto degli stimoli complessi, delle emozioni e del contesto sociale. Nell’ambito della corteccia frontale, la sfera cognitiva e il decision making hanno sede soprattutto nella corteccia pre-frontale dorso- laterale, mentre la sfera emotiva ha sede soprattutto nella corteccia orbito-frontale/superiore; il nucleo di ingresso per l’area dorso-laterale è il nucleo caudato anteriore, il nucleo di ingresso per l’area orbito- frontale è il nucleo accumbens. Lesioni della corteccia frontale, e in particolare della corteccia pre- frontale dorso-laterale, comportano alterazioni a carico della sfera cognitiva e psichica: le funzioni cognitive intese come QI rimangono inalterate, ma i soggetti non sono in grado di vivere una vita normale, di concentrarsi, di svolgere le funzioni quotidiane, di prendere decisioni e di comportarsi in maniera adeguata al contesto. Spesso, in seguito a lesioni della corteccia frontale, i soggetti subiscono cambi di personalità. Questa corteccia ha a che fare con la “working memory”, la quale è implicata nel decision making e nella motivazione, perché conserva l’informazione solo per il tempo necessario allo svolgimento di un compito e la scarica dei neuroni è proporzionale all’entità della ricompensa e del gradimento della ricompensa.
Questa corteccia ha a che fare con la “working memory”, la quale è implicata nel decision making e nella motivazione, perché conserva l’informazione solo per il tempo necessario allo svolgimento di un compito; nelle scimmie a cui vengono date informazioni per svolgere un compito, i neuroni della corteccia frontale scaricano per il tempo in cui l’informazione viene mantenuta in memoria. Inoltre sono stati fatti dei test sui primati e si è visto che, quando alla scimmia viene dato un compito con una ricompensa (ad es. cibo), la scarica dei neuroni è proporzionale all’entità della ricompensa e del gradimento della ricompensa (i neuroni di scimmie diverse scaricano in modo diverso a seconda della ricompensa proposta, in base alle preferenze della scimmia)
Una caratteristica importante della corteccia pre-motoria ventrale è la presenza di un’area (F5), che contiene i cosiddetti neuroni specchio (mirror neurons), studiati dal professor Rizzolati: questi neuroni scaricano quando il soggetto vede compiere un’azione finalizzata a uno scopo, ma non determinano l’esecuzione del movimento; quindi questi neuroni non codificano il movimento, ma codificano lo scopo e l’intenzione di compiere il movimento (infatti le aree pre-motorie hanno a che fare con aspetti astratti del movimento, cioè si attivano all’intenzione di compiere il movimento, ma la loro attivazione non determina necessariamente l’effettiva esecuzione del movimento). Sicuramente questi neuroni specchio sono implicati anche nell’apprendimento motorio per imitazione (vedo svolgere un compito ed elaboro anch’io uno schema motorio), e si pensa che possano avere a che fare anche con la sfera emotiva e con l’empatia (vedo qualcuno provare un’emozione e provo fisicamente anch’io quel sentimento)
La ritmogenesi è controllata da chemocettori centrali, dal sistema toraco-polmonare
A livello del bulbo troviamo due suddivisioni:
• Gruppo respiratorio dorsale: inspiratorio. Si trova in prossimità del nucleo del tratto solitario che è coinvolto nella regolazione della pressione arteriosa, frequenza cardiaca e SNA.
• Gruppo respiratorio ventrale: espiratorio posto in parte del nucleo ambiguo
A livello medio-pontino troviamo il centro apneustico (sostanza reticolare magnocellulare, gigantocellulare e pontina) che controlla in maniera tonica i gruppi respiratori.
Sul centro apneustico agisce il centro pneumotassico (nucleo parabrachiale mediale e nucleo di Kolliker- Fuse) con un’azione GABAergica.
Il gruppo respiratorio dorsale è principalmente inspiratorio.
Troviamo neuroni:
• rα: scaricano a rampa e sono importanti nei meccanismi Off switch. Proiettano ai motoneuroni
respiratori.
• rβ: neuroni pompa sensibili allo stiramento tramite affluenza del vago
Questi sono attivi solo se attivati da centri generatori del ritmo che rispondono a chemocettori centrali sensibili al pH del liquor.
Il gruppo respiratorio ventrale ha centri espiratori, inspiratori e rimogenici, è sotto il controllo dei chemocettori sia centrali che periferici.
Il gruppo respiratorio ventrale è suddiviso in:
• Porzione caudale: ha neuroni espiratori a rampa e neuroni bulbo-spinali coinvolti nei riflessi come
quello della tosse
• Porzione intermedia: neuroni inspiratori coinvolti nella regolazione dell’intensità dell’uscita respiratoria-
>regolano profondità respiro.
• Porzione rostrale: troviamo principalmente neuroni espiratori a rampa, neuroni propriobulbari e
propriospinali. È divisa ulteriormente e comprende:
- Centro di Botzinger: regola l’espirazione tramite un’attività inibitoria sul motoneurone inferiore
inspiratorio e sul centro respiratorio ventrale intermedio.
- Complesso pre-Botzinger: Contiene neuroni spontaneamente attivi con attività pacemaker che
determina alternanza ritmica di inspirazione ed espirazione. Non ha azione discendente ma interagisce con Botzinger.
Neuroni propriobulbari connettono i due gruppi respiratori (dorsale e ventrale) con connessioni ipsilaterali.
• Recettori allo stiramento di tipo Aβ: meccanocettori a lento a adattamento, usano fibre Aβ che ritrovano tra le cellule muscolari di trachea e bronchi. Il loro stiramento è responsabile del riflesso da insufflazione polmonare che causa blocco inspirazione.
• Recettori RAR: rilevano stimoli di natura irritativa, usano fibre Aδ, sono recettori polimodali per sostanze endogene o esogene. Il riflesso irritativo causa aumento dell’inspirazione
• Terminazioni libere di forme C: risposta a stimoli nocivi e irritativi nell’interstizio o nel sangue. Si trovano nello spazio interstiziale vicino ai capillari polmonari. Sono meno legati alla ritmogenesi e più al controllo del tono bronchiale
Risposta generata da recettori RAR a seguito stimoli irritativi, è quindi un meccanismo protettivo. Si divide in quattro fasi:
- Inspiratoria: apertura della glottide, maggiore l’inspirazione maggiore l’efficienza meccanica
- Compressiva: chiusura della glottide, contrazione dei muscoli espiratori con generazione di massima
pressione intrapolmonare possibile.
- Espiratoria: rapida abduzione delle corde vocali con espirazione rapida
- Cessazione: attività dei muscoli espiratori diminuisce bruscamente e la pressione transmurale torna a
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1) Neuroni inspiratori precoci: scaricano prima dell’inspirazione. Inibiscono inspiratori tardivi, post
inspiratori ed espiratori rampa.
2) Neuroni inspiratori a rampa: scaricano all’inizio e la scarica
aumenta durante inspirazione
3) Neuroni inspiratori tardivi: breve scarica a fine inspirazione. La
loro attivazione inibisce gli inspiratori precoci e inspiratori rampa
4) Neuroni post-inspiratori/espiratori precoci: attivi nella fase
espiratoria. La loro attivazione inibisce gli inspiratori precoci (rimozione inibizione su espiratori a rampa) e inspiratori rampa. I post-inspiratori smettono di scaricare alla fine di E1
5) Neuroni espiratori a rampa: iniziano a scaricare nella fase di espirazione attiva, la loro scarica aumenta durante l’espirazione. Lo scemare della scarica a fine espirazione permette la riattivazione degli inspiratori precoci.
6) Neuroni phase-spanning: attivi in entrambi le fasi. Li dividiamo in:
• Inspiratori: iniziano a scaricare nell’inspirazione e terminano nell’espirazione • Espiratori : iniziano a scaricare dell’espirazione e terminano nell’inspirazione
7) Neuroni inspiratori/espiratori con scarica continua a frequenza stabile
8) Neuroni pompa (gruppo respiratorio dorsale): attivi nel momento in cui abbiamo stiramento del polmone
dunque inspirazione
I neuroni bulbo pontini possono anche essere classificati in base alle proiezioni in: 1. Bulbospinali: inviano segnale al motoneurone inferiore
2. Propriobulbari: stabiliscono connessioni all’interno dei centri bulbari
può essere divisa in:
- Fase I inspiratoria: rapido aumento frequenza scarica nervo frenico (On switch) seguita da rapide riduzione
frequenza (Off switch)
- Fase E1 postinspiratoria: scarica minore del nervo frenico per rallentare il ritorno elastico del sistema
toracopolmonare
- Fase E2 espirazione attiva: solo se vogliamo andare sotto il valore di CFR assenza attività del nervo frenico.
Þ Na+: 10 volte più concentrato
extracellularmente Þ K+: 30 volte più
concentrato intracellularmente
Þ Cl-: 20 volte più concentrato extracellularmente
Þ Ca++: 10000 volte più concentrato extracellularmente (livelli
intracellulari di calcio sono bassissimi in modo che ogni variazione della sua concentrazione intracellulare rappresenti un segnale importantissimo all’interno della cellula in cui funge da secondo messaggero che media una molteplicità di risposte come la contrazione o l’esocitosi di vescicole)
1) Probabilità di apertura: in un arco temporale, il rapporto tra il tempo speso dal canale nella forma transitabile dallo ione rispetto al tempo complessivo. Si esprime con un valore compreso tra 0 ed 1. Ad esempio un canale in 100ms si apre una volta per 24ms e due volte per 3ms, probabilità di apertura: 24+3+3/100 = 30/100 = 0,3ms. Maggiore probabilità di apertura significa maggiore entrata di carica; quindi la probabilità di apertura condiziona in maniera consistente la qualità e la quantità del segnale elettrico che si genera.
2) Tempo medio di apertura: durata media di apertura
3) Tempo medio di chiusura: durata media di chiusura
4) Conduttanza (g= 1/R): reciproco della resistenza, cioè quanto il canale si lascia
attraversare dallo ione. I canali sono dei resistori che oppongono una certa resistenza al passaggio di ioni e più questa è bassa, più è alta la conduttanza. La maggior parte dei canali ha una resistenza stabile e segue la legge di Ohm (canali Ohmici): relazione di proporzionalità diretta fra l’intensità di corrente che fluisce attraverso il canale (i) e la differenza di potenziale che si viene a generare a cavallo della membrana (DV), per cui, nota la resistenza, maggiore è il gradiente maggiore sarà il flusso. Ci sono invece dei canali non-Ohmici che non rispettano la legge di Ohm e hanno conduttanza diversa ai diversi potenziali, per via di molecole che vanno ad occludere il canale rendendolo impermeabile allo ione
all’interno dei segmenti ad a-eliche che costituiscono il canale, del segmento S4 sensibile al voltaggio, che si deforma meccanicamente in seguito a uno stimolo elettrico: S4 è composto da amminoacidi(arginina e lisina) che, in virtù della loro disposizione di cariche elettriche, percepiscono in maniera più sensibile la variazione del potenziale di membrana, quindi S4 subisce una modificazione e ruota su sé stesso mentre si sposta verso l’alto (come una vite), determinando una modifica conformazionale nel canale che si apre o si chiude di conseguenza.
Þ Canale eteromerico formato da subunità a, che è il cuore del canale, il poro che determina selettività, voltaggio-dipendenza e sensibilità ai farmaci, e da subunità b accessorie, che hanno funzioni modulatorie
Þ La subunità a è formata da 4 domini, ciascuno suddiviso in 6 segmenti transmembrana: nel dominio IV tra S5 e S6 c’è l’ansa con il sito di legame per la lidocaina (anestetico locale); ansa tra S6 del III dominio e S1 del IV dominio è il sito di inattivazione (perdurando lo stimolo depolarizzante, quest’ansa subisce modificazione e va a chiudere il canale rendendolo non più transitabile); S4 è il sensore di voltaggio e presenta sul versante extracellulare il sito di legame per la tetradotossina (veleno pesce palla); ansa P fra S5 e S6 di ogni dominio è il filtro di selettività; sul versante intracellulare le anse presentano dei siti di fosforilazione (fosforilazione è meccanismo per regolare)
Þ È il principale protagonista della genesi del potenziale d’azione
Þ Al potenziale di membrana di riposo (-65mV) sono chiusi
Þ Sono attivati da depolarizzazione e hanno bassa soglia di attivazione: -55mV, quindi
quando la membrana si depolarizza sono i primi ad aprirsi perché basta piccola variazione Þ La loro apertura determina un flusso entrante di Na+, quindi un’ulteriore depolarizzazione perché, essendo il sodio positivo, rende l’interno della cellula meno negativo. Infatti il sodio è più concentrato fuori quindi è spinto all’interno (gradiente chimico), e inoltre ha carica
positiva, mentre l’interno della cellula è carico negativamente (gradiente elettrico)
Þ La cinetica di attivazione e la cinetica di inattivazione sono molto rapide: non appena si raggiunge la soglia di attivazione inizia un flusso repentino di ioni ma altrettanto rapidamente il canale diventa inattivo, quindi il flusso di corrente è transiente e fugace nel tempo (INaT !corrente transiente). C’è tuttavia una piccolissima parte di corrente, legata ai
canali NaV 1.6 e NaV 1.9, che perdura nel tempo (INaP !corrente persistente) Corrente persistente: corrente che sfugge all’inattivazione, modesta, Nav1.6 e 1.9. Corrente risorgente: corrente che si genera nella frazione di tempo che intercorre tra la rimozione dell’inattivazione e la chiusura del canale Nav1.6
Þ Canale eteromerico formato da una subunità a1, che è il cuore del canale, e delle subunità con funzione regolatoria: una subunità b intracellulare, una subunità g transmembrana e una subunità a2d (a2 extracellulare e d intracellulare, unite da due ponti disolfuro che le rendono funzionalmente accoppiate)
Þ Anche in questo caso la subunità a1 è formata da 4 domini, ciascuno suddiviso in 6 segmenti: S4 è il sensore del voltaggio; tra il segmento S5 e S6 di ogni dominio c’è l’ansa P che rappresenta il filtro di selettività
Þ La loro apertura determina un flusso entrante di Ca++, poiché il calcio è nettamente più concentrato extracellularmente
Þ Sono attivati dalla depolarizzazione
Þ Possono essere classificati in base alle caratteristiche molecolari della subunità a1, oppure
esiste una classificazione funzionalmente più importante, che li distingue in base alla soglia di attivazione in:
· HVA (high voltage activated): si attivano per un grande salto di potenziale, quindi hanno un’alta soglia di attivazione. Se ne distinguono diversi tipi:
- Canali di tipo L (CaV 1.1): molto rappresentati sia nelle cellule muscolari cardiache che nelle cellule muscolari scheletriche, in cui sono responsabili dell’accoppiamento eccitazione-contrazione, ma con meccanismi differenti (diversificazione funzionale); entrano in funzione anche nelle cellule pace- maker del cuore; importanti nel rilascio di ormoni da parte delle cellule endocrine; regolano l’espressione di geni coinvolti in proliferazione, differenziamento e morte cellulare. L sta per “long lasting” perché perdurano, hanno una lenta cinetica di inattivazione. Hanno un’elevata conduttanza. Sensibili alle diidropiridine (ad es. nifedipina farmaco che inibisce attività contrattile del cuore). Attivati da cAMP tramite PKA
- Canali di tipo PQ (CaV 2.1): ruolo importante nei meccanismi di rilascio dei neurotrasmettitori dalle terminazioni nervose, per la trasmissione di informazioni nelle reti neurali
- Canali di tipo N (CaV 2.2): abbondanti nel SNA; contribuiscono al meccanismo di rilascio del neurotrasmettitore e la loro funzione è fortemente modulata da neurotrasmettitori che agiscono tramite proteina G
- Canali di tipo R (CaV 2.3): R sta per “resistant” perché sono resistenti alle tossine e agli agenti farmacologici che bloccano gli altri di tipi di canali
· LVA (low voltage activated): si attivano per una modesta modificazione del potenziale, quindi hanno una bassa soglia di attivazione:
- Canali di tipo T (CaV 3): T sta per “transient” perché hanno una rapida cinetica di inattivazione quindi generano una corrente transiente. Ruolo nell’insorgenza del potenziale d’azione nelle cellule pace-maker del cuore
si attivano per un grande salto di potenziale, quindi hanno un’alta soglia di attivazione. Se ne distinguono diversi tipi:
- Canali di tipo L (CaV 1.1): molto rappresentati sia nelle cellule muscolari cardiache che nelle cellule muscolari scheletriche, in cui sono responsabili dell’accoppiamento eccitazione-contrazione, ma con meccanismi differenti (diversificazione funzionale); entrano in funzione anche nelle cellule pace- maker del cuore; importanti nel rilascio di ormoni da parte delle cellule endocrine; regolano l’espressione di geni coinvolti in proliferazione, differenziamento e morte cellulare. L sta per “long lasting” perché perdurano, hanno una lenta cinetica di inattivazione. Hanno un’elevata conduttanza. Sensibili alle diidropiridine (ad es. nifedipina farmaco che inibisce attività contrattile del cuore). Attivati da cAMP tramite PKA
- Canali di tipo PQ (CaV 2.1): ruolo importante nei meccanismi di rilascio dei neurotrasmettitori dalle terminazioni nervose, per la trasmissione di informazioni nelle reti neurali
- Canali di tipo N (CaV 2.2): abbondanti nel SNA; contribuiscono al meccanismo di rilascio del neurotrasmettitore e la loro funzione è fortemente modulata da neurotrasmettitori che agiscono tramite proteina G
- Canali di tipo R (CaV 2.3): R sta per “resistant” perché sono resistenti alle tossine e agli agenti farmacologici che bloccano gli altri di tipi di canali
si attivano per una modesta modificazione del potenziale, quindi hanno una bassa soglia di attivazione:
- Canali di tipo T (CaV 3): T sta per “transient” perché hanno una rapida cinetica di inattivazione quindi generano una corrente transiente. Ruolo nell’insorgenza del potenziale d’azione nelle cellule pace-maker del cuore
Þ Organizzati in 12 famiglie, con caratteristiche cinetiche e soglie differenti
Þ Canali omomerici formati da una sola subunità a replicata 4 volte, che va a delimitare il poro
canale, formata da 6 segmenti transmembrana
Þ Tra i segmenti S5 e S6 è presente l’ansa P che rappresenta il filtro di selettività; il dominio N-
terminale citoplasmatico rappresenta il sito di inattivazione
Þ La loro apertura determina un flusso uscente di K+, quindi una negativizzazione del
potenziale di membrana, che si esplica con una iperpolarizzazione, quando si parte dal potenziale di membrana a riposo, o con una ripolarizzazione, quando si parte da potenziale di membrana depolarizzato. Nonostante l’interno della cellula sia negativo e tenderebbe a trattenere K+ positivo, il flusso è uscente perché prevale il gradiente chimico, in quanto il potassio è più concentrato all’interno per via della pompa sodio-potassio
Þ Ruolo fondamentale nella ripolarizzazione durante il potenziale d’azione; regolazione del potenziale di membrana di neuroni e cellule muscolari, regolandone l’eccitabilità
Þ Nonostante ce ne siano di diversi tipi, in generale sono attivati dalla depolarizzazione e hanno una soglia di attivazione abbastanza alta, superiore a quella dei canali del sodio
Þ La cinetica di attivazione e la cinetica di inattivazione sono lente, più lente di quelle dei
canali del sodio. Quindi, quando arriva il segnale della depolarizzazione, il flusso di potassio inizia dopo e più lentamente rispetto a quello di sodio, ma impiega anche più tempo a estinguersi
Þ Canali omomerici formati da subunità a con 7 segmenti transmembrana (S0-S6), e poi c’è un collegamento con un dominio intracellulare costituito da segmenti S7-S10
Þ Sono regolati dalla concentrazione intracellulare di calcio e il calcio li attiva legandosi a un sito intracellulare. Il calcio è molto più concentrato extracellularmente quindi vengono rilevate anche piccolissime variazioni della concentrazione intracellulare. Sono di tre tipi:
· BK (alta conduttanza): hanno un sito di legame intracellulare per lo ione Ca++ tra S9 e S10 (calcium bowl). Hanno un ruolo fondamentale nella ripolarizzazione e iperpolarizzazione postuma. Sono spesso associati a canali CaV, quindi la loro attivazione dipende dalla concentrazione intracellulare di ione Ca++ e indirettamente anche dalla depolarizzazione: la depolarizzazione attiva i canali del calcio voltaggio- dipendenti !entra Ca++ nella cellula !Ca++ si va a legare al calcium bowl dei BK ! attivazione dei BK
· SK (bassa conduttanza): hanno un sito di legame intracellulare per il complesso calcio-calmodulina, quindi sono attivati dal complesso calcio-calmodulina e sono voltaggio-indipendenti. Ruolo fondamentale nella iperpolarizzazione postuma
· IK (conduttanza intermedia): hanno un sito di legame intracellulare per il complesso calcio-calmodulina, quindi sono attivati dal complesso calcio-calmodulina e sono voltaggio-indipendenti. Ruolo fondamentale nella iperpolarizzazione postuma
Þ Famiglia strutturalmente e funzionalmente eterogenea: voltaggio-dipendenti, regolati da stimoli meccanici, Ca++-dipendenti...
Þ Struttura a doppio cilindro (double barelled)
Þ Presenti sia sulla membrana plasmatica che negli organuli intracellulari
Þ La loro apertura determina un flusso entrante di Cl-, poiché questo è maggiormente
concentrato extracellularmente
Þ Sono attivati dalla depolarizzazione
Þ Ruolo importante nel regolare l’eccitabilità delle cellule muscolari scheletriche e il pH del
lume degli organuli intracellulari
è una brusca variazione del potenziale di membrana. È l’unico, tra i segnali che si generano a carico della membrana, che ha la capacità di propagarsi lungo la fibra nervosa senza modificare le proprie caratteristiche, quindi procede senza decremento e per questo è il segnale più deputato alla trasmissione di informazioni lungo le fibre nervose. È un segnale non graduato, quindi risponde alla legge del tutto o del nulla, per cui o c’è o non c’è, non esistono potenziali d’azione maggiori o minori.
Il potenziale d’azione dipende dai canali ionici voltaggio-dipendenti, è innescato da una depolarizzazione che superi un valore soglia (corrispondente alla soglia dei NaV) ed è un evento
elettrico di ampiezza pari a circa 100mV e di durata 2-3 ms.
Sono veri e propri canali ionici ad accesso variabile regolati da ligando: quando il NT si lega al recettore, esso subisce una variazione conformazionale e si apre al passaggio di ioni. Questi recettori mediano risposte rapide e di breve durata. I recettori ionotropici appartengono a tre classi: classe I (acetilcolina, glicina e GABA) con 5 subunità, ciascuna formata da 4 segmenti intermembrana, con dominio N-terminale e C-terminale sul lato extracitoplasmatico; classe II (glutammato) con 4 subunità, ciascuna formata da 4 segmenti intermembrana, con segmento M2 che attraversa solo parzialmente il doppio strato lipidico; classe III (ATP) con 3 subunità.
È chiamato anche recettore nicotinico per ACh, perché presenta come agonista esogeno che può attivarlo la nicotina. A livello del SNC è omomerico. A livello della giunzione neuromuscolare è eteromerico, ed è formato da 5 subunità (α2βδε), ognuna formata da 4 segmenti transmembrana (M1- M4); M2 forma il poro e il filtro di selettività; sia estremità N-terminale che C- terminale sul lato extracitoplasmatico; le subunità a legano l’acetilcolina, in modo che il legame della prima molecola di ACh alla prima subunità a favorisca il legame della seconda ACh alla seconda subunità a. Tali canali non sono selettivi: permeabili a Na+, K+ e Ca++. Il legame dell’ACh induce un cambio conformazionale che aumenta la probabilità di apertura del canale; si verifica un flusso entrante di Na+ secondo gradiente elettrochimico (K+ invece ha forza chimica ed elettrica opposte) e la membrana postsinaptica si depolarizza. Tale depolarizzazione è enorme a livello della placca motrice, e il potenziale (potenziale di placca, 70 mv) supera di molto il valore di soglia del potenziale d’azione, che quindi si innesca senza problemi ad ogni trasmissione sinaptica, si trasmette ai tubuli T e avvia la contrazione, pertanto necessita dell’integrazione di tanti input sinaptici per determinare il potenziale d’azione; invece nel SNC la depolarizzazione è più modesta e il potenziale resta sotto-soglia. Questo recettore, determinando una depolarizzazione, è coinvolto quindi in una sinapsi eccitatoria.
È il sottogruppo recettore GABA- B. È formato da
5 subunità (α2β2γ), ognuna formata da 4 segmenti transmembrana; M2 forma il poro e il filtro di selettività; sia estremità N-terminale che C-terminale sul lato extracitoplasmatico. Ha una conduttanza di circa 30 pS ed è selettivo per il Cl-. Quando il GABA si lega al recettore, il canale si apre e si verifica un flusso entrante di Cl- secondo gradiente chimico (il gradiente elettrico lo spingerebbe fuori, ma quello chimico è prevalente); tale flusso entrante determina una iperpolarizzazione della membrana postsinaptica, perché aumentano le cariche negative all’interno della cellula. Questo recettore, determinando una iperpolarizzazione, è coinvolto quindi in una sinapsi inibitoria (tuttavia, durante lo sviluppo embrionale, il Cl- è più concentrato dentro, quindi l’apertura del canale porta un flusso uscente con conseguente depolarizzazione: sinapsi eccitatoria).
È formato da 4 subunità, ciascuna costituita da 4 segmenti intermembrana; M2 non attraversa interamente il doppio strato fosfolipidico; estremità N-terminale sul lato extracitoplasmatico e C-terminale sul lato intracitoplasmatico; dominio N-terminale e ansa fra M3 e M4 è sito di legame per glutammato. I recettori ionotropici per il glutammato sono di tre tipi: AMPA (attivati da agonista esogeno AMPA), NMDA (attivati da agonista esogeno N-metil-D- aspartato), e Kainato (attivati da agonista esogeno acido Kainico). AMPA e Kainato hanno bassa affinità per Glu, NMDA ha alta affinità per Glu; AMPA e Kainato hanno conduttanza di 8pS, NMDA ha conduttanza di 40pS; AMPA e Kainato sono permeabili a Na+, K+ e poco a Ca++, NMDA è permeabile a Na+, K+ e molto a Ca++; AMPA e Kainato hanno rapida cinetica di attivazione e di desensitizzazione, NMDA ha lenta cinetica di attivazione e di desensitizzazione. I canali NMDA presentano il fenomeno del “blocco da magnesio voltaggio- dipendente”: Mg++ si pone a livello della bocca del canale e ostruisce il passaggio degli ioni; la depolarizzazione della membrana fa sì che il Mg++ venga rimosso e il canale si apra al passaggio di ioni, quindi il canale NMDA è attivato da ligando ma è anche dipendente dalla depolarizzazione; è inoltre chemo- dipendente poiché presenta come coagonisti la glicina e la diserina. Quindi succede che si lega il glutammato ai recettori AMPA e NMDA; NMDA resta chiuso dal blocco da magnesio, mentre AMPA permette l’ingresso di Na+; il flusso entrante di Na+ determina una depolarizzazione della membrana postsinaptica; tale
depolarizzazione rimuove il blocco da magnesio permettendo l’apertura anche degli NMDA e l’ingresso di altri ioni, fra cui Ca++ importante per la plasticità sinaptica. Questo recettore, determinando una depolarizzazione, è coinvolto quindi in una sinapsi eccitatoria.
• Noradrenalina e adrenalina: sia α che β.
• α1: Gq
• α2: Gi
• β1,2 e 3: Gs
• GABA: si trovano nel SNC, accoppiati a Gi, favoriscono fuoriuscita potassio • Glutammato: tre gruppi
• I:Gq • II:Gi • III:Gi
• Dopamina: due classi. • D1 e D5: Gs
• D2, D3 e D4: Gi/G0
• Serotonina: si trovano nel SNC, sette gruppi • 5-HT1: Gi
• 5-Ht2:Gq
• 5-HT3: Gs
• 5-HT4: Gs
• 5-HT7: Gs
• 5-HT5 e 5-HT6 ignoti
• Purinergici: attivati dall’ATP, tre classi. A1:Gi, A2a: Gs, A2b:Gq, A3:ignoto
Sono recettori accoppiati a proteine G: quando il NT si lega al recettore, esso attiva delle proteine G eterotrimeriche (subunità a, b e g) che modificano l’attività di canali ionici; quindi anche questi recettori hanno effetto sul flusso ionico ma in maniera indiretta. L’uso di secondi messaggeri permette un'amplificazione esponenziale della risposta. Questi recettori mediano risposte lente e di lunga durata. Questi recettori sono formati da 7 segmenti transmembrana (M1-M7); dominio N-terminale extracitoplasmatico e dominio C-terminale intracitoplasmatico; a livello dei loop che collegano i vari segmenti transmembrana ci sono i siti di legame per le proteine G; sul dominio C-terminale e sulle anse sono presenti siti di fosforilazione. Il meccanismo d’azione dei recettori metabotropici prevede un legame fra NT e recettore accoppiato a proteina G legante GDP; il legame determina un cambio
conformazionale del recettore che porta alla sostituzione di GDP con GTP e quindi all’attivazione della proteina G; proteina G legante GTP si distacca dal recettore e poi si dissocia in un complesso formato da subunità b-g e un complesso formato da subunità a-GTP, che vanno ad agire sui canali ionici o in maniera diretta o indirettamente attraverso secondi messaggeri.
È chiamato anche recettore muscarinico perché presenta come agonista esogeno che può attivarlo la muscarina (tossina del fungo); sono divisi in 5 gruppi (M1-M5). Questo recettore agisce in maniera diretta senza cascata di secondi messaggeri: è accoppiato a una proteina G inibitoria, che con la subunità b-g va ad aumentare la probabilità di apertura dei canali del K+, determinando un flusso uscente di K+ e quindi una iperpolarizzazione. Questo recettore, determinando una iperpolarizzazione, è coinvolto quindi in una sinapsi inibitoria.
processo mediante il quale una serie di potenziali sinaptici che si susseguono nel tempo, nello stesso sito, si sommano a livello della cellula postsinaptica. Questo è possibile se i PPS si presentano ad una sufficiente frequenza, tale per cui l’intervallo fra il primo e il secondo sia inferiore al tempo di decadimento del primo, in modo che possano sommarsi nella cellula. La sommazione temporale è governata dalla costante di tempo (t=R*C), che dipende da proprietà passive del neurone e indica il tempo che impiega la variazione di potenziale per raggiungere il 63% del suo valore massimo. Neuroni con costante di tempo bassa impiegano poco tempo per raggiungere il 63% della differenza di potenziale massima, quindi hanno capacità di sommazione molto ridotta; invece i neuroni con costante di tempo alta hanno maggiore probabilità di sommazione, perché il PPS impiega più tempo per raggiungere il valore massimo e quindi anche più tempo per decadere e per far sì che il PPS successivo si sommi ad esso.
processo mediante il quale una serie di potenziali sinaptici che
originano su punti diversi della membrana postsinaptica, nello stesso momento, si sommano a livello della cellula postsinaptica. Questo è possibile se i PPS si presentano ad una minima distanza, tale per cui il secondo PPS subentri prima che il primo PPS sia decaduto nello spazio, in modo che possano sommarsi nella cellula. La sommazione spaziale è governata dalla costante di spazio (l= Rm/Ra), che dipende da proprietà passive dei neuroni e indica la distanza alla quale la variazione di potenziale è diminuita del 37% rispetto al suo valore iniziale. Neuroni con costante di spazio bassa hanno PPS che percorrono poco spazio prima di decadere, quindi hanno capacità di sommazione molto ridotta; invece i neuroni con costante di spazio alta hanno maggiore probabilità di sommazione, perché il PPS percorre più spazio prima di decadere e quindi è più probabile che il PPS successivo si sommi ad esso.
NT peptidici: presentano un meccanismo di degradazione ad opera di peptidasi presenti a livello della membrana pre- e postsinaptica, oppure un meccanismo lento di diffusione.
NT classici: la loro rimozione può avvenire secondo tre meccanismi: Þ Degradazione enzimatica
È un meccanismo che si attua solo per l’acetilcolina, soprattutto a livello delle giunzioni neuromuscolari. L’acetilcolina viene rapidamente degrada a colina, H2O e gruppo acetato, grazie all’enzima acetilcolinesterasi; la colina viene poi ricaptata dal trasportatore CHT1 e utilizzata come substrato, insieme all’acetil-CoA, per riformare acetilcolina, grazie all’enzima acetilcolina-acetiltransferasi.
Þ Reuptake
È un meccanismo che coinvolge la stragrande maggioranza dei NT classici, che così vengono ricaptati tramite trasportatori posti sulla membrana presinaptica e sulle cellule gliali. Questi trasportatori della membrana plasmatica (TMM) appartengono a due grandi famiglie:
Famiglia del gene SLC6 e Famiglia del gene SLC1
Þ Spill over
È un meccanismo che prevede una diffusione nello spazio extra-sinaptico, per cui i NT si allontanano dal vallo sinaptico e diffondono nelle zone adiacenti. Si tratta di un meccanismo più lento degli altri.
Þ Reuptake
È un meccanismo che coinvolge la stragrande maggioranza dei NT classici, che così vengono ricaptati tramite trasportatori posti sulla membrana presinaptica e sulle cellule gliali. Questi trasportatori della membrana plasmatica (TMM) appartengono a due grandi famiglie:
Famiglia del gene SLC6: sono trasportatori Na+/Cl--dipendenti, responsabili del reuptake di GABA, dopamina, adrenalina, noradrenalina, serotonina e glicina. Sono formati da 12 segmenti transmembrana; i domini 1-4 della porzione N-terminale trasportano Cl- e Na+, mentre i domini 7-12 della porzione C-terminale legano il NT. Permettono un trasporto attivo secondario simporto con Cl- e Na+ (Na+ entra secondo gradiente, grazie a pompa Na+/K+ che crea gradiente di Na+ più concentrato fuori). I trasportatori per il GABA sono di tre tipi: GAT1, GAT2, GAT3 (GAT2 e GAT3 si trovano nell’astrocita, dove il GABA è trasformato in glutammato e poi in glutammina).
Famiglia del gene SLC1: sono trasportatori Na+/K+-dipendenti, responsabili dell’uptake del glutammato. Sono formati da 6 domini transmembrana nella porzione N-terminale e 1 dominio transmembrana nella porzione C-terminale; presentano 2 anse rientranti (forcine), una a contatto con l’ambiente intracellulare e una con l’ambiente extracellulare. Permettono un trasporto attivo secondario simporto con Na+ e H+ (Na+ e H+ entrano secondo gradiente, grazie a pompa Na+/K+ e pompa protonica che creano gradiente di Na+ e H+ più concentrati fuori) e antiporto con K+. I TMM del glutammato sono di diversi tipi: EAAT 1 e 2 negli astrociti, EAAT 3 e 4 nei neuroni, EAAT 5 nella retina. EAAT 1 e 2 sono i più importanti, quindi la rimozione di glutammato dalla fessura sinaptica è principalmente a carico degli astrociti, indispensabili per permettere l’arrivo della trasmissione successiva, per permettere il ciclo della glutammina (glutammato trasformato in glutammina), e per evitare che si verifichi un eccesso di glutammato, che porterebbe a un’eccessiva apertura di NMDA, quindi un eccessivo ingresso di Ca++ che risulterebbe tossico per la cellula.
se una sinapsi viene utilizzata frequentemente, si rafforza e aumenta la sua efficienza; se una sinapsi non viene utilizza, si deprime e diminuisce la sua efficienza.
1) Sinaptogenesi: neo-formazione di sinapsi, sulla base delle esperienze che si fanno
2) Rimozione selettiva delle sinapsi
3) Variazione della forza dei segnali elettrici prodotti dalle sinapsi: l’efficienza di una sinapsi si
modifica nel tempo in base all’uso che se fa, per cui può determinare a livello postsinaptico una maggiore o minore variazione del potenziale.
Consiste in una modificazione dell’efficienza sinaptica, che dura secondi o frazioni di secondi. Un esempio di questo tipo di plasticità è la paired-pulse facilitation, cioè una facilitazione presinaptica che si osserva applicando una coppia di impulsi: si osserva che applicando due potenziali d’azione identici e molto ravvicinati nel tempo, la trasmissione sinaptica determinata dal secondo stimolo ha intensità maggiore della prima; più i due stimoli sono ravvicinati, maggiore sarà l’ampiezza del secondo stimolo. Questo si spiega con l’ipotesi del calcio residuo: la prima stimolazione fa aumentare la concentrazione intracellulare di Ca++ a livello presinaptico; se il secondo stimolo avviene in un tempo molto ravvicinato, non si completa la rimozione di Ca++ e quindi il Ca++ che entra con la seconda stimolazione si somma a quello residuo della prima trasmissione, facendo sì che il secondo evento sia più ampio e più efficiente, perché aumenta la probabilità di fusione delle vescicole, il rilascio di NT e quindi la corrente sinaptica.
Consiste in una modificazione funzionale e strutturale della sinapsi, che dura ore o giorni. La sede d’elezione per questo tipo di plasticità è l’ippocampo, in cui si registrano fenomeni di plasticità sinaptica dipendenti dai recettori NMDA. Abbiamo due tipi di plasticità a lungo termine, a seconda dell’effetto sull’efficienza sinaptica:
Long-term potentiation (LTP): aumento dell’efficienza di sinapsi usate ad elevata frequenza. Quando il glutammato viene rilasciato, apre i recettori AMPA, mentre gli NMDA sono chiusi dal blocco da Mg++; se però la trasmissione sinaptica avviene ad elevata frequenza, il flusso entrante di Na+ attraverso gli AMPA determina una depolarizzazione tale da rimuovere rapidamente il blocco da Mg++ e aprire i canali NMDA, con un conseguente ingresso di Ca++. L’elevata concentrazione di Ca++ (>1μm) attiva delle chinasi (CaM-chinasi II e PKA), che tramite la fosforilazione determinano un rafforzamento della sinapsi in due fasi: fase precoce (aumentata conduttanza degli AMPA con conseguente aumento della corrente postsinaptica, aumentata esternalizzazione di AMPA, attivazione di sinapsi silenti) e una fase tardiva (attivazione di fattori di trascrizione per la sintesi di proteine coinvolte nell’accrescimento della sinapsi e nella formazione di nuove sinapsi). Long- term depression (LTD): diminuzione dell’efficienza di sinapsi usate a bassa frequenza. In una sinapsi a bassa frequenza vi è una debole attivazione dei recettori NMDA e di conseguenza un modesto ingresso di Ca++. La bassa concentrazione di Ca++ (<1μm) attiva delle fosfatasi, che tramite la defosforilazione determinano una depressione della sinapsi in due fasi: fase precoce (diminuita conduttanza degli AMPA, diminuita espressione di AMPA, silenziamento di sinapsi attive) e una fase tardiva (rimozione di sinapsi).
aumento dell’efficienza di sinapsi usate ad elevata frequenza. Quando il glutammato viene rilasciato, apre i recettori AMPA, mentre gli NMDA sono chiusi dal blocco da Mg++; se però la trasmissione sinaptica avviene ad elevata frequenza, il flusso entrante di Na+ attraverso gli AMPA determina una depolarizzazione tale da rimuovere rapidamente il blocco da Mg++ e aprire i canali NMDA, con un conseguente ingresso di Ca++. L’elevata concentrazione di Ca++ (>1μm) attiva delle chinasi (CaM-chinasi II e PKA), che tramite la fosforilazione determinano un rafforzamento della sinapsi in due fasi: fase precoce (aumentata conduttanza degli AMPA con conseguente aumento della corrente postsinaptica, aumentata esternalizzazione di AMPA, attivazione di sinapsi silenti) e una fase tardiva (attivazione di fattori di trascrizione per la sintesi di proteine coinvolte nell’accrescimento della sinapsi e nella formazione di nuove sinapsi).
diminuzione dell’efficienza di sinapsi usate a bassa frequenza. In una sinapsi a bassa frequenza vi è una debole attivazione dei recettori NMDA e di conseguenza un modesto ingresso di Ca++. La bassa concentrazione di Ca++ (<1μm) attiva delle fosfatasi, che tramite la defosforilazione determinano una depressione della sinapsi in due fasi: fase precoce (diminuita conduttanza degli AMPA, diminuita espressione di AMPA, silenziamento di sinapsi attive) e una fase tardiva (rimozione di sinapsi).
Affinché avvenga il rilasciamento del muscolo, deve interrompersi il potenziale d’azione, un nuovo ATP deve legarsi alla testa di miosina per diminuirne l’affinità con l’actina (quindi per un ciclo sono necessarie due molecole di ATP, una da idrolizzare per creare il colpo di forza e una per dissociare la miosina dall’actina) e deve verificarsi la rimozione del Ca++ dalla troponina, in modo che la tropomiosina torni a legare l’actina, impedendo il legame della testa di miosina: bisogna quindi riportare il Ca++ nel RE, e per questo è necessario un trasporto attivo contro gradiente (tramite pompe), perché il Ca++ è altamente concentrato nel RE.
Queste pompe che consumano ATP sono:
• PompaSERCA(sarco-endoplasmicreticulumcalciumATPase),presentesullemembranedituttiireticoli
endoplasmatici, non solo nel muscolo scheletrico. Questa pompa effettua trasporto attivo di calcio, spendendo ATP, preleva questo ione dal citosol, in cui è presente in minore concentrazione e lo rilascia all’interno del reticolo sarcoplasmatico, in cui la concentrazione è maggiore; Il lavoro della pompa è favorito dalla calsequestrina che lega il calcio diminuendone la concentrazione a livello del RE. Azione simile nel citosol è portata avanti dalla parvalbumina
• PompaPMCA(plasmamembranecalciumATPase),presentesullamembranaplasmaticadellacellula,spostailcalcio dal citosol allo spazio extracellulare.
• Scambiatorecalcio-sodio:antiportocheesternalizzacalcioimportandosodio
Frequenza. Possiamo avere diverse situazioni, a seconda della frequenza dei potenziali d’azione:
- scossa semplice: un singolo potenziale d’azione sviluppa un singolo evento meccanico; vi è una differenza temporale fra lo stimolo elettrico e la contrazione meccanica, perché serve del tempo per tutto il processo
- due scosse semplici: la seconda scossa parte quando la prima è già tornata allo stato di riposo, cioè quando il muscolo si è già rilasciato
- sommazione temporale di scosse: poiché la durata del potenziale d’azione (2-3ms) è molto minore della durata della contrazione (100ms), è possibile aumentare
la frequenza dei potenziali d’azione e fare il modo che il secondo parta quando la prima contrazione non si è ancora esaurita, quindi la seconda contrazione interviene quando la prima non si è ancora del tutto rilasciata e si ha una parziale sommazione delle scosse, con aumento della forza di contrazione
- tetano non fuso: ulteriore aumento della frequenza, con parziale sommazione delle scosse e aumento della tensione sviluppata; la frequenza cresce fino a un certo valore e poi si ferma. Dò alla pompa SERCA il tempo di lavorare
- tetano fuso (energeticamente molto dispendioso, non viene utilizzato): un ulteriore aumento della frequenza porta alla totale fusione delle singole scosse e non si hanno più oscillazioni; in questo modo la tensione sviluppata è massima
Lunghezza ottimale: (contrazione di tipo isometrico) la tensione prodotta sarà differente a seconda di quanto il muscolo viene allungato, quindi esiste una lunghezza ottimale da cui far partire il muscolo per la contrazione in modo da ottenere la maggiore forza di contrazione possibile. è un valore di lunghezza che corrisponde alla lunghezza che ha il muscolo in situ quando è quasi completamente disteso. Il punto di lunghezza ottimale (2,2 nm) è legato alla posizione dei filamenti, perché rappresenta la lunghezza del muscolo per la quale i filamenti di actina e di miosina hanno il grado di sovrapposizione migliore per interagire e formare il ponte nel modo più efficace possibile.
Numero di unità motrici: possiamo recluatere unità motorie di tipo diverso in base al tipo di sforzo da compiere; tramite il fenomeno del reclutamento delle unità motrici, viene attivato un numero maggiore di unità motrici: a un maggior numero di unità motrici reclutate corrisponde una forza di contrazione più elevata.
la tensione prodotta sarà differente a seconda di quanto il muscolo viene allungato, quindi esiste una lunghezza ottimale da cui far partire il muscolo per la contrazione in modo da ottenere la maggiore forza di contrazione possibile. esiste un valore di lunghezza ottimale, in corrispondenza del quale la forza sviluppata è massima: è un valore di lunghezza che corrisponde alla lunghezza che ha il muscolo in situ quando è quasi completamente disteso. Il punto di lunghezza ottimale (2,2 nm) è legato alla posizione dei filamenti, perché rappresenta la lunghezza del muscolo per la quale i filamenti di actina e di miosina hanno il grado di sovrapposizione migliore per interagire e formare il ponte nel modo più efficace possibile
possiamo recluatere unità motorie di tipo diverso in base al tipo di sforzo da compiere; tramite il fenomeno del reclutamento delle unità motrici, viene attivato un numero maggiore di unità motrici: a un maggior numero di unità motrici reclutate corrisponde una forza di contrazione più elevata. Si tratta del meccanismo di aumento della forza di contrazione più efficace, che permette di non giocare troppo con la frequenza che può essere pericolosa. Il reclutamento delle unità motrici segue il principio della dimensione o legge di Henneman, secondo cui vengono reclutate prima le unità motrici più piccole e via via quelle più grandi, perché i neuroni di piccolo calibro hanno una soglia più bassa rispetto a quelli di grandi dimensioni. Un neurone più grande avrà una maggiore capacità di membrana rispetto ad uno più piccolo e conseguentemente una costante di tempo maggiore. Dunque la minore dimensione del neurone fa sì che il potenziale d’azione venga raggiunto prima e dunque le prime unità motorie ad attivarsi sono le più piccole. Nel reclutamento si ha un andamento “a scalino”, in cui ogni scalino è una nuova unità motrice attivata; la fluidità nel passaggio da un’unità motrice all’altra (lo smussamento dei gradini) è garantito dalla modulazione della frequenza, che permetterà alle singole oscillazioni di essere ravvicinate al punto da essere integrate a livello del tendine. Infatti le oscillazioni dovute all’attività delle singole unità motrici non generano tremore in condizioni fisiologiche, grazie alla presenza del tendine, che funge da integratore: la singola oscillazione si associa alla scossa semplice evocata da un singolo potenziale d’azione, ma le oscillazioni sono talmente ravvicinate che si avrà una fusione; tale fusione non avviene a livello del muscolo stesso (tetano), ma avviene a livello del tendine, che integra l’attività delle singole unità motrici evitando il tremore.
Frequenza, Lunghezza ottimale, fenomeno del reclutamento delle unità motrici,
aumentando la frequenza di stimolazione, aumenta la forza di contrazione; ma non si può agire solo sulla frequenza, perché il nostro organismo non può lavorare a frequenze tetaniche, quindi occorre operare anche su altri parametri. Fisiologicamente non si verificano né le scosse semplici (non servono a nulla) né il tetano (pur sviluppando una tensione massimale, non è compatibile con la vita perché causa una costrizione generalizzata e persistente anche dei vasi sanguigni, impedendo l’apporto di ossigeno e nutrienti ai muscoli che stanno lavorando). - tetano fuso (energeticamente molto dispendioso, non viene utilizzato): un ulteriore aumento della frequenza porta alla totale fusione delle singole scosse e non si hanno più oscillazioni; in questo modo la tensione sviluppata è massima e molto maggiore rispetto alle scosse semplici, e si ha una contrazione uniforme: ho saturato tutta la troponina oppure ho consumato tutto il calcio - tetano non fuso: ulteriore aumento della frequenza, con parziale sommazione delle scosse e aumento della tensione sviluppata; la frequenza cresce fino a un certo valore e poi si ferma. Dò alla pompa SERCA il tempo di lavorare q(i nostri muscoli lavorano in tetano incompleto)
è organizzato in modo meno regolare rispetto al muscolo scheletrico, ed è rappresentato dal materiale contrattile (privo di simmetria, le proteine contrattili sono disposte in modo apparentemente disordinato e orientate in tutte le direzioni; non esiste la troponina C, in quanto il ruolo di regolazione dell’affinità della testa di miosina per l’actina è svolto dalla calmodulina che lega il Ca++; non esiste la troponina T, in quanto la tropomiosina è agganciata al caldesmon) e dai corpi densi (punti di aggancio dei filamenti che contrattili, che, in questa disposizione meno ordinata, sostituiscono le linee Z). L’orientamento pluridimensionale dei filamenti di actina e miosina, determina uno sviluppo della forza secondo molte direzioni, non solo longitudinalmente, (dona plasticità naturale per massimizzare la forza di contrazione), quindi l’accorciamento della fibrocellula muscolare avviene in tutte le direzioni, così da determinare una riduzione globale del volume dell’organo z(accartocciamento)
A seconda del meccanismo di innervazione, si distinguono due tipi di muscolatura liscia:
Þ Muscolatura unitaria: gruppi di cellule disposte in lamine vengono innervate da un singolo assone, che passa vicino alle fibrocellule muscolari ed emette varicosità, che sono vicine solo ad alcune cellule; le cellule contattate dalle varicosità ricevono il NT (noradrenalina o acetilcolina) tramite il liquido interstiziale e comunicano lo stimolo a quelle più lontane tramite gap-junctions; in questo modo questa struttura funziona come un tutt’uno, poiché se cambia qualcosa in una cellula, ne risente l’interno blocco; la gradazione della forza di contrazione dell’organo dipende dal numero di cellule che costituiscono la singola unità, per cui a maggior numero di cellule corrisponderà maggiore forza; si trova a livello di strutture con disposizione a lamine (ad esempio: intestino, colecisti, utero, vasi, ureteri)
Þ Muscolatura multiunitaria: ogni cellula è più o meno vicina ad una struttura nervosa e scollegata dalle altre; in questo modo il SNA può modulare l’azione di singole popolazioni di cellule in modo più raffinato e differenziato, senza che la struttura si comporti come un unico blocco e permettendo alle singole cellule di agire in maniere indipendente dalle altre; si trova a livello di strutture che richiedono coordinazione e specificità di movimento (ad esempio: iride, corpo ciliare)
tale fluttuazione è dovuta al fatto che la membrana non è del tutto impermeabile agli ioni, per cui c’è un certo flusso di ioni anche a riposo. L’oscillazione del potenziale di membrana può essere diminuita o aumentata da vari fattori (ad esempio dilatazione dell’organo: arriva cibo nello stomaco), e, nel momento in cui raggiunge un certo valore soglia, si innesca il potenziale d’azione (che può essere semplice come nelle cellule nervose, seguito da plateau come nelle cellule pacemaker del cuore, o rappresentato da una serie di potenziali d’azione su una serie di onde lente di depolarizzazione) e si ha la contrazione; quindi la contrazione avviene solo in presenza del potenziale d’azione, che però non arriva dal nervo, ma è generato dallo stesso tessuto muscolare in relazione a tanti possibili eventi, come la dilatazione dell’organo. Nel muscolo liscio gli eventi elettrici sono dominati dal Ca++
Nel muscolo liscio gli eventi elettrici sono dominati dal Ca++, al contrario del potenziale d’azione nervoso in cui il ruolo fondamentale è rivestito dal Na+: le onde lente di depolarizzazione sono legate al Ca++ che entra nella fibrocellula muscolare e 1 ad un certo valore di depolarizzazione si aprono i CaV che permettono l’ingresso di Ca++ e l’innesco del potenziale d’azione [l’aumento del Ca++ intracellulare determina poi l’apertura dei KCa (canali per il K+– Ca++dipendenti); il flusso uscente di K+ attraverso i KCa determina la ripolarizzazione fino all’iperpolarizzazione, che permetterà nuovamente l’apertura dei CaV per la continuazione ciclica del sistema]; 2 il Ca++ entrato nel citoplasma tramite i CaV (Il calcio viene dall’esterno, l’apertura dei canali può essere causata da diversi fattori come lo stiramento. Il calcio che entra si lega ai recettori rianodinici del RE causando rilascio di calcio nel citosol) si lega alla calmodulina, formando il complesso Ca++-calmodulina (quindi nel muscolo liscio il calcio che innesca la contrazione proviene dall’esterno); 3 il complesso Ca++-calmodulina determina lo spostamento del caldesmon e conseguentemente della tropomiosina, che espone sull’actina il sito di attacco per la testa di miosina, inoltre il complesso Ca++-calmodulina va ad attivare la MLCK (chinasi delle catene leggere di miosina); 4 il complesso Ca++-calmodulina-MLCK utilizza un ATP per andare a fosforilare le catene leggere di miosina, aumentando l’affinità della testa per il sito di attacco sull’actina (ATP residua come ADP e Pi, e il Pi viene legato alla catena leggera della miosina); in questo modo si innesca il ciclo dei ponti acto-miosinici e avviene la contrazione; 5 per il rilasciamento del muscolo deve avvenire la defosforilazione delle catene leggere di miosina da parte della MLCP (La fosfatasi è attivata da una chinasi rho a sua volta attivata da una proteina: RhoA. A monte troviamo una proteina G) e la rimozione del Ca++. Un ciclo consuma due ATP, uno utilizzato per generare il colpo di forza, l’altro utilizzato dalla MLCK per fosforilare la catena leggera di miosina.
Fosfochinasi A, associata al recettore beta 2, fosforila la chinasi MLCK bloccandola. Meccanismo usato dalle arteriola e dai piccoli vasi.
è regolata tramite la MLCP e tramite i livelli di Ca++ nel citoplasma. Per quanto riguarda la regolazione della fosforilazione, si tratta di una regolazione sui filamenti spessi (thick filament regulated), e si basa sul fatto che il processo di fosforilazione della MLCK è controbilanciato dall’azione defosforilante di una fosfatasi (MLCP), che, rimuovendo il Pi dalla catena leggera di miosina, riduce l’affinità della testa di miosina per l’actina e induce lo stato rilassato del muscolo; il grado di fosforilazione dei ponti sarà determinato da un bilanciamento dell’azione chinasica e fosfatasica: più ponti sono fosforilati, maggiore sarà la forza di contrazione e la tensione prodotta dal muscolo liscio. Il fulcro della regolazione della contrazione del muscolo liscio è dato dalla concentrazione di Ca++ nel citoplasma, perché il muscolo liscio non ha le unità motrici, quindi non può avvenire il fenomeno del reclutamento,el’unicomodo che haper aumentare la forza di contrazione è aumentare il numero di ponti attivi, e lo fa aumentando la concentrazione di Ca++ nel citoplasma. La proteina Gq (secondo messaggero di messaggeri metabotropici) stimola la produzione di inositolo 3 fosfato che causa il rilascio di calcio dal reticolo sarcoplasmatico. In presenza di alti livelli di Ca++, la maggior parte delle catene leggere della miosina sarà fosforilata, quindi si avrà la formazione di molti ponti e un’alta attività ATPasica, che determinerà la produzione di molta energia e quindi un’attività meccanica molto intensa (maggiore concentrazione di Ca++, maggior numero di ponti attivi, maggiore forza di contrazione); in presenza di bassi livelli di Ca++, si riduce l’attività della MLCK quindi la maggior parte delle catene leggere della miosina sarà defosforilata, quindi si avrà la formazione di pochi ponti e una scarsa attività ATPasica, che determinerà la produzione di poca energia e quindi una scarsa attività meccanica (il fatto che sia scarsa e non nulla determina lo stato di contrazione tonica mantenuto per lunghi periodi dai vasi e da altri organi) Meccanismo STIM-ORAI: sono due proteine, una presente sulla membrana del reticolo sarcoplasmatico (STIM) e l’altra sulla membrana cellulare (ORAI). Quando c’è deplezione di calcio da parte del reticolo sarcoplasmatico STIM1 si attiva e può legare funzionalmente ORAI, creando un canale funzionale per il passaggio di calcio, che può andare a ripristinare quella parte di reticolo che si era svuotata, oppure può rimanere nel citosol contribuendo all’innesco della contrazione del muscolo liscio..
sono due proteine, una presente sulla membrana del reticolo sarcoplasmatico (STIM) e l’altra sulla membrana cellulare (ORAI). Quando c’è deplezione di calcio da parte del reticolo sarcoplasmatico STIM1 si attiva e può legare funzionalmente ORAI, creando un canale funzionale per il passaggio di calcio, che può andare a ripristinare quella parte di reticolo che si era svuotata, oppure può rimanere nel citosol contribuendo all’innesco della contrazione del muscolo liscio..
Þ CONTRAZIONE TONICA: è un certo grado di contrazione persistente, mantenuta nel tempo per via
del fatto che il Ca++ non viene completamente rimosso e il quantitativo che rimane nel citoplasma permette il mantenimento di un minimo di fosforilazione, e quindi il mantenimento di un certo livello di forza; questo tipo di contrazione si ha ad esempio a livello di glutei, quadricipiti e muscoli dorsali quando stiamo in piedi. Alla contrazione tonica si associano due fenomeni a cui è sottoposto il muscolo liscio, che consentono cambi di volume dell’organo mantenendo la stessa pressione e descrivono il momento di lunghezza, cioè la capacità del muscolo liscio che riveste un organo di adattarsi alle variazioni del contenuto: “stress- relaxation” (aumenta contenuto dell’organo, aumenta la pressione interna, il muscolo liscio viene stirato e disteso ma continua ad esercitare una pressione sul contenuto, perché mantiene sempre un certo grado di contrazione che tiene il contenuto leggermente sotto pressione) e “reverse stress-relaxation” (l’organo si svuota, diminuzione del volume interno e quindi minore distensione delle cellule muscolari, la forza esercitata dal muscolo liscio ritorna più o meno ai valori di controllo). Più tempo passa più il muscolo liscio riesce a generare tensione attiva perdendo un po’ di tensione passiva
Þ CONTRAZIONE FASICA: è una contrazione rapida e fugace, che porta a movimenti veloci nel tempo e che termina al momento del rilascio, perché, dopo la contrazione, il Ca++ viene interamente rimosso e si ha una defosforilazione completa. Quindi, quando entra il Ca++ nella fibrocellula muscolare, si ha una forza di contrazione che cresce, finché il Ca++ viene rimosso e si procede con la defosforilazione che porta ad un rapido calo della forza.
!CONTRAZIONE ISOTONICA: durante la contrazione si verifica una variazione di lunghezza del
muscolo, che si accorcia; si verifica quando solleviamo un peso, usando il braccio come una leva: è isotonica, perché si suppone che il peso dell’oggetto in questione rimanga costante durante il movimento (in realtà non è così, perché il peso varia a seconda dell’angolo che si forma, ma, trattandosi di variazioni minime, si considera il peso costante). Esistono due tipi di contrazione isotonica: concentrica (sollevo un peso: le linee Z si spostano verso il centro, il sarcomero di accorcia e il muscolo si accorcia) ed eccentrica (poggio piano un peso usando il muscolo come freno per contrastare la forza di gravità ed evitare che il peso cada: contraggo muscolo e progressivamente lo allungo, si allungano i sarcomeri e si allontanano le linee Z – bisogna dosare bene il rapporto allungamento/contrazione altrimenti si creano strappi, stiramenti o microlesioni della membrana cellulare). !CONTRAZIONE ISOMETRICA: durante la contrazione non si verifica una variazione di lunghezza del muscolo; si verifica quando spingiamo contro un muro, che non si sposta: è isometrica perché la forza si sviluppa durante tutto il tempo della contrazione (variazione di tensione), ma la lunghezza del muscolo rimane invariata (in realtà non è così, perché le componenti elastiche (titina e tendini) sono messe in tensione e leggermente allungate, quindi varia leggermente la lunghezza del sarcomero, ma, trattandosi di variazioni infinitesime rispetto alla lunghezza totale della fibra, si considera la lunghezza
costante).
durante la contrazione si verifica una variazione di lunghezza del
muscolo, che si accorcia; si verifica quando solleviamo un peso, usando il braccio come una leva: è isotonica, perché si suppone che il peso dell’oggetto in questione rimanga costante durante il movimento (in realtà non è così, perché il peso varia a seconda dell’angolo che si forma, ma, trattandosi di variazioni minime, si considera il peso costante). Esistono due tipi di contrazione isotonica: concentrica (sollevo un peso: le linee Z si spostano verso il centro, il sarcomero di accorcia e il muscolo si accorcia) ed eccentrica (poggio piano un peso usando il muscolo come freno per contrastare la forza di gravità ed evitare che il peso cada: contraggo muscolo e progressivamente lo allungo, si allungano i sarcomeri e si allontanano le linee Z – bisogna dosare bene il rapporto allungamento/contrazione altrimenti si creano
strappi, stiramenti o microlesioni della membrana cellulare).
durante la contrazione non si verifica una variazione di lunghezza del muscolo; si verifica quando spingiamo contro un muro, che non si sposta: è isometrica perché la forza si sviluppa durante tutto il tempo della contrazione (variazione di tensione), ma la lunghezza del muscolo rimane invariata (in realtà non è così, perché le componenti elastiche (titina e tendini) sono messe in tensione e leggermente allungate, quindi varia leggermente la lunghezza del sarcomero, ma, trattandosi di
variazioni infinitesime rispetto alla lunghezza totale della fibra, si considera la lunghezza
costante).
fibre a contrazione lenta (slow) e dotate di metabolismo aerobico (oxidative), quindi sono rosse; presentano l’isoforma MHCI della catena pesante della miosina. Inoltre si è visto che queste fibre di tipo 1 sono innervate da motoneuroni piccoli, che quindi hanno poche arborizzazioni e innervano un numero ristretto di fibre: dunque queste fibre appartengono ad unità motrici piccole, che sviluppano una forza esigua. Poiché un metabolismo di tipo ossidativo porta ad una disponibilità di ATP per un lungo tempo, e poiché le unità motrici piccole permettono di sviluppare poca potenza, queste fibre sono adatte agli esercizi prolungati che non richiedono una forza elevata, come il mantenimento degli atteggiamenti posturali. L’attività della pompa SERCA risulta moderata nel muscolo ossidativo e notevole nel muscolo glicolitico
Fibre di tipo 2A (FOG): fibre a contrazione abbastanza veloce (fast) e dotate di metabolismo sia aerobico (oxidative) che anaerobico (glicolitic); presentano l’isoforma MHCIIa della catena pesante della miosina. Inoltre si è visto che queste fibre di tipo 2A sono innervate da motoneuroni di dimensioni maggiori rispetto alle fibre di tipo 1, che hanno un numero maggiore di arborizzazioni e innervano un numero maggiore di fibre: dunque queste fibre appartengono ad unità motrici abbastanza grandi, che sviluppano una forza abbastanza elevata. Dunque queste fibre sono adatte ad esercizi che richiedono una certa energia per tempi protratti, come il nuoto e la corsa.
Fibre di tipo 2B (FG): fibre a contrazione veloce (fast) e dotate di metabolismo anaerobico (glicolitic), quindi sono bianche; presentano l’isoforma MHCIIb della catena pesante della miosina. Inoltre si è visto che queste fibre di tipo 2B sono innervate da motoneuroni di grandi dimensioni, che hanno un elevato numero di arborizzazioni e innervano un gran numero di fibre: dunque queste fibre appartengono ad unità motrici grandi, che sviluppano una forza molto elevata. Poiché la glicolisi porta ad una disponibilità di ATP per tempi brevi, e poiché le unità motrici grandi permettono di sviluppare una grande forza, queste fibre sono adatte per esercizi di breve durata e che richiedono un’elevata potenza. La glicolisi ha comunque una sua tempistica, per sforzi intensi e di breve durata l’ATP viene ricavato dal metabolismo della fosfocreatina. Alla fosfocreatina viene tolto il gruppo fosfato per formare ATP a partire dall’ADP lasciando la
creatina, la reazione è reversibile. Nel momento in cui termina la creatina interviene la glicolisi (3 ATP) e poi la fosforilazione ossidativa (30 ATP). Quando lo sforzo diventa intenso abbiamo fosforilazione ossidativa insieme a glicolisi con glucosio ematico (2 ATP).
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metabolico e la funzione. Un motoneurone può innervare una fibra o una famiglia di fibre ma una fibra muscolare può ricevere afferenze solo da un motoneurone. Le unità motorie molto piccole permettono di controllare molto di più i movimenti e di realizzare quindi movimenti piccoli e precisi, come muovere le dita- Invece le unità motorie molto grandi portano alla realizzazione di movimenti più grossolani come camminare
Per quanto riguarda la classificazione delle UNITÀ MOTRICI, queste vengono distinte in quattro tipi:
Unità motrici di tipo S: sono unità motrici a contrazione
lenta (slow) e resistenti alla fatica; sviluppano tensioni molto modeste. (I). Vi è una simmetria tra grandezza della fibra e diametro del motoneurone. Nell’unità motoria S il motoneurone sarà più piccolo.
Unità motrici di tipo Fr: sono unità motrici a contrazione veloce (fast) e resistenti alla fatica (resistant); sviluppano tensioni abbastanza elevate (IIA)
Unità motrici di tipo Fi: sono unità motrici a contrazione veloce (fast) e con caratteristiche di affaticabilità intermedie fra Fr e Ff (intermediate)
Unità motrici di tipo Ff: sono unità motrici a contrazione veloce (fast) e poco resistenti alla fatica (fatigable); sviluppano tensioni molto elevate (IIB)
Di solito ogni muscolo presenta tutti e quattro i tipi di unità motrici mescolate fra loro (disposizione a mosaico), ma talvolta ci può essere un’asimmetria, come nel soleo in cui ci sono quasiesclusivamenteunitàmotriciditipoS,pocheFrenessunaFf.
• 50-80%: colpo di forza
• 20-30%: rilascio calcio con pompe
• <20%: ripristino potenziale con pompa Na-K
‣ Fatica muscolare: condizione in cui un muscolo non riesce a generare più la stessa forza costante a parità di stimolo, che determina riduzione della forza e della velocità. Può essere dovuto a:
‣ Fatica metabolica: esaurimento scorte di glicogeno e/o accumulo di acido lattico
‣ Fatica neuromuscolare: esaurimento neurotrasmettitore, alterazione enzima che degrada il neurotrasmettitore
o dei recettori ad esso associati
‣ Fatica centrale: inibizione da sopra dei motoneuroni che scaricano nelle unità motorie
oltre alla riduzione dei livelli intracellulari di calcio (SERCA, PMCA ruolo più importante, scambiatore sodio-calcio), è necessaria l’attività della fosfatasi della catena leggera della miosina, che rimuove il gruppo fosfato dalla catena leggera della miosina ed è attiva quando si trova in uno stato di fosforilazione da parte della chinasi Rho-K, a sua volta attivata da una proteina RhoA-GTP.
Il rilasciamento può essere anche ad opera della protein-chinasi cAMP dipendente (PKA) che fosforila la chinasi della catena leggera della miosina, che a sua volta non può fosforilare la catena leggera della miosina impedendo la formazione dei ponti trasversali.
ogni fibra è associata a una varicosità (rigonfiamento nel terminale sinaptico) e si contrae in maniera indipendente. Si contrae spesso sotto il controllo nervoso e mai in maniera automatica o umorale. Il muscolo multiunitario permette movimenti molto precisi (accomodazione alla luce e alla vista) e si contrae in maniera tonica, ossia rimane contratto per più tempo in maniera più raffinata.
le cellule sono unite da giunzioni comunicanti e si contraggono quindi
come fossero una unica unità funzionale. si contrae spesso per automatismo (autoeccitabilità) o per controllo umorale e più raramente sotto il controllo nervoso. Permette movimenti più grossolani (peristalsi) e si contrae in maniera fasica (contrazioni rapide e grossolane).
differentemente dal muscolo scheletrico, nel muscolo liscio la principale fonte di calcio è l’ambiente extracellulare. Il calcio entra tramite:
• canali voltaggio dipendenti per il calcio, principalmente di tipo L
• canali ligando dipendenti
• canali attivati dallo stiramento, fondamentali nei fenomeni di autoregolazione (vedi
fisiologia cardiovascolare)
il calcio proviene anche in misura minore dal reticolo sarcoplasmatico tramite due vie:
• recettori rianodinici isoforma 3 (RyR3), è attivato dal calcio entrato dall’esterno e si apre facendo entrare ulteriore calcio dal reticolo sarcoplasmatico (sensore del Ca2+)
• recettore di inositol-trifosfato, attivato da IP3 prodotto dalla scissione di PIP2 (fosfatidilinositolo 4,5 bisfosfato) in diacilglicerolo e IP3 da parte di proteine Gq.
Esiste anche un altro meccanismo che coinvolge due proteine: STIM1 (sulla membrana del reticolo sarcoplasmatico) e ORAI (membrana cellulare): quando il calcio viene rimosso dal citosol da parte del reticolo sarcoplasmatico STIM1 si lega a ORAI, formano un canale che permette l’entrata del calcio nel citosol.
Dopo l’entrata nel citosol (differentemente dal muscolo scheletrico, nel muscolo liscio la principale fonte di calcio è l’ambiente extracellulare. Il calcio entra tramite:
• canali voltaggio dipendenti per il calcio, principalmente di tipo L
• canali ligando dipendenti
• canali attivati dallo stiramento), il calcio si lega ai 4 siti della calmodulina che attiva la MLCK che fosforila la testa della miosina (sulla serina-19) attivando la sua capacità di idrolizzare ATP. Allo stesso tempo il complesso calcio-calmodulina lega e sposta il caldesmone e la miosina si può quindi legare all’actina e elimina la caloponina che aveva azione inibitoria sulla miosina. La miosina del muscolo liscio idrolizza ATP a una velocità di circa 1/10 di quella della miosina del muscolo scheletrico, il che comporta una contrazione lenta (dura circa 400ms. contro i 10-100 ms. del muscolo scheletrico, è quindi più facilmente tetanizzabile).
Oltre alla fosforilazione, le cellule muscolari lisce hanno un altro meccanismo per mantenere la contrazione a lungo col minimo consumo di ATP: lo stato chiuso. La testa della miosina associata all’actina si defosforila (fosfatasi della catena leggera della miosina), causando una diminuzione dell’attività ATPasica; ne risulta che la testa della miosina non è più in grado di staccarsi dall’actina e ciò mantiene il muscolo in uno stato contratto (nel tono dei vasi sanguigni). Dopo il ciclo di contrazione il calcio viene rimosso da una pompa ATP dipendente e risequestrato nel REl.
Quindi, il muscolo liscio riesce a generare una forza isometrica persistente nel tempo senza consumare ATP. Questa funzione è fondamentale negli sfinteri o nel muscolo costrittore dell’iride.
La miosina del muscolo liscio idrolizza ATP a una velocità di circa 1/10 di quella della miosina del muscolo scheletrico, il che comporta una contrazione lenta (dura circa 400ms. contro i 10-100 ms. del muscolo scheletrico, è quindi più facilmente tetanizzabile).
Oltre alla fosforilazione, le cellule muscolari lisce hanno un altro meccanismo per mantenere la contrazione a lungo col minimo consumo di ATP: lo stato chiuso. La testa della miosina associata all’actina si defosforila (fosfatasi della catena leggera della miosina), causando una diminuzione dell’attività ATPasica; ne risulta che la testa della miosina non è più in grado di staccarsi dall’actina e ciò mantiene il muscolo in uno stato contratto (nel tono dei vasi sanguigni). Dopo il ciclo di contrazione il calcio viene rimosso da una pompa ATP dipendente e risequestrato nel REl.
prevalenti negli invertebrati (fuga da pericolo o difesa), presenti nei mammiferi solo a livello di retina, oliva inferiore, alcuni nuclei del tronco dell’encefalo, ippocampo, ipotalamo e durante lo sviluppo prenatale. La trasmissione è “elettrotonica”, quindi i fattori che operano la trasmissione sono correnti ioniche, che passano senza trasduzione del segnale, direttamente dall’elemento presinaptico a quello postsinaptico, che sono dunque molto ravvicinati fra loro (vallo sinaptico di 3,5nm) e posti in continuità citoplasmatica l’uno con l’altro grazie alle gap junctions: due emicanali (connessoni), formati ciascuno da 6 subunità (connessine) con 4 segmenti transmembrana con i domini N- terminali e C-terminali sul versante citoplasmatico, giustapposti formano un poro del diametro di 1.4nm con elevata conduttanza. Queste sinapsi sono caratterizzate da ritardo sinaptico nullo, quindi la trasmissione è velocissima e questa rapidità assicura una scarica sincrona, per cui l’attivazione del potenziale d’azione in una cellula determina un’immediata attivazione del potenziale d’azione in tutte le cellule interconnesse. Le sinapsi elettriche sono bidirezionali, quindi il segnale può propagarsi dall’elemento presinaptico al postsinaptico e viceversa. Queste strutture sono poco espresse nei mammiferi perché non sono regolabili: esistono dei meccanismi di chiusura legati al pH, alla concentrazione di Ca++ o ad alcuni nucleotidi, ma generalmente il poro è sempre pervio.
99,9% delle sinapsi nei mammiferi. I fattori che operano la trasmissione sono neurotrasmettitori chimici, che vengono rilasciati dall’elemento presinaptico a livello della fessura sinaptica e si legano a recettori espressi sull’elemento postsinaptico; in questo caso si ha quindi una sequenzialità di eventi elettrici e chimici e si verifica una doppia trasduzione del segnale: il potenziale d’azione (segnale elettrico) arriva alla terminazione assonale; qui determina un aumento della permeabilità della membrana presinaptica al Ca++, determinando l’apertura di canali che fanno entrare il Ca++ nella cellula; l’aumento della concentrazione di Ca++ porta alla fusione delle vescicole sinaptiche con la membrana presinaptica e quindi al rilascio di neurotrasmettitori nella fessura sinaptica (segnale elettrico convertito in segnale chimico); i NT interagiscono con i recettori a livello postsinaptico, determinando nuovamente un segnale elettrico, cioè una variazione della conduttanza della membrana postsinaptica e una conseguente iperpolarizzazione (sinapsi inibitoria) o depolarizzazione e quindi un nuovo potenziale d’azione (sinapsi eccitatoria). I due neuroni quindi non sono in comunicazione diretta e si trovano ad una distanza maggiore rispetto alla sinapsi elettrica (vallo sinaptico di 30-50nm). Queste sinapsi sono caratterizzate da un ritardo sinaptico di circa 0,3ms dovuto all’arrivo del potenziale d’azione, alla fusione delle vescicole, all’aumento di concentrazione del NT nel vallo sinaptico e all’interazione del NT col recettore postsinaptico; quindi si avrà una scarica asincrona. Le sinapsi chimiche sono unidirezionali, perché il meccanismo con rilascio di NT non permette una trasmissione retrograda. Sono le sinapsi prevalenti nei mammiferi perché sono regolabili quindi possono essere modulate a diversi livelli, tramite meccanismi di plasticità sinaptica, che modificano la loro efficienza.
Le tre strutture della sinapsi chimica presentano un elevato grado di specializzazione e quindi delle strutture caratteristiche:
Neurone presinaptico presenta: vescicole sinaptiche, contenenti neurotrasmettitori immagazzinati e sono di tre tipi: vescicole di rilascio (si trovano nella zona attiva, cioè vicine alla membrana presinaptica pronte per fondersi con essa ed essere rilasciate nella fessura: 0,5-15%), vescicole di deposito (non vanno incontro a fusione: 85- 99%), vescicole dormienti (funzione non nota); mitocondri (c’è alto dispendio energetico); reticolo endoplasmatico; proteine coinvolte nell’esocitosi
Fessura sinaptica (30-50nm) presenta: MEC glicoproteica (mantiene i due neuroni in giustapposizione, evitando che si allontanino troppo); sistemi di catabolismo dei neurotrasmettitori
Neurone postsinaptico presenta: recettori per i neurotrasmettitori; canali ionici
sintetizzata a livello del neurone presinaptico e immagazzinata nelle vescicole sinaptiche; liberata in seguito a potenziale d’azione in quantità sufficiente per indurre risposta sinaptica; presenta recettori sulla membrana postsinaptica di fronte al sito di liberazione; sostanza esogena applicata direttamente a neurone postsinaptico deve riprodurre risposta simile a sostanza endogena; effetto bloccato in maniera concentrazione-dipendente da inibitori della sintesi dei NT; presenza a livello di membrana pre- e postsinaptica di enzimi in grado di degradarla.
neurotrasmettitori classici (basso peso molecolare, immagazzinati in vescicole chiare al ME e piccole 50nm), come ammine biogene (dopamina, istamina, adrenalina, serotonina), amminoacidi (glicina, glutammato, GABA), ATP e acetilcolina; e neurotrasmettitori peptidici (piccoli peptidi ad alto peso molecolare, immagazzinati in vescicole scure al ME e grandi 200nm), come la sostanza P, neurotensina, somatostatina, la b-endorfina, la colecistochinina, il peptide intestinale vasoattivo..
NT peptidici sono sintetizzati nel soma (ribosomi) e trasportati fino al terminale sinaptico tramite trasporto assonale rapido, sono poi rilasciati tramite esocitosi lenta, non vengono recuperati e hanno funzione modulatoria; Spesso il rilascio di NT peptidici è accompagnato a quello di un altro NT detto co-trasmettitore (co-trasmissione); i NT classici sono sintetizzati nel citoplasma della terminazione presinaptica (tranne noradrenalina, sintetizzata in vescicola), a livello della quale ci sono enzimi specifici per la biosintesi, poi vengono trasportati dentro le vescicole, poi rilasciati nella fessura sinaptica e hanno funzione inibitoria o eccitatoria. Il glutammato è un NT classico eccitatorio, si trova nel 70% delle sinapsi corticali, presenta due vie biosintetiche: 1% dall’a-chetoglutarato tramite enzima a-chetoglutarato-transaminasi; 99% dalla glutammina tramite enzima glutaminasi, ma neuroni non sanno sintetizzare glutammina quindi questa viene fornita da astrociti (presentano processi che si insinuano tra le sinapsi andandole a delimitare; ricaptano glutammato, lo trasformano in glutammina tramite enzima glutammina-sintetasi, e danno la glutammina al neurone tramite trasportatore su membrana astrocitaria e su membrana presinaptica). Il GABA è un NT classico inibitorio, si trova nel 20% delle sinapsi corticali, una via biosintetica: dal glutammato, che a sua volta deriva dalla glutammina, che viene messa a disposizione dall’astrocita. Biosintesi dei più importanti neurotrasmettitori.
• Acetilcolina: a partire da acetil-coA e colina, mediante il trasferimento del gruppo acetilico dall’acetil-coenizma alla colina. Catalizzata dall’enzima colinacetil-transferarsi.
• Catecolammine: Tirosina convertita in L-DOPA (diidrossifenilalanina) tramite tirosina-idrossilasi. L-DOPA viene decarbossilata in Dopamina. La dopamina nelle vescicole sinapsi viene trasformata in noradrenalina da dopamina- betaidrossilasi. La noradrenalina nel citoplasma grazie a fenil-etanolammina-N-metil-transferasi diventa adrenalina.
• Serotonina: il triptofano viene convertito in 5-idrossitriptofano tramite triptofano idrossilasi, il 5-idrossitriptofano viene convertito in serotonina mediante 5-idrossitriptofano-decarbossilasi.
• Istamina: decarbossilazione dell’istidina.
• Glicina: dalla serina
Una volta sintetizzati, i NT vengono immessi nelle vescicole contro gradiente (ogni vescicola ha un numero preciso di NT che varia da 1000 a 10000, concentrazione di 100mM) tramite un trasporto attivo secondario antiporto con H+: il NT entra nella vescicola, mentre uno ione H+ esce passivamente secondo gradiente, quindi si deve mantenere alta la concentrazione di H+ all’interno (pH=5) tramite trasporto attivo (pompa protonica ATPasica). I trasportatori vescicolari (TV) sono formati da 12 segmenti transmembrana e hanno un’alta specificità: vGLUT per glutammato, vGAT per GABA, vMAT per monoamine, vAChT per acetilcolina.
l’evento che innesca la fusione delle vescicole con la membrana presinaptica (e quindi il rilascio di NT) è l’arrivo del potenziale d’azione a livello del terminale presinaptico, perché la depolarizzazione determina l’apertura dei canali per il Ca++ voltaggio-dipendenti (P/Q, N, R sono molto concentrati a livello del terminale presinaptico), e quindi l’aumento della concentrazione di Ca++ (da 0,1μmol a 100μmol) nella zona attiva dove sono presenti le vescicole. Queste vescicole sono ancorate alla membrana della zona attiva tramite il complesso dello SNARE: sinaptobrevina (è una v-SNARE ancorata a vescicola), sintaxina e SNAP-25 (sono t-SNARE ancorate a membrana); quando MUNC-18 si dissocia dalla sintaxina, queste tre proteine si intrecciano e interagiscono fra loro per ancorare la vescicola alla membrana presinaptica, in uno stato in cui ci sono basse probabilità di fusione a causa della presenza delle complexine. Quando entra il Ca++ nella zona attiva, esso si lega alla sinaptotagmina (contenuta nelle vescicole, ha due domini per legare cinque ioni Ca++ e fosfolipidi di membrana) e ne determina un cambio conformazionale, che porta a una maggiore affinità per la membrana, quindi a un avvicinamento della vescicola alla membrana e alla formazione del poro di fusione mediante l'inibizione delle complexine. Ci sono due modalità di fusione: modalità “kiss-and-run” (si forma poro molto transitorio che dura frazioni di ms, i NT fuoriescono e la vescicola mantiene la sua integrità; è il meccanismo più veloce, utilizzato nelle sinapsi ad alta frequenza di scarica) e modalità “complete fusion” (si verifica la fusione completa della vescicola con la membrana e il contenuto della vescicola viene riversato nella fessura sinaptica). Il rilascio dei NT nella fessura sinaptica è un rilascio quantale
viene rilasciato un numero fisso di NT: una vescicola contenente un numero fisso di NT che a livello postsinaptico determinano una variazione di potenziale di 0,4mV. Studi a livello della giunzione neuromuscolare hanno rivelato, anche in assenza di stimolazione, l’esistenza di mini-EPP, cioè minime depolarizzazioni di valori multipli di 0,4 (0,4-1,6mV). Questo ha fatto comprendere che in assenza di stimolo le vescicole hanno una bassissima probabilità di fusione, quindi solo pochissime si fondono spontaneamente determinando mini-EPP, mentre la gran parte si fonde in seguito a ingresso di Ca++; il fatto che i mini-EPP siano tutti multipli di 0,4mV è dimostrazione del rilascio quantale di NT (se viene rilasciato un solo quanto si ha un potenziale di 0,4mV, se ne vengono rilasciati due di 0,8mV e così via).
Oltre a determinare la fusione, il Ca++ avvia anche il ciclo delle vescicole sinaptiche, attraverso il quale vengono mobilizzate nuove vescicole dal pool di riserva per rimpiazzare quelle rilasciate con la sinapsi. Le vescicole di riserva sono ancorate al citoscheletro tramite la sinapsina; quando entra il Ca++, esso si lega alla calmodulina, che attiva la CaM-chinasi, che va a fosforilare la sinapsina, determinandone il distacco e quindi il rilascio della vescicola dal pool di riserva. A questo punto la vescicola deve essere indirizzata verso la zona attiva: proteina G Rab3 quando è legata a GTP si lega alla vescicola e a un certo punto è in grado di riconoscere e interagire con proteina di membrana Rim situata nella zona attiva; poi si forma GDP, Rab3 si distacca, viene riformata Rab3-GTP pronta per nuovo ciclo. Oltre ad essere mobilizzate, per evitarne l’esaurimento, le vescicole vengono anche riciclate: prima viene smantellato il complesso SNARE tramite NSF e SNAP, poi le vescicole “kiss-and- run” tornano nel citoplasma per essere nuovamente riempite di NT e indirizzate al pool di riserva o al pool di rilascio, mentre le vescicole “complete fusion” vengono riciclate grazie al loro rivestimento di clatrina e alla dinamina che ne consente il distacco dalla membrana.
In seguito al legame del NT al recettore postsinaptico, sul versante postsinaptico si verifica l’insorgenza di un potenziale post-sinaptico (PPS), cioè di un evento elettrico con caratteristiche opposte rispetto al potenziale d’azione: è un potenziale graduato, non ha soglia, e si propaga con decremento, cioè si esaurisce nello spazio e nel tempo. I potenziali post-sinaptici possono essere depolarizzazioni, quindi eccitatori (PPSE), o iperpolarizzazioni, quindi inibitori (PPSI). Questi potenziali singolarmente sono talmente esigui che non sono in grado di innescare un potenziale d’azione (a eccezione della giunzione neuromuscolare: PPS di 70mV) perché sono sempre sotto-soglia (1mV); quindi, perché si verifichi un potenziale d’azione sulla membrana post-sinaptica, devono essere sommati mediante un processo di integrazione sinaptica, cioè un processo mediante il quale i numerosissimi segnali eccitatori e inibitori, che arrivano alla membrana, vengono integrati nel neurone postsinaptico: se la risultante di queste integrazioni determina una depolarizzazione che porta il potenziale di membrana della cellula postsinaptica al valore di -55mV ci sarà la genesi del potenziale d’azione. Tale sommazione di PPS, per generare un potenziale d’azione, si esplica prevalentemente a livello del cono di emergenza dell’assone, perché qui la soglia è più bassa (-55mV) rispetto al soma e ai dendriti (-35mV) per l’altissima densità di canali NaV. Questa integrazione si attua attraverso due tipi di sommazione temporale e spaziale
è un sistema motorio che sfugge alla nostra volontà, e regola le funzioni vegetative, controllando la muscolatura liscia, la muscolatura cardiaca e le ghiandole; la sua funzione è quella di rispondere a variazioni dell’ambiente esterno e interno. Viene definito “autonomo” perché è indipendente dalla nostra volontà, e “vegetativo” perché presiede al controllo delle funzioni vegetative. Il SNA opera principalmente (ma non esclusivamente) tramite archi riflessi viscerali, ovvero circuiti in cui un recettore invia un segnale all’interno del midollo spinale o a centri del tronco encefalico, così da determinare una risposta effettrice motoria del SNA. Il SNA è un sistema motorio che ha una componente efferente dineuronica, cioè costituita da un neurone pre-sinaptico che si trova in una struttura del SNC (componente centrale) e un neurone post-sinaptico che si trova in un ganglio del SNP (componente periferica); al contrario in SNS ha una componente efferente costituita da un solo a-motoneurone che innerva direttamente la fibra muscolare scheletrica.
implicato in risposte che il nostro organismo dà in condizioni di stress acuto (situazione attacco/fuga), per prepararsi ad un’attività prevalentemente muscolare. Viene definito sistema toraco-lombare, perché il neurone pre-gangliare ha il corpo nei segmenti del midollo spinale che vanno da T1 a L3, in una regione chiamata “corno intermedio laterale”.
nella regolazione della ventilazione e di conseguenza anche nella regolazione del pH, il quale risulta controllato da tre sistemi: sistemi tampone del sangue (che tamponano l’acidità), regolazione della ventilazione (che regola la concentrazione di H2CO3) e rene (che regola il riassorbimento di ioni HCO3- e l’escrezione di ioni H+).
La quantità di O2 che si trova nel sangue è 20mL/100mL di plasma nel comparto arterioso e 14mL/100mL di plasma nel comparto venoso. essendola agitata cardiaca 5 l al minuto è considerato che ogni CC di sangue arterioso porta 20 ml di ossigeno in un mio ordine viene trasportato 1 l di ossigeno. In condizioni basali soma di ossigeno e pari a 300 ml al minuto quindi il trasporto di ossigeno è largamente eccedente a quello che il fabbisogno in condizioni basali. nel caso del sangue venoso invece ogni CC trasporta 14 ml di ossigeno quindi in un minuto viene trasportato circa 0,7 l di ossigeno e tale differenza tra 1 l almin del sangue arterioso e 0,7 l al minuto il sangue dannoso e esattamente il 300 ml di ossigeno ovvero la quota consumata in condizioni basali in un minuto. Quindi questi due valori di 1 l al minuto e 0,7 l al minuto rappresentano il potere ossiforico del sangue sangue arterioso e venoso
" 2% fisicamente disciolto nel plasma: cioè solo 0,03mL di O2 ogni 100mL di sangue (15 ml/min)sono effettivamente disciolti nel sangue, perché l’O2 ha solubilità molto
bassa, determina cioè una pressione parziale molto bassa
" 98% legato all’emoglobina: la restante quota di O2 viene trasportata legata all’EMOGLOBINA, all’interno dei globuli rossi.
98% dell ossigeno viaggia legato all’emoglobina, all’interno dei globuli rossi. L’emoglobina è una proteina tetramerica (a2b2 Hb adulta, a2g2 Hb fetale), in cui ognuna delle quattro catene lega un gruppo eme (protoporfirina IX) con al centro un atomo di ferro ferroso (Fe++) responsabile dell’interazione con l’O2; l’emoglobina presenta uno stato rilassato (R) con maggiore affinità per l’O2 in cui si trova sotto forma di ossiemoglobina (HbO2), e uno stato teso (T) con minore affinità per l’O2 in cui si trova sotto forma di emoglobina ridotta (Hb); l’emoglobina presenta il fenomeno della cooperatività, per cui il legame della prima molecola di O2 al gruppo eme del primo monomero influenza positivamente il legame della seconda molecola di O2 al gruppo eme del secondo monomero, e così via; 1g di Hb è in grado di fissare 1,34mL di O2, e nel nostro sangue ci sono circa 15g di Hb ogni 100mL di sangue, quindi ritroviamo quel valore di 20mL di O2 ogni 100mL di sangue. Quindi l’emoglobina, in quanto trasportatore, deve continuamente caricare e scaricare O2; il comportamento dell’emoglobina nel legare e rilasciare O2 è studiato dalla curva di dissociazione dell’HbO2, che prende in considerazione la percentuale di saturazione dell’emoglobina, cioè quanta emoglobina lega O2 rispetto alla quantità totale di emoglobina. La curva di dissociazione dell’ossiemoglobina mostra che il fattore determinante che agisce sulla capacità dell’Hb di legare O2 è la pressione parziale di O2: man mano che PO2 aumenta, la percentuale di saturazione dell’Hb diventa progressivamente maggiore; tuttavia questa relazione fra la pressione parziale di O2 e la percentuale di saturazione dell’Hb non è una relazione lineare, ma ha un andamento a S italica (mentre, per la legge di Henry, la quota di O2 disciolto è linearmente proporzionale alla sua pressione parziale, lo stesso non avviene per la quota di O2 legato ad Hb):
il comportamento dell’emoglobina nel legare e rilasciare O2 è studiato dalla curva di dissociazione dell’HbO2, che prende in considerazione la percentuale di saturazione dell’emoglobina, cioè quanta emoglobina lega O2 rispetto alla quantità totale di emoglobina. La curva di dissociazione dell’ossiemoglobina mostra che il fattore determinante che agisce sulla capacità dell’Hb di legare O2 è la pressione parziale di O2: man mano che PO2 aumenta, la percentuale di saturazione dell’Hb diventa progressivamente maggiore; tuttavia questa relazione fra la pressione parziale di O2 e la percentuale di saturazione dell’Hb non è una relazione lineare, ma ha un andamento a S italica (mentre, per la legge di Henry, la quota di O2 disciolto è linearmente proporzionale alla sua pressione parziale, lo stesso non avviene per la quota
di O2 legato ad Hb): 1 Il grafico mostra che il tratto finale della curva presenta una fase di plateau, in cui l’aumento della pressione parziale di O2 non comporta significative variazioni della percentuale di saturazione dell’Hb; di conseguenza la curva raggiunge un valore massimo di saturazione pari al 97-98%, ma non arriva al 100% della saturazione nemmeno se respirassimo ossigeno puro (infatti alle pressioni parziali di O2 del sangue arterioso, cioè 97mmHg, si vede che la curva non raggiunge il 100%). 2 La P50 dell’Hb, cioè il valore di pressione parziale di O2 tale per cui la saturazione di Hb è al 50%, è di 27mmHg (P50 del CO 0.13 mmHg). 3 La porzione del grafico che corrisponde a pressioni parziali di O2 comprese fra 20 e 40mmHg, rappresenta una fase di massima pendenza, in cui modeste variazioni della pressione parziale di O2 determinano importanti variazioni della percentuale di saturazione dell’Hb; questo aspetto è molto importante per il rifornimento di O2 ai tessuti: se un tessuto ha attività metabolica aumentata, la sua PO2 scende al di sotto di 40mmHg, e allora l’Hb, anche a fronte di piccole diminuzioni di questa PO2, subisce un consistente fenomeno di desaturazione e rilascia una quota maggiore di O2 al tessuto.
Oltre alla pressione parziale di O2, ci sono altri fattori che influenzano la curva di dissociazione dell’HbO2, cioè fattori che condizionano la capacità dell’emoglobina di caricare e scaricare O2, agendo sulla componente proteica dell’emoglobina (non eme) e modificando il rapporto fra lo stato T e lo stato R: temperatura, pH, Pressione parziale di CO2 e 2,3BPG
Temperatura. La temperatura agisce sull’Hb modificando le cariche elettriche delle catene amminoacidiche laterali; un aumento della temperatura causa uno shift verso destra della curva di dissociazione dell’HbO2, per cui, a parità di PO2, la quota di saturazione diminuisce: quindi un aumento della temperatura causa una maggiore facilità di cessione di O2.
pH. Il pH agisce sull’Hb tramite modificazioni a carico di gruppi sensibili alla [H+]; un abbassamento del pH comporta uno shift della curva verso destra, per cui a parità di PO2, la quota di saturazione diminuisce: quindi una riduzione del pH causa una maggiore facilità di cessione di O2.
Pressione parziale di CO2. La CO2 agisce sull’Hb tramite l’effetto Bohr direttamente e indirettamente tramite il pH, cioè influenza il legame dell’O2 all’Hb legando i gruppi amminici terminali delle catene amminoacidiche laterali, così da formare gruppi carboamminici, che determinano modificazioni conformazionali della molecola e ne alterano l’affinità per l’O2, facilitando il rilascio. L’effetto Bohr non entra in gioco solo in situazioni di ipercapnia, ma opera fisiologicamente nel nostro organismo, nei distretti in cui la PCO2 subisce le variazioni maggiori, cioè nel polmone e nei tessuti periferici. L’effetto Bohr permette il carico di O2 a livello del polmone e il rilascio di O2 a livello dei tessuti, determinando uno shift della curva verso destra per i tessuti periferici e verso sinistra per il polmone: a livello del polmone la PCO2 è bassa e la PO2 è elevata, quindi l’Hb lega l’O2 con alta affinità, e (come mostra la curva di dissociazione dell’HbO2) la percentuale di saturazione è alta; a livello dei tessuti periferici la PO2 è bassa e la PCO2 è più elevata, quindi la CO2 si lega all’Hb e ne determina modificazioni conformazionali che ne abbassano l’affinità per l’O2, in modo che essa rilasci l’O2 ai tessuti in quantità maggiori e con più facilità di quanto avverrebbe senza effetto Bohr. 2,3–BPG. Il 2,3–bisfosfoglicerato si trova nel globulo rosso e agisce sull’Hb legandosi ad essa e destabilizzandone il legame con l’O2; un aumento dei livelli di 2,3–BPG causa uno shift verso destra della curva di dissociazione dell’HbO2, per cui, a parità di PO2, la quota di saturazione diminuisce: quindi un aumento del 2,3–BPG causa una maggiore facilità di cessione di O2. Le catene γ hanno maggiore affinità per il BPG->passaggio ossigeno dalla madre al feto
La CO2 agisce sull’Hb tramite l’effetto Bohr direttamente e indirettamente tramite il pH, cioè influenza il legame dell’O2 all’Hb legando i gruppi amminici terminali delle catene amminoacidiche laterali, così da formare gruppi carboamminici, che determinano modificazioni conformazionali della molecola e ne alterano l’affinità per l’O2, facilitando il rilascio. L’effetto Bohr non entra in gioco solo in situazioni di ipercapnia, ma opera fisiologicamente nel nostro organismo, nei distretti in cui la PCO2 subisce le variazioni maggiori, cioè nel polmone e nei tessuti periferici. L’effetto Bohr permette il carico di O2 a livello del polmone e il rilascio di O2 a livello dei tessuti, determinando uno shift della curva verso destra per i tessuti periferici e verso sinistra per il polmone: a livello del polmone la PCO2 è bassa e la PO2 è elevata, quindi l’Hb lega l’O2 con alta affinità, e (come mostra la curva di dissociazione dell’HbO2) la percentuale di saturazione è alta; a livello dei tessuti periferici la PO2 è bassa e la PCO2 è più elevata, quindi la CO2 si lega all’Hb e ne determina modificazioni conformazionali che ne abbassano l’affinità per l’O2, in modo che essa rilasci l’O2 ai tessuti in quantità maggiori e con più facilità di quanto avverrebbe senza effetto Bohr.
" 10% fisicamente disciolta nel plasma: cioè 2,6mL di CO2 ogni 100mL di sangue sono disciolti nel sangue, cioè una quantità maggiore rispetto all’O2, perché la CO2 ha una solubilità 20 volte più alta dell’O2
" 70% sotto forma di bicarbonati: a livello dei tessuti periferici, la CO2 viene rilasciata, passa nel plasma e da lì una quota va all’interno del globulo rosso, dove può essere trasformata in ione bicarbonato. Infatti nei globuli rossi è presente l’enzima anidrasi carbonica che catalizza la reazione CO2+H2O$H2CO3$HCO3-+H+: gli ioni H+ ottenuti con questa reazione si legano all’Hb e ne determinano un cambio conformazionale che ne diminuisce l’affinità per l’O2 e favorisce il rilascio di O2 al tessuto (quindi questo meccanismo fa sì che, laddove ci sono maggiori quantità di CO2, venga rilasciato l’O2); invece gli ioni bicarbonato ottenuti con la reazione sono poi sottoposti ad un antiporto con il Cl-, per cui uno ione Cl- passa dal plasma al globulo rosso, mentre uno ione HCO3- passa dal globulo rosso al plasma, dove ha un ruolo importante nel tamponamento dell’acidità. Tuttavia questi ioni HCO3- non possono essere eliminati dal polmone, quindi è assolutamente necessario che questo processo sia reversibile, in modo che a livello del polmone HCO3- possa rientrare nel globulo rosso (mentre Cl- esce) ed essere ritrasformato in CO2, che esce dal globulo rosso, passa nel plasma, attraversa la barriera alveolo – capillare e viene espirata. A spostare l’equilibrio di questo meccanismo bidirezionale in un verso o nell’altro sono i livelli di CO2: nei tessuti, dove la CO2 si accumula, la reazione è spostata verso la formazione di HCO3-, mentre nel polmone, dove la pressione parziale di CO2 è minore, la reazione è spostata verso la formazione di CO2.
" 27% legata a globina: quando una quota di CO2 passa dai tessuti periferici al plasma e dal plasma entra nel globulo rosso, questa non ha come unica possibilità quella di formare ioni bicarbonato ma può legarsi alla parte proteica dell’Hb (globina), formando legami carbamminici, che portano a cambi conformazionali dell’Hb e ne abbassano l’affinità per l’O2, così da favorire il rilascio di O2 ai tessuti (effetto Bohr). Oltre a legarsi alla globina, la CO2 può viaggiare legata ad altre proteine plasmatiche.
Quindi in definitiva, per quanto riguarda il trasporto della CO2, la quota di CO2 che circola nel sangue è in parte disciolta nel plasma (o sotto forma di CO2 o sotto forma di HCO3-) e in parte contenuta nel globulo rosso (o sotto forma di carbammino–Hb o sotto forma di HCO3-).
una quota consistente di CO2 entra all’interno dei globuli rossi, ma viaggia con un meccanismo totalmente diverso rispetto al trasporto dell’O2. A livello dei tessuti periferici, la CO2 viene rilasciata, passa nel plasma e da lì una quota va all’interno del globulo rosso, dove può essere trasformata in ione bicarbonato. Infatti nei globuli rossi è presente l’enzima anidrasi carbonica che catalizza la reazione CO2+H2O$H2CO3$HCO3-+H+: gli ioni H+ ottenuti con questa reazione si legano all’Hb e ne determinano un cambio conformazionale che ne diminuisce l’affinità per l’O2 e favorisce il rilascio di O2 al tessuto (quindi questo meccanismo fa sì che, laddove ci sono maggiori quantità di CO2, venga rilasciato l’O2); invece gli ioni bicarbonato ottenuti con la reazione sono poi sottoposti ad un antiporto con il Cl-, per cui uno ione Cl- passa dal plasma al globulo rosso, mentre uno ione HCO3- passa dal globulo rosso al plasma, dove ha un ruolo importante nel tamponamento dell’acidità. Tuttavia questi ioni HCO3- non possono essere eliminati dal polmone, quindi è assolutamente necessario che questo processo sia reversibile, in modo che a livello del polmone HCO3- possa rientrare nel globulo rosso (mentre Cl- esce) ed essere ritrasformato in CO2, che esce dal globulo rosso, passa nel plasma, attraversa la barriera alveolo – capillare e viene espirata. A spostare l’equilibrio di questo meccanismo bidirezionale in un verso o nell’altro sono i livelli di CO2: nei tessuti, dove la CO2 si accumula, la reazione è spostata verso la formazione di HCO3-, mentre nel polmone, dove la pressione parziale di CO2 è minore, la reazione è spostata verso la formazione di CO2
la ventilazione è sottoposta a una regolazione, che può agire sia sulla frequenza respiratoria sia sulla profondità del respiro. La regolazione della ventilazione consiste nel modulare l’attività dei centri nervosi che si trovano nel tronco encefalico, a livello del ponte e del bulbo, cioè il gruppo respiratorio pontino, il gruppo respiratorio dorsale del bulbo e il gruppo respiratorio ventrale del bulbo; questi centri fanno parte del nucleo del tratto solitario e costituiscono un “generatore centrale del pattern”, cioè una rete formata da neuroni che esercitano un controllo reciproco l’uno sull’altro e generano ripetitivi e ciclici treni di potenziali d’azione, in modo da attivare i motoneuroni che innervano i muscoli respiratori.
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REGOLAZIONE NERVOSA. Consiste in una modificazione della profondità e della frequenza del respiro, a seguito di stimoli come l’esercizio fisico o un comando motorio.
REGOLAZIONE CHIMICA. Consiste in una modificazione della profondità e della frequenza del respiro, a seguito di variazioni delle pressioni parziali di O2 e CO2 nel sangue: si tratta di una regolazione di tipo omeostatico, finalizzata a mantenere costanti i valori di O2 e CO2 nel sangue arterioso; in questo modo contribuisce anche alla regolazione del pH. Quindi gli stimoli chimici in grado di modulare la ventilazione sono la PO2, la PCO2 e il pH (questi ultimi due parametri sono quelli che hanno un effetto più potente ed efficace nel regolare la ventilazione). In particolare la ventilazione polmonare è inversamente proporzionale alla PO2 (meno potente) e direttamente proporzionale alla PCO2 e alla [H+]: cioè la ventilazione aumenta quando diminuisce la PO2 (ipossia), si alza la PCO2 (ipercapnia) e si abbassa il pH (acidosi). Le variazioni di PO2, PCO2, e [H+] vengono rilevate da un tipo specifico di recettori, cioè i chemocettori; in particolare entrano in gioco due gruppi di chemocettori: perifrici e centrali
sono situati nei grandi vasi, a livello del glomo aortico (arco dell’aorta) e del glomo carotideo (biforcazione della carotide), vicino ai barocettori; nell’uomo i chemocettori carotidei (che sono associati al nervo glossofaringeo) hanno ruolo prevalente rispetto a quelli aortici. I chemocettori periferici rilevano variazioni nel sangue arterioso della PO2, della PCO2 e del pH, ma con sensibilità differente: sono sensori che rilevano in maniera molto sensibile soprattutto le variazioni della pressione parziale di O2 nel sangue arterioso, mentre hanno una minore sensibilità nel rilevare variazioni della pressione parziale di CO2 e del pH. L’alta sensibilità di questi chemocettori alle variazioni di PO2 è dovuta al fatto che essi ricevono un flusso ematico abnorme rispetto alle loro dimensioni ridotte; quindi si tratta di un sistema abituato a ricevere un’enorme quantità di O2, e questo lo rende estremamente sensibile anche a modeste variazioni nell’apporto di O2. Il ruolo del pH e della PCO2 comunque non è irrilevante, infatti anche questi vengono rilevati dai chemocettori periferici, e inoltre aumenti della PCO2 o abbassamenti del pH possono esaltare l’affinità del sistema per le variazioni di PO2; inoltre questi chemocettori sono innervati dal SNA, quindi
anche l’azione del SNs può esaltare la loro affinità per le variazioni di PO2.
I chemocettori periferici sono tonicamente attivi alle pressioni parziali di O2 proprie del sangue arterioso, cioè a PO2≈100mmHg hanno una determinata frequenza di scarica tonica; quando la PO2 del sangue arterioso varia rispetto a questi valori fisiologici, la frequenza di scarica del chemocettore varia. Ma questa relazione fra PO2 e frequenza di scarica non è affatto una relazione lineare, per cui, al di sopra di 100mmHg, variazioni di PO2 consistenti non determinano significative variazioni della frequenza di scarica, mentre, al di sotto di 100mmHg, variazioni di PO2 anche esigue comportano un grande aumento della frequenza di scarica: questo significa che i chemocettori periferici sono più sensibili alle diminuzioni della pressione parziale di O2, rispetto agli aumenti di essa, quindi sono più sensibili all’ipossia. I glomi sono piccoli corpuscoli tondeggianti di 4mm formati da cellule di sostegno e da cellule glomiche (origine neuroectodermica), che sono i recettori veri e propri e presentano vescicole con NT e canali ionici voltaggio-dipendenti: l’abbassamento della PO2 determina (tramite proteine contenenti eme) una minore probabilità di apertura dei canali BK del K+ espressi sulle cellule glomiche (in misura minore questa inibizione dei BK viene effettuata anche da un aumento degli ioni H+, dovuto a un aumento della PCO2 , o a un abbassamento di pH); la conseguente interruzione del flusso uscente di K+ determina una depolarizzazione; la depolarizzazione attiva i canali del Ca++ voltaggio-dipendenti, innescando un flusso entrante di Ca++; l’aumento della concentrazione intracellulare di Ca++ determina il rilascio delle vescicole contenenti NT; il NT agisce sulle fibre nervose afferenti del nervo glossofaringeo e determina una depolarizzazione, che (se supera la soglia) può innescare un potenziale d’azione; i potenziali d’azione viaggiano lungo i neuroni afferenti del nervo glossofaringeo e arrivano nel bulbo, dove questi neuroni fanno sinapsi con i neuroni del gruppo respiratorio dorsale, andando a modulare la loro attività in modo da aumentare la frequenza e la profondità della respirazione.
I chemocettori periferici presentano il vantaggio di essere gli unici chemocettori sensibili al pH arterioso e soprattutto hanno il merito di instaurate una risposta estremamente rapida, ma hanno il limite di avere un’efficacia ridotta, cioè la risposta che determinano è meno forte rispetto a quella instaurata dai chemocettori centrali.
I chemocettori periferici presentano il vantaggio di essere gli unici chemocettori sensibili al pH arterioso e soprattutto hanno il merito di instaurate una risposta estremamente rapida, ma hanno il limite di avere un’efficacia ridotta, cioè la risposta che determinano è meno forte rispetto a quella instaurata dai chemocettori centrali.
sono situati nei grandi vasi, a livello del glomo aortico (arco dell’aorta) e del glomo carotideo (biforcazione della carotide), vicino ai barocettori; nell’uomo i chemocettori carotidei (che sono associati al nervo glossofaringeo) hanno ruolo prevalente rispetto a quelli aortici. I chemocettori periferici rilevano variazioni nel sangue arterioso della PO2, della PCO2 e del pH, ma con sensibilità differente: sono sensori che rilevano in maniera molto sensibile soprattutto le variazioni della pressione parziale di O2 nel sangue arterioso, mentre hanno una minore sensibilità nel rilevare variazioni della pressione parziale di CO2 e del pH. L’alta sensibilità di questi chemocettori alle variazioni di PO2 è dovuta al fatto che essi ricevono un flusso ematico abnorme rispetto alle loro dimensioni ridotte; quindi si tratta di un sistema abituato a ricevere un’enorme quantità di O2, e questo lo rende estremamente sensibile anche a modeste variazioni nell’apporto di O2. Il ruolo del pH e della PCO2 comunque non è irrilevante, infatti anche questi vengono rilevati dai chemocettori periferici, e inoltre aumenti della PCO2 o abbassamenti del pH possono esaltare l’affinità del sistema per le variazioni di PO2; inoltre questi chemocettori sono innervati dal SNA, quindi
anche l’azione del SNs può esaltare la loro affinità per le variazioni di PO2.
I chemocettori periferici sono tonicamente attivi alle pressioni parziali di O2 proprie del sangue arterioso, cioè a PO2≈100mmHg hanno una determinata frequenza di scarica tonica; quando la PO2 del sangue arterioso varia rispetto a questi valori fisiologici, la frequenza di scarica del chemocettore varia. Ma questa relazione fra PO2 e frequenza di scarica non è affatto una relazione lineare, per cui, al di sopra di 100mmHg, variazioni di PO2 consistenti non determinano significative variazioni della frequenza di scarica, mentre, al di sotto di 100mmHg, variazioni di PO2 anche esigue comportano un grande aumento della frequenza di scarica: questo significa che i chemocettori periferici sono più sensibili alle diminuzioni della pressione parziale di O2, rispetto agli aumenti di essa, quindi sono più sensibili all’ipossia. I glomi sono piccoli corpuscoli tondeggianti di 4mm formati da cellule di sostegno e da cellule glomiche (origine neuroectodermica), che sono i recettori veri e propri e presentano vescicole con NT e canali ionici voltaggio-dipendenti: l’abbassamento della PO2 determina (tramite proteine contenenti eme) una minore probabilità di apertura dei canali BK del K+ espressi sulle cellule glomiche (in misura minore questa inibizione dei BK viene effettuata anche da un aumento degli ioni H+, dovuto a un aumento della PCO2 , o a un abbassamento di pH); la conseguente interruzione del flusso uscente di K+ determina una depolarizzazione; la depolarizzazione attiva i canali del Ca++ voltaggio-dipendenti, innescando un flusso entrante di Ca++; l’aumento della concentrazione intracellulare di Ca++ determina il rilascio delle vescicole contenenti NT; il NT agisce sulle fibre nervose afferenti del nervo glossofaringeo e determina una depolarizzazione, che (se supera la soglia) può innescare un potenziale d’azione; i potenziali d’azione viaggiano lungo i neuroni afferenti del nervo glossofaringeo e arrivano nel bulbo, dove questi neuroni fanno sinapsi con i neuroni del gruppo respiratorio dorsale, andando a modulare la loro attività in modo da aumentare la frequenza e la profondità della respirazione.
Sono i chemocettori periferici che hanno un ruolo nella regolazione della ventilazione. I glomi sono piccoli corpuscoli tondeggianti di 4mm formati da cellule di sostegno e da cellule glomiche (origine neuroectodermica), che sono i recettori veri e propri e presentano vescicole con NT e canali ionici voltaggio-dipendenti: l’abbassamento della PO2 determina (tramite proteine contenenti eme) una minore probabilità di apertura dei canali BK del K+ espressi sulle cellule glomiche (in misura minore questa inibizione dei BK viene effettuata anche da un aumento degli ioni H+, dovuto a un aumento della PCO2 , o a un abbassamento di pH); la conseguente interruzione del flusso uscente di K+ determina una depolarizzazione; la depolarizzazione attiva i canali del Ca++ voltaggio-dipendenti, innescando un flusso entrante di Ca++; l’aumento della concentrazione intracellulare di Ca++ determina il rilascio delle vescicole contenenti NT; il NT agisce sulle fibre nervose afferenti del nervo glossofaringeo e determina una depolarizzazione, che (se supera la soglia) può innescare un potenziale d’azione; i potenziali d’azione viaggiano lungo i neuroni afferenti del nervo glossofaringeo e arrivano nel bulbo, dove questi neuroni fanno sinapsi con i neuroni del gruppo respiratorio dorsale, andando a modulare la loro attività in modo da aumentare la frequenza e la profondità della respirazione.
I chemocettori centrali sono più sensibili agli aumenti della pressione parziale di CO2, rispetto alle diminuzioni di essa, quindi sono più sensibili all’ipercapnia; hanno meccanismo d’azione simile a quelli periferici e, rilevata una situazione di aumentata PCO2, determinano un aumento della ventilazione agendo sul gruppo respiratorio ventrale.
I chemocettori centrali presentano caratteristiche opposte rispetto a quelli periferici, cioè hanno il limite di instaurate una risposta assai più lenta, ma hanno il merito di avere un’efficacia nettamente superiore, cioè la risposta che determinano è più potente rispetto a quella instaurata dai chemocettori periferici; è per questo motivo che (come detto sopra) la pressione parziale di CO2 ha un ruolo più determinante rispetto alla pressione parziale di O2, per quanto riguarda la regolazione della ventilazione in generale.
sono situati nel SNC, a livello del bulbo del tronco encefalico, in prossimità dell’emergenza del nervo glossofaringeo (IX paio) e del nervo vago (X paio); l’area in cui si trovano questi chemocettori centrali si trova in stretta vicinanza rispetto ai centri nervosi che regolano il ritmo respiratorio e in particolare al gruppo respiratorio ventrale del bulbo. I chemocettori periferici non sono in grado di rilevare variazioni della PO2, ma rilevano con alta sensibilità variazioni della PCO2, cioè determinano risposte respiratorie importanti a fronte di variazioni anche piccole della PCO2: quindi sono sensori che rilevano in maniera molto sensibile le variazioni della pressione parziale di CO2 nel sangue arterioso, mentre non hanno alcuna sensibilità nel rilevare variazioni della pressione parziale di O2 e del pH arterioso. Infatti, per quanto riguarda il pH, la barriera ematoencefalica (che è permeabile alla CO2) non lascia passare gli ioni H+, quindi i chemocettori centrali non possono rilevare variazioni del pH arterioso; possono invece rilevare variazioni del pH del liquor cefalorachidiano, perché la CO2 che ha attraversato la barriera ematoencefalica reagisce con H2O per formare H2CO3 che si dissocia in HCO3- e H+, quindi variazioni della PCO2 determinano alterazioni della [H+] nel liquor, che vengono registrate da questi chemocettori.
per quanto riguarda il pH, la barriera ematoencefalica (che è permeabile alla CO2) non lascia passare gli ioni H+, quindi i chemocettori centrali non possono rilevare variazioni del pH arterioso; possono invece rilevare variazioni del pH del liquor cefalorachidiano, perché la CO2 che ha attraversato la barriera ematoencefalica reagisce con H2O per formare H2CO3 che si dissocia in HCO3- e H+, quindi variazioni della PCO2 determinano alterazioni della [H+] nel liquor, che vengono registrate da questi chemocettori. [Tuttavia, anche in questo caso pH e PO2 non sono del tutto marginali, perché comunque variazioni rilevanti di pH e PO2 possono aumentare la sensibilità del sistema per la PCO2.] Taluni invocano un meccanismo diverso che vede il coinvolgimento degli astrociti. Quindi gli astrociti, in seguito all’aumento degli ioni H+ nel liquor, rilasciano ATP. Quest’ultimo, mediante un’azione esercitata sul recettore P2Y (recettore metabotropico per l’ATP), determina depolarizzazione della membrana.
- l’abbassamento della PO2 (in misura minore anche un aumento degli ioni H+, dovuto a un aumento della PCO2 o a un abbassamento di pH) determina una minore probabilità di apertura dei canali BK del K+ espressi sulle cellule glomiche;
- la conseguente interruzione del flusso uscente di K+ determina una depolarizzazione;
- la depolarizzazione attiva i canali del Ca++ voltaggio-dipendenti, innescando un flusso entrante di Ca++;
- l’aumento della concentrazione intracellulare di Ca++ determina il rilascio delle vescicole contenenti NT;
- il NT agisce sulle fibre nervose afferenti del nervo glossofaringeo e determina una depolarizzazione, che (se supera la soglia) può innescare un potenziale d’azione;
- i potenziali d’azione viaggiano lungo i neuroni afferenti del nervo glossofaringeo e arrivano nel bulbo, dove questi neuroni fanno sinapsi con i neuroni del gruppo respiratorio dorsale, andando a modulare la loro attività in modo da aumentare la frequenza e la profondità della respirazione.
- diminuzioni di pH;
- incrementi di PCO2;
esaltano la sensibilità dei chemocettori periferici alle variazioni della PO2. Al crescere di PCO2 cresce la frequenza di scarica lungo le fibre afferenti dei chemocettori periferici.
VANTAGGI
- Sono gli unici chemocettori sensibili al pH;
- instaurano una risposta estremamente rapida;
- sono gli unici sistemi recettoriali sensibili alla PO2;
- la variazione combinata dei tre parametri potenzia la risposta recettoriale (risposta all’ipossia più efficaci e se si associano ipercapnia ed acidosi)
LIMITI
- hanno un’efficacia ridotta rispetto a quella dei chemocettori centrali.
- sono meno sensibili alla PCO2;
- determinano risposte ventilatorie solo se la PO2 scende sotto i valori di 60 mmHg
.
VANTAGGI
- hanno un’efficacia nettamente superiore, cioè la risposta che determinano è più potente rispetto a quella instaurata dai chemocettori periferici;
è per questo motivo che (come detto sopra) la pressione parziale di CO2 ha un ruolo più determinante rispetto alla pressione parziale di O2, per quanto riguarda la regolazione della ventilazione in generale.
LIMITI
- Instaurano una risposta assai più lenta;
variazioni della PCO2 determinano alterazioni della [H+] nel liquor, che vengono registrate da questi chemocettori. Gli ioni H+:
1. inibiscono il canale del potassio, determinano depolarizzazione della membrana e liberazione di neurotrasmettitori.
2. invocano un meccanismo diverso che vede il coinvolgimento degli astrociti: gli astrociti, in seguito all’aumento degli ioni H+ nel liquor, rilasciano ATP, il quale, mediante un’azione esercitata sul recettore P2Y (recettore metabotropico per l’ATP), determina depolarizzazione della membrana
1) Fa sinapsi con il ganglio para-vertebrale corrispondente in cui è entrata; l’informazione viene trasmessa al neurone post-gangliare che emette un assone amielinico di tipo c (ramo comunicante grigio), che fuoriesce dal ganglio e si reinserisce nel nervo spinale per raggiungere l’organo effettore.
2) Non fa sinapsi nel ganglio in cui è entrata, ma sale o scende nell’ambito della catena para-vertebrale (i gangli della catena para-vertebrale si estendono anche oltre T1-L3 e sono connessi da cordoni intermedi), andando a fare sinapsi con un ganglio para- vertebrale situato superiormente o inferiormente.
3) Non fa sinapsi nel ganglio in cui è entrata, ma lo supera e si porta anteriormente rispetto alla catena para-vertebrale, andando a fare sinapsi con un ganglio pre- vertebrale (ganglio celiaco, ganglio mesenterico superiore e ganglio mesenterico inferiore).
4) Non fa sinapsi nel ganglio in cui è entrata, ma lo supera e si porta a livello del surrene, dove fa sinapsi con le cellule cromaffini della midollare del surrene, cioè cellule endocrino-nervose che possono essere considerate come un ganglio modificato.
- Midriasi: grazie a un neurone pre-gangliare situato nel centro cilio-spinale di Budge (nei primi segmenti del midollo spinale) e a un neurone post-gangliare situato nel ganglio cervicale superiore e che innerva il muscolo dilatatore della pupilla
- Innalzamento della glicemia: vengono aumentati i livelli di glucagone (tramite recettori b2 sulle cellule a del pancreas) e diminuiti i livelli di insulina (tramite recettori a2 sulle cellule b del pancreas); la conseguenza è un aumento di glicogenolisi e gluconeogenesi da parte del fegato. Per far sì che il cervello sia rifornito di glucosio, viene inibita la captazione del glucosio da parte delle altre cellule, comprese quelle muscolari che possono usare altri nutrienti.
- Lipolisi: necessaria per il rifornimento di nutrienti al muscolo (insieme alla glicogenolisi muscolare)
- Vasocostrizione a livello del sistema gastro-intestinale e urinario: serve per risparmiare energie,
limitando il consumo energetico
- Vasodilatazione per i muscoli scheletrici: aumenta apporto di O2 e nutrienti al muscolo
- Broncodilatazione: per aumentare la quantità di ossigeno che raggiunge le cellule
- Effetto inotropo positivo: aumenta la forza di contrazione del cuore con aumento dellagittata
sistolica e del ritorno venoso
- Effetto cronotropo positivo: aumenta la frequenza cardiaca, agendo sul nodo SA
SINAPSI PRE-GANGLIARE
- SNs: acetilcolina - SNp: acetilcolina
Sinapsi colinergica
SINAPSI POST-GANGLIARE
- SNs: noradrenalina/ adrenalina/ acetilcolina
- SNp: acetilcolina
-> andranno ad agire su dei recettori metabotropici, associati a proteine Gs, Gi, Gq e Go.
proteine trimeriche con tre subunità alpha, beta e gamma che a seconda del legame con il neurotrasmettitore si staccano e giocano un ruolo diverso sui vari pattern intracellulari.
PROTEINA Gs: ha un ruolo stimolatorio e agisce sulla produzione di cAMP;
- la subunità alpha si stacca e stimola un pattern intra cellulare che porta all’attivazione
dell’adenilatociclasi;
- l’adenilatociclasi catalizza la conversione di ATP in cAMP;
- cAMP attiva la fosfochinasi A che fosforilando la proteina bersaglio va a modularne la funzione. PROTEINA Gi: ha un ruolo inibitorio e agisce sulla produzione di cAMP;
- l’attivazione di adenilatociclasi tende a ridursi;
- si riduce cAMP;
- diminuisce la fosfochinasi A attivata -> diminuzione della fosforilazione dei substrati
PROTEINA Gq: si ha l’attivazione della fosfolipasi C che ha due funzioni: Degrada particolari fosfolipasi di membrana con formazione di diaciglicerolo ed inositolo trifosfato;
1. IP3 segue una via intracellulare e si lega sul reticolo endoplasmatico dove in contesti come ad esempio quello del muscolo liscio, fa rilasciare calcio permettendo così la contrazione.
2. Il diacilglicerolo attiva la fosfochinasi C a cui fa seguito la sua azione fosforilativa sui suoi substrati. sistema nervoso autonomo riesce ad avere un ruolo nella regolazione della contrazione muscolare liscia
perché agisce accoppiato a proteine Gq.
Quindi, rilasciando neurotrasmettitori che si accoppiano a recettori metabotropici accoppiati a proteine Gq si innesca il rilascio di IP3 che legandosi al suo recettore sul reticolo endoplasmatico stimola il rilascio di calcio che andrà a legarsi alla calmodulina, avviando così la cascata che porta alla contrazione muscolare.
PROTEINA Go: generalmente si accompagna alla proteina Gi e si occupa di mediare l’inibizione: abbassa i livelli di Ca++ e aumenta la corrente uscente di potassio causando iperpolarizzazione.
la trasmissione sinaptica fra neurone pre- e post-gangliare avviene tramite neurotrasmettitore
acetilcolina;
la ricezione da parte del neurone post-gangliare avviene tramite recettore ionotropico (nicotinico),
perché deve trattarsi di una trasmissione rapida.
la trasmissione sinaptica fra neurone post-gangliare e cellula effettrice, questa avviene tramite neurotrasmettitore noradrenalina (o ormone adrenalina, nel caso delle cellule cromaffini del surrene: neurotrasmettitore dà risposta più rapida ma localizzata, ormone dà risposta più lenta ma diffusa e a distanza; monoammino-ossidasi è sistema di rimozione per catecolamine come NT, catecol-o- metiltransferasi è sistema di rimozione per catecolamine come ormoni);
la ricezione da parte del neurone post-gangliare avviene tramite recettore metabotropico accoppiato a proteina G:
- recettori beta1, beta2 e beta3 (associati a proteina Gs, attivazione via dell’Adenilato Ciclasi: cAMP -> PKA);
- recettori alpha1 (associati a proteina Gq, attivazione via della fosfolipasi C: diacilglicerolo -> aumento Ca++ intracellulare);
- recettori alpha2 (associati a proteina Gi, inibizione via dell’Adenilato Ciclasi: diminuzione cAMP -> inattivazione PKA).
implicato in risposte che il nostro organismo dà in condizioni di stabilità e riposo, soprattutto facilitando il processo digestivo.
Viene definito sistema cranio-sacrale, perché il neurone pre-gangliare ha il corpo: - a livello dei segmenti del midollo spinale che vanno da S2 a S4;
- nel tronco encefalico, nei nuclei dei III, VII, IX e X paio di nervi cranici;
il neurone post-gangliare si trova in prossimità dell’organo bersaglio, quindi le fibre post-gangliari che da esso originano sono molto brevi.
La trasmissione sinaptica tra neurone pre- e post-gangliare, questa utilizza il neurotrasmettitore
acetilcolina;
La ricezione da parte del neurone post-gangliare avviene tramite recettore ionotropico (nicotinico).
La trasmissione sinaptica fra neurone post-gangliare e cellula effettrice utilizza sempre il neurotrasmettitore acetilcolina;
La ricezione da parte del neurone post- gangliare avviene tramite recettore metabotropico (muscarinico), che esiste in diverse isoforme (M1-M5):
- M1, M3 e M5 sono accoppiati a proteina Gq (attivazione via della fosfolipasi C -> aumento Ca++ intracellulare -> attivazione PKC o chinasi Ca++-dipendenti);
- M2 e M4 invece sono accoppiati a proteina Gi (inibizione via dell’Adenilato ciclasi).
SIMPATICO
- Effetto inotropo positivo: aumenta la forza di contrazione del cuore con aumento della gittata sistolica e del ritorno venoso
- Effetto cronotropo positivo: aumenta la frequenza cardiaca, agendo sul nodo SA
PARASIMPATICO
- effetto cronotropo negativo, cioè riduce la frequenza cardiaca, tramite recettori M2, che portano a una riduzione dei livelli di cAMP;
- inoltre ha un’attività tonica sul cuore, senza la quale la frequenza normale (circa 70 battiti al min) sarebbe troppo alta.
L-Tirosina → L-Dopa → Dopamina → Noradrenalina
Gli enzimi utilizzati per far avvenire queste reazioni sono:
- tirosina idrossilasi
- L-amminoacido decarbossilassi aromatica - Dopamina 6-idrossilasi.
Se queste conversioni avvengono a livello delle cellule cromaffini della midollare del surrene, grazie all’azione di altri enzimi si trasforma la Noradrenalina in Adrenalina, rilasciata al 95%.
I neurotrasmettitori vengono poi degradati. In particolare, la Noradrenalina viene degradata da: - COMT (catecolamina-o-metiltranferasi);
- MAO (monoaminoossidasi).
Quindi l’azione della noradrenalina termina quando:
- diffonde dalla fessura sinaptica al sangue;
- diffonde nelle cellule extraneuronali e viene successivamente degradata da MAO e COMT;
- viene riassorbita dalla terminazione presinaptica, per essere degradata e reinserita all’interno della vescicola sinaptica;
- Alfa1 è associato alla proteina Gq
- alfa2 associato alla proteina Gi e Go
- beta1, beta2 e beta3 accoppiati alle proteine Gs.
Inoltre:
- l’adrenalina è in grado di legare tutti i recettori, sebbene con affinità differenti;
- la noradrenalina lega tutti i recettori, sebbene con affinità differenti, tranne quelli beta2 adrenergico, il quale ha quindi un’affinità quasi esclusiva per l’adrenalina.
β-1
quasi esclusivamente a livello del cuore, in particolare: - a livello del nodo senoatriale;
- a livello dei tessuti di conduzione;
- a livello della muscolatura ventricolare;
determina aumento della frequenza cardiaca e aumento della forza di contrazione cardiaca.
β-2
quasi esclusivamente a livello del muscolo liscio: - dei vasi;
- dei bronchi;
- del tratto gastrointestinale;
porta ad un rilasciamento attraverso il meccanismo appena descritto;
si trova anche:
- a livello del muscolo ciliare determinando rilasciamento;
- a livello del muscolo detrusore della vescica per la minzione.
β-3
localizzazione molto specifica a livello: - del muscolo scheletrico;
- del tessuto adiposo bruno;
è legato specificatamente alla produzione di energia ed alla produzione di calore, quindi da una parte è legato:
- alla termogenesi a livello del muscolo scheletrico;
- alla lipolisi (ossidazione degli acidi grassi) a livello del tessuto adiposo.
Sono tutti accoppiati a proteine Gs (stimolatorie), attraverso cui abbiamo: - l’attivazione dell’adenilato ciclasi;
- l’aumento di cAMP;
- attivazione della PKA da parte di cAMP;
- fosforilazione da parte di PKA dei vari substrati cellulari -> miglioramento/ inibizione di alcune funzioni.
In particolare, l’attivazione del recettore beta adrenergico, con produzione del cAMP, porta ad una mancata contrazione della cellula muscolare liscia:
aumento del cAMP -> l’attivazione della PKA -> fosforila la chinasi della catena leggera della miosina -> in questo stato è incapace di svolgere il suo ruolo.
la fosforilazione della chinasi leggera della miosina impedisce ad essa di fosforilare la catena leggera della miosina che è l’autore principale della formazione dei ponti acto-miosinici.
È associato ad una proteina Gi (inibitoria) e ad una proteina Go.
La proteina Gi attiva porta alla:
- diminuzione dell’attività della protein chinasi A;
- diminuzione della fosforilazione dei substrati;
- riduzione del funzionamento di tutti quei meccanismi che portano alla contrazione muscolare;
-> rilassamento
La proteina Go attiva porta:
- l’abbassamento dei livelli di calcio;
- un ulteriore rilasciamento della cellula muscolare liscia.
In generale quindi l’attivazione del recettore alfa2 determina inibizione e rilasciamento.
Localizzazione del recettore alfa2 -> muscolo liscio:
- vasi sanguigni, dove causa dilatazione;
- nel tratto gastrointestinale, dove causa rilasciamento (principalmente al livello presinaptico).
Al livello del vaso sanguigno troviamo dunque, sia recettori alfa1 che alfa2, e a seconda di quale prevale ottengo contrazione o rilasciamento.
È associato ad una proteina Gq, la cui:
- subunità alfa -> attiva la via della fosfolipasi C, della proteina chinasi C e la fosforilazione del substrato.
- la subunità beta-gamma -> ha un ampio effetto sui canali del potassio andando a determinare una loro apertura che causa una iperpolarizzazione.
recettore alfa1 adrenergico attivato:
- produzione di IP3;
- aumento di calcio;
- fosforilazione da parte della PKC e da parte delle subunità beta-gamma della proteina G, che fosforilando il canale del potassio, lo attivano e determinano iperpolarizzazione causata dalla fuoriuscita di potassio. Il recettore alfa 1 attivato determina azioni oppposte a seconda della via segnale che viene attivata in localizzazioni differenti:
- determina rilasciamento a livello della muscolatura intestinale -> l’iperpolarizzazione genera delle onde lente che porteranno al rilasciamento della motilità gastrointestinale.
- determina costrizione a livello dei vasi sanguigni (in particolare delle arteriole) -> vasocostrizione; o e dei bronchi -> broncocostrizione.
secernono per il 95% adrenalina e per il restante 5% noradrenalina -> sono due molecole molto simili, infatti hanno effetti simili in quanto derivano dalla stessa molecola.
L’enzima Feniletanolamina-N- metiltransferasi converte la noradrenalina presente nel citoplasma di queste cellule in adrenalina, la quale viene poi captata ed inserita all’interno dei granuli specifici di queste cellule cromaffini.
L’adrenalina viene immessa nel torrente ematico e poi raggiunge con il sangue i vari organi -> la sua azione è prolungata e dipende dall’irrorazione dell’organo stesso;
L’adrenalina viene rilasciata principalmente nelle situazioni di pericolo.
α-1: affinità maggiore per Noradrenalina
- vasocostrizione del muscolo liscio, in particolar modo di quello vasale e a livello dei muscoli dei bronchi; - midriasi -> dovuta alla contrazione del muscolo liscio radiale che allarga il foro pupillare;
- chiusura dello sfintere interno della vescica.
α-2: affinità maggiore per noradrenalina
- inibizione della liberazione di insulina;
- inibizione del rilascio di noradrenalina dai recettori presinaptici (esempio di regolazione presinaptica) e rilasciamento del muscolo liscio.
β-1: affinità maggiore per adrenalina
principalmente effetti sul cuore:
- aumento della velocità del battito cardiaco (effetto cronotropo positivo);
- aumento della forza di contrazione del muscolo cardiaco (effetto inotropo positivo);
tutta una serie di effetti che hanno a che fare:
- con la velocità di conduzione del segnale propria del tessuto di conduzione;
- con l’aumento della ricaptazione del calcio propria della pompa SERCA e delle pompe PMCA;
per consentire non solo un battito più forte ed accelerato, ma al tempo stesso di consentire un rilasciamento accelerato del muscolo che poi deve effettuare una successiva contrazione.
β-2: affinità solo per adrenalina
- vasodilatazione;
- broncodilatazione;
- aumento della glicogenolisi muscolare ed epatica; - aumento della liberazione dell’ormone glucagone; - rilassamento della mucosa liscia uterina.
β-3: lipolisi del tessuto adiposo (Affinità maggiore per adrenalina)
α-1 e β-2 si trovano entrambi a livello dei vasi arteriosi in densità differenti e funzionano insieme per il
controllo estrinseco dei fattori nervosi del diametro delle arteriole -> densità α > β.
Se viene rilasciata noradrenalina:
- ha effetto tanto sugli Alfa-1 quanto sui Beta-2;
- l’affinità per la noradrenalina è maggiore negli Alfa che non nei Beta;
-> gli alfa sono preferenziali.
-> visto che gli Alfa sono maggiori dei Beta, l’effetto di contrazione vince sull’effetto di rilasciamento.
Se viene rilasciata l’adrenalina:
- ha una sensibilità specifica per i Beta- 2 -> si attivano e l’adrenalina ha un effetto di vasodilatazione.
Quindi il Sistema Nervoso Simpatico attivandosi o con l’adrenalina o con la noradrenalina, oppure con l’adrenalina a livelli differenti, riesce a determinare il perfetto ciclo di vasocostrizione o vasodilatazione.
5 tipi differenti di recettori muscarinici, che possono in realtà essere accorpati in due grandi famiglie:
- M1, M3, M5 -> sono recettori di tipo stimolatorio accoppiati a proteine Gq; - M2, M4 -> sono recettori di tipo inibitorio accoppiati a proteine Gi/Go;
M1
lo si ritrova:
- a livello del Sistema Nervoso Centrale ed encefalo (corteccia ed ippocampo);
- a livello periferico, in particolare a livello delle ghiandole esocrine del sistema gastrointestinale;
Aumenta la secrezione gastrica e stimola i meccanismi di memoria;
M2
Lo si ritrova nel SNC e a livello dell’atrio dove è fondamentale per quanto riguarda la regolazione delle frequenza:
- va a ridurre la frequenza cardiaca andando aumentare la conduttanza per il potassio;
- questo determina una fuoriuscita di k+ e quindi un’iperpolarizzazione ed un’inibizione di AMP ciclico; - questo andrà ad inibire il canale fondamentale;
- si determina poi una depolarizzazione che dà vita al battito cardiaco.
M3
si trova:
- sulle ghiandole esocrine sia gastriche -> azione sul sistema digerente;
- sul muscolo liscio del tratto gastrointestinale -> determinando contrazione;
- sul muscolo ciliare -> determinando contrazione
- a livello dei vasi sanguigni, in particolare dell’endotelio, -> determinando vasodilatazione.
M4/M5: presenti a livello del SNC con funzioni diverse
- il neuropeptide Y;
- il neuropeptide intestinale casoattivo; -ATP;
- ossido nitrico.
Il peptide intestinale vasoattivo insieme all’ossido nitrico può indurre il rilasciamento della muscolatura circolare e degli sfinteri.
L’ossido nitrico regola il rilasciamento di alcuni muscoli lisci, come a livello del muscolo liscio genitourinario o a livello dei muscoli lisci che ottemperano a funzioni sessuali. Esso è un gas nucleofilico per cui ci si avvale di un precursore che viene rilasciato e si genera il gas che agisce sul suo bersaglio. Una volta che viene generato si diffonde subito nella cellula essendo nucleofilico.
L’ATP, grazie a specifici recettori purinergici ionotropici o metabotropici, può andare a modulare i livelli di calcio intracellulare nelle cellule bersaglio.
questi vengono rilasciati in contemporanea e:
- la noradrenalina -> lega specifici recettori adrenergici presenti sul versante della cellula bersaglio; - l’ATP -> si può legare a dei recettori purinergici -> un aumento della concentrazione di calcio intracellulare;
- il neuropeptide y -> grazie allo specifico recettore Y1 porta ad un aumento di calcio.
Fondamentalmente con questa Co-trasmissione-ATP-noradrenalina- neuropeptide y abbiamo un aumento del calcio intracellulare, che porta ad una contrazione della muscolatura liscia che però può avere un andamento temporale molto complesso.
IPOTALAMO
L’ipotalamo è il centro integrativo essenziale per la nostra sopravvivenza, che regola tutte le funzioni vegetative, è la chiave di questa rete autonoma centrale, ha come efferenza i centri autonomi della formazione reticolare, quindi tutti i circuiti che controllano l’attività afferente dei motoneuroni pregangliari viscerali.
L’ipotalamo controlla il flusso sanguigno, il metabolismo energetico, l’attività sessuale e riproduttiva e post riproduttiva (allattamento).
Infonde informazioni di tipo contestuale dalla corteccia che va ad interagire con l’ipotalamo, input sensoriali che vanno ad interagire con l’ipotalamo che va a determinare le nostre risposte motorie viscerali.
riflessi corti dove lo stimolo attiva delle vie afferenti che invece di passare per il centro di integrazione arrivano direttamente al neurone gangliare, in cui vanno a formare una via quasi “monosinaptica”, una via diretta -> lo stimolo determina l’effetto senza passare per il centro di integrazione.
riflessi lunghi dove i neuroni viscero-sensitivi portano l’informazione al SNC attraverso: - radici posteriori del MS
- radici sensitive dei Nervi cranici
- fibre dei nervi autonomi che innervano gli effettori viscer
Il nervo vago
Il centro di integrazione si trova a livello del midollo allungato, ed è il nucleo del tratto solitario, zona del midollo allungato importantissima per regolare le funzioni del SNA.
Allo stesso tempo il nucleo del tratto solitario può ricevere afferenze e mandare efferenze all’ipotalamo ed essere a sua volta controllato dai centri corticali superiori.
Quindi la regolazione del SNA è molto complicata perché avviene sui vari livelli. L’ipotalamo è il principale centro regolatore del Sistema Nervoso Autonomo.
MUSCOLO SCHELETRICO: CONTRAZIONE NEUROGENA
Affinché avvenga la contrazione del muscolo scheletrico è necessario che a livello delle terminazioni
assonali si determini la giunzione neuromuscolare;
A livello di questa connessione sinaptica si determina la propagazione di una scarica di potenziali
d’azione che vanno ad attivare i motoneuroni.
- potenziale di placca;
- genesi del potenziale d’azione a livello della fibrocellula muscolare scheletrica; - contrazione;
È definita neurogeno perchè è sotto il controllo del sistema nervoso.
2. CUORE: CONTRAZIONE MIOGENA
La contrazione cardiaca è un fenomeno intrinseco all’organo, per questo motivo è definita miogena.
Questo è stato dimostrati Con l’esperimento del cuore isolato: se rimuoviamo da un animale a sangue caldo il cuore dalla cavità toracica e lo inseriamo in una soluzione fisiologica (con caratteristiche specifiche) osserviamo che continua a contrarsi ritmicamente. (si contrae indipendentemente dal sistema nervoso quindi il tessuto specifico riconduzione attività pacemaker
- fibrocellule muscolari (miociti)
- cellule del tessuto specifico di conduzione (1%)
Il cuore è costituito da:
- fibrocellule muscolari (miociti)
- cellule del tessuto specifico di conduzione (1%)
Le cellule del tessuto specifico di conduzione hanno perso la capacità contrattile e si sono specializzate nella generazione e propagazione spontanee di potenziali d’azione: 1. NODO SENO-ATRIALE:
- porzione di tessuto lunga circa 2cm, larga 4mm e spessa 1mm;
- si trova nella parete postero-superiore dell’atrio di destra, in corrispondenza dello sbocco
della VCS;
- è il pacemaker primario del cuore, in quanto l’attività elettrica insorge a questo livello.
2. NODO ATRIO-VENTRICOLARE:
- massa di cellule situata nella regione postero-inferiore del setto interatriale (nell’atrio di destra), in corrispondenza della valvola tricuspide
- da questa regione originano delle fibre di penetrazione che attraversano l’anulus fibroso (separa l’atrio dal ventricolo) e danno origine al fascio di His;
3. FASCIO DI HIS E FIBRE DI PURKINJE:
- il fascio di His è un fascio che parte dal nodo atrio-ventricolare, discende nel setto interventricolare e si divide in branca di destra e di sinistra;
- le branche destra e sinistra sfioccano in numerosissime e sottili fibre di Purkinje, che si distribuiscono in tutto il ventricolo
Il potenziale d’azione insorge a livello del nodo seno-atriale, si propaga negli atri, raggiunge il nodo atrio-ventricolare e, grazie al fascio di His e alle fibre di Purkinje, si propaga nei ventricoli.
1) DURATA:
- PA NEURONALE -> 2-3ms
- PA CARDIACO -> 300-400 ms
2) FORMA PA CARDIACO: più arrotondata, con fasi di salita e discesa meno ripide
3) NEL PA CARDIACO NON SI REGISTRA UN POTENZIALE DI RIPOSO: la membrana della cellula comincia a depolarizzarsi di nuovo fino a
raggiungere la soglia per un nuovo potenziale d’azione.
Queste cellule generano spontaneamente e per tutta la durata della nostra vita potenziale d’azione.
In altre parole, alla fine del potenziale d’azione si assiste a una depolarizzazione spontanea, chiamata anche potenziale pacemaker o prepotenziale;
DIFFERENZA TRA PA NEURONALE E PA DEI MIOCITI DEL NODO SENOATRIALE
1) DURATA:
- PA NEURONALE -> 2-3ms
- PA CARDIACO -> 300-400 ms
2) FORMA PA CARDIACO: più arrotondata, con fasi di salita e discesa meno ripide
3) NEL PA CARDIACO NON SI REGISTRA UN POTENZIALE DI RIPOSO: la membrana della cellula comincia a depolarizzarsi di nuovo fino a
raggiungere la soglia per un nuovo potenziale d’azione.
Queste cellule generano spontaneamente e per tutta la durata della nostra vita potenziale d’azione.
In altre parole, alla fine del potenziale d’azione si assiste a una depolarizzazione spontanea, chiamata anche potenziale pacemaker o prepotenziale;
La depolarizzazione, che nel miocita del nodo seno-atriale segue al potenziale d’azione, prende il nome di pre-potenziale (o depolarizzazione spontanea o potenziale pacemaker) e diventa un nuovo potenziale d’azione quando supera la soglia.
Quindi le cellule cardiache non hanno bisogno della stimolazione nervosa perché presentano dei canali HCN, che determinano una depolarizzazione spontanea che avvia il potenziale d’azione in modo autonomo.
- I primi 2/3 della fase del pre-potenziale sono dovuti alla corrente funny (IF) determinata dai canali HCN (ingresso di Na+); - l’ultimo 1/3 della fase del pre-potenziale è dovuto a una corrente del calcio dovuta principalmente a canali del calcio voltaggio-dipendenti T a bassa soglia di attivazione;
la depolarizzazione spontanea – fondamentale per determinare l’auto-ritmicità cardiaca - è sostenuta da canali del sodio (soprattutto) e del calcio.
I canali HCN fanno passare Na+ in modo da permettere la depolarizzazione della membrana e, quando il potenziale raggiunge un certo valore, si assiste all’apertura dei canali del calcio di tipo T che permettono l’ingresso di calcio, ergo ulteriore depolarizzazione.
Infine, si arriva alla soglia di attivazione del potenziale d’azione.
Il pre-potenziale (depolarizzazione spontanea) è determinato da una corrente cationica, in particolare da un ingresso di Na+ (cariche positive entrano nella cellula andando a depolarizzare la membrana).
Questa corrente depolarizzante prende il nome di CORRENTE FUNNY (IF): a differenza delle altre condottante voltaggio-dipendenti per il Na+, si attiva in seguito ad iperpolarizzazione della membrana (NON in seguito a depolarizzazione).
Normalmente le cellule nervose a potenziale di riposo (-65mV) hanno una permeabilità al sodio prossima allo zero; al contrario le cellule cardiache a un potenziale di riposo pari a -65mV, sono permeabili al sodio.
Inoltre tanto maggiore è l’iperpolarizzazione, tanto maggiore sarà la corrente in ingresso: l’attivazione percentuale dei canali è massima a potenziali negativi, ciò vuol dire che, a potenziali negativi, abbiamo il massimo della corrente:
- a -60, -65mV circa il 70% dei canali è attivo;
- a potenziali di membrana positivi questi sono chiusi.
Quindi durante la ripolarizzazione il potenziale di membrana torna a valori negativi facendo in modo che la percentuale di canali aperti aumenti.
Questo comportamento è molto differente da quello delle correnti del sodio presenti a livello neuronale dove i canali del sodio si attivano in seguito a forte depolarizzazione (-45, -50mV).
I canali ionici che sottendono la corrente IF (funny) sono i canali HCN (hyperpolarisation activated cyclic nuclotide gated channels), cioè:
- attivati dall’iperpolarizzazione; - regolati da nucleotidi ciclici;
sono canali particolari perché si attivano con l'iperpolarizzazione e non sono selettive cioè si lasciano attraversare anche da potassio debolmente dal calcio calcio ma il gradiente elettrochimico pari a -65 mV permette l'ingresso esclusivo di sodio che è spinto verso l'interno sia ai gradi gradiente di concentrazione che il gradiente elettrico mentre il potassio è trattenuto dal gradiente elettrico.
Un canale HCN è formato da 4 subunità e ogni subunità è costituita da 6 segmenti transmembrana con la subunità S4 che forma il filtro di selettività del canale (non è molto selettivo). Inoltre ci è un dominio CNB che lega i nucleotidi ciclici (cAMP regola tali canali). Ne esistono 4 isoforme e quella espressa a livello del nodo seno atriale è HCN4
La corrente ionica che determina la fase di depolarizzazione del PdA NON è una corrente del Na+ ma una corrente del Ca++.
il flusso entrante di Ca++, che si aggiunge a quello di Na+ (corrente If), determina una depolarizzazione che porta il pre-potenziale a raggiungere la soglia di attivazione dei canali del Ca++ voltaggio-dipendenti di tipo L (HVA) e determinare:
- l’innesco del potenziale d’azione;
- l’avvio della fase di depolarizzazione del potenziale d’azione;
Questo potenziale d’azione è quindi un potenziale d’azione al calcio, perché la fase di depolarizzazione del potenziale d’azione è data da una corrente entrante di Ca++ attraveroso i canali di tipo L, e non di Na+;
La fase di salita è più lenta rispetto al potenziale nervoso, perché la corrente di Ca++ è più lenta di quella di Na+. In particolare questi canali ad alta soglia di attivazione sono Cav1.2 e Cav1.3.
- all’inattivazione dei canali di tipo L (e quindi al cessare della corrente entrante di Ca++);
- all’attivazione di una corrente uscente di K+, chiamata corrente Idrk (delayed rectified potassium);
I canali in questione possono essere distinti in rapid e slow, in particolare Kv11.1 e Kv7.1 e il loro scopo è quello di far uscire potassio, ripolarizzando la membrana.
all’ultima parte della ripolarizzazione contribuisce debolmente anche una corrente di K+, detta corrente IKAch, attraverso canali GIRK, attivati dall’acetilcolina (Kir3.1 e Kir3.4); hanno un ruolo chiave nella regolazione della frequenza cardiaca, infatti, il sistema parasimpatico rende questi canali più attivi, e – come diretta conseguenza – si ha la diminuzione del ritmo cardiaco.
La fase di ripolarizzazione arriva a valori di -70mV e attiva i canali HCN che determinano la depolarizzazione spontanea e l’avvio spontaneo di un nuovo potenziale d’azione.
FASE DEL PRE-POTENZIALE O DEPOLARIZZAZIONE SPONTANEA: - I primi 2/3 della fase del pre-potenziale sono dovuti alla corrente funny (IF) determinata dai canali HCN ((hyperpolarisation activated cyclic nuclotide gated channels, ingresso di Na+); - l’ultimo 1/3 della fase del pre-potenziale è dovuto a una corrente del calcio dovuta principalmente a canali del calcio voltaggio-dipendenti T a bassa soglia di attivazione, Cav3.1 e 3.2
0. DEPOLARIZZAZIONE, corrente entrante di Ca++ attraverso canali Ca2+ di tipo L – ad alta soglia di attivazione Cav1.2 e Cav1.3.
3. RIPOLARIZZAZIONE, inattivazione dei canali di tipo L (cessa corrente entrante di Ca++);
- corrente uscente di K+, corrente Idrk (delayed rectified potassium)attraverso canali distinti in rapid e slow, in particolare Kv11.1 e Kv7.1 . all’ultima parte della ripolarizzazione contribuisce debolmente anche una corrente di K+, detta corrente IKAch, attraverso canali GIRK, attivati dall’acetilcolina (Kir3.1 e Kir3.4); hanno un ruolo chiave nella regolazione della frequenza cardiaca, dato che il sistema parasimpatico li rende più attivi, e porta a diminuzione del ritmo cardiaco.
dal nodo seno-atriale il potenziale d’azione viene trasmesso ai cardiomiociti atriali tramite gap-junction.
Le gap-junction sono sinapsi elettriche che connettono fra loro i cardiomiociti e connettono i cardiomiociti con le cellule di conduzione;
sono situate a livello dei dischi intercalari (strutture specializzate fra i cardiomiociti, che contengono giunzioni aderenti, desmosomi e gap junctions). tutte le cellule sono connesse tra loro e formano un vero e proprio sincizio funzionale.
In particolare, un’onda di depolarizzazione in direzione cranio-caudale invade entrambi gli atri con una velocità di conduzione di 0.8m/s.
Circa 100ms dopo la sua generazione a livello del nodo senoatriale, la depolarizzazione raggiunge il nodo atrioventricolare; questo è l’unico punto in cui l’impulso elettrico può raggiungere i ventricoli poiché le fibre di penetrazione che da qui si dipartono, possono attraversare l’anulus fibroso e propagare il potenziale a livello dei ventricoli con il fascio di His.
A livello dei ventricoli si assiste a un ritardo della velocità di conduzione che passa da 1m/s a 0.05m/s;
questo ritardo di circa 0.85m/s permette agli atri di completare la contrazione prima che i ventricoli vengano attivati:
sistole atriale e ventricolare risultano così eventi temporalmente separati.
Il ciclo completo avviene almeno 1 volta/s.
È chiaro quindi che tutte le cellule del cuore vanno incontro a un potenziale d’azione ad ogni ciclo cardiaco.
- nodo SA 70 potenziali d’azione al minuto;
- nodo AV 50 potenziali d’azione al minuto;
- fascio di His 20 potenziali d’azione al minuto.
Il motivo di questa differente frequenza di scarica risiede nella differente pendenza del pre- potenziale: laddove la pendenza del pre-potenziale è maggiore, il raggiungimento della soglia di attivazione del potenziale avviene in tempo minore e quindi si hanno più potenziali nell’arco di tempo;
le cellule del nodo SA hanno una maggiore frequenza di scarica perché hanno una maggiore pendenza del pre-potenziale, dovuta a una maggiore densità di canali HCN e quindi a una corrente If più marcata.
Conseguenza di questa differente frequenza di scarica è la legge della dominanza del ritmo più frequente: la regione del miocardio in cui l’attività auto-ritmica insorge con la massima frequenza impone il proprio ritmo a tutto il cuore;
1) AUMENTANDO O DIMINUENDO LA PENDENZA DELLA DEPOLARIZZAZIONE SPONTANEA si verifica nel momento in cui si ha una variazione del prepotenziale, il quale è dovuto
all’ingresso di sodio attraverso canali HCN e poi nell’ultima parte all’ingresso di calcio:
se l’ingresso di questi viene accentuato, la pendenza del prepotenziale aumenta; si ha, di conseguenza, un aumento di scarica di potenziali d’azione e quindi un aumento della frequenza cardiaca.
A pendenza che diminuisce corrisponde frequenza cardiaca che diminuisce (effetto cronotropo negativo).
Se la pendenza aumenta, il numero di potenziali d’azione al minuto aumenta (effetto cronotropo positivo).
2) AUMENTANDO O DIMINUENDO IL POTENZIALE DI MEMBRANA ALLA FINE DI UN PA Se si potesse determinare una iperpolarizzazione della membrana, da -65 mV a -75 mV, occorrerebbe maggior tempo per raggiungere la soglia per l’attivazione del potenziale d’azione.
Si avrebbe come conseguenza una diminuzione della frequenza cardiaca.
3) MODIFICANDO LA SOGLIA PER LA GENERAZIONE DEI POTENZIALI D’AZIONE È un metodo solo ipotetico.
Se si potesse aumentare la soglia e il potenziale d’azione insorgesse a valori “più positivi”, si determinerebbe una variazione della frequenza.
- l’attività del sistema nervoso ortosimpatico viene aumentata; - quella del parasimpatico viene diminuita.
Le fibre post-gangliari ortosimpatiche rilasciano, a livello del nodo SA, noradrenalina, che si lega a un recettore metabotropico β1, associato a proteina Gs;
La proteina Gs stimola l’attivazione dell’Adenilato ciclasi che stimola la produzione di cAMP; L’aumento di [cAMP] ha due effetti:
1) si lega al CNBD dei canali HCN e ne migliora l’efficienza, aumentando l’intensità della corrente If e determinando un aumento della pendenza del pre-potenziale, e quindi un aumento della frequenza di scarica (meccanismo principale);
2) attiva la PKA che va a fosforilare e stimolare i canali del Ca++ di tipo T e di tipo L, determinando una maggiore pendenza della fase di depolarizzazione, e quindi un aumento della frequenza di scarica.
Quindi il sistema nervoso ortosimpatico ha un effetto cronotropo positivo, cioè aumenta la frequenza cardiaca, ad esempio per l’attività fisica.
Le fibre vagali rilasciano, a livello del nodo SA, acetilcolina, che interagisce con un recettore muscarinico metabotropico M2, associato a proteina Gi, e ha due effetti:
1) inattivazione dell’Adenilato ciclasi con conseguente abbassamento dei livelli di cAMP, che porta: - ad una minore corrente If (azione su HCN);
- ad una minore corrente del Ca++ (effetto sui canali L e T);
-> con conseguente riduzione della frequenza di scarica;
2) stimolazione dei canali GIRK con maggiore corrente uscente di K+ che provoca ripolarizzazione a
valori più negativi;
quindi per raggiungere la soglia del potenziale d’azione occorre più tempo, con conseguente diminuzione della frequenza di scarica.
Quindi il sistema nervoso parasimpatico ha un effetto cronotropo negativo, cioè riduce la frequenza cardiaca.
se si ha un’iperstimolazione vagale si può avere un eccessivo calo della frequenza e conseguentemente della gittata cardiaca (svenimento da sindrome vagale).
Le fibre post-gangliari ortosimpatiche rilasciano, a livello del nodo SA, noradrenalina, che si lega a un recettore metabotropico β1, associato a proteina Gs. Le fibre vagali rilasciano, a livello del nodo SA, acetilcolina, che interagisce con un recettore muscarinico metabotropico M2, associato a proteina Gi
- a livello dei miociti non è presente il pre-potenziale;
- esiste una fase di plateau (assente nelle cellule di conduzione) in cui il potenziale di membrana rimane depolarizzato a 0mV per centinaia di ms (200ms per i cardiomiociti atriali, 400ms per i cardiomiociti ventricolari);
- nei miociti non esistono canali HCN e corrente If.
- il potenziale di membrana a riposo è molto negativo (più delle cellule di conduzione);
È dovuta all’apertura dei canali NaV 1.5 (del sodio voltaggio-dipendenti), che determinano un flusso entrante di Na+ (quindi questo è un classico potenziale al sodio, al contrario di quello delle cellule del tessuto di conduzione);
il flusso entrante di Na+ determina la rapida depolarizzazione, che determina anche la chiusura dei Kir (attivati da potenziali negativi, inattivati quando il potenziale diventa più positivo fino a +30 mV).
i canali NaV si inattivano (hanno rapida cinetica di inattivazione), e si aprono dei KV a rapida cinetica di inattivazione (di solito i KV sono a lenta cinetica), che determinano una corrente uscente e transiente di K+, chiamata corrente Ito (transient outward);
la chiusura dei NaV e l’apertura dei KV transienti (Kv4.2/Kv4.3 e Kv 1.4) determinano una fase di
ripolarizzazione parziale:
“ripolarizzazione” perché c’è un’uscita di K+ sotto forma di Ito quindi il potenziale scende da
+30mV (valore dato dalla precedente depolarizzazione) a 0mV;
“parziale” perché i Kv si inattivano rapidamente e Ito è fugace, quindi la ripolarizzazione non porta fino a potenziali molto negativi, ma si arresta a 0mV e vi resterà per centinaia di ms.
durante questa fase sono presenti sulla membrana plasmatica due conduttanze che si bilanciano, cioè:
- sono attivi i canali CaV di tipo L: Cav1.2 e Cav1.3 ad alta soglia di attivazione -> flusso entrante di cariche positive;
- sono attivi i canali delayed rectified DKR: DRK Kv11.1 (rapid, cinetica rapida) e Kv7.1 (slow) -> flusso Uscente di cariche positive;
da un punto di vista elettrico non ci sono variazioni del potenziale, perché tante cariche positive entrano, tante ne escono, quindi il potenziale di membrana rimane ad un valore di 0mV per centinaia di millisecondi;
questa fase è il trigger della contrazione, cioè tutta l’attività elettrica del cuore è finalizzata al permettere questa fase 2 per due motivi:
1. durante la fase di plateau entra nella cellula il Ca++ necessario per l’accoppiamento eccitazione-contrazione (contrazione del cardiomiocita è data dalla genesi del potenziale d’azione e dall’improvviso aumento della concentrazione di Ca++).
2. la fase di plateau è fondamentale anche per evitare il tetano muscolare (la contrazione continuata del cuore non è compatibile con la vita)
Fase 3 di ripolarizzazione
- inattivazione dei canali del Ca++ di tipo L (interruzione flusso entrante di cariche positive); - perdurare dell’attivazione dei DKR (flusso uscente di cariche positive);
- attivazione dei canali Kir (ulteriore flusso uscente di cariche positive);
questi tre fenomeni determinano una negativizzazione del potenziale di membrana, fino al valore di -90mV.
Fase 4 di resting
grazie ai canali Kir il potenziale di membrana permane al valore di riposo di -90mV fino all’arrivo del potenziale d’azione successivo.
Il PA dei miociti atriali:
- ha una forma più triangolare;
- la fase di Plateau è quasi inesistente;
- la fase di Plateau ipotetica nel miocita atriale avviene a -20mV;
- la fase 1 è molto più accentuata; - è più accentuata l’ espressione dei
canali transient outward current;
- vengono espressi altri canali del potassio (nano ultrarapid), a più rapida cinetica di attivazione e ripolarizzano maggiormente la membrana.
- Le correnti slow sono quasi assenti;
Inoltre, il potenziale d’azione di un miocita dell’atrio destro è diverso dal potenziale d’azione di un
miocita dell’atrio sinistro.
Analogamente, nel ventricolo destro il potenziale d’azione è leggermente diverso rispetto quello che nel ventricolo sinistro.
Lo ione Ca++ è il fattore che lega l’evento elettrico all’evento meccanico, e quindi determina l’accoppiamento elettro-meccanico.
Infatti la contrazione dei miociti è iniziata:
- dall’evento elettrico (arrivo del potenziale d’azione);
- dall’aumento improvviso di concentrazione dello ione calcio che segue il PA;
Durante il PA la concentrazione di calcio varia da circa 0,1μM a 5- 10 μM, quindi un aumento di circa 100 volte attraverso due meccanismi:
- aumentata permeabilità al Ca++ durante la fase di plateau (fase di plateau è caratterizzata dall’ingresso dello ione calcio in una concentrazione che risulta insufficiente a determinare la contrazione e che contribuisce solo al 20-40% dell’aumento totale della concentrazione dello ione calcio);
- liberazione di Ca++ dal reticolo sacrcoplasmatico (Calcium-Induced Calcium release, grazie a un Recettore della Rianodina di tipo 2 che viene attivato dal calcio e induce l’uscita di una grande quantità di calcio dal reticolo sarcoplasmatico laddove la concentrazione dello ione calcio è particolarmente elevata.) ;
Lo ione calcio, legandosi alla troponina C, attiva le proteine contrattili determinando l’accorciamento del sarcomero.
Nel cuore attraverso la fase di plateau:
- entra calcio dall’esterno; - induce il Ca-induced Ca-
release:
Nel muscolo scheletrico l’intera quantità di calcio proviene dal reticolo sarcoplasmatico
Il SNA ha un’azione modulatoria anche sui cardiomiociti di lavoro, dei quali regola la forza di contrazione (effetto inotropo).
In particolare questa azione è svolta quasi esclusivamente dalla componente ortosimpatica:
- rilascio di noradrenalina a livello dei miociti;
- legame a recettore b1 accoppiato a proteina Gs;
- via dell’Adenilato ciclasi;
- attivazione PKA;
- fosforilazione e stimolazione canali del Ca++ di tipo L;
-> maggiore ingresso di Ca++ durante la fase di Plateau;
-> aumento del Calcium indunced Calcium Released;
-> maggiore aumento della concentrazione di Ca++ nel citoplasma; -> maggiore forza di contrazione.
Dunque il sistema ortosimpatico ha un effetto inotropo positivo;
La concentrazione di calcio aumenta durante la fase di plateau e si esaurisce fino a ritornare ad un livello basale nell’ambito della stessa fase di plateau.
Con il termine “deattivazione” si indica la diminuita concentrazione dello ione calcio, che si determina perchè:
- si arresta dell’ingresso di Ca2+ dal sarcolemma, perchè i canali del calcio di tipo L si inattivano;
- i recettori rianodinici ad un certo punto si desensibilizzano e di conseguenza viene meno il rilascio di calcio dal reticolo sarcoplasmatico;
- si attivano meccanismi di rimozione del calcio intracellulare (pompa SERCA2A, scambiatore Na/Ca2+, PMCA, pompa mitocondriale).
(1) La pompa SERCA2a (trasporto attivo primario, con consumo di ATP) rimuove più del 70% del calcio situato nel citosol durante la fase di plateau e pompa attivamente ioni calcio all’interno del reticolo sarcoplasmatico,
(2) Lo scambiatore Na/Ca2+ (trasporto attivo secondario) si occupa del trasporto all’esterno del restante 28% del calcio. Inoltre, questo scambiatore depolarizza un po’ la membrana (per ogni ione calcio che viene estruso, tre ioni sodio entrano).
(3) PMCA (plasmamembrane calcium ATPase) media un trasporto attivo primario che si trova sulla membrana plasmatica.
Lo scambiatore Na/Ca2+ e PMCA si trovano a livello della membrana plasmatica.
(4) Pompa del Ca2+ mitocondriale (trasporto attivo primario), con un ruolo pressochè marginale.
Il SNA ha anche un’azione modulatoria sulla rapidità di reuptake del Ca++ (effetto lusitropo).
il SNs attiva la PKA che va a fosforilare e inattivare il fosfolambano, proteina regolatrice della
SERCA2a:
- fosfolambano non fosforilato -> blocca parzialmente l’attività della pompa SERCA; - fosfolambano fosforilato -> disinibizione della pompa SERCA;
Fosfolambano ha un dominio idrofobico (C-terminale), che la ancora alla membrana del reticolo sarcoplasmatico, e un dominio idrofilico (N-terminale) che sporge nel citoplasma e contiene siti di fosforilazione per la PKA (protein chinasi A);
in questo modo la PKA stimola la pompa SERCA2a (impedendo l’attività inibitrice su di essa) e determina così una maggiore velocità di sequestramento del Ca++ per permettere il rilasciamento.
Dunque il sistema ortosimpatico ha un effetto lusitropo positivo.
La fase di plateau è fondamentale anche per evitare il tetano muscolare (la contrazione continuata del cuore non è compatibile con la vita):
durante la fase di plateau i canali NaV sono inattivi (si sono inattivati rapidamente e hanno determinato la fase di ripolarizzazione parziale), quindi si determina un lungo periodo di refrattarietà durante il quale non può arrivare un nuovo potenziale d’azione (e quindi non può verificarsi una sommazione tetanica) se prima il potenziale non riscende al valore di -90mV;
la fibrocellula muscolare cardiaca non va incontro a tetano perché la contrazione dura tanto quanto il potenziale d’azione, quindi si può innescare un potenziale d’azione solo quando la fibrocellula si trova in stato di rilasciamento, per cui due contrazioni non si possono mai sommare.
Nel muscolo scheletrico il potenziale d’azione dura pochi ms ed è molto più corto della contrazione, quindi ne può subentrare un altro quando la contrazione precedente ancora non si è esaurita.
Onda P (durata <0.12 sec; ampiezza 0.2-0.3 mV): si determina in corrispondenza della depolarizzazione atriale; si registra durante la propagazione dell’onda di depolarizzazione che invade gli altri in senso cranio-caudale prima che abbia inizio la contrazione atriale.
Complesso QRS (durata <0.12 sec; ampiezza 1-2 mV): si determina in corrispondenza della depolarizzazione ventricolare; si registra durante la propagazione dei potenziali d’azione nei ventricoli.
- ONDA Q: onda negativa (eventualmente presente) che rappresenta la depolarizzazione del setto interventricolare e precede l’onda positiva;
- ONDA R: onda più positiva che rappresenta la depolarizzazione antero-apicale dei ventricoli. - ONDA S: onda negativa rappresenta la depolarizzazione delle regioni basale e posteriore del
ventricolo sinistro (non sempre è presente in tutte le derivazioni).
Onda T (durata <0.2 sec; ampiezza 0.4-0.5 mV): Si determina in corrispondenza della ripolarizzazione ventricolare.
perché questo evento coincide con la depolarizzazione ventricolare, per cui questo evento viene mascherato dal complesso QRS.
(non si registra una differenza di potenziale)- segmento P-R (fra la fine dell’onda P e l’inizio del complesso QRS): rappresenta il tempo che occorre
all’impulso per attraversare il nodo AV; non c’è dipolo perchè tutto l’atrio è depolarizzato.
- segmento S-T (fra la fine dell’onda S e l’inizio dell’onda T): non c’è dipolo perchè tutto il ventricolo è depolarizzato.
a seconda della direzione del vettore medio rispetto all’asse di derivazione.. Le onde non sono altro che differenze di potenziale che si registrano in punti ben precisi del nostro corpo attraverso degli elettrodi; È quindi il posizionamento degli elettrodi a determinare il verso dell’onda! Per convenzione si è stabilito che:
- Quando l’elettrodo collegato al terminale positivo di un elettrocardiografo si trova in una
zona di elettropositività si ha una deflessione positiva;
- Quando l’elettrodo collegato al terminale positivo si trova in una zona di elettronegatività rispetto all'altro elettrodo, allora questa situazione viene vista come un’onda negativa.
L’elettrocardiogramma (ECG) è la registrazione dell’attività elettrica del cuore sulla superficie del corpo.
Durante un ciclo cardiaco, tutte le cellule del cuore (miociti atriali e ventricolari), ad eccezione dei setti e l’anulus fibroso che separa gli atri dai ventricoli, generano un potenziale d’azione: è possibile registrare questa attività elettrica sulla superficie del corpo. CON L’ECG SI MISURANO VARIAZIONI DEI POTENZIALI ELETTRICI SULLA SUPERFICIE DEL CORPO DOVUTE A FLUSSI DI CORRENTE GENERATI DAL DIPOLO ELETTRICO DURANTE LE DEPOLARIZZAZIONI DELLE VARIE PARTI DEL CORPO.
- intervallo P-R (tra l’inizio dell’onda P e l’inizio del complesso QRS -> segmento P-R + onda P): rappresenta il tempo di conduzione atrio-ventricolare, cioè il tempo che impiega il potenziale generato nel nodo SA per propagarsi ai ventricoli.
- intervallo Q-T (tra l’inizio del complesso QRS e la fine dell’onda T -> complesso QRS + segmento S-T + onda T): rappresenta il tempo di depolarizzazione e ripolarizzazione ventricolare.
1. Situazione in cui tutte le cellule sono a riposo (prima della depolarizzazione atriale): tutti i potenziali di membrana di tutti i miociti atriali e ventricolari sono a -90 mV:
- all’interno delle cellule vi è un’eccedenza di cariche negative;
- all’esterno si ha un’eccedenza di cariche positive
2. Il potenziale d’azione si genera a livello del nodo seno-atriale e si propaga negli atri e l'onda di depolarizzazione ha invaso solo la metà delle porzioni atriali:
le cellule che sono già state invase da un potenziale d’azione (in giallo nelle slide) internamente saranno cariche positivamente perché siamo al picco del potenziale d’azione (tra +20 e +30 mV), per cui si trovano in una situazione di plateau;
- Al loro interno c’è un’elettropositività;
- all’esterno un accumulo di cariche negative.
Al livello del confine tra la zona che è andata incontro all’eccitamento e la zona che ancora deve andare incontro a questa situazione si genera un dipolo elettrico.
Il dipolo elettrico sarà alla base di ciò che si registra sulla superficie del nostro corpo.
In ogni momento della depolarizzazione atriale si genera un dipolo elettrico, ossia una separazione di cariche tra la porzione dell’atrio già depolarizzata e l’altra porzione di atrio in cui non è ancora arrivata l’onda di eccitamento (ossia non è ancora depolarizzata), rappresentato fisicamente come dei vettori, i quali possiedono un modulo, una direzione e un verso:
come dei vettori, i quali possiedono un modulo, una direzione e un verso:
Il modulo dipende dal numero di cariche elettriche -> i dipoli che si determinano a livello atriale sono normalmente più piccoli di quelli che si determinano a livello ventricolare perché la massa muscolare è diversa;
Il verso (la punta del vettore) va dal polo negativo a quello positivo.
La direzione è data dalla retta che unisce i due gruppi di carica e viene indicata in gradi.
La convenzione prevede che quando un vettore è orizzontale e diretto da destra verso sinistra, è orientato a 0°.
Da questo punto di riferimento la scala dei vettori ruota in senso orario (il vettore è verticale se orientato a 90°).
Possiamo quindi affermare che: per ogni istante della depolarizzazione atriale esiste un dipolo che è possibile rappresentare come un vettore avente una determinata direzione espressa in gradi.
Noi registriamo delle differenze di potenziale posizionando di elettrodi su determinate parti del nostro corpo e collegandoli con un voltmetro (strumento che misura la differenza di potenziale) o elettrocardiografo.
Per convenzione si è stabilito che:
- Quando l’elettrodo collegato al terminale positivo di un elettrocardiografo si trova in una
zona di elettropositività si ha una deflessione positiva;
- Quando l’elettrodo collegato al terminale positivo si trova in una zona di elettronegatività rispetto all'altro elettrodo, allora questa situazione viene vista come un’onda negativa.
bensì 12 tracciati:
- 3 derivazioni bipolari dagli arti (D1 – D2 – D3)
- 3 derivazioni pseudounipolari degli arti o aumentate dagli arti (aVR – aVL – aVF) - 6 unipolari precordiali (V1- V2- V3- V4- V5- V6)
linea immaginaria la cui direzione va dall’ elettrodo negativo a quello positivo (misurato in gradi);
In D1-D2-D3 si registrano le differenze di potenziale all’estremità del nostro corpo.
Queste registrazioni si definiscono “derivazioni bipolari dagli arti” o “derivazioni standard di Einthoven”.
I DERIVAZIONE (D1 = VBS - VBD)
Si misurano le differenze di potenziale tra braccio destro e braccio sinistro.
- elettrodo collegato al terminale + sul braccio sx; - elettrodo collegato al terminale - sul braccio dx;
Asse di derivazione D1 = 0° II DERIVAZIONE (D2 = VGS - VBD)
Si misurano le differenze di potenziale tra braccio destro e gamba sinistra.
- elettrodo collegato al terminale + sulla gamba sx; - elettrodo collegato al terminale - sul braccio dx;
Asse di derivazione D2 = 60°
III DERIVAZIONE (D3 = VGS - VBS)
Si misurano le differenze di potenziale tra braccio sinistro e gamba sinistra.
- elettrodo collegato al terminale + sulla gamba sx; - elettrodo collegato al terminale - sul braccio sx;
Asse di derivazione D3 = 120°
TRIANGOLO DI EINTHOVEN
Le due braccia e la gamba sinistra pos- sono essere considerate come poste ai vertici di un triangolo con il cuore al centro:
i due vertici superiori del triangolo rappresentano, quindi, i punti ai quali le due braccia si connettono elettricamente con i fluidi attorno al cuore e l’apice inferiore è il punto al quale la gamba sinistra si collega con questi fluidi.
QUINDI: Ciascuna derivazione bipolare è in realtà costituita da una coppia di elettrodi collegata al corpo in punti opposti rispetto al cuore e la linea immaginaria che li congiunge lungo la direzione dall’elettrodo negativo all’elettrodo positivo è chiamata “asse” della derivazione.
La legge di Einthoven afferma che se i potenziali elettrici registrati da due qualsiasi delle tre derivazioni bipolari degli arti sono noti in un determinato istante, il terzo può essere matematicamente determinato sommando i primi due.
- onde P positive; - onde Q negative; - onde R positive; - onde T positive;
L’onda S è:
- positiva in D1 e D2; - negativa in D3.
Analizzando i tre tracciati con attente misurazioni e un adeguato rispetto delle polarità, si può constatare che in un determinato istante la somma dei potenziali nella I e III derivazione uguaglia il potenziale nella II derivazione, dimostrando quindi la validità della legge di Einthoven.
Nei soggetti bassi il cuore è più spostato a sinistra, quindi i vettori sono spostati verso sinistra, e quindi nel complesso QRS l’onda più importante è un’onda negativa.
Nei soggetti alti e slanciati il cuore è più verticale, quindi i vettori sono più perpendicolari all’asse di derivazione D1, e quindi si vedono meglio in D2
Un soggetto con il cuore “perpendicolare” presenterà dei tracciati più pronunciati in seconda e terza derivazione;
un soggetto basso e tarchiato con il cuore spostato verso sinistra, presenterà tutti i vettori spostati verso sinistra; per cui, quando la depolarizzazione procede verso la base del cuore (l’ultima porzione del cuore che si depolarizza), la rotazione dei vettori per la depolarizzazione ventricolare farà si che l’onda S sia molto pronunciata.
il vettore A rappresenta la direzione media istantanea del flusso di corrente nei ventricoli mentre il vettore B, denominato vettore di proiezione lungo l’asse della I derivazione.
La freccia di questo vettore di proiezione punta verso l’estremità positiva dell’asse della I derivazione, il che significa che la deflessione (onda) registrata in quel momento nella I derivazione è positiva.
La lunghezza del vettore di proiezione e quindi il voltaggio istantaneo registrato è una funzione del coseno dell’angolo che si forma tra il vettore medio istantaneo e l’asse di derivazione considerato
QUINDI: L’ampiezza del vettore B (il modulo) dipende dall’ampiezza massima di A per il coseno dell’angolo.
— Se l’angolo del vettore istantaneo è 0, il coseno di 0 è uguale a 1, noi avremo l’ampiezza massima.
- Se l’angolo del vettore istantaneo è 90 il coseno di 90 è 0, avremo l’ampiezza minima.
L’onda P (depolarizzazione atriale) è un’onda positiva in tutte e tre le derivazioni unipolari degli arti (l’onda P è positiva perché il vettore medio della depolarizzazione atriale se proiettato
in prima, seconda e terza derivazione da origine a un vettore di proiezione diretto verso l’elettrodo registrante.).
Il vettore che descrive il potenziale elettrico istantaneo del cuore con gli atri depolarizzati (vettore A): - ha in media un angolo di 60°;
- si dirige da dx a sx e dall’alto in basso
Per determinare il potenziale istantaneo che viene registrato nell’ECG di ciascuna derivazione per questo vettore, dobbiamo posizionarlo al centro del triangolo di Einthoven per trasposizione.
A questo punto si tracciano dagli estremi del vettore A le linee perpendicolari agli assi di derivazione e si identificano i tre vettori di proiezione.
grafico in cui si riportano i singoli vettori istantanei in un sistema di assi cartesiani, Non vengono tracciati i singoli vettori, ma il percorso della loro punta nel tempo;
Si visualizzano pertanto i cambiamenti di ampiezza e direzione durante l’evento di depolarizzazione atriale.(Non si deve quindi fare l’errore di considerare l’esistenza di un singolo dipolo, poichè esistono tanti piccoli dipoli istantanei che non hanno sempre la stessa direzione
Ad un certo punto tutti gli atri sono depolarizzati, l’onda di eccitamento raggiunge il nodo atrio ventricolare e qui c’è un rallentamento della velocita di conduzione , detto tratto isoelettrico dove non ci sono differenze di potenziale.
La depolarizzazione, attraverso il fascio di His, la branca destra e la branca sinistra, raggiunge il ventricolo, e la prima parte del ventricolo che si depolarizza è il setto interventricolare.
Inizia quindi la depolarizzazione del setto che è l’inizio del complesso QRS;
in particolare il setto dà origine all’onda Q negativa, eventualmente presente nelle registrazioni.
Il vettore della depolarizzazione del setto è un vettore: - con un angolo più di 90° gradi;
- con direzione da SX verso DX e dal basso verso l’alto.
Se si proietta questo vettore nelle tre derivazioni si vede che otteniamo:
In D1 il vettore di proiezione che punta in direzione opposta all’elettrodo positivo e verrà quindi vista come una onda negativa (onda Q).
In D2 il vettore di proiezione che punta in direzione opposta all’elettrodo positivo e l’onda sarà ancora negativa, più piccola rispetto a D1 poichè la proiezione è minore su questo asse in termini di ampiezza;
in D3 la depolarizzazione del setto verrà vista come un’onda positiva poiché non si rileva l’onda Q.
I tracciati sono diversi tra loro infatti in alcuni casi l’onda Q potrebbe non essere visibile nemmeno in D2.
Dopo il setto inizia la depolarizzazione della restante parte dei ventricoli, in particolare la depolarizzazione diffonde dall’endocardio settale ed apicale verso l’epicardio.
Il vettore è:
- molto ampio;
- ha la stessa direzione della depolarizzazione atriale, 60°; - NON ha sempre la stessa direzione.
Quando inizia a depolarizzarsi l’endocardio, i vettori cominciano ad avere direzioni sempre più diverse.
Questi vettori vengono proiettati in D1, D2 e D3 e in tutte e 3 le derivazioni sono orientati verso gli elettrodi registranti, dunque danno origine a un’ onda positiva, l’onda R.
Bisogna anche considerare però che la depolarizzazione infine risale verso la base del ventricolo, spostandosi verso sinistra e girando fino a raggiungere la base del ventricolo.
Man mano che la depolarizzazione ventricolare procede, i vettori della depolarizzazione ventricolare si spostano verso sinistra.
La rotazione del vettore comporta l’inversione della proiezione in D3 provocando la comparsa dell’onda S.
In D1 e D3 le proeizioni risultano ancora positive ma più piccole, il che comporta una diminuzione delle onde R in queste derivazioni.
Nei soggetti alti e slanciati il cuore è perpendicolare e l’onda S non si vede perché i vettori sono molto più perpendicolari.
Nei soggetti bassi e tarchiati invece, che hanno un cuore più spostato a sinistra, l’ onda S è molto più pronunciata poichè i vettori sono tutti più spostati a sinistra.
Il miocardio ventricolare è completamente depolarizzato per cui gli elettrodi in D1, D2 e D3 non registrano alcuna differenza di potenziale.
Nelle tre dimensioni le penne giacciono sulla linea isoelettrica.
Ci troviamo ora in una situazione in cui tutto il ventricolo è depolarizzato.
Subito dopo si avrà quindi la ripolarizzazione ventricolare, visualizzata come un’ onda T positiva. si ripolarizzano prima le cellule che si sono depolarizzate per ultime (si ripolarizza
prima l’epicardio dell’endocardio). In questo caso il dipolo sarebbe come quello della depolarizzazione quindi l’onda è positiva.
La ripolarizzazione ventricolare è un fenomeno che viene visto come un’onda positiva sulla base del fatto che le cellule che si sono depolarizzate per ultime sono le prime a ripolarizzarsi;
ciò è possibile perché le cellule che si sono depolarizzate per ultime hanno un potenziale di azione più corto.
Le cellule dell’epicardio hanno un PA più corto perchè la ripolarizzazione ventricolare dipende dall’espressione funzionale dei canali del potassio.
La diversa espressione funzionale di questi canali permette una differenza di lunghezza dei potenziali di azione.
- Un segmento (tratto isoelettrico) rappresenta il tempo che intercorre tra due onde. - Un intervallo comprende un segmento ed onde.
Quando si ottengono dei tracciati, alla fine si trovano i valori in ms dei vari segmenti e intervalli.
- Segmento P-R (80ms): dalla fine dell’onda P all’inizio del complesso QRS (gli atri sono totalmente depolarizzati);
- Segmento S-T (100ms): dalla fine dell’onda S all’inizio dell’onda T (I ventricoli sono totalmente depolarizzati);
- Intervallo P-R: tempo di conduzione atrio-ventricolare (120-200 ms); se>200 ms indica difetti di conduzione atrioventricolare (Ad esempio, il nodo atrio-ventricolare potrebbe non propagare bene il segnale elettrico);
- Intervallo Q-T: tempo di depolarizzazion e ripolarizzazione ventricolare (circa 350-400 ms): se c’è un difetto nella conduzione dell’impulso, questo tempo può aumentare o diminuire.
Le derivazioni pseudounipolari degli arti studiano l’attività del cuore sul piano frontale;
Registrano il potenziale in un arto e lo paragonano con un poteizale di riferimento stabile, ottenuto cortocircuitando gli arti opposti.
L’asse di derivazione unisce l’elettrodo esplorante (+) e il punto medio della retta che unisce i due arti opposti (che rappresentato l’elettrodo di riferimento -).
In questo tipo di registrazione:
- due arti sono connessi tramite resistenze elettriche al terminale negativo dell’elettrocardiografo; - un terzo arto è collegato al terminale positivo dell’elettrocardiografo.
Quando il terminale positivo è collegato:
- con il braccio destro, la derivazione è nota come derivazione aVR; - con il braccio sinistro la derivazione è nota come aVL;
- con la gamba sinistra la derivazione è nota come aVF.
aVR
- terminale positivo dell’elettrocardiografo collegato all’elettrodo sul braccio dx;
- terminale negativo dell’elettrocardiografo collegato all’elettrodo di riferimento ottenuto cortocircuitando braccio
sx e gamba sx
Asse di derivazione: 210°
aVL
- terminale positivo dell’elettrocardiografo collegato all’elettrodo sul braccio sx;
- terminale negativo dell’elettrocardiografo collegato all’elettrodo di riferimento ottenuto cortocircuitando braccio dx e gamba sx
Asse di derivazione = 330° (-30°)
aVF
- terminale positivo dell’elettrocardiografo collegato all’elettrodo sul gamba sx;
- terminale negativo dell’elettrocardiografo collegato all’elettrodo di riferimento ottenuto cortocircuitando braccio
sx e braccio dx;
Asse di derivazione verticale: 90°
Sono tutte simili alle registrazioni da derivazioni standard, a eccezione del fatto che la registrazione dalla derivazione aVR è invertita.
aVR
il tracciato sembra rovesciato rispetto alle derivazioni D1 e D2: - l’onda P è negativa;
- il complesso QRS è negativo.
L’asse di derivazione è di 210° e connette idealmente il braccio destro con il punto intermedio tra braccio sinistro e gamba sinistra.
aVF
l’elettrodo registrante (quello collegato al terminale positivo dell’elettrocardiogramma) si trova sulla gamba sinistra e l’asse di derivazione è di 90°.
Quindi sono tutte onde positive.
aVL
il punto di registrazione invece è il braccio sinistro.
L’asse di derivazione è 330° (o -30°).
Proiettando i vettori sull’asse di derivazione, le proiezioni danno origine a segnali di ampiezza molto bassa, perché molti dei vettori sono perpendicolari all’asse di derivazione. In aVL sono quindi onde molto piccole, perché questi vettori sono molto perpendicolari:
la proiezione su aVL identifica dei vettori di proiezione con un modulo molto piccolo. Se il cuore è: - Più perpendicolare, abbiamo dei vettori tutti negativi.
- Più orientato verso sinistra abbiamo delle onde tutte positive.
- in aVR viene visto come un’onda negativa (la linea sta sotto lo 0);
- in aVF viene vista invece come un’onda positiva (la linea sta sopra lo 0);
- in aVL essendo perpendicolare all’asse di derivazione si vede appena;
elettrodo posizionato sulla superficie anteriore del torace, direttamente sopra il cuore in 6 punti diversi.
- il terminale positivo dell’elettrocardiografo è collegato all’elettrodo posizionato sul torace;
- Il terminale negativo dell’elettrocardiografo è collegato con il cosiddetto elettrodo indifferente, ottenuto collegando tramite uguali resistenze elettriche il braccio destro, il braccio sinistro e la gamba sinistra simultaneamente.
Le derivazioni precordiali studiano l’attività del cuore sul piano orizzontale (quindi non presentano assi di derivazione). Le diverse registrazioni sono note come derivazioni V1, V2, V3, V4, V5 eV6 e registrano il ottenibile sul torace e lo paragonano con il potenziale di Wilson, un potenziale di riferimento stabile e immutato durante l’attività elettrica (sempre pari a 0) ottenuto cortocircuitando i tre arti;
V1: elettrodo a livello del IV spazio intercostale destro, vicino allo sterno
V2: elettrodo a livello del IV spazio intercostale sinistro, vicino allo sterno
V3: elettrodo in posizione intermedia tra V1 e V4
V4: elettrodo a livello del V spazio intercostale sinistro, sulla linea emiclaveare
V5: elettrodo a livello del V spazio intercostale sinistro, sulla linea ascellare anteriore V6: elettrodo a livello del V spazio intercostale sinistro, sulla linea ascellare media
Poiché le superfici del cuore sono vicine alla parete del torace, ciascuna derivazione precordiale registra principalmente il potenziale elettrico della muscolatura cardiaca immediatamente al di sotto dell’elettrodo.
Quindi, anomalie relativamente piccole nei ventricoli, soprattutto nella parete ventricolare anteriore, possono causare alterazioni importanti negli ECG registrati da singole derivazioni sul torace.
In V1 e V2 l’onda del complesso QRS, è negativa.
In V3 riscontriamo una situazione di transizione; In V4, V5 e V6 l’onda del complesso QRS è positiva.
- Con le registrazioni unipolari ci troviamo sul piano orizzontale, poiché l’asse di derivazione decorre dal centro del torace al punto di registrazione.
In questo caso non sarà più possibile effettuare la scomposizione dei vettori sugli assi, in quanto abbiamo un vettore che non può essere scomposto sul piano orizzontale.
L’interpretazione di questi tracciati è diversa rispetto alle registrazioni bipolari o pseudounipolari: - In quei casi si effettuava un’osservazione sul piano verticale;
- Con le registrazioni unipolari ci troviamo sul piano orizzontale, poiché l’asse di derivazione decorre dal centro del torace al punto di registrazione.
In questo caso non sarà più possibile effettuare la scomposizione dei vettori sugli assi, in quanto abbiamo un vettore che non può essere scomposto sul piano orizzontale. Per interpretare questi tracciati è necessario tenere conto di un criterio molto semplice:
- se il vettore si avvicina all’elettrodo esplorante, sarà visualizzato come un’onda positiva; - se invece si allontana da esso avremo un’onda negativa.
Proviamo ad immaginare i vettori della depolarizzazione ventricolari:
essi sono mediamente a 60 gradi e vanno dall’alto verso il basso e da destra verso sinistra;
- si avvicinano a V4, V5 e V6, determinando onde positive; - si allontana a V1 e V2, determinando onde negative.
L’onda P, che dovrebbe seguire lo stesso percorso del complesso QRS, in realtà è positiva;
Questo accade perchè nonostante entrambi abbiano la stessa direzione (60°), il vettore della depolarizzazione atriale è più traslato verso l’alto perciò, si avvicina a V1 e V2, e questo spiega perché anche in questo caso la visualizziamo come un’onda positiva.
Questo accade perchè nonostante entrambi abbiano la stessa direzione (60°), il vettore della depolarizzazione atriale è più traslato verso l’alto perciò, si avvicina a V1 e V2, e questo spiega perché anche in questo caso la visualizziamo come un’onda positiva.
(vettori della depolarizzazione ventricolari:
essi sono mediamente a 60 gradi e vanno dall’alto verso il basso e da destra verso sinistra;
- si avvicinano a V4, V5 e V6, determinando onde positive; - si allontana a V1 e V2, determinando onde negative.)
L’asse elettrico del cuore o asse cardiaco medio è definito come il vettore medio della depolarizzazione ventricolare.
Vettore istantaneo: in ogni istante della depolarizzazione del cuore è possibile identificare un vettore. Asse elettrico cardiaco medio: vettore medio della depolarizzazione ventricolare
Esso dà informazioni importanti: - La posizione del cuore nel torace
- Indicazioni della massa funzionante
dà informazioni importanti: - La posizione del cuore nel torace
- Indicazioni della massa funzionante
varia da -30 a 120 per un cuore fisiologico. Il cuore può avere dunque un asse molto variabile ed essere comunque funzionante.
se in un soggetto l’asse elettrico medio è circa di -30°, che è ancora fisiologico, però, nonostante il valore del suo vettore medio fosse di -30°, non era basso e tarchiato, ma altissimo e con un fisico da atleta,
Ciò potrebbe accadere perché questo soggetto, svolgendo molta attività fisica, aveva un’ipertrofia ventricolare sinistra.
Questa è una condizione tipica degli atleti seri che hanno un ventricolo di sinistra molto più pronunciato (una maggiore massa o ipertrofia muscolare sinistra).
Questa è una condizione fisiologica, ma fa sì che tutti i vettori siano spostati verso sinistra.
L’asse elettrico cardiaco quindi non ci dà solo informazioni sull’orientamento del cuore nel torace, ma anche sulla massa funzionante.
1. trasporto di nutrienti e gas;
2. trasporto di sostanze per la crescita e riparazione dei tessuti;
3. trasporto di segnali chimici, come ormoni;
4. trasporto di energia termica, necessaria al mantenimento di una temperatura corporea costante all’interno del nostro organismo;
5. trasporto di sostanze coinvolte nella mediazione delle risposte infiammatorie e di difesa.
Il sistema cardiovascolare è un sistema di trasporto di materiali ed energia termica.
1. Energia termica -> non viene considerata poiché è pressoché costate in tutti i punti del circolo;
2. Energia pressoria o di spinta (energia potenziale) -> viene impartita dal cuore ed è utilizzata dal
sangue per vincere le resistenze lungo il percorso;
3. Energia cinetica:
- generalmente è trascurabile rispetto all’energia pressoria;
- in alcune circostanze (seconda fase di eiezione del sangue dal cuore; una serie di patologie) NON è trascurabile perchè diventa importante.
Dal momento che in generale l’energia cinetica è trascurabile anziché dire che il sangue si muove da un punto a maggiore energia ad un punto a minore energia è possibile affermare che il sangue si muove da un punto a maggiore pressione ad un punto a minore pressione.
la differenza di voltaggio è uguale all’intensità di corrente moltiplicata alla resistenza elettrica:
- differenza di voltaggio: differenza di pressione (forza motrice)
- intensità di corrente: flusso di sangue
-> F = DP/R: il flusso è direttamente proporzionale alla differenza di pressione e inversamente proporzionale alla resistenza;
è la quantità di sangue arriva ad un tessuto nell’unità di tempo (si misura in ml/min).
Non è uguale per tutti gli organi: apparato digerente riceve 20% del flusso; cuore riceve 3% del flusso; Ossa riceve 5% del flusso; pelle riceve 9% del flusso
Il flusso deve essere regolato in base alle esigenze e sarà regolato in base a pressione e resistenza: - se la differenza di pressione aumenta, aumenta il flusso;
- se la resistenza aumenta, diminuisce il flusso.
Il nostro sistema di controllo lavora fondamentalmente sulla resistenza; la differenza di pressione si cerca di variarla il meno possibile, perché variare la pressione significa variare la funzione del cuore.
è il sangue che il cuore butta in arteria in un minuto (a riposo corrisponde a 5 litri al minuto.
da una parte essa dovrà essere adeguata alle necessità globali, e dall’altra verrà distribuita agli organi, in maniera fortemente disomogenea. La disomogeneità è fornita da diversi fa:ori:
- anatomia: quanto è esteso un determinato territorio;
- dirottamento
si hanno due meccanismi che assicurano l’apporto corretto di sangue a ciascun organo: - Pompaggio cardiaco: 5 litri al minuti in condizioni di riposo.
- Distribuzione mediante l’albero vascolare.
regola quanto sangue arriva alle varie parti del nostro corpo, rappresentando un ostacolo al passaggio di sangue;
La resistenza viene aumentata o diminuita proprio a livello arteriolare:
È necessario che ci sia una continuità di flusso e questo vincolo nasce dalla considerazione che il sistema cardio-vascolare è un circuito chiuso anelastico, rigido.
Il quantitativo di sangue che entra e fluisce in aorta in ogni istante in un minuto deve essere uguale al quantitativo di sangue che entra nel cuore in un minuto, quindi la somma del sangue che arriva con la cava inferiore e il sangue che arriva con la cava superiore.
Cuore e circolo sono assolutamente interdipendenti poiché quello che avviene nel circolo influenza quello che fa il cuore, così come quello che fa il cuore influenza quello che avviene nel circolo: ci sono dei sistemi a feedback di autoregolazione reciproca estremamente importanti.
1. Pressione di spinta
pressione creata dall’energia generata dal cuore
- si sposta lungo l’asse longitudinale del vaso;
- garantisce in caso di differenza di pressione il movimento di sangue; - è determinata dall’attività di pompaggio del cuore.
2. Pressione transmurale
differenza tra la pressione esterna e la pressione interna al vaso
Principio di Pascal: quando su un contenitore contenente liquido viene esercitata una forza sul liquido stesso, la pressione si sviluppa in tutte le direzioni.
La pressione di spinta viene propagata lungo l’asse longitudinale -> applica una spinta contro le pareti vasali (pressione interna) che essendo elastiche genereranno una dilatazione del vaso.
A questa dilatazione si opporrà una pressione esterna data dal materiale presente.
3. Pressione idrostatica
Forza esercitata da un fluido in quiete su ogni superficie in contatto con esso.
Dipende:
- dall’altezza della colonna; - dalla forza di gravità;
- dalla densità.
differenza tra la pressione esterna e la pressione interna al vaso
Principio di Pascal: quando su un contenitore contenente liquido viene esercitata una forza sul liquido stesso, la pressione si sviluppa in tutte le direzioni.
La pressione di spinta viene propagata lungo l’asse longitudinale -> applica una spinta contro le pareti vasali (pressione interna) che essendo elastiche genereranno una dilatazione del vaso.
A questa dilatazione si opporrà una pressione esterna data dal materiale presente.
pressione creata dall’energia generata dal cuore
- si sposta lungo l’asse longitudinale del vaso;
- garantisce in caso di differenza di pressione il movimento di sangue; - è determinata dall’attività di pompaggio del cuore.
si basa su un flusso ematico guidato da una pressione sostanzialmente costante attraverso resistenze variabili. La resistenza allo scorrimento è in funzione di due parametri: - caratteristiche geometriche del condotto (lunghezza e raggio) - caratteristiche del fluido (densità e viscosità)
Per vincere le resistenze, e assicurare un determinato flusso di sangue, è necessaria la presenza di una differenza di pressione tra inizio e fine del condotto.
L’energia offerta dal cuore al sangue quindi, serve a vincere le R.
Forza esercitata da un fluido in quiete su ogni superficie in contatto con esso.
Dipende:
- dall’altezza della colonna; - dalla forza di gravità;
- dalla densità.
1. Circolo sistemico o grande circolo -> nasce dal ventricolo di sinistra -> circolo ad alta pressione 2. Circolo polmonare o piccolo circolo -> nasce dal ventricolo di destra -> circolo a bassa pressione
L’entità della differenza di pressione dipende dalla resistenza offerta dal sistema.
Per avere GC=5L/min, la differenza di pressione deve essere:
- 100 mmHg nel circolo sistemico (ha una resistenza maggiore -> delta P superiore per vincerla) - 10 mmHg nel circolo polmonare (ha una resistenza molto più bassa -> delta P inferiore per vincerla)
Questa differenza di pressione è legata alle resistenze che il sangue incontra nel percorso: - il piccolo circolo è un sistema a bassa resistenza;
- il grande circolo, anche solo per la maggiore lunghezza, è un sistema ad alta resistenza.
Le resistenza agiscono nelle arteriole
è rappresentato da una sequenza di contrazioni e rilasciamenti, preceduti da modifiche elettriche, che si ripetono ciclicamente al fine di creare differenze di pressione.
- premente -> spinge il sangue dal ventricolo verso l’arteria (vis a tergo) - aspirante -> aspira il sangue nell’atrio dalle vene (vis a fronte)
Durante la contrazione del ventricolo:
- le fibre ventricolari si accorciano;
- la punta del cuore risale verso il setto atrio-ventricolare (cui sono ancorate le fibre); - il setto atrio-ventricolare è tirato verso l’apice;
tale movimento va a stirare la cavità atriale -> la pressione interna si riduce (è aumentato il volume) -> si crea una forza aspirante nell’atrio.
Si parte convenzionalmente da una situazione in cui atrio e ventricolo sono entrambi in diastole. - Le valvole semilunari sono chiuse
- le valvole atrio-ventricolari sono aperte
L’atrio è pieno di sangue e il ventricolo è vuoto (contiene solo il volume telesistolico):
Pressione atrio > pressione ventricolo
Questa differenza di pressione determina il passaggio passivo dell’80% del sangue contenuto nell’atrio dall’atrio al ventricolo:
- una prima fase di riempimento rapido (perché la differenza di pressione è massima e quindi il flusso è massimo);
- una successiva fase di riempimento ridotto (perché, man mano che il ventricolo si riempie, diminuisce la differenza di pressione quindi il sangue fluisce più lentamente).
Rimane un 20% di sangue che non può fluire passivamente nel ventricolo, perché il ventricolo si è riempito, e per riempirlo ulteriormente bisognerebbe dilatarlo (ma serve una certa forza perché esso ha bassa compliance).
- Le valvole semilunari sono chiuse
- le valvole atrio-ventricolari sono aperte
Il ventricolo è pieno di sangue e in diastole;
L’atrio si contrae per spingere il restante 20% di sangue nel ventricolo.
La contrazione dell’atrio è necessaria per vincere la resistenza della parete ventricolare alla dilatazione e permettere il completo svuotamento dell’atrio nel ventricolo.
La fibrillazione atriale non crea problematiche gravi a riposo (perché la difettosa sistole atriale comporta la mancata eiezione solo del 20% del sangue), ma può dare problemi sotto sforzo (quando serve un maggiore flusso) o in concomitanza con altre patologie cardiache.
Grazie alla sistole atriale si verifica il totale riempimento del ventricolo, che a questo punto contiene tutto il quantitativo di sangue su cui può lavorare per buttarlo fuori (volume telediastolico).
La differenza di tempo che intercorre fra la sistole atriale (2) e la sistole ventricolare (3) è dovuta al ritardo che subisce la trasmissione dell’impulso a livello del nodo atrio-ventricolare, per permettere il completo riempimento del ventricolo.
L’atrio si rilascia nuovamente (diastole atriale);
Il ventricolo va incontro a contrazione, a partire dall’apice.
La contrazione del ventricolo, abbinata al rilasciamento atriale, fa sì che:
pressione ventricolo > pressione atrio
Quindi, sotto la spinta della contrazione, il sangue tende a tornare verso l’atrio, ma in questo modo si infila sotto i lembi delle valvole atrio-ventricolari che si chiudono, impedendo così il reflusso di sangue nell’atrio.
- le valvole atrio-ventricolari sono chiuse
I muscoli papillari impediscono che i lembi valvolari si aprano dalla parte opposta; il sangue che sbatte contro le valvole determina un bombé delle valvole verso l’atrio, che determina un piccolo aumento di pressione nell’atrio detto onda anacrota.
- le valvole semilunari sono chiuse -> pressione ventricolo < pressione aorta quindi sangue tende a fluire dall’arteria al ventricolo, andandosi a insinuare nei lembi delle valvole semilunari e andando così a chiuderle. Poiché sia le valvole atrio-ventricolari che le semilunari sono chiuse, in questo momento il ventricolo è una camera chiusa e al suo interno non si ha variazione di volume (per questo si tratta di una fase isometrica);
La sistole isometrica è dunque l’intervallo di tempo tra la chiusura delle valvole atrio-ventricolari e l’apertura delle valvole semiliunari.
Quindi la forza che sviluppa il ventricolo in questa fase è inutile dal punto di vista del flusso, ma serve per aprire le valvole semilunari.
Non potendo refluire nell’atrio, il sangue tende a spingere contro le semilunari per fluire in arteria -> questo flusso sarà possibile solo quando la pressione nel ventricolo supererà quella in aorta, cioè quando raggiungerà il valore di circa 80mmHg, valore della pressione minima in aorta (post-carico). man mano che il sangue fluisce lentamente dall’aorta verso i capillari, la pressione in aorta scende progressivamente. La fase di sistole isometrica è molto critica per il cuore perché è la fase in cui lavora di più ma in cui ha anche meno nutrimento perché la contrazione comprime le coronarie.
(post-carico) = pressione che il ventricolo deve raggiungere per far sì che si aprano le semilunari e il sangue fluisca in arteria. La sistole isometrica è dunque l’intervallo di tempo tra la chiusura delle valvole atrio-ventricolari e l’apertura delle valvole semiliunari.
Quindi la forza che sviluppa il ventricolo in questa fase è inutile dal punto di vista del flusso, ma serve per aprire le valvole semilunari.
Non potendo refluire nell’atrio, il sangue tende a spingere contro le semilunari per fluire in arteria -> questo flusso sarà possibile solo quando la pressione nel ventricolo supererà quella in aorta, cioè quando raggiungerà il valore di circa 80mmHg.
vasodilatazione:
- fa sì che sangue fluisca più velocemente dall’aorta verso i capillari;
- scende di più la pressione in aorta;
- più facilmente il ventricolo raggiunge il valore di pressione minima e apre le semilunari;
vasocostrizione
- fa sì che sangue fluisca più lentamente;
- non scende di molto la pressione in aorta;
- pressione minima ha valore troppo alto
- cuore deve impiegare più energia per aprire le semilunare;
- rimane meno energia per pompare sangue
- cuore deve lavorare di più, quindi si ha maggiore affaticamento cardiaco.
Poiché il ventricolo si contrae ma il suo volume rimane costante (isometria), si verifica un progressivo aumento della pressione nel ventricolo, tale per cui a un certo punto:
pressione ventricolo > pressione aorta;
Quindi il sangue tende a fluire dal ventricolo all’aorta e le valvole semilunari si aprono: - le valvole semilunari sono aperte -> pressione ventricolo > pressione aorta
- le valvole atrio-ventricolari sono chiuse -> pressione ventricolo > pressione atrio
In questa fase si ha l’effettiva immissione di sangue dal ventricolo in arteria (gittata sistolica).
Questo flusso è inizialmente molto veloce, poi rallenta perché si attenua il gradiente pressorio: - il ventricolo si sta svuotando (pressione scende);
- l’aorta si sta riempendo (pressione risale).
In questa fase le fibre ventricolari si accorciano e così facendo tirano verso il basso il setto interventricolare; in questo modo avviene uno stiramento dell’atrio, per cui:
- si distendono gli orifizi venosi e aumenta il volume nell’atrio;
- di conseguenza pressione atrio < pressione vene;
- quindi il sangue fluisce dalle vene all’atrio e questo inizia piano piano a riempirsi; lo stiramento dell’atrio serve perciò a garantire il ritorno venoso.
Dunque il cuore è una pompa aspirante e premente: premente in quanto spinge il sangue dal ventricolo verso l’arteria (vis a tergo), aspirante in quanto aspira il sangue nell’atrio dalle vene (vis a fronte).
Quando la pressione in ventricolo ritorna al di sotto del post-carico perché questo si svuota in arteria (pressione ventricolo < pressione aorta), il sangue tende a refluire dall’arteria al ventricolo e in questo modo si insinua nei lembi valvolari, determinando la chiusura delle valvole semilunari;
Nel cercare di tornare indietro e chiudere le semilunari, il sangue sbatte su di esse, rimbalza e torna in avanti, determinando un piccolo aumento pressorio in aorta (onda dicrota).
Si tratta di una fase isometrica perché:
- le valvole semilunari sono chiuse
- le valvole atrio-ventricolari sono chiuse
Infatti:
- il ventricolo si è svuotato quasi completamente (resta solo volume telesistolico);
- l’atrio si sta riempendo (in seguito a stiramento) ma non è ancora del tutto riempito;
quindi ancora pressione ventricolo > pressione atrio.
A un certo punto il riempimento atriale sarà tale per cui pressione atrio > pressione ventricolo e si ricomincia con la DIASTOLE ISOTONICA: il sangue, passando da atrio a ventricolo, apre le atrio-ventricolari e si passa da una diastole isometrica a una diastole isotonica;
pur non esistendo valvole fra atrio e vene, in questa fase il sangue non refluisce dall’atrio alle vene (che in quel momento hanno pressione minore), perché la contrazione dell’atrio strozza gli orifizi venosi.
1. DIASTOLE ISOTONICA: svuotamento atriale passivo -> pressione atriale > pressione ventricolare 2. SISTOLE ATRIALE: contrazione dell’atrio per completare lo svuotamento
3. CHIUSURA DELLE VALVOLE ATRIO-VENTRICOLARI:
- il ventricolo si contrae;
- la pressione aumenta;
- il sangue tende a tornare in atrio dove la pressione è più bassa -> chiude la valvola
4. ONDA ANACROTA (bombé valvole atrio-ventricolari)
5. SISTOLE ISOMETRICA: La pressione in ventricolo aumenta rapidamente e progressivamente, fino a
quando non va ad intersecare il valore di pressione in aorta (la linea verde)
6. APERTURA VALVOLE SEMILUNARI
Quando le semilunari sono aperte, ventricolo e aorta sono in continuità, quindi quello che accade in un comparto si rispecchia nell’altro.
Se la pressione nel ventricolo sta aumentando, la pressione in aorta, dopo che le valvole semilunari si sono aperte, aumenta pure essa in modo parallelo.
7. SISTOLE ISOTONICA
inizialmente il ventricolo si trova davanti a sé un’arteria che in parte ha mandato via buona parte del sangue, per cui si lascia riempire facilmente, poi sempre meno facilmente perché oramai c’è già parecchio sangue all’interno;
Dopo il picco si vede che la pressione in aorta supera quella in ventricolo ma il sangue fluisce lo stesso dal ventricolo all’aorta: l’energia pressoria del sangue si somma in quel momento all’energia cinetica per cui l’energia totale del ventricolo è maggiore rispetto a quella dell’aorta.
8. CHIUSURA VALVOLE SEMILUNARI, Quando la pressione in aorta è superiore a quella del ventricolo perché questo intanto si sta rilasciando
9. ONDA DICROTA -> il sangue tende a tornare indietro, si insacca nelle valvole, chiude le valvole e, poiché le valvole sono di un tessuto elastico, il sangue rimbalza in avanti, determinando questa piccola ondina, onda dicrota, e l’incisura dicrota (dietro l’onda).
Da questo momento in poi arteria e ventricolo sono fisicamente separati dalla chiusura della valvola e il destino pressorio è completamente diverso:
- la pressione in ventricolo piomba giù verso il valore di 0;
- la pressione in aorta più o meno lentamente declina perché il sangue si sta trasferendo, attraverso la strettoia arteriolare, all’interno dei capillari.
10. RIEMPIMENTO ATRIALE
11. DIASTOLE ISOMETRICA -> Tra la chiusura delle semilunari e l’apertura delle atrio-ventricolari 12. APERTURA DELLE VALVOLE ATRIO-VENTRICOLARI
13. DIASTOLE ISOTONICA (=1)
il sangue tende a tornare indietro, si insacca nelle valvole, chiude le valvole e, poiché le valvole sono di un tessuto elastico, il sangue rimbalza in avanti, determinando questa piccola ondina, onda dicrota, e l’incisura dicrota (dietro l’onda).
Quando la pressione in aorta è superiore a quella del ventricolo perché questo intanto si sta rilasciando, ecco che la valvola si chiude. si ha ONDA DICROTA -> il sangue tende a tornare indietro, si insacca nelle valvole, chiude le valvole e, poiché le valvole sono di un tessuto elastico, il sangue rimbalza in avanti. Da questo momento in poi arteria e ventricolo sono fisicamente separati dalla chiusura della valvola e il destino pressorio è completamente diverso:
- la pressione in ventricolo piomba giù verso il valore di 0;
- la pressione in aorta più o meno lentamente declina perché il sangue si sta trasferendo, attraverso la strettoia arteriolare, all’interno dei capillari.
La pressione in ventricolo aumenta rapidamente e progressivamente, fino a
quando non va ad intersecare il valore di pressione in aorta (la linea verde)
La pressione in aorta stava progressivamente diminuendo
- quando le semilunari sono chiuse il sangue, entrato velocemente in aorta, si trasferisce più lentamente nei capillari passando per le arteriole -> QUINDI la pressione scende perché il sangue si muove e passa nei capillari;
- a seconda della velocità con la quale il sangue passa nei capillari cambia la velocità con la quale la pressione scende -> Se la velocità è alta, la pressione minima sarà più bassa, altrimenti, se l’arteria si svuota più lentamente, la pressione minima sarà più alta.
Quando si chiudono le atrio-ventricolari gli andamenti pressori di atrio e ventricolo si separano completamente;
C’è un picco pressorio dovuto al fatto che la pressione nel ventricolo sta crescendo velocemente e con essa anche la pressione sui lembi valvolari i quali protrusioni all’interno dell’atrio.
Il volume nell’atrio diminuisce per cui aumenta la pressione.
C’è un crollo della pressione atriale:
- il ventricolo si sta svuotando rapidamente, il suo volume diminuisce - il setto atrioventricolare è trascinato verso l’apice, l’atrio si allunga - va a crearsi una depressione al suo interno.
Il gradiente di pressione tra vene ed atrio viene ad aumentare (pressione vena > pressione atrio). Poi la pressione in atrio va riaumentando perché l’atrio sta richiamando sangue.
Quindi quest’aumento di volume dell’atrio, dovuto allo stiramento del setto atrioventricolare, viene compensato da volume di sangue che entra, fino a quando le pressioni tendono nuovamente ad incrociarsi, la pressione nel ventricolo scende sotto quella dell’atrio e si aprono le valvole atrioventricolari.
volume di sangue alla fine delle diastole (135cc)
volume di sangue alla fine della sistole (66cc)
- se il volume telesistolico è troppo significa che il cuore si è contratto male -> segno di inefficienza cardiaca;
- in casi normali costituisce una riserva alla quale il cuore può attingere per aumentare rapidamente la sua gittata sistolica.
riguarda il 20% di sangue: in condizione di riposo non è troppo rilevante; Diventa importante:
- sotto sforzo
- nella tachicardia (aumento della frequenza cardiaca) -> la sistole dura comunque 0,8s - la diastole si accorcia -> si riduce il tempo di riempimento passivo -> entra meno sangue -> se c’è una sistole atriale inefficiente allora il sangue che entra è ancora meno
- nella stenosi aortica -> la valvola aortica si apre troppo poco, quindi il sangue che dal ventricolo passa all’aorta sarà un po’ di meno. Se il ventricolo parte con ancor meno sangue, è chiaro che la gittata cardiaca, sistolica si ridurrà sensibilmente.
- nell’insufficienza cardiaca -> il cuore viene ad avere una contrazione troppo debole, butta fuori poco sangue, ne ha poco nel ventricolo da buttare fuori, sono tutte situazioni aggravanti il problema.
I toni cardiaci sono rumori auscultabili sul torace tramite orecchio o fonendoscopio, che corrispondono ad eventi valvolari.
- primo tono -> inizio sistole -> chiusura atrio-ventricolari - secondo tono -> fine sistole -> chiusura semilunari
- terzo tono -> in pochi soggetti; - quarto tono -> è patologico.
corrisponde alla chiusura delle valvole atrio-ventricolari (tricuspide e mitrale); una componente minore è data dall’apertura delle semilunari (polmonare e aortica):
1. Chiusura mitrale
2. Chiusura tricuspide
3. Apertura polmonare 4. Apertura aortica
è un tono sistolico (all’inizio della sistole ventricolare isometrica si chiudono le valvole atrio- ventricolari);
si tratta di un suono cupo e grave, dato dal sangue nel ventricolo che sbatte contro: - i lembi delle valvole atrio-ventricolari chiuse;
- le corde tendinee dei muscoli papillari in tensione;
- le pareti ventricolari.
Anche se la valvola tricuspide si chiude dopo rispetto alla valvola mitrale, fisiologicamente non si dovrebbero sentire due toni distinti per la metà destra e la metà sinistra, perché si tratta di differenze minime; se una patologia altera questa situazione fisiologica si parla di sdoppiamento del primo tono.
corrisponde alla chiusura delle valvole semilunari (polmonare e aortica); una componente minore è data dall’apertura delle atrio-ventricolari (mitrale e tricuspide):
1. Chiusura aortica
2. Chiusura polmonare
3. Apertura tricuspide 4. Apertura mitrale
è un tono diastolico (all’inizio della diastole ventricolare isometrica si chiudono le valvole semilunari);
si tratta di un suono acuto e debole, dato dal sangue in aorta che sbatte: - contro i lembi delle valvole semilunari chiuse;
- contro le pareti arteriose.
Anche se la valvola semilunare polmonare si chiude dopo rispetto alla valvola semilunare aortica, fisiologicamente non si dovrebbero sentire due toni distinti per la metà destra e la metà sinistra, perché si tratta di differenze minime; se una patologia altera questa situazione fisiologica si parla di sdoppiamento del secondo tono.
corrisponde all’apertura delle valvole atrio-ventricolari;
è un tono protodiastolico (immediatamente prima della diastole ventricolare isotonica si aprono le valvole atrio- ventricolari);
si tratta di un suono simile a un galoppo, dato dal sangue che irrompe dall’atrio al ventricolo e sbatte contro le pareti ventricolari.
corrisponde alla sistole atriale;
è un trono presistolico (subito prima della sistole ventricolare isometrica l’atrio spinge il sangue nel ventricolo);
si tratta di un suono che si avverte solo quando la parete ventricolare è troppo rigida, perché l’atrio dovrà spingere con più forza e il sangue spinto dall’atrio nel ventricolo sbatte con forza contro le pareti ventricolari rigide, determinando un rumore che normalmente non è presente.
la valvola aortica non si apre completamente.
la stenosi aortica è un ostacolo all’eiezione di sangue, è una forma di postcarico.
Il ventricolo di sinistra deve sviluppare una pressione maggiore per vincere questa resistenza.
Gran parte dell’energia è usata per superare la stenosi e la pressione sistolica in aorta sarà minore.
Il sangue ha meno tempo a disposizione per uscire -> il cuore deve far uscire il sangue molto più velocemente.
Maggiore velocità indica maggiore energia cinetica:
- energia totale = energia Cinetica + energia Pressoria
- maggiore energia cinetica indica minore energia pressoria
il sangue esce più velocemente ma con pressione minore
La pressione ventricolare sale di più perchè deve fornire più energia al sangue:
- una quota viene mangiata dall’ energia cinetica
- una quota serve al sangue per fluire correttamente nel circolo
L’aumento della velocità in uscita del sangue determina un flusso turbolento che fa rumore -> il soggetto con stenosi aortica durante la fase di eiezione del sangue ad alta velocità, presenterà un soffio durante la sistole ventricolare.
La valvola aortica non si chiude correttamente: manca la separazione tra ventricolo sinistro e aorta -> durane la diastole il sangue refluisce in parte nel ventricolo:
1. La gittata reale diminuisce: si buttano fuori 70cc ma una parte torna indietro.
2. Il ventricolo aumenta la gittata in modo tale che il quantitativo di sangue realmente disponibile per gli organi sia poi pari a 5L/min.
3. Il volume del ventricolo sinistro aumenta a causa dell’aumento del volume telediastolico:
- aumenta il volume telediastolico;
- aumenta la gittata sistolica
- aumenta la pressione sistolica -> ipertrofia compensatoria
Nel tempo, l’ipertrofia compensatoria diventa un meccanismo “scompensante”: da un lato aiuta il ventricolo; dall’altro è alla base di possibili problemi:
- l’insufficienza ventricolare;
- la maggiore richiesta di O2, che non potrà essere rispettata da parte del sistema coronarico, può portare ad un’ischemia transitoria, danno progressivo o infarto vero e proprio.
da un lato aiuta il ventricolo; dall’altro è alla base di possibili problemi:
- l’insufficienza ventricolare;
- la maggiore richiesta di O2, che non potrà essere rispettata da parte del sistema coronarico, può portare ad un’ischemia transitoria, danno progressivo o infarto vero e proprio.
- stenosi della valvola aortica -> l’aumento di energia fornita dal ventricolo è richiesto da un ostacolo; - insufficienza valvolare aortica -> l’aumento di energia è richiesto da un carico maggiore.
sezione ad alta pressione (sezione sinistra del cuore che pompa il sangue nel circolo sistemico + comparto arterioso) e sezione a bassa pressione (sezione destra del cuore che pompa il sangue nel circolo polmonare + comparto venoso).
1. La pressione aortica e ventricolare coincidono ma risultano fortemente aumentate; 2. la pressione diastolica precipita (il sistema vascolare perde volume di sangue)
3. La pressione sistolica aumenta;
La differenziale si divarica e questo può comportare dei problemi in periferia qualora l’elasticità vasale non riuscisse a smorzare le pulsazioni, determinando un flusso pulsatile nei distretti periferici.
1. Si riduce la quantità di sangue che va in aorta, perché durante la sistole ventricolare: - una parte del sangue andrà in aorta;
- un’altra parte tornerà indietro verso l’atrio.
C’è un calo della gittata cardiaca e di conseguenza una riduzione della pressione arteriosa (meno volume, meno pressione);
se cala la pressione oltre un certo valore si riduce la perfusione degli organi, perché vi arriva meno sangue.
2. Nell’atrio avremo una dilatazione, dato che il sangue torna indietro; il volume dell’atrio aumenta, c’è congestione del piccolo circolo e possibile insufficienza cardiaca.
Il sangue accumulatosi in atrio sommato al sangue che torna dal circolo venoso favorisce il riempimento ventricolare -> aumento del volume del ventricolo sinistro.
Meccanismo di compenso: il volume telediastolico aumenta e questo compensa in parte la riduzione della gittata cardiaca.
Quindi, almeno perifericamente, questo meccanismo di compenso funziona per un certo periodo di tempo. Tuttavia, questo è un meccanismo scompensante: vengono danneggiati atrio e circolo polmonare.
Nel comparto venoso si verificano modifiche pressorie di una certa rilevanza;
Queste variazioni pressorie vengono rilevate con la pletismografia, ovvero la misura delle pressioni nelle vene superficiali.
Quello che accade in atrio si ripercuote sul comparto venoso. L’andamento pressorio nelle vene può essere descritto con un grafico definito polso venoso.
Grafico che descrive l'andamento pressorio delle vene in cui si verificano modifiche che rispecchiano quanto accade in atrio
Grafico che descrive l'andamento pressorio nelle vene che rispecchia quanto accade in atrio e presenta tre onde positive e tre negative. ONDA A (SISTOLE ATRIALE)
Aumento pressorio in atrio -> aumento pressorio nelle vene;
La contrazione atriale determina uno strozzamento degli orifizi venosi, per cui:
- il sangue non può fluire dalle vene all’atrio;
- si ingorga nelle vene -> aumento pressorio;
DEFLESSIONE AV (RILASCIAMENTO ATRIALE)
Calo della pressione nelle vene: si riaprono gli orifizi venosi e l’atrio ha bassa pressione perché si è appena svuotato; quindi un po’ di sangue passa dalle vene all’atrio;
ONDA C (BOMBE’ DELLE VALVOLE ATRIO- VENTRICOLARI)
La pressione nelle vene aumenta:
- si riduce un po’ il volume nell’atrio;
- quindi aumenta la pressione nell’atrio;
- viene meno il gradiente pressorio fra vene e atrio; - il sangue si ingorga di nuovo nelle vene;
DEFLESSIONE X (SISTOLE VENTRICOLARE ISOTONICA)
La pressione nelle vene precipita:
- il ventricolo si contrae;
- il setto viene trascinato verso il basso;
- l’atrio viene stirato -> aumenta il volume atriale; - scende molto la pressione;
- aumenta il gradiente pressorio fra vene e atrio;
- il sangue fluisce dalle vene e va a riempire l’atrio;
ONDA V (RIEMPIMENTO ATRIALE)
La pressione nelle vene piano piano aumenta di nuovo: - l’atrio si riempie, aumenta la pressione nell’atrio;
- viene meno il gradiente pressorio fra vene e atrio; - il sangue ricomincia ad ingorgarsi;
ONDA Y (DIASTOLE ISOTONICA)
La pressione nelle vene cala nuovamente:
- si aprono le valvole atrio-ventricolari;
- il sangue esce dall’atrio e va a riempire il ventricolo; - la pressione in atrio cala;
- si ricrea il gradiente pressorio fra vene e atrio;
- un po’ di sangue fluisce dalle vene all’atrio
negli arti inferiori:
- problema nella risalita del sangue;
- si accumulerà con formazione di edema negli arti inferiori.
Si accumulano qui perché il sangue subisce anche la forza di gravità, che rende ancora più difficoltoso questo spostamento verso l’alto.
Sintomo classico di una patologia cardiaca destra è la presenza di edema agli arti inferiori bilateralmente (anche solo delle caviglie, seppur inizialmente).
Gli andamenti pressori in vena sono dettati da quello che succede in atrio.
Quindi, variazioni pressorie patologiche atriali si riflettono nel comparto venoso.
Quello che succede in atrio sinistro è rilevante per il circolo polmonare, e può riflettersi sugli scambi gassosi.
Variazioni pressorie in atrio di destra si riflettono sul grande circolo, che riesce però ad assorbirle molto di più.
Tuttavia, nel caso di ostacolato passaggio da vena ad d atrio (o da atrio a ventricolo, il che comunque poi si riflette sulla vena) si avranno delle conseguenze, soprattutto negli arti inferiori:
- problema nella risalita del sangue;
- si accumulerà con formazione di edema negli arti inferiori.
Si accumulano qui perché il sangue subisce anche la forza di gravità, che rende ancora più difficoltoso questo spostamento verso l’alto.
Sintomo classico di una patologia cardiaca destra è la presenza di edema agli arti inferiori bilateralmente (anche solo delle caviglie, seppur inizialmente).
la sistole isometrica dura meno nella metà destra rispetto alla sinistra:
a destra le pressioni sono più basse, quindi il post-carico è minore e il ventricolo impiega meno tempo per raggiungerlo;
di conseguenza l’apertura delle valvole semilunari polmonari (destra) avviene prima delle semilunari aortiche;
la chiusura delle valvole semilunari polmonari avviene dopo rispetto alle semilunari aortiche:
a destra le pressioni sono più basse, quindi il post-carico è minore e la pressione in ventricolo dovrà scendere più in basso per ottenere la chiusura;
la sistole atriale inizia un po’ prima nella metà destra rispetto alla sinistra:
il nodo seno-atriale si trova nell’atrio destro, quindi, anche se la conduzione è velocissima, c’è un lieve sfasamento, che però è insignificante rispetto ai tempi di contrazione;
la sistole ventricolare inizia un po’ prima nella metà sinistra rispetto alla destra:
infatti la valvola tricuspide (destra) si chiude un po’ più tardi rispetto alla valvola mitrale (sinistra).
Tutti questi sfasamenti sono accettabili in virtù dell’elasticità del sistema cardiovascolare; eventi patologici che accentuano tali sfasamenti possono dare problemi
Alla fine della sistole atriale e diastole ventricolare, il ventricolo è interamente riempito e contiene un volume di sangue chiamato volume telediastolico;
Il VTD appresenta tutto il volume che ha a disposizione il ventricolo alla fine della diastole ventricolare e subito prima della sistole e su cui può lavorare durante la contrazione:
maggiore è il volume telediastolico, maggiore è il quantitativo di sangue che il ventricolo ha a disposizione e che quindi può buttare fuori.
Il volume telediastolico in condizioni di riposo è pari a 135cc.
Quindi alti valori di volume telediastolico hanno una valenza positiva, perché significa che il cuore
ha molto sangue da buttare fuori.
il volume telesistolico è il quantitativo di sangue che rimane nel ventricolo dopo la sistole;
Il volume telesistolico, rappresentando il sangue residuo che il cuore non è riuscito a pompare fuori, è una misura dell’inefficienza della contrazione:
valori bassi di volume telesistolico sono fisiologici e anzi rappresentano una riserva dalla quale il cuore può attingere quando, sotto sforzo, deve eiettare un quantitativo maggiore di sangue.
Il volume telesistolico medio è pari a 65cc: dei 135cc di volume telediastolico ne sono stati eiettati 70cc, che va benissimo;
valori troppo elevati di volume telesistolico possono essere indice di un cuore che non si contrae con forza sufficiente e che quindi espelle un quantitativo troppo esiguo di volume telediastolico.
Il volume telediastolico è dato dal sangue che l’atrio ha immesso nel ventricolo, ma anche da quello che era rimasto nel ventricolo dalla contrazione precedente (volume telesistolico):
VTD = VTS + sangue che passa dall’atrio al ventricolo
inoltre il sangue che viene effettivamente eiettato è rappresentato dalla quantità di volume
telediastolico che esce e non residua nel ventricolo:
gittata sistolica = VTD – VTS
La gittata sistolica è la quantità di sangue che il ventricolo espelle ad ogni sistole. È data dalla differenza fra volume telediastolico e telesistolico;
poiché mediamente il VTD è 135 cc e il VTS è 65 cc, la gittata sistolica media è pari a 70cc di sangue eiettati ad ogni sistole
La frazione di eiezione indica quanta parte di volume telediastolico è stata eiettata = GS/VTD
La frequenza cardiaca è il numero di contrazioni al minuto, che mediamente è pari a 70 bpm
- 60-100 bpm a riposo - bradicardia < 60 bpm - tachicardia > 100 bpm
Gittata sistolica e frequenza cardiaca danno indicazione di quella che è la gittata cardiaca, ovvero il quantitativo di sangue che il ventricolo espelle in un minuto;
Questa corrisponde, quindi, al flusso totale di sangue che sarà smistato a tutti gli organi;
poiché la gittata sistolica indica la quantità di sangue espulsa ad ogni battito e la frequenza cardiaca indica il numero di battiti in un minuto, la gittata cardiaca sarà data dal prodotto fra la gittata sistolica e la frequenza cardiaca e sarà:
GC = GS × F = 5L/min
l’intervallo fra una contrazione e l’altra;
La durata del tempo di diastole è influenzata da: - tempo necessario al riempimento del ventricolo; - frequenza cardiaca;
Durante il tempo di diastole il riempimento ventricolare è diviso in 3 fasi:
- Sistole atriale (fase attiva)
- Riempimento rapido;
- Riempimento ridotto;
se la frequenza cardiaca aumenta (tachicardia): il cuore deve effettuare un maggior numero di contrazioni in un minuto quindi si deve accorciare l’intervallo fra l’una e l’altra; il tempo di diastole si riduce;
se la frequenza cardiaca diminuisce (bradicardia) il tempo di diastole si allunga.
Questo parametro viene a condizionare, almeno in parte, il riempimento ventricolare e quindi il volume
telediastolico:
se aumento la frequenza, e quindi si riduce il tempo di diastole ventricolare durante il quale il ventricolo si riempie, si riduce anche il riempimento del ventricolo e quindi il volume telediastolico.
Piccolo aumento di frequenza
Se l’aumento di frequenza è tale da non ridurre il tempo di diastole in modo eccessivo, verrà meno solo la fase di riempimento ridotto, che dà un contributo esiguo al riempimento ventricolare, quindi il volume telediastolico risulterà comunque adeguato;
la piccola quantità di sangue sottratta al riempimento ventricolare fa sì che la gittata sistolica sia leggermente più bassa, ma, poiché è aumentata la frequenza cardiaca, la gittata cardiaca risulta comunque aumentata.
Grande aumento di frequenza
Se l’aumento di frequenza è eccessivo (introno ai 150bpm senza fattori estrinseci) e quindi il tempo di diastole si riduce troppo, viene meno anche una parte del riempimento rapido, che dà un contributo importante al riempimento ventricolare; quindi il volume telediastolico risulterà inadeguato;
in questo caso la riduzione della gittata sistolica è tale per cui, nonostante l’aumento della frequenza, la gittata cardiaca risulta diminuita. Questo significa che tendenzialmente più aumenta la frequenza, più aumenta la gittata cardiaca; ma fino a un certo punto, perché più aumenta la frequenza, più si accorcia il tempo di diastole, e quindi diminuiscono il volume telediastolico e la gittata sistolica (anche se in parte questo è compensato dal “fenomeno della scala”).
Quindi, per aumentare la gittata cardiaca, il cuore può aumentare la gittata sistolica invece della frequenza (minore frequenza significa minore consumo di ossigeno per il cuore, quindi minore rischio di infarto o di ischemia cardiaca)
Se l’aumento di frequenza è eccessivo (introno ai 150bpm senza fattori estrinseci) e quindi il tempo di diastole si riduce troppo, viene meno anche una parte del riempimento rapido, che dà un contributo importante al riempimento ventricolare; quindi il volume telediastolico risulterà inadeguato;
in questo caso la riduzione della gittata sistolica è tale per cui, nonostante l’aumento della frequenza, la gittata cardiaca risulta diminuita. Questo significa che tendenzialmente più aumenta la frequenza, più aumenta la gittata cardiaca; ma fino a un certo punto, perché più aumenta la frequenza, più si accorcia il tempo di diastole, e quindi diminuiscono il volume telediastolico e la gittata sistolica (anche se in parte questo è compensato dal “fenomeno della scala”).
Quindi, per aumentare la gittata cardiaca, il cuore può aumentare la gittata sistolica invece della frequenza (minore frequenza significa minore consumo di ossigeno per il cuore, quindi minore rischio di infarto o di ischemia cardiaca);
l’aumento della gittata sistolica può avvenire:
- aumentando il volume telediastolico (aumento del ritorno venoso);
- riducendo il volume telesistolico (aumento della contrattilità, mediante SNA e sistema endocrino).
l’aumento della gittata sistolica può avvenire:
- aumentando il volume telediastolico (aumento del ritorno venoso);
- riducendo il volume telesistolico (aumento della contrattilità, mediante SNA e sistema endocrino).
presenta:
- un valore di pressione massima (il picco raggiunto, nel grafico sopra 120mmHg);
- un valore di pressione minima (pressione che deve raggiungere il ventricolo per aprire le semilunari, mediamente 80mmHg);
pressione massima e pressione minima sono comunemente utilizzati come sinonimi di pressione sistolica e diastolica, ma questo è improprio perché la pressione durante la sistole e la pressione durante la diastole non sono espresse da un solo valore, ma sono tutti i valori pressori che si registrano nel tempo di sistole e nel tempo di diastole.
La pressione massima è determinata dalla forza con cui il cuore pompa il sangue in aorta;
La pressione minima è condizionata dalle resistenze periferiche, quindi da quanto velocemente il sangue fluisce verso i capillari:
- con vasodilatazione periferica, sangue fluisce più veloce e pressione minima più bassa;
- con vasocostrizione periferica, sangue fluisce più lento e pressione minima più alta.
Il pre-carico (espresso in cm3) corrisponde al volume telediastolico, cioè indica quanto il ventricolo è pre-caricato prima della sistole;
questa quantità di sangue riempie il ventricolo e ne comporta un aumento di volume, che condurrà a una contrazione di intensità proporzionale a questo aumento di volume e quindi al pre-carico;
Il post-carico (espresso in mmHg) corrisponde alla pressione minima in aorta, cioè indica il carico che deve affrontare il ventricolo per aprire le valvole semilunari;
infatti parte dell’energia che sviluppa il ventricolo durante la sistole isometrica sarà consumata per raggiungere questo post-carico, l’energia rimanente per eiettare il sangue in arteria.
La funzione contrattile del cuore è descritta dalla CURVA LUNGHEZZA – TENSIONE, individuata da Starling e applicabile sia al muscolo cardiaco che al muscolo scheletrico, con delle differenze.
Questa curva mette in relazione la lunghezza del sarcomero con la forza prodotta:
dice per ogni lunghezza quanta forza viene sviluppata:
- sia dalle componenti attive per produrre la forza della contrazione:
- sia dalle componenti passive per produrre la resistenza allo stiramento;
Sia per il muscolo scheletrico che per quello cardiaco sono descritte le tensioni sviluppate dalle componenti attive e passive, tramite una curva attiva e una curva passiva;
componente attiva: ponti acto-miosinici
La curva attiva descrive la tensione attiva, cioè la forza di contrazione esercitata alle diverse
lunghezze dai ponti acto-miosinici.
Infatti, a seconda della lunghezza del sarcomero:
1. le teste di miosina e i filamenti di actina si trovano in una diversa posizione reciproca, quindi hanno una maggiore o minore probabilità di interagire a formare un ponte e sviluppare energia;
teoria dello scivolamento dei filamenti: dipendenza della tensione sviluppata dalla lunghezza operativa: - maggiore è il numero di ponti maggiore sarà la tensione sviluppata;
- ci saranno lunghezze per le quali si verifica una maggiore interazione actina-miosina; quindi un maggior numero di ponti attivi; quindi una maggiore forza sviluppata.
2. il grado di stiramento della fibra influenza la forza sviluppata anche con altri meccanismi.
Infatti, accanto allo scivolamento dei filamenti (che si verifica allo stesso modo nel muscolo scheletrico), il
miocardio presenta dei meccanismi peculiari che sono legati al Ca++.
L’allungamento della fibra porta all’apertura dei canali del Ca++ sensibili allo stiramento, per cui lo stiramento della fibra a un determinato valore di lunghezza determina l’ingresso di più Ca++ nella fibrocellula;
un aumento della concentrazione intracellulare di Ca++ determina una contrazione più efficace e quindi lo sviluppo di maggiore tensione attiva.
Un altro meccanismo è quello di determinare un aumento della sensibilità al Ca++ da parte del complesso troponina – tropomiosina.
componente passiva: titina, collagene, pericardio
La curva passiva descrive la tensione passiva, cioè la forza di resistenza allo stiramento esercitata
da titina, collagene e pericardio.
Infatti il cuore presenta delle componenti elastiche passive che si oppongono alla dilatazione della parete ventricolare, e quindi al suo riempimento (per riempirsi il ventricolo deve dilatarsi).
La titina è una grande molecola proteica che ha la funzione di mantenere la miosina in posizione, agganciandola ai dischi Z;
Nel muscolo cardiaco è più rigida rispetto al muscolo scheletrico, quindi esercita una tensione più elevata; come una molla, questa viene messa in tensione e si oppone allo stiramento, quando la parete ventricolare è sottoposta a uno stiramento modesto o intermedio.
Il collagene è una grande molecola glicoproteica, che viene messa in tensione e si oppone allo stiramento con contributo pari a quello della titina, quando la parete ventricolare viene sottoposta a uno stiramento elevato;
quando la dilatazione raggiunge valori molto elevati, il collagene agisce in modo esclusivo.
Il pericardio è un sacco fibroso che riveste il cuore e interviene nell’impedire un accumulo di pressione nel cuore e quindi un’eccessiva dilatazione.
Questa curva mette in relazione la lunghezza del sarcomero con la forza prodotta:
dice per ogni lunghezza quanta forza viene sviluppata:
- sia dalle componenti attive per produrre la forza della contrazione:
- sia dalle componenti passive per produrre la resistenza allo stiramento; CURVA ATTIVA: componente attiva: ponti acto-miosinici
La curva attiva descrive la tensione attiva, cioè la forza di contrazione esercitata alle diverse
lunghezze dai ponti acto-miosinici. CURVA PASSIVA: componente passiva: titina, collagene, pericardio
La curva passiva descrive la tensione passiva, cioè la forza di resistenza allo stiramento esercitata
da titina, collagene e pericardio.
Infatti il cuore presenta delle componenti elastiche passive che si oppongono alla dilatazione della parete ventricolare, e quindi al suo riempimento (per riempirsi il ventricolo deve dilatarsi).
La titina è una grande molecola proteica che ha la funzione di mantenere la miosina in posizione, agganciandola ai dischi Z;
Nel muscolo cardiaco è più rigida rispetto al muscolo scheletrico, quindi esercita una tensione più elevata; come una molla, questa viene messa in tensione e si oppone allo stiramento, quando la parete ventricolare è sottoposta a uno stiramento modesto o intermedio. Quindi è una delle tre componenti insieme al collagene pericardio che esercita una forza di resistenza allo stiramento che è La tensione passiva descritta dalla curva passiva nel grafico lunghezza tensione che descrive la funzione contrattile del cuore
La legge di Laplace afferma che la pressione che la struttura cardiaca può sviluppare è pari al doppio della tensione moltiplicato per lo spessore, diviso per il raggio.
P = 2Td/r quindi T = Pr/2d
Infatti bisogna considerare che sulla parete cardiaca agiscono due forze:
- pressione (forza esercitata dal sangue che riempie il ventricolo e preme dall’interno contro le pareti cercando di dilatarle);
- tensione (forza esercitata dalla parete ventricolare che si oppone alla dilatazione); immaginando il cuore come una sfera formata da due semisfere, su cui agiscono queste due forze
con verso opposto:
- la pressione tende a separare le due semisfere (quindi a spaccare la sfera);
- la tensione tende a tenerle unite (quindi a evitare che la sfera si spacchi).
Conseguenza di questo è che un cuore che si sia dilatato troppo non riesce a sviluppare una pressione adeguata e dovrà sviluppare una tensione troppo grande, perché:
- la cavità ventricolare si è dilatata (raggio aumentato);
- la parete si è quindi assottigliata (spessore diminuito);
l’eccessiva dilatazione cardiaca è quindi una situazione svantaggiosa.
cuore che si sia dilatato troppo non riesce a sviluppare una pressione adeguata e dovrà sviluppare una tensione troppo grande, perché:
- la cavità ventricolare si è dilatata (raggio aumentato);
- la parete si è quindi assottigliata (spessore diminuito);
Infatti bisogna considerare che sulla parete cardiaca agiscono due forze:
- pressione (forza esercitata dal sangue che riempie il ventricolo e preme dall’interno contro le pareti cercando di dilatarle);
- tensione (forza esercitata dalla parete ventricolare che si oppone alla dilatazione); immaginando il cuore come una sfera formata da due semisfere, su cui agiscono queste due forze
con verso opposto:
- la pressione tende a separare le due semisfere (quindi a spaccare la sfera);
- la tensione tende a tenerle unite (quindi a evitare che la sfera si spacchi).
La legge di Laplace afferma che la pressione che la struttura può sviluppare è pari al doppio della tensione moltiplicato per lo spessore, diviso per il raggio.
P = 2Td/r quindi T = Pr/2d
La branca ascendente è la porzione in cui la curva sale ripidamente ed è dovuta al fatto che, al progressivo allungamento delle fibre miocardiche (e quindi al progressivo riempimento del ventricolo), il ventricolo sviluppa una forza crescente, cioè si contrae con più energia: più è stirato, più energia sviluppa.
Questo avviene fino a un certo punto, che è il vertice della curva e rappresenta la lunghezza ottimale, cioè il punto in cui lo stiramento delle fibre ventricolari porta i filamenti di actina e miosina ad avere la massima interazione possibile, quindi a generare il maggior numero possibili di ponti, e quindi a produrre la massima energia possibile.
Oltre questo punto di lunghezza ottimale, si entra in branca discendente, cioè la porzione in cui la curva scende ripidamente, perché la situazione si inverte, cioè al progressivo allungamento delle fibre miocardiche oltre il valore di lunghezza ottimale, il ventricolo sviluppa una forza sempre minore.
Questo è dovuto allo scivolamento dei filamenti, cioè l’eccessivo stiramento della fibra causa una disposizione dei filamenti di actina e miosina tale per cui questi non riescono ad agganciarsi efficacemente, quindi si formano pochi ponti, e quindi si riesce a produrre poca energia.
Fisiologicamente il cuore lavora solo in branca ascendente e non deve entrare in branca discendente e questo è possibile grazie alle resistenze passive in particolare la titina che si oppongono all'eccessiva dilatazione e impediscono alla distensione del ventricolo di raggiungere quei valori di lunghezza che si trovano oltre lunghezza ottimale e corrisponde alla branca discendente
La presenza delle resistenze passive in particolare della titina che si oppongono alla dilatazione e impediscono alla distensione del ventricolo di raggiungere quei valori di lunghezza che si trovano oltre la lunghezza ottimale e corrispondono alla branca discendente
Le curve attive del muscolo scheletrico e del muscolo cardiaco presentano delle differenze:
il range di lunghezza del sarcomero è molto più ristretto nel miocardio rispetto al muscolo scheletrico (infatti la curva del muscolo scheletrico è molto più dilatata rispetto a quella del muscolo cardiaco, che è invece più ripida):
questo significa che il miocardio ha una maggiore sensibilità all’allungamento, per cui basta anche un piccolo allungamento per avere un grande aumento della forza attiva sviluppata.
La curva attiva, con i tre meccanismi, descrive la legge di Starling.
si nota che essa non presenta un andamento lineare, perché l’opposizione allo stiramento non aumenta in maniera strettamente proporzionale allo stiramento:
- a valori bassi di allungamento la tensione sviluppata è modesta (quindi, all’inizio del riempimento, il ventricolo non offre una grande resistenza allo stiramento);
- a valori un po’ più elevati di allungamento la tensione sviluppata impenna in maniera drastica.
quindi, a un certo punto, il ventricolo oppone una grande resistenza allo stiramento.
Questo drastico aumento della resistenza allo stiramento è funzionale a impedire che la dilatazione cardiaca superi una certa lunghezza e il cuore entri in branca discendente
Le curve passive del muscolo scheletrico e del muscolo cardiaco presentano delle differenze: - quella del muscolo cardiaco inizia molto prima di quella del muscolo scheletrico (quindi parte
da lunghezze del sarcomero minori);
- quella del muscolo cardiaco ha un andamento molto più ripido:
il miocardio, avendo una maggiore sensibilità all’allungamento, sviluppa anche una maggiore resistenza passiva all’allungamento, per cui basta anche un piccolo allungamento del sarcomero per avere un grande aumento della tensione passiva sviluppata;
questo è necessario perché in entrambi i casi la tensione passiva ha una funzione protettiva, ma essa è differente:
- nel muscolo scheletrico si può andare in branca discendente quindi la tensione passiva serve solo a proteggere l’articolazione;
- nel cuore non si può assolutamente entrare in branca discendente quindi la tensione passiva ha proprio la fondamentale funzione protettiva di impedire che si vada in branca discendente (e non tanto di spingere il sangue in arteria perché si tratta di valori molto modesti rispetto a pressione attiva).
è possibile convertire la
curva con i parametri tensione – lunghezza in una curva pressione – volume dipendente dal VTD, che considera solo la branca ascendente, in quanto fisiologicamente non si può adoperare la branca discendente.
Questa permette di evidenziare che a riempimenti diversi (quindi a VTD diversi) corrispondono diverse energie sviluppate (come si vede nella legge di Starling). Per conoscere la pressione massima che produce il ventricolo ad un certo valore di riempimento, devo immaginare di clampare l’aorta e di trovarmi in una fase di sistole completamente isometrica, perché devo considerare che tutta l’energia sviluppata dal ventricolo sia impiegata per l’eiezione di sangue e che non ci sia la quota spesa per aprire le semilunari (post-carico).
1. si parte da un punto in cui il ventricolo è senza sangue (punto 0, origine degli assi); 2. dal punto A al punto B:
durante la diastole ventricolare isotonica il ventricolo si riempie, prima con riempimento rapido (RR) e poi con riempimento ridotto (RL), perciò:
- il volume aumenta e ci spostiamo in avanti lungo l’asse delle x;
- aumenta anche un pochino la pressione;
3. dal punto B al punto C:
poi il ventricolo va in sistole isometrica (SI), in cui il ventricolo si contrae, quindi: - determina un aumento della pressione (ci spostiamo in su lungo l’asse delle y);
- non c’è un aumento di volume (non ci spostiamo lungo l’asse delle x);
se avessimo l’aorta clampata, la pressione totale sarebbe tutta pressione sviluppata dal ventricolo per eiettare il sangue (valore in alto di “p isometrica max sviluppabile”), ma nella realtà l’aorta non è clampata è quindi la pressione sviluppata non corrisponde alla pressione massima sviluppabile, perché bisogna sottrarre quella che se ne va come energia cinetica quando si aprono le valvole;
4. dal punto C al punto D:
nel punto C si verifica l’apertura delle valvole semilunari e lì inizia la sistole isotonica, costituita da: - una fase di eiezione rapida (ER);
- una fase di eiezione lenta (EL):
in cui:
- il volume diminuisce (ci muoviamo indietro lungo l’asse delle x) perché il ventricolo si svuota;
- la pressione prima aumenta perché il ventricolo si contrae (ci muoviamo in su lungo l’asse delle y); - La pressione poi scende perché il ventricolo si sta svuotando (ci muoviamo un po’ in giù lungo l’asse delle y);
5. Dal punto D al punto A:
nel punto D si richiudono le valvole semilunari e lì inizia la diastole isometrica (DI), in cui:
- il volume rimane costante perché il ventricolo è praticamente vuoto (non ci spostiamo nell’asse delle x); - la pressione diminuisce perché il ventricolo è vuoto e rilasciato (ci spostiamo in giù nell’asse delle y).
I quattro punti ABCD sono dati dagli eventi valvolari:
- A apertura atrio-ventricolari;
- B chiusura atrio-ventricolari;
- C apertura semilunari; - D chiusura semilunari;
mentre i segmenti fra i vari punti sono dati dagli eventi ventricolari:
- AB diastole ventricolare isotonica;
- BC sistole ventricolare isometrica;
- CD sistole ventricolare isotonica;
- DA diastole ventricolare isometrica.
B: essendo il punto in cui il ventricolo ha appena terminato la diastole sta per iniziare la sistole ed è completamente riempito, altro non è che il VTD (135cc);
A: essendo il punto in cui il ventricolo ha terminato la sistole e si è svuotato di tutto il VTD tranne un quantitativo che è rimasto come residuo, altro non è che il VTS (65cc);
quindi, poiché GS = VTD – VTS, la differenza fra il punto B e il punto A (cioè il segmento BA) rappresenta la gittata sistolica.
La curva AB rappresenta la curva passiva (perché in diastole isotonica si ha il riempimento del ventricolo, durante il quale la forza che il ventricolo esercita è una resistenza passiva allo stiramento);
La curva CD rappresenta la curva attiva (perché in sistole isotonica la forza che il ventricolo esercita è una pressione data dalla contrazione attiva per spingere fuori il sangue);
tutto l’evento cardiaco si svolge tra queste due curve, la passiva e l’attiva.
tutto l’evento cardiaco si svolge tra queste due curve, la passiva e l’attiva. La curva AB rappresenta la curva passiva (perché in diastole isotonica si ha il riempimento del ventricolo, durante il quale la forza che il ventricolo esercita è una resistenza passiva allo stiramento);
La curva CD rappresenta la curva attiva (perché in sistole isotonica la forza che il ventricolo esercita è una pressione data dalla contrazione attiva per spingere fuori il sangue); I quattro punti ABCD sono dati dagli eventi valvolari:
- A apertura atrio-ventricolari;
- B chiusura atrio-ventricolari;
- C apertura semilunari; - D chiusura semilunari;
mentre i segmenti fra i vari punti sono dati dagli eventi ventricolari:
- AB diastole ventricolare isotonica;
- BC sistole ventricolare isometrica;
- CD sistole ventricolare isotonica;
- DA diastole ventricolare isometrica.
, poiché GS = VTD – VTS, la differenza fra il punto B e il punto A (cioè il segmento BA) rappresenta la gittata sistolica.
B: essendo il punto in cui il ventricolo ha appena terminato la diastole sta per iniziare la sistole ed è completamente riempito, altro non è che il VTD (135cc);
A: essendo il punto in cui il ventricolo ha terminato la sistole e si è svuotato di tutto il VTD tranne un quantitativo che è rimasto come residuo, altro non è che il VTS (65cc);
nel cuore la frequenza cardiaca è stabilita dal nodo seno-atriale, quindi non è possibile aumentarla oltre certi valori e determinare una sommazione di scosse, perché nel cuore ogni contrazione può intervenire solo quando la precedente è terminata (meccanismo protettivo perché serve rilasciamento prolungato per permettere riempimento ventricolare);
nel miocardio non esistono le unità motrici, perché la contrazione avviene sempre nel ventricolo in toto, quindi si contraggono tutte le fibrocellule muscolari e non esiste il fenomeno del reclutamento (contrazione asincrona è fibrillazione ed è contrazione inefficiente).
Quindi l’unico modo per aumentare la forza di contrazione nel miocardio è aumentare il numero di ponti attivati, e questo è possibile solo aumentando il quantitativo di Ca++ che entra nelle fibrocellule cardiache e la sensibilità al Ca++ da parte del sistema troponina – tropomiosina.
La regolazione della contrazione cardiaca può avvenire tramite:
- un meccanismo intrinseco, in cui è il cuore stesso ad auto-regolarsi;
- un meccanismo estrinseco, in cui è il SNA o il sistema endocrino a modulare l’attività del cuore.
- un meccanismo intrinseco, in cui è il cuore stesso ad auto-regolarsi;
- un meccanismo estrinseco, in cui è il SNA o il sistema endocrino a modulare l’attività del cuore.
Operano sia sulla gittata sistolica che sulla frequenza cardiaca.
Sia i meccanismi intrinseci che i meccanismi estrinseci agiscono sul Ca++, ma:
- i meccanismi intrinseci agiscono tramite la distensione delle fibrocellule miocardiche; - i meccanismi estrinseci agiscono direttamente sui canali del Ca++.
Questi meccanismi di regolazione cardiaca portano ad un aumento della gittata sistolica:
- o tramite aumento del volume telediastolico (meccanismi intrinseci), che porta a un aumento del
sangue pompato;
- o tramite diminuzione del volume telesistolico (meccanismi estrinseci), che si concretizza in una contrazione più efficiente (aumento della contrattilità cardiaca).
si basano sulla Legge di Starling la quale ci dice che all’aumentare del ritorno venoso, e quindi del volume telediastolico, veniamo ad avere un aumento di quella che è la gittata sistolica;
QUINDI:
- il cuore è in grado di regolare la forza di contrazione in funzione del pre-carico;
- maggiore è il riempimento ventricolare (quindi il volume telediastolico o pre-carico), maggiore è l’allungamento delle fibre ventricolari, e di conseguenza maggiore è la forza che viene sviluppata nella contrazione ventricolare. Quindi, quando il ventricolo è riempito da un grande quantitativo di sangue, le fibre si distendono maggiormente e il ventricolo sviluppa una forza maggiore, in quanto deve eiettare un volume maggiore di sangue.
L’aumento del pre-carico o VTD (che a sua volta determina un aumento della forza di contrazione) viene ottenuto tramite aumento del ritorno venoso;
quindi la legge di Starling è, in un certo senso, una legge di conservazione della massa: tanto sangue entra dalle vene, tanto sangue deve uscire dalle arterie;
Quindi se aumenta il sangue che entra con le vene, quindi il VTD, deve aumentare anche il sangue che esce con le arterie e quindi la gittata.
PERCIÒ i meccanismi intrinseci e la legge di Starling determinano un aumento della gittata cardiaca perchè maggiore È il quantitativo di sangue che arriva nel ventricolo dalle vene maggiore e la dilatazione della parete ventricolare per accogliere questo volume quindi maggiore è la forza di contrazione del cuore.
- aumentano la gittata cardiaca, aumentando la gittata sistolica; - aumentano la gittata sistolica aumentando il VTD;
- aumentano il VTD aumentando soprattutto il ritorno venoso;
si basano sulla la legge di Starling che quindi serve a
bilancirare RV con GS
L’aumento del pre-carico o VTD (che viene ottenuto tramite aumento del ritorno venoso) porta a un aumento della gittata sistolica perché maggiore è il riempimento ventricolare (quindi il volume telediastolico o pre-carico), maggiore è l’allungamento delle fibre ventricolari Dato che la parete ventricolare deve dilatarsi maggiormente per accogliere tale volume i, e di conseguenza maggiore è la forza che viene sviluppata nella contrazione ventricolare per eiettare un volume maggiore di sangue. al contrario un aumento del post-carico riduce la gittata sistolica, perché aumenta la pressione che il ventricolo deve esercitare per aprire le semilunari e quindi diminuisce quella che può usare per eiettare il VTD.
Quindi pre-carico e post-carico condizionano la performance cardiaca (il primo positivamente, il secondo negativamente): infatti entrambi determinano uno spostamento della curva pressione – volume:
1. Un aumento del post-carico determina uno spostamento di questa curva pressione – volume verso l’alto;
2. un aumento del pre-carico (VTD) determina uno spostamento della curva pressione – volume verso destra:
1. Un aumento del post-carico determina uno spostamento di questa curva pressione – volume verso l’alto;
2. un aumento del pre-carico (VTD) determina uno spostamento della curva pressione – volume verso destra
aumenta il valore di pressione a cui si aprono le semilunari -> il punto D si trova più in alto di D’;
Il ventricolo deve impiegare una maggiore energia per aprire le semilunari:
- resterà meno energia per la contrazione;
- la contrazione è quindi meno efficace e porta fuori quota minore di VTD;
- perciò residua maggiore VTS -> punto A più a destra e ha valore più grande rispetto ad A’;
La gittata sistolica è minore -> CA è minore di C’A’ (gittata sistolica = C – A, e C è rimasto invariato mentre A è aumentato)
Quindi quando aumentano le resistenze periferiche totali (SNs può aumentare vasocostrizione periferica), aumenta il post-carico;
- poiché aumenta il VTD si avrà un punto C più spostato verso destra e con valore maggiore
rispetto al punto C’;
- questo aumento del VTD determina, per la legge di Starling, un aumento della forza di contrazione, quindi una fase di eiezione rapida maggiore e soprattutto una gittata sistolica maggiore, poiché CA è maggiore di CA’, dal momento che gittata sistolica = C – A, e A è rimasto invariato mentre C è aumentato.
- tempo di diastole ventricolare: più dura la diastole del ventricolo, più tempo questo ha per riempirsi e accumulare quindi un VTD maggiore
- ritorno venoso: più sangue arriva nell’atrio, più sangue va nel ventricolo a costituire il VTD - compliance del ventricolo: più il ventricolo si dialata, più VTD può accogliere
- sistole atriale: maggiore è pressione sviluppata da atrio, più sangue butta in ventricolo a formare VTD; c’è un residuo anche in atrio, e minore è, maggiore è il VTD
1) scivolamento dei filamenti:
meccanismo comune al muscolo scheletrico;
lo stiramento determina:
- uno scivolamento dei filamenti contrattili; - una disposizione più funzionale alla formazione dei ponti acto-miosinici;
-> quindi un aumento del numero di ponti attivi e della forza generata;
Lo stiramento serve perché:
- se il sarcomero è troppo accorciato i filamenti sono troppo sovrapposti e si ostacolano;
- se lo stiramento è eccessivo la miosina non trova più actina davanti a sé e si va in branca discendente.
2) aumento del Ca++ intracellulare:
meccanismo peculiare del cuore;
Nel muscolo scheletrico è dovuto al fatto che l’aumento di frequenza porta a una sorta di meccanismo del calcio residuo;
Nel cuore non si può aumentare la frequenza quindi si aumenta il Ca++ con un altro sistema;
- lo stiramento della fibrocellula muscolare apre i canali del Ca++ sensibili allo stiramento;
- quindi aumenta il Ca++ intracellulare;
- quindi si scoprono più siti di attacco per la miosina;
- quindi si generano più ponti;
- quindi si sviluppa maggiore forza
3) aumento della sensibilità al Ca++ da parte del sistema troponina – tropomiosina:
meccanismo peculiare del cuore;
- l’allungamento della fibra determina una deformazione dell’organizzazione tridimensionale delle fibre miocardiche;
- questo favorisce l’azione del Ca++ sul complesso troponina-tropomiosina:
- quindi si scoprono più siti di attacco per la miosina;
- quindi si generano più ponti;
- quindi si sviluppa maggiore forza.
Oltre alla legge di Starling, esiste un altro meccanismo intrinseco per aumentare la forza di contrazione (che non ha a che fare con la legge di Starling).
Tale meccanismo coinvolge la frequenza cardiaca:
un aumento della frequenza determina un progressivo aumento della forza di contrazione (“fenomeno della scala”), perché una maggiore frequenza comporta un aumento della concentrazione intracellulare di Ca++;
Un aumento della frequenza determina:
- un aumento del numero di potenziali d’azione
nell’unità di tempo;
- quindi l’apertura di un maggior numero di canali per il Ca++ voltaggio-dipendenti;
- quindi un maggiore ingresso di Ca++;
inoltre un aumento della frequenza:
- riduce il tempo di diastole;
- quindi diminuisce il tempo per il reuptake del Ca++;
- quindi si verifica un aumento del Ca++ non ricaptato presente nel citoplasma.
meccanismo comune al muscolo scheletrico;
lo stiramento determina:
- uno scivolamento dei filamenti contrattili; - una disposizione più funzionale alla formazione dei ponti acto-miosinici;
-> quindi un aumento del numero di ponti attivi e della forza generata;
Lo stiramento serve perché:
- se il sarcomero è troppo accorciato i filamenti sono troppo sovrapposti e si ostacolano;
- se lo stiramento è eccessivo la miosina non trova più actina davanti a sé e si va in branca discendente.
meccanismo peculiare del cuore;
Nel muscolo scheletrico è dovuto al fatto che l’aumento di frequenza porta a una sorta di meccanismo del calcio residuo;
Nel cuore non si può aumentare la frequenza quindi si aumenta il Ca++ con un altro sistema;
- lo stiramento della fibrocellula muscolare apre i canali del Ca++ sensibili allo stiramento;
- quindi aumenta il Ca++ intracellulare;
- quindi si scoprono più siti di attacco per la miosina;
- quindi si generano più ponti;
- quindi si sviluppa maggiore forza
meccanismo peculiare del cuore;
- l’allungamento della fibra determina una deformazione dell’organizzazione tridimensionale delle fibre miocardiche;
- questo favorisce l’azione del Ca++ sul complesso troponina-tropomiosina:
- quindi si scoprono più siti di attacco per la miosina;
- quindi si generano più ponti;
- quindi si sviluppa maggiore forza.
Oltre alla legge di Starling, esiste un altro meccanismo intrinseco per aumentare la forza di contrazione (che non ha a che fare con la legge di Starling). Tale meccanismo coinvolge la frequenza cardiaca:
un aumento della frequenza determina un progressivo aumento della forza di contrazione (“fenomeno della scala”), perché una maggiore frequenza comporta un aumento della concentrazione intracellulare di Ca++;
Un aumento della frequenza determina:
- un aumento del numero di potenziali d’azione
nell’unità di tempo;
- quindi l’apertura di un maggior numero di canali per il Ca++ voltaggio-dipendenti;
- quindi un maggiore ingresso di Ca++;
inoltre un aumento della frequenza:
- riduce il tempo di diastole;
- quindi diminuisce il tempo per il reuptake del Ca++;
- quindi si verifica un aumento del Ca++ non Tale meccanismo coinvolge la frequenza cardiaca:
un aumento della frequenza determina un progressivo aumento della forza di contrazione (“fenomeno della scala”), perché una maggiore frequenza comporta un aumento della concentrazione intracellulare di Ca++;
Un aumento della frequenza determina:
- un aumento del numero di potenziali d’azione
nell’unità di tempo;
- quindi l’apertura di un maggior numero di canali per il Ca++ voltaggio-dipendenti;
- quindi un maggiore ingresso di Ca++;
inoltre un aumento della frequenza:
- riduce il tempo di diastole;
- quindi diminuisce il tempo per il reuptake del Ca++;
- quindi si verifica un aumento del Ca++ non Tale meccanismo coinvolge la frequenza cardiaca:
un aumento della frequenza determina un progressivo aumento della forza di contrazione (“fenomeno della scala”), perché una maggiore frequenza comporta un aumento della concentrazione intracellulare di Ca++;
Un aumento della frequenza determina:
- un aumento del numero di potenziali d’azione
nell’unità di tempo;
- quindi l’apertura di un maggior numero di canali per il Ca++ voltaggio-dipendenti;
- quindi un maggiore ingresso di Ca++;
inoltre un aumento della frequenza:
- riduce il tempo di diastole;
- quindi diminuisce il tempo per il reuptake del Ca++;
- quindi si verifica un aumento del Ca++ non Tale meccanismo coinvolge la frequenza cardiaca:
un aumento della frequenza determina un progressivo aumento della forza di contrazione (“fenomeno della scala”), perché una maggiore frequenza comporta un aumento della concentrazione intracellulare di Ca++;
Un aumento della frequenza determina:
- un aumento del numero di potenziali d’azione
nell’unità di tempo;
- quindi l’apertura di un maggior numero di canali per il Ca++ voltaggio-dipendenti;
- quindi un maggiore ingresso di Ca++;
inoltre un aumento della frequenza:
- riduce il tempo di diastole;
- quindi diminuisce il tempo per il reuptake del Ca++;
- quindi si verifica un aumento del Ca++ non ricaptato presente nel citoplasma.
perché, oltre il picco della curva attiva, non è più vero che l’aumento della distensione determina un aumento della forza, ma al contrario il ventricolo sviluppa una forza sempre minore man mano che si dilata perché avviene lo scompaginamento dei filamenti;
in branca discendente la contrazione è sempre meno efficiente, quindi:
- si accumula un VTS sempre maggiore che si somma sempre a quello delle contrazioni precedenti;
- aumenta anche il VTD (e la dilatazione ventricolare);
- a lungo andare l’architettura del cuore comincerà a scompaginarsi lentamente fino all’insufficienza cardiaca vera e propria, in cui il cuore non è in grado di sviluppare una forza sufficiente.
curve di Frank, che indicano l’andamento della pressione (durante la sistole ventricolare) rispetto al tempo, in relazione al grafico
lunghezza – tensione.
Per la legge di Starling, si avranno delle curve via via più ampie, perché a riempimenti maggiori corrisponderanno pressioni maggiori e quindi curve più alte;
le curve di Frank hanno anche pendenza diversa, perché curve più alte raggiungono anche il picco più rapidamente:
questo significa che, se il VTD è minore:
- non solo il miocardio svilupperà una forza minore; - ma la svilupperà anche più lentamente.
Perciò sono curve che indicano l’efficienza della performance cardiaca, in quanto man mano si ha sia un aumento del picco di pressione sviluppata sia della velocità con cui quella pressione viene ad essere sviluppata.
Questo è un meccanismo di auto-regolazione perché non richiede nessun intervento esterno, è il cuore che autonomamente aumenta la sua forza di contrazione quando aumenta il VTD da eiettare (e quindi lo stiramento della parete ventricolare).
i agiscono dall’esterno per aumentare la contrattilità cardiaca, cioè l’efficienza di contrazione del cuore;
questa migliore efficienza si manifesta con un minore VTS: la diminuzione del volume telesistolico indica una contrazione cardiaca più efficiente, perché, a parità di volume telediastolico, si ha un minore residuo di sangue nel ventricolo, quindi un maggiore quantitativo di sangue espulso e una maggiore gittata sistolica;
perciò, se per uno stesso VTD aumenta la gittata sistolica, significa che aumenta la frazione di eiezione (GS/VTD).
QUINDI: l’azione del sistema simpatico fa sì che si abbia un aumento della gittata a parità di volume telediastolico.
Questi fattori estrinseci che vanno ad aumentare la contrattilità (cioè l’efficienza di contrazione), e quindi la gittata sistolica e conseguentemente la gittata cardiaca, sono:
- l’adrenalina (sistema endocrino);
- la noradrenalina (SN simpatico)
- Nel primo caso (Frank-Starling) devo aumentare il volume telediastolico;
- nel secondo caso il volume telediastolico non cambia, il cuore aumenta la sua forza di contrazione perché l’ingresso di calcio non è dovuto ad uno stiramento ma è dovuto ad un’apertura dei canali operata dal Simpatico.
1. Effetto inotropo: riguarda la forza di contrazione.
- SNs +++
- SNp -
2. effetto cronotropo: riguarda la frequenza cardiaca.
- SNs +++;
- SNp ---
3. effetto dromotropo: riguarda la velocità di conduzione dello stimolo (tessuto specializzato di conduzione).
- SNs +
- SNp ----
4. effetto batmotropo: riguarda l’eccitabilità (che favorisce l’insorgenza del potenziale d’azione).
- SNs +++
- SNp --
5. effetto lusitropo: riguarda la velocità di rilasciamento (reuptake del Ca++);
- SNs +++
6. effetto metabolico: riguarda il consumo di ossigeno da parte del cuore.
- SNs +
- SNp -
EFFETTO INOTROPO POSITIVO:
- CATECOLAMINE: NORADRENALINA ED ADRENALINA -> aumentano l’ingresso di calcio durante il PdA (potenziale d’azione)
- FARMACI GLICOSIDI CARDIOATTIVI -> riducono l’espulsione di calcio dalla cellula alla fine della contrazione
EFFETTO INOTROPO NEGATIVO:
-ACETILCOLINA inibisce ingresso calcio durante PdA
- FARMACI CALCIO ANTAGONISTI -> inibiscono l’ingresso dei calcio durante il PdA
È determinato:
- dall’adrenalina;
- dalla noradrenalina;
che agiscono in modo diretto tramite recettori α e β sulle fibrocellule cardiache e migliorano la forza di contrazione aumentando la concentrazione intracelllulare di Ca++ tramite tre meccanismi:
1) apertura dei canali del Ca++
- entra più calcio
- aumenta la [intracellulare Ca++]
- si scoprono più siti di attacco per la miosina - si generano più ponti
- si sviluppa maggiore forza
2) inibizione dello scambiatore Na+/Ca++
- diminuisce il reuptake di Ca++
- aumenta la [intracellulare Ca++]
- si scoprono più siti di attacco per la miosina - si generano più ponti
- si sviluppa maggiore forza
3) inibizione della pompa Ca++
- diminuisce il reuptake di Ca++
- aumenta la [intracellulare Ca++]
- si scoprono più siti di attacco per la miosina - si generano più ponti
- si sviluppa maggiore forza
supponiamo che il post-carico resti lo stesso, quindi il punto D (curva con intervento di fattori estrinseci) coincide con D’ (curva normale);
anche VTD (quindi riempimento ventricolare) non cambia, infatti il punto C’ (curva normale) corrisponde al punto C (curva con intervento di fattori estrinseci);
con l’aumento della contrattilità, riusciamo a sviluppare valori pressori maggiori, quindi abbiamo un curva di sistole maggiore che va più in alto rispetto alla situazione normale (curva attiva raggiunge valori maggiori), e ha anche una maggiore pendenza (perché raggiunge pressione massima più velocemente);
di conseguenza VTS diminuisce, quindi il punto A (curva con intervento di fattori estrinseci) si sposta più a sinistra e assume valori più piccoli del punto A’ (curva normale).
È evidente, quindi, che l’aumento della contrattilità ha: - diminuito il VTS;
- aumentato la gittata sistolica;
perché CA è maggiore di C’A’, dato che C è rimasto invariato mentre A è diminuito: maggiore contrattilità comporta maggiore gittata sistolica senza aumentare VTD.
Una possibile metodica di misura della contrattilità cardiaca è la frazione di eiezione, cioè quanto è quello che ho buttato fuori rispetto a quello che ho ricevuto, cioè quant'è la gittata sistolica rispetto a quello che è il volume telediastolico.
La frazione di eiezione dà circa un valore del 60% in condizione di riposo.
Si tendono ad usare altre misure che risultano essere meno immediate ma più precise.
Tali misure sono:
- La velocità di sviluppo della pressione - La velocità di eiezione
- La velocità di accorciamento
Se è disponibile una maggiore energia da parte del cuore, essa si traduce:
- in pressione, per vincere il postcarico;
- in velocità di eiezione e in velocità di accorciamento delle fibre muscolari, parametri che sono rallentati da una perdita di contrattilità, o da un aumento di carico.
Per misurare il fenomeno allora uno dei modi più semplice da utilizzare è quella delle curve di Frank:
Se è disponibile una maggiore energia da parte del cuore, essa si traduce:
- in pressione, per vincere il postcarico;
- in velocità di eiezione e in velocità di accorciamento delle fibre muscolari, parametri che sono rallentati da una perdita di contrattilità, o da un aumento di carico.
Per misurare il fenomeno allora uno dei modi più semplice da utilizzare è quella delle curve di Frank:
- tempo sulle ascisse
- pressione sulle ordinate
Nel grafico si vedono le curve relative a 6 diversi volumi telediastolici:
l’aumento del volume telediastolico modifica anche l’efficienza contrattile.
Osserviamo ora quest’altro grafico:
- la curva A, la curva intermedia, rappresenta una situazione in cui il cuore è in condizioni normali;
- la curva B, che ha una pendenza molto maggiore, rappresenta un cuore iperdinamico, il cuore quindi ha un’elevata contrattilità senza che ce ne sia bisogno; si può indurre iperdinamicità somministrando adrenalina e noradrenalina, ovvero sostanze che hanno un forte isotropismo positivo;
- la curva C, si trova più o meno allo stesso livello
della A ma con una pendenza diversa, e rappresenta un cuore
ipodinamico, cioè riesce a sviluppare quella forza che deve sviluppare ma più lentamente; questa situazione si può verificare quando si ha un danno al miocardio, nel caso di uno scompenso cardiaco: il cuore non è più in grado di fornire quel quantitativo di sangue richiesto dall’organismo.
Durante uno sforzo fisico succede che serve una maggiore gittata, quindi il cuore aumenta il sangue che il ventricolo espelle in arteria;
ma questo comporta un aumento della pressione massima (cioè il picco che raggiunge la pressione dentro l’arteria, quando il ventricolo vi spinge il sangue);
☐l’aumento della pressione massima si porta dietro un aumento della pressione minima, perché la differenziale deve rimanere bassa, altrimenti il sistema non riesce a smorzare le oscillazioni e a garantire un flusso costante e non pulsatile;
l’aumento della pressione minima (post-carico) comporta una minore gittata sistolica e quindi una minore gittata cardiaca, perché rappresenta un ostacolo che il ventricolo deve superare.
Questo problema è risolto dal SNs che aumenta la contrattilità e quindi, a pressione arteriosa più elevata, mantiene comunque alta la gittata cardiaca.
Durante l’attività fisica il SNs ha anche la funzione di regolare le resistenze periferiche, determinando:
- vasodilatazione a livello di muscoli (per dargli energia) e cute (per dispersione calore); - vasocostrizione a livello degli altri distretti (che in quel momento non servono).
Inoltre durante lo sforzo fisico i meccanismi intrinseci ed estrinseci determineranno un maggiore VTD e un minore VTS, per produrre una gittata sistolica più grande possibile.
1. PRE-CARICO (VTD); 2. POST-CARICO;
3. CONTRATTILITÀ;
1. il pre-carico (VTD) la aumenta perché aumenta la forza di contrazione per mezzo di un aumento della distensione;
2. il post-carico la riduce perché aumenta l’ostacolo da superare per l’eiezione; 3. la contrattilità la aumenta perché aumenta la frazione di eiezione.
1. Il pre-carico dipende a sua volta da:
- ritorno venoso;
- tempo di diastole (che dipende dalla frequenza); - pressione atriale (forza di sistole);
- compliance ventricolare;
2. il post-carico dipende a sua volta dalle resistenze periferiche totali (che dipendono dal SNs);
3. la contrattilità dipende a sua volta da: - adrenalina;
- sistema nervoso simpatico.
Bisogna considerare che, di questi tre parametri, due (il post-carico e la contrattilità) a loro volta hanno effetto sul VTS:
2. il post-carico aumenta il VTS (diminuisce quota di VTD che viene espulsa, perché contrazione è meno efficiente);
3. la contrattilità diminuisce il VTS (perché contrazione è più efficiente);
la conseguenza di questo è che si può anche affermare che la GS dipende:
- dal primo paramentro (VTD);
- da un quarto parametro legato agli altri due (VTS), secondo questa relazione: GS = VTD + VTS (in cui VTD è dato da ritorno venoso + VTS, mentre VTS dipende da pre-carico, post- carico, frequenza e contrattilità).
La gittata cardiaca è anche condizionata dalla frequenza, che dipende dalla ritmitcità del nodo seno-atriale, a sua volta condizionata da adrenalina, SNs e SNp;
la frequenza è anche in parte determinata dall’entità del ritorno venoso.
Avremmo due possibilità: 1. immaginiamo la gittata come una retta che sale all’aumentare della frequenza;
ma subentra il problema che oltre certi valori l’aumento di frequenza ha l’effetto opposto, in quanto va a deprimere la gittata cardiaca, perché quello che perde il volume telediastolico è superiore a quello che si guadagna con l’aumento della frequenza.
L’aumento della gittata cardiaca in relazione alla frequenza fino ad un certo punto aumenta, poi intorno ai 120/130 diminuisce.
2. immaginiamo la gittata come una curva che inizialmente sale all’aumentare della curva e poi invece cala all’aumentare ulteriore della frequenza.
3. Nella realtà non avviene nessuna di queste due cose, perché, quando agisce il SNs o un farmaco, non può esserci un effetto cronotropo positivo (aumento frequenza) senza un contemporaneo effetto inotropo positivo (aumento della contrattilità), quindi aumenta comunque la gittata sistolica e di conseguenza si avrà un cospicuo aumento della gittata cardiaca anche a valori elevati di frequenza cardiaca:
immaginiamo la gittata come una curva simile alla precedente (fase di salita e di discesa), ma che raggiunge un picco molto più alto e che inizia a scendere più avanti, cioè per valori maggiori di
frequenza.
L’azione simpatica consente quindi di aumentare la frequenza cardiaca fino a valori che possono essere anche 160/170 a seconda del soggetto.
perché aumenta: - la gittata sistolica;
- la frequenza cardiaca.
In particolare un aumento del ritorno venoso aumenta la gittata sistolica aumentando la forza di contrazione, perché determina:
- un aumento del sangue che entra in atrio; - quindi del sangue che passa nel ventricolo; - quindi del VTD;
- quindi della distensione ventricolare. Invece aumenta la frequenza cardiaca in due modi:
1. il primo è un meccanismo intrinseco e consiste nel fatto che:
- un aumento del ritorno venoso determina una dilatazione dell’atrio;
- quindi uno stiramento delle cellule del nodo seno-atriale (che si trova in atrio); - che causa un aumento delle depolarizzazioni (e quindi delle contrazioni);
2. il secondo è un meccanismo riflesso (riflesso di Bainbridge) e consiste nel fatto che:
- un aumento del ritorno venoso comporta un aumento del volume in atrio;
- viene registrato dai recettori atriali di tipo B;
- i recettori atriali di tipo B si attivano e mandano segnali ai centri del SNC;
- determinano una risposta che consiste in un’inibizione vagale e attivazione del SNs;
l’attivazione del SNs da parte del riflesso di Bainbridge determina:
-> un effetto cronotropo positivo e un aumento della frequenza;
-> a sua volta comporta un aumento della forza di contrazione (per l’effetto della scala);
-> quindi un aumento della gittata sistolica, per espellere in modo efficace quel maggiore quantitativo di sangue che è entrato in atrio ed equilibrare gittata e ritorno venoso;
l’attivazione del SNs da parte del riflesso di Bainbridge porta anche: -> un effetto inotropo positivo;
-> aumento della contrattilità;
-> quindi ulteriore miglioramento della gittata.
In particolare un aumento del ritorno venoso aumenta la gittata sistolica aumentando la forza di contrazione, perché determina:
- un aumento del sangue che entra in atrio; - quindi del sangue che passa nel ventricolo; - quindi del VTD;
- quindi della distensione ventricolare.
1. il primo è un meccanismo intrinseco e consiste nel fatto che:
- un aumento del ritorno venoso determina una dilatazione dell’atrio;
- quindi uno stiramento delle cellule del nodo seno-atriale (che si trova in atrio); - che causa un aumento delle depolarizzazioni (e quindi delle contrazioni);
2. il secondo è un meccanismo riflesso (riflesso di Bainbridge) e consiste nel fatto che:
- un aumento del ritorno venoso comporta un aumento del volume in atrio;
- viene registrato dai recettori atriali di tipo B;
- i recettori atriali di tipo B si attivano e mandano segnali ai centri del SNC;
- determinano una risposta che consiste in un’inibizione vagale e attivazione del SNs;
l’attivazione del SNs da parte del riflesso di Bainbridge determina:
-> un effetto cronotropo positivo e un aumento della frequenza;
-> a sua volta comporta un aumento della forza di contrazione (per l’effetto della scala);
-> quindi un aumento della gittata sistolica, per espellere in modo efficace quel maggiore quantitativo di sangue che è entrato in atrio ed equilibrare gittata e ritorno venoso;
l’attivazione del SNs da parte del riflesso di Bainbridge porta anche: -> un effetto inotropo positivo;
-> aumento della contrattilità;
-> quindi ulteriore miglioramento della gittata.
- un aumento del ritorno venoso comporta un aumento del volume in atrio;
- viene registrato dai recettori atriali di tipo B;
- i recettori atriali di tipo B si attivano e mandano segnali ai centri del SNC;
- determinano una risposta che consiste in un’inibizione vagale e attivazione del SNs;
l’attivazione del SNs da parte del riflesso di Bainbridge determina:
-> un effetto cronotropo positivo e un aumento della frequenza;
-> a sua volta comporta un aumento della forza di contrazione (per l’effetto della scala);
-> quindi un aumento della gittata sistolica, per espellere in modo efficace quel maggiore quantitativo di sangue che è entrato in atrio ed equilibrare gittata e ritorno venoso;
l’attivazione del SNs da parte del riflesso di Bainbridge porta anche: -> un effetto inotropo positivo;
-> aumento della contrattilità;
-> quindi ulteriore miglioramento della gittata.
Il ritorno venoso è ostacolato da una serie di fattori: il sangue, nel passare nelle arteriole, perde l’energia pressoria impressagli dal cuore, quindi procede a bassa velocità; in corrispondenza dell’arto inferiore deve risalire contro gravità, trovandosi a dover contrastare il peso della colonna di sangue che sta al di sopra;
la parete delle vene è dotata di alta compliance, quindi si lascia dilatare molto dal volume ematico senza sviluppare elevata energia pressoria.
Quindi dovranno essere messi in atto dei meccanismi che facilitino il ritorno venoso, per far sì che questo garantisca un VTD adeguato, conseguentemente una gittata sistolica e cardiaca sufficiente e di conseguenza una pressione arteriosa adeguata per gli scambi capillari:
AZIONE DEL SNs: VENOCOSTRIZIONE E VENODILATAZIONE, AUMENTO DELLA VOLEMIA, VALVOLE VENOSE, POMPA CARDIACA, POMPA RESPIRATORIA, POMPA MUSCOLARE
Con la venocostrizione (determinata dalla stimolazione simpatica) riduco lo spazio a disposizione per il sangue e quindi questo si sposterà in avanti verso il cuore (venocostrizione aumenta RV);
con la venodilatazione (determinata dalla cessazione della stimolazione simpatica) aumento lo spazio in cui può trattenersi il sangue invece di andare in atrio (venodilatazione diminuisce RV).
La venocostrizione è innescata dal SNs, quindi quest’ultimo è in grado di determinare un aumento della gittata sistolica:
- tramite effetto inotropo positivo;
- con la venocostrizione che aumenta il ritorno venoso e di conseguenza il VTD.
Quindi il SNs determina quella che viene definita “mobilizzazione del serbatoio venoso”.
Se la volemia aumenta (ad es. infusione o patologia renale), aumenta il quantitativo di sangue a disposizione e quindi aumenta anche il ritorno venoso;
al contrario se la volemia diminuisce (ad es. emorragia), diminuisce il quantitativo di sangue nel sistema e quindi diminuisce anche il ritorno venoso.
Quindi la volemia va a condizionare la gittata cardiaca, perché determina l’entità del ritorno venoso, che a sua volta agisce su gittata sistolica e frequenza.
In realtà però situazioni di reali variazioni della volemia si verificano solo in casi clinici, invece in situazioni normali il ritorno venoso è determinato da venocostrizione e venodilatazione, che agiscono sul ritorno venoso rispettivamente come un’infusione e un’emorragia, ma mantenendo sempre lo stesso volume ematico complessivo. L’unico modo che l’organismo ha per variare effettivamente il volume ematico è attraverso il rene,
che ha lo scopo di eliminare o trattenere acqua e quindi di diminuire o aumentare la volemia.
Perciò la volemia, che sia intesa come ritorno venoso (volume in atrio) o come effettivo volume ematico
totale, può essere regolata tramite:
1. meccanismi a breve termine, il riflesso di Bainbridge:
- se volume in atrio aumenta troppo si ha l’attivazione del SNs; - si ha la vasocostrizione per diminuire ritorno venoso;
- aumento contrattilità;
- aumento frequenza per espellere meglio l’eccesso di sangue;
2. meccanismi a lungo termine: se la volemia aumenta troppo si ha vasodilatazione a livello renale per espellere più acqua;
che agiscono indirettamente anche sulla pressione arteriosa, dal momento che questa è principalmente determinata dalla volemia.
Si tratta di dispositivi valvolari a nido di rondine, che vengono chiusi dal sangue stesso quando questo tenta di refluire verso il basso, così da garantire un flusso di sangue unidirezionale.
La funzione fondamentale delle valvole nel garantire il ritorno venoso, è dunque quella di:
- impedire che il sangue riscenda verso il basso quando deve salire contro la forza di gravità per tornare al cuore;
- segmentare il vaso venoso in porzioni più piccole, così da spezzare la colonna di sangue e fare in modo che la massa che grava sul sangue che sta al di sotto sia più piccola.
Il cuore ha una doppia funzione nel garantire il ritorno venoso, in quanto rappresenta una pompa aspirante e premente.
Per quanto riguarda l’aspetto premente o vis a tergo, si tratta della spinta che da dietro il cuore imprime al sangue; ma questa forza ha un ruolo minore perché l’energia pressoria impressa dal cuore viene in parte persa durante il percorso e il sangue arriva nelle vene con una pressione di soli 17mmHg.
Per quanto riguarda l’aspetto aspirante o vis a fronte, si tratta della forza di aspirazione esercitata dall’atrio per via dell’abbassamento pressorio dovuto allo stiramento che avviene durante la sistole isotonica; questa forza aspirante ha sicuramente un ruolo preponderante nel garantire il ritorno venoso.
L’inspirazione:
1. aumenta il ritorno venoso al cuore;
2. diminuisce il ritorno venoso dall’arto inferiore -> Il diaframma scende, quindi aumenta il volume del torace e diminuisce il volume dell’addome; di conseguenza:
- diminuisce la pressione in cavità toracica (la vena cava può dilatarsi e il gradiente pressorio fa passare il sangue dall’addome verso il torace)
- aumenta la pressione in addome (le vene addominali risultano leggermente compresse e il gradiente pressorio fa passare il sangue con più difficoltà dalle gambe all’addome).
L’espirazione:
1. diminuisce il ritorno venoso al cuore;
2. aumenta il ritorno venoso dall’arto inferiore: diaframma sale, quindi diminuisce il volume del torace e aumenta il volume dell’addome, quindi:
- aumenta la pressione in cavità toracica (vena cava viene compressa e il gradiente pressorio non fa passare il sangue dall’addome verso il torace);
- diminuisce la pressione in cavità addominale (le vene addominali risultano dilatate e il gradiente pressorio fa passare il sangue dalle gambe all’addome).
Durante l’inspirazione si verifica un aumento della frequenza, mentre in espirazione una diminuzione della frequenza, perché inspirazione ed espirazione modificano il ritorno venoso, e quindi il suo effetto di stiramento sulle cellule del nodo seno atriale e il riflesso di Bainbridge (inoltre respirazione stimola recettori vagali dell’apparato respiratorio).
Le vene decorrono sempre all’interno dei muscoli (a eccezione della safena che decorre al di sotto della cute), e questo è molto importante per garantire il ritorno venoso soprattutto a livello dell’arto inferiore;
infatti quando camminiamo si verifica una contrazione alternata di flessori ed estensori che provoca un pompaggio nelle vene.
Quando un muscolo si contrae schiaccia la vena e comprime il sangue all’interno, che:
- in parte viene spremuto verso il basso: nel cercare di tornare verso il basso, però, il sangue chiude la valvola a nido di rondine; - in parte viene spremuto verso l’alto: poichè le valvole a nido di rondine sono chiuse, il sangue che viene dal basse e cerca si salire viene bloccato e si accumula;
Il sangue si accumula finché la pressione esercitata dal volume accumulato non supera quella del segmento superiore, e la valvola si apre:
a questo punto il sangue, che ha accumulato pressione e volume, schizza con forza verso l’alto e vince la forza di gravità.
Oltre a consentire questa azione di schiacciamento e pompaggio del sangue, la pompa muscolare, andando a comprimere a varie altezze la via venosa, ha anche la funzione di segmentare la colonna di sangue, così da ridurre la massa di sangue che grava sul sangue che sta sotto.
per comprendere come la legge di Starling bilanci il ritorno venoso con la gittata cardiaca, si devono considerare tre variabili interdipendenti:
- ritorno venoso
- gittata cardiaca
- pressione atriale;
Il comportamento di queste tre variabili (ritorno venoso, pressione atriale, gittata cardiaca) è descritto dai grafici di Guyton, che presentano:
- la pressione atriale sull’asse delle x (con lo 0 al centro); - il ritorno venoso sull’asse delle y a sinistra;
- la gittata cardiaca sull’asse delle y a destra
man mano che la pressione nell’atrio aumenta (avanziamo sull’asse delle x), il ritorno venoso diminuisce, perché viene meno il gradiente pressorio fra atrio e vene, quindi passa un quantitativo sempre minore di sangue.
Al contrario, se la pressione atriale diminuisce (retrocediamo sull’asse delle x), il ritorno venoso aumenta;
ma questo aumento del ritorno venoso arriva fino a un certo valore e poi si ha una fase di plateau in cui, al diminuire della pressione atriale, il ritorno venoso non aumenta più:
questo accade perché, quando la pressione in atrio scende troppo, oltre ad essere aspirato il sangue dalla vena, la vena stessa tende ad essere risucchiata in atrio e le sue pareti collassano, impedendo al sangue di fluire. Quindi si deve trovare un punto di equilibrio, in cui si ottenga il massimo ritorno venoso evitando di far collassare le pareti.
Man mano che la pressione atriale aumenta (avanziamo sull’asse delle x), la gittata cardiaca aumenta, perché: - l’atrio si contrae con più forza;
- spinge più sangue nel ventricolo;
- quindi aumenta il riempimento ventricolare; - quindi aumenta il volume telediastolico;
- e conseguentemente la gittata sistolica;
anche in questo caso si arriva ad una fase di plateau in cui, all’aumentare della pressione atriale, la gittata non aumenta più: questo accade per via della tensione passiva che impedisce un eccessivo riempimento e stiramento del ventricolo.
Sovrapponendo la curva del ritorno venoso e quella della gittata cardiaca, si evidenzia un punto in cui questi tre parametri si equilibrano e si bilanciano;
tale punto di equilibrio è dato dall’intersezione fra la curva del ritorno venoso e quella della gittata cardiaca;
A riposo corrisponde ad:
- un valore di 5L/min;
- una pressione atriale di 2mmHg;
QUINDI: quando entra in atrio un quantitativo di sangue pari a 5L/min e conseguentemente esce dal ventricolo un quantitativo di sangue pari a 5L/min, si ha un giusto equilibrio fra pressione atriale e ritorno venoso e gittata cardiaca. Quando gittata cardiaca e ritorno venoso variano, questi grafici variano e il sistema trova un nuovo valore per equilibrare i tre parametri.
dobbiamo immaginare una curva del ritorno venoso traslata verso il basso; di conseguenza il punto di intersezione è più in basso e più a sinistra:
questo significa che:
- se diminuisce il ritorno venoso;
- diminuisce la pressione atriale;
- diminuisce anche la gittata cardiaca.
Il ritorno venoso può diminuire:
A. per una reale diminuzione del volume sanguigno (ad es. emorragia) e in questo caso sarà una traslazione completa della curva;
B. può non esserci un reale calo della volemia (ad es. Venodilatazione) e in questo caso la curva varia solo di pendenza, ma l’intercetta rimane la stessa perché ho sempre lo stesso volume. (Cambio di pendenza significa che la stessa variazione di pressione atriale determina una variazione di ritorno venoso molto maggiore.)
Nel caso di un aumento (o diminuzione) del ritorno venoso, cambia il set-point di equilibrio e la legge di Starling sarà applicata in mododa far tendere spontaneamente il sistema a questo nuovo valore, cioè si determina un nuovo punto di intersezione delle due curve che si trova a valori di ritorno venoso e gittata più alti e a valori pressori più elevati.
dobbiamo immaginare una curva del ritorno venoso traslata verso l’alto; di conseguenza il punto di intersezione è più in alto e più a destra:
questo significa che:
- se aumenta il ritorno venoso;
- aumenta la pressione atriale;
- aumenta anche la gittata cardiaca.
Il ritorno venoso può aumentare:
A. Per un reale aumento del volume sanguigno (ad es. infusione) e in questo caso sarà una traslazione completa della curva;
B. può non esserci un reale aumento della volemia (ad es. gambe alzate, venocostrizione) e in questo caso la curva varia solo di pendenza, ma l’intercetta rimane la stessa perché ho sempre lo stesso volume complessivo.
(Cambio di pendenza significa che la stessa variazione di pressione atriale determina una variazione di ritorno venoso molto maggiore.)
Nel caso di un aumento (o diminuzione) del ritorno venoso, cambia il set-point di equilibrio e la legge di Starling sarà applicata in mododa far tendere spontaneamente il sistema a questo nuovo valore, cioè si determina un nuovo punto di intersezione delle due curve che si trova a valori di ritorno venoso e gittata più alti e a valori pressori più elevati.
dobbiamo immaginare una curva della gittata cardiaca traslata verso l’alto;
di conseguenza il punto di intersezione è più in alto e più a sinistra:
questo significa che:
- se aumenta la gittata cardiaca (per aumento della contrattilità);
- diminuisce la pressione atriale;
perché il ventricolo si svuota efficacemente e non c’è ristagno di sangue in atrio
Nel caso di un aumento (o diminuzione) della gittata, cambia il set-point di equilibrio e la legge di Starling sarà applicata in modo da far tendere spontaneamente il sistema a questo nuovo valore, cioè si determina un nuovo punto di intersezione delle due curve che si trova a valori di ritorno venoso e gittata più alti e a valori pressori più bassi.
dobbiamo immaginare una curva della gittata cardiaca traslata verso il basso;
di conseguenza il punto di intersezione è più in basso e più a destra:
questo significa che:
- se diminuisce la gittata cardiaca (per diminuzione della contrattilità);
- aumenta la pressione atriale;
perché il ventricolo si svuota di meno e c’è ristagno di sangue in atrio.
Nel caso di un aumento (o diminuzione) della gittata, cambia il set-point di equilibrio e la legge di Starling sarà applicata in modo da far tendere spontaneamente il sistema a questo nuovo valore, cioè si determina un nuovo punto di intersezione delle due curve che si trova a valori di ritorno venoso e gittata più alti e a valori pressori più bassi.
ci spostiamo verso destra lungo l’asse delle x e immaginiamo di passare da una pressione atriale di 2mmHg a una di 4mmHg;
il nuovo punto a cui ci troviamo (4mmHg) non è più un punto di intersezione delle due curve, quindi ci troviamo al di fuori del set-point di equilibrio: passiamo dal punto A ai punti B (per la gittata cardiaca) e B’ (per il ritorno venoso).
Quindi l’aumento della pressione atriale comporta:
- un aumento della gittata cardiaca (B più il alto di A), perché l’atrio si svuota con più forza nel
ventricolo, quindi aumentano il VTD e la forza di contrazione;
- una diminuzione del ritorno venoso (B’ più in basso di A) perché cala il gradiente pressorio fra vene e atrio e il sangue non riesce a passare dalle vene all’atrio.
Allora si crea una grande asimmetria fra un ritorno venoso di 3L/min e una gittata cardiaca di 7 L/min, a cui il sistema risponde con un meccanismo di auto-regolazione (legge di Starling): - aumenta la pressione in atrio;
- quindi aumenta l’efficienza dello svuotamento atriale;
- quindi aumenta il riempimento ventricolare;
- quindi aumenta il VTD;
- quindi aumenta la forza di contrazione;
- quindi aumenta la gittata cardiaca; - quindi ci sarà una maggiore spinta di sangue nei vasi;
- quindi facendo tutto il giro riaumenterà anche il ritorno venoso;
per di più, contemporaneamente la pressione in atrio diminuisce perché si è svuotato con più efficienza, quindi il ritorno venoso è ulteriormente favorito.
Quindi questo meccanismo di controllo ha riportato il ritorno venoso un po’ più in alto e ha riabbassato un po’ la pressione atriale, quindi ci si sposta sulle curve ai punti C’ e C;
tale meccanismo poi si ripeterà ai battiti successivi fino a ritornare al set-point di equilibrio (punto A), quindi in questo caso il set-point di equilibrio non cambia, grazie all’azione della legge di Starling che riporta tutto al valore originale.
Questo dimostra che nella realtà i valori dei vari parametri non rimangono costanti, ma oscillano continuamente, e il nostro sistema è attrezzato per tollerare e rinormalizzare queste variazioni.
immediatamente:
- L’aumento della gittata
☐- La diminuzione del ritorno venoso Allontanandosi di colpo da quello che è il punto di equilibrio.
A seguito di questo sbilanciamento interviene il meccanismo identificato da Frank-Starling che rende ragione dello scopo di questo sistema:
- il ventricolo si riempie di più;
- quindi aumenta la gittata cardiaca;
- butta fuori più sangue e facendo ciò comporta che abbiamo un ventricolo che si svuota meglio; - abbiamo un ritorno venoso che, seppure in maniera non del tutto proporzionale, andrà ad aumentare.
Qualunque variazione della pressione atriale viene di fatto a fare in modo che il sistema torni automaticamente a quello che è il suo punto di equilibrio.
Per uscire da questa situazione è necessario avere un nuovo set-point; uno di questi nuovi set- point è rappresentato dall’aumento del ritorno venoso che può essere provocato da:
- Trasfusione
- Contrazione della parete vasale venosa che ha due effetti: 1. riduce il serbatoio venoso
2. riduce la compliance venosa che fa si che quando il sangue arriva nella vena non ce la fa a dilatarla e di conseguenza ogni volta che la vena si dilata il sangue all’interno perde pressione, perché questa è trasformata in un aumento del volume.
È vero che tanto entra, tanto esce, e viceversa ma in mezzo ci sono i circuiti locali che condizionano il ritorno venoso. I flussi locali sono modificati:
- in parte dal sistema nervoso;
- in misura larghissima da fattori locali.
La gittata cardiaca sarà determinata dalla somma dei circuiti locali dipendenti dai fattori locali che vengono liberati.
Il ritorno venoso è dato dalla somma di quello che fanno i singoli organi, quindi dalla somma dei flussi locali che sono determinati dai fattori locali che controllano il microcircolo.
Il cuore, quindi è influenzato:
- sia da ciò che fa la periferia attraverso il ritorno venoso;
- sia da altri comandi che verranno dal sistema nervoso o da quello ormonale;
in modo tale da adeguare la sua funzione a quello che serve in quel momento a tutto l’organismo.
Si tratta dell’area sottesa alla curva del riempimento ventricolare, cioè la curva che va: - da A (apertura delle valvole atrio-ventricolari);
- a C (chiusura delle valvole atrio-ventricolare).
La variazione di volume (DV) è data dal fatto che passando da A a C si avanza lungo l’asse delle x quindi il volume ventricolare aumenta, con un piccolo sbalzo dato dalla sistole atriale.
La variazione pressoria (DP) si può calcolare con l’integrale ed è quella esercitata sulle pareti ventricolari man mano che il sangue entra nel ventricolo.
Il lavoro è quello compiuto proprio da questo volume di sangue che va a riempire il ventricolo e lo va a dilatare;
il cuore non sta compiendo lavoro perché non si sta contraendo (trascuriamo sistole atriale perché sviluppa energia trascurabile).
Quest’area rappresenta quindi un lavoro dato da: W = DP × DV = DP × (C – A) = DP × (VTD – VTS)
Si tratta dell’area complessiva sottesa alla curva della sistole di eiezione, cioè la curva che va: - Da D (apertura delle valvole semilunari);
- a F (chiusura delle valvole semilunari).
La variazione di volume (DV) è data dal fatto che passando da D a F si retrocede lungo l’asse delle x quindi il volume ventricolare diminuisce.
La variazione pressoria (DP) è data dalla pressione esercitata dal ventricolo sul sangue e dal sangue sulle pareti del ventricolo. Il lavoro è quello totale, cioè quello compiuto:
- da questo volume di sangue sulle pareti del ventricolo; - dal ventricolo su questo volume di sangue per eiettarlo.
Quest’arearappresentaquindi:W=DP × DV=DP × (D–A)=DP × (VTD–VTS)
Rappresenta il lavoro effettivamente svolto dal ventricolo;
si tratta quindi dell’area del ciclo cardiaco, cioè quella compresa: - fra la curva della sistole di eiezione;
- la curva del riempimento ventricolare.
Quest’area rappresenta quindi: W=Wb –Wa
dà un’indicazione dell’attività che il cuore svolge e del carico di lavoro a cui questo è sottoposto ad ogni contrazione.
Il lavoro cardiaco viene calcolato tramite la curva pressione – volume, dal momento che il lavoro si esprime proprio come il prodotto fra queste due grandezze: W = P × DV.
Essendo il prodotto fra la grandezza espressa sulle ascisse e quella espressa sulle ordinate, il lavoro è rappresentato dall’area sottesa alla curva;
- non considera il lavoro svolto dall’atrio;
- non considera l’energia cinetica, cioè considera che tutta l’energia sviluppata se ne vada come energia pressoria (normalmente va bene perché la componente cinetica conta poco, ma in patologie come stenosi di valvola semilunare sangue passa meno bene quindi per avere stessa GC devo farlo correre più veloce, cuore lavora di più con componente cinetica rilevante);
- non considera il calore di tensione, dato dal fatto che in sistole isometrica l’energia non si traduce in aumento di volume ma tutta in calore (quindi lavoro in sistole isometrica risulta nullo perché DV è 0, ma in realtà il cuore sta consumando energia e anzi quella fase si mangia un bel po’ di energia ed è per il cuore un punto critico).
W = lavoro totale esterno + energia cinetica + calore di tensione = P × DV + 1/2 mV2 + K T Δt
Quindi, in realtà, la formula del lavoro dovrebbe essere data da: 1. componente pressione – volume;
2. componente cinetica e dal calore di tensione (calore di tensione è prodotto di costante K, tensione ventricolare T e il tempo di contrazione isometrica
Lavoro compiuto dal ventricolo sul sistema cardiovascolare (lavoro totale esterno). Rappresenta il lavoro effettivamente svolto dal ventricolo;
si tratta quindi dell’area del ciclo cardiaco, cioè quella compresa: - fra la curva della sistole di eiezione;
- la curva del riempimento ventricolare.
( invece in genere effettua delle approssimazioni:
- non considera il lavoro svolto dall’atrio;
- non considera l’energia cinetica, cioè considera che tutta l’energia sviluppata se ne vada come energia pressoria (normalmente va bene perché la componente cinetica conta poco, ma in patologie come stenosi di valvola semilunare sangue passa meno bene quindi per avere stessa GC devo farlo correre più veloce, cuore lavora di più con componente cinetica rilevante);
- non considera il calore di tensione, dato dal fatto che in sistole isometrica l’energia non si traduce in aumento di volume ma tutta in calore (quindi lavoro in sistole isometrica risulta nullo perché DV è 0, ma in realtà il cuore sta consumando energia e anzi quella fase si mangia un bel po’ di energia ed è per il cuore un punto critico).
Per evitare un eccessivo affaticamento del cuore, è meglio tenere il lavoro cardiaco il più basso
possibile, per questo è necessario che il cuore lavori a bassa pressione e a bassa frequenza:
a bassa pressione perché:
- se aumenta troppo il post-carico dura troppo la fase di sistole; - quindi dura troppo anche la fase di sistole isometrica;
-> se aumenta Δt aumenta il calore di tensione (cioè l’energia consumata dal cuore in sistole isometrica), e di conseguenza il valore di W aumenta;
a bassa frequenza perché più aumenta la frequenza più aumenta l’energia (più volte batte, più lavora).
a bassa pressione perché:
- se aumenta troppo il post-carico dura troppo la fase di sistole; - quindi dura troppo anche la fase di sistole isometrica;
-> se aumenta Δt aumenta il calore di tensione (cioè l’energia consumata dal cuore in sistole isometrica), e di conseguenza il valore di W aumenta
Per evitare un eccessivo affaticamento del cuore, è meglio tenere il lavoro cardiaco il più basso
possibile, per questo è necessario che il cuore lavori a bassa pressione e a bassa frequenza:
a bassa frequenza perché più aumenta la frequenza più aumenta l’energia (più volte batte, più lavora).
Per evitare un eccessivo affaticamento del cuore, è meglio tenere il lavoro cardiaco il più basso
possibile, per questo è necessario che il cuore lavori a bassa pressione e a bassa frequenza:
In quanto prodotto di pressione e variazione volumetrica (cioè differenza fra VTD e VTS), il lavoro dipende certamente da questi parametri che lo definiscono matematicamente, ma anche dai parametri che a loro volta condizionano tali parametri, e da altri fattori.
1) Volume telediastolico:
maggiore è il volume su cui il cuore deve lavorare, maggiore sarà il lavoro che deve esercitare; infatti se aumenta VTD aumenta il sangue eiettato, quindi aumenta la variazione pressoria, e di
conseguenza significa che il cuore sta compiendo un lavoro maggiore [W = DP × (VTD – VTS)].
A sua volta il VTD dipende da altri parametri, che quindi condizionano indirettamente il lavoro: - Ritorno venoso
- Compliance ventricolare
- VTS
2) Volume telesistolico:
se aumenta il VTS, diminuisce il quantitativo di sangue che il cuore riesce ad eiettare, quindi diminuisce la variazione pressoria, e di conseguenza significa che il cuore sta compiendo un lavoro minore [W = DP × (VTD – VTS)]. A sua volta il VTS dipende da altri parametri, che quindi condizionano indirettamente il lavoro: - VTD (se la frazione di eiezione resta costante e VTD aumenta, allora VTS aumenta)
- Gittata sistolica, che a sua volta dipende da Contrattilità (che si può misurare come pendenza delle curve di Frank o in base alla frazione di eiezione) e post-carico (↓).
3) Pressione arteriosa (post-carico):
se aumenta il post-carico (anche ad es. per una stenosi valvolare), aumenta l’energia che il ventricolo deve sviluppare per aprire le valvole semilunari e quindi aumenta anche il lavoro che il cuore deve sviluppare [W = DP × DV].
A sua volta la pressione dipende da un altro parametro, che quindi condiziona indirettamente il lavoro: Resistenze periferiche
5) Frequenza cardiaca:
è importante perché non bisogna considerare il lavoro del cuore nel singolo battito, ma in un minuto, e quindi bisogna tener conto anche di quante volte il cuore batte (e quindi lavora) in quel minuto.
In quanto prodotto di pressione e variazione volumetrica (cioè differenza fra VTD e VTS), il lavoro dipende certamente da questi parametri che lo definiscono matematicamente, ma anche dai parametri che a loro volta condizionano tali parametri, e da altri fattori.
1) Volume telediastolico:
maggiore è il volume su cui il cuore deve lavorare, maggiore sarà il lavoro che deve esercitare, 2) Volume telesistolico:
se aumenta il VTS, diminuisce il quantitativo di sangue che il cuore riesce ad eiettare, quindi diminuisce la variazione pressoria, e di conseguenza significa che il cuore sta compiendo un lavoro minore, 3) Pressione arteriosa (post-carico):
se aumenta il post-carico (anche ad es. per una stenosi valvolare), aumenta l’energia che il ventricolo deve sviluppare per aprire le valvole semilunari e quindi aumenta anche il lavoro che il cuore deve sviluppare [W = DP × DV]., 5) Frequenza cardiaca:
è importante perché non bisogna considerare il lavoro del cuore nel singolo battito, ma in un minuto, e quindi bisogna tener conto anche di quante volte il cuore batte (e quindi lavora) in quel minuto
in condizioni basali, il miocardio ha un’estrazione di ossigeno quasi massimale, pari all’80%.
Questo significa che quando il sangue arriva nei capillari del circolo coronarico, viene prelevato l’80% dell’O2, quindi rimane una riserva troppo esigua di O2, e la conseguenza di ciò è che l’unico modo per aumentare l’apporto di O2 al miocardio, quando l’attività cardiaca aumenta, è aumentare il flusso:
quindi la funzione miocardica è direttamente dipendente dal flusso, perché c’è un rapporto lineare tra consumo di ossigeno e flusso ematico;
al contrario, nel muscolo scheletrico c’è un estrazione basale di O2 pari al 30%, quindi rimane una riserva di O2 pari al 70%, che può essere immediatamente sfruttata dal muscolo quando aumenta la sua attività.
aerobiosi, quindi ha un costante bisogno di ossigeno (metabolismo solo ossidativo, produce ATP con fosforilazione ossidativa);
questa è un’importante differenza con gli atri tipi di muscolatura, che invece, seppur per poco tempo, sopportano l’anaerobiosi (perché presentano fibre di tipo I, IIA e IIB).
in condizioni basali, il miocardio ha un’estrazione di ossigeno quasi massimale, pari all’80%.
Questo significa che quando il sangue arriva nei capillari del circolo coronarico, viene prelevato l’80% dell’O2, quindi rimane una riserva troppo esigua di O2, e la conseguenza di ciò è che l’unico modo per aumentare l’apporto di O2 al miocardio, quando l’attività cardiaca aumenta, è aumentare il flusso:
quindi la funzione miocardica è direttamente dipendente dal flusso, perché c’è un rapporto lineare tra consumo di ossigeno e flusso ematico;
al contrario, nel muscolo scheletrico c’è un estrazione basale di O2 pari al 30%, quindi rimane una riserva di O2 pari al 70%, che può essere immediatamente sfruttata dal muscolo quando aumenta la sua attività.
1. È molto corto, dal momento che il cuore ha una massa piuttosto modesta (300g) 2. È molto rapido, proprio per via della sua lunghezza ridotta
3. Gode di pressione altissima, perché le due arterie coronarie partono immediatamente all’origine dell’aorta quindi hanno una pressione analoga a quest’ultima;
inoltre, per questa vicinanza, le coronarie risentono moltissimo delle variazioni pressorie del ventricolo e dell’aorta
4. Presenta una densità capillare altissima (3000mm2, contro i 400m2 del muscolo scheletrico), così da garantire al miocardio un’irrorazione adeguata, dal momento che il fabbisogno di O2 del cuore è superiore a qualsiasi altra struttura muscolare;
inoltre le fibrocellule cardiache sono molto più piccole di quelle scheletriche, così viene minimizzata la distanza fra le cellule e i capillari, e anche lo spazio intracellulare che le sostanze devono percorre per diffondere all’interno della cellula
5. Presenta anastomosi funzionalmente inadeguate, che non riescono a sopperire ad un’eventuale ostruzione;
6. Il flusso ematico in questo circolo si verifica quasi esclusivamente in fase di diastole, mentre durante la sistole è ai minimi termini o addirittura assente; questo è dovuto alle resistenze extravasali, cioè al fatto che, durante la sistole, la contrazione di tutto il ventricolo va a schiacciare quasi tutti i capillari e il flusso è ridotto ai minimi termini.
7. Per compensare il problema delle resistenze extravasali, il circolo coronarico presenta resistenze intravasali molto ridotte
8. Presenta un flusso estremamente abbondante, nonostante la massa molto piccola; infatti il miocardio riceve il 5% della gittata cardiaca
9. È costituito da vasi che hanno una distribuzione regionale evidente, per cui ci sono differenze di irrorazione fra una regione e l’altra;
il subendocardio è la zona più facilmente esposta a ischemia e infarto.
questo è dovuto alle resistenze extravasali, cioè al fatto che, durante la sistole, la contrazione di tutto il ventricolo va a schiacciare quasi tutti i capillari e il flusso è ridotto ai minimi termini.
Le resistenze extravasali (al contrario delle resistenze dovute al raggio vasale) sono quelle date dalla pressione esercitata dai tessuti circostanti;
questo valore di resistenza è di solito molto basso, perché i vasi sono immersi in tessuti che non hanno una grande forza compressiva sul vaso stesso (come il tessuto adiposo o la cute), mentre assume un significato rilevante a proposito del circolo coronarico, perché il muscolo cardiaco in contrazione esercita una pressione molto forte sulla parete del vaso dall’esterno, che va a vincere quella all’interno del vaso e quindi va a comprimere completamente il vaso.
Questo fatto determina il paradosso per cui il ventricolo riceve flusso e nutrimento quando ne ha meno bisogno (in diastole) e non lo riceve quando gli serve maggiormente (in sistole).
Tutto ciò fisiologicamente non crea problemi, ma può creare problemi: - se subentrano problemi di flusso;
- se aumenta troppo la frequenza, perché il cuore compie più battiti, quindi gli serve più O2, ma ne arriva anche di meno;
quindi i due parametri critici per il circolo coronarico sono la durata di sistole isometrica e la frequenza cardiaca.
Tutto ciò fisiologicamente non crea problemi, ma può creare problemi: - se subentrano problemi di flusso;
- se aumenta troppo la frequenza, perché il cuore compie più battiti, quindi gli serve più O2, ma ne arriva anche di meno;
quindi i due parametri critici per il circolo coronarico sono la durata di sistole isometrica e la frequenza cardiaca.
Gode di pressione altissima, perché le due arterie coronarie partono immediatamente all’origine dell’aorta quindi hanno una pressione analoga a quest’ultima;
inoltre, per questa vicinanza, le coronarie risentono moltissimo delle variazioni pressorie del ventricolo e dell’aorta
4. Presenta una densità capillare altissima (3000mm2, contro i 400m2 del muscolo scheletrico), così da garantire al miocardio un’irrorazione adeguata, dal momento che il fabbisogno di O2 del cuore è superiore a qualsiasi altra struttura muscolare;
inoltre le fibrocellule cardiache sono molto più piccole di quelle scheletriche, così viene minimizzata la distanza fra le cellule e i capillari, e anche lo spazio intracellulare che le sostanze devono percorre per diffondere all’interno della cellula
Il flusso coronarico varia durante il ciclo cardiaco, soprattutto in funzione di due aspetti:
- quello che accade nel ventricolo; - quello che accade nell’aorta;
in sistole atriale e diastole ventricolare il flusso è abbondante: - il ventricolo è rilasciato quindi non comprime i vasi coronarici; - l’aorta ha un valore pressorio ancora abbastanza alto;
ma va piano piano scemando (perché cala la pressione in aorta);
in sistole ventricolare isometrica il flusso è al minimo.
- il ventricolo è contratto quindi comprime i vasi coronarici,
- in aorta la pressione sta scendendo verso il suo minimo fino al post-carico;
all’inizio in sistole isotonica il flusso è sempre basso ma subisce un piccolo aumento:
- il ventricolo è sempre contratto quindi comprime i vasi coronarici;
- in questo caso l’aorta ha un valore pressorio massimo perché c’è appena stata l’eiezione;
nell’ultima parte della sistole isotonica il flusso scende nuovamente:
- il ventricolo è sempre contratto;
- la pressione in aorta comincia a calare perché il sangue fluisce in periferia;
poi con la diastole ventricolare il flusso riaumenta e in questa fase si ha il picco perchè: - ventricolo rilasciato;
- buon valore pressorio in aorta visto che si sono richiude le semilunari;
- quello che accade nel ventricolo; - quello che accade nell’aorta;
il flusso è al minimo.
- il ventricolo è contratto quindi comprime i vasi coronarici,
- in aorta la pressione sta scendendo verso il suo minimo fino al post-carico;
è abbondante: - il ventricolo è rilasciato quindi non comprime i vasi coronarici; - l’aorta ha un valore pressorio ancora abbastanza alto;
ma va piano piano scemando (perché cala la pressione in aorta);
all’inizio in sistole isotonica il flusso è sempre basso ma subisce un piccolo aumento:
- il ventricolo è sempre contratto quindi comprime i vasi coronarici;
- in questo caso l’aorta ha un valore pressorio massimo perché c’è appena stata l’eiezione;
nell’ultima parte della sistole isotonica il flusso scende nuovamente:
- il ventricolo è sempre contratto;
- la pressione in aorta comincia a calare perché il sangue fluisce in periferia;
La regolazione del flusso coronarico serve soprattutto ad aumentare il flusso, che è l’unico modo per apportare ossigeno al miocardio.
La regolazione del flusso coronarico dipende da:
MECCANISMI SISTEMICI (che controllano la situazione di tutto l’organismo);
Sono fondamentalmente la regolazione nervosa e ormonale (coronarie presentano innervazione abbondante), ma si tratta di meccanismi di poco conto e di cui si ignora la funzione esatta, perché SNs e adrenalina determinano un aumento di contrattilità e frequenza, ma anche una vasocostrizione, che non ha nessun senso a livello delle coronarie.
soprattutto da MECCANISMI LOCALI, grazie ai quali il circolo coronarico è in grado di adeguare il quantitativo di sangue che riceve in funzione delle sue esigenze e indipendentemente da quello che accade nel resto dell’organismo (caratteristica dei cosiddetti “circoli protetti”, cioè cuore, SNC e rene, in cui il flusso ematico è un parametro critico):
il circolo coronarico è in grado di adeguare il quantitativo di sangue che riceve in funzione delle sue esigenze e indipendentemente da quello che accade nel resto dell’organismo (caratteristica dei cosiddetti “circoli protetti”, cioè cuore, SNC e rene, in cui il flusso ematico è un parametro critico):
1. regolazione metabolica
si tratta del meccanismo più importante e consiste nel fatto che il flusso ematico coronarico aumenta in maniera lineare in relazione al consumo di O2. (La relazione tra il consumo di ossigeno e frequenza cardiaca è lineare.)
2. autoregolazione
si tratta di un meccanismo presente in tutti i circoli protetti e consiste nel fatto che, in un certo ambito,
nonostante l’aumento della pressione il flusso rimane costante
3. regolazione elastica
si basa sull’elasticità vasale e consiste nel fatto che, se aumenta la pressione nel vaso, esso si dilata in virtù della sua elasticità e il flusso aumenta, sia per la maggiore pressione di spinta nel vaso sia per la vasodilatazione
si tratta del meccanismo più importante e consiste nel fatto che il flusso ematico coronarico aumenta in maniera lineare in relazione al consumo di O2.
Quindi si tratta di una regolazione di tipo chimico, in cui è l’ossigeno stesso a determinare il flusso ematico agendo sul diametro vasale:
- se c’è molto O2, significa che non c’è bisogno di un flusso abbondante, quindi esso agisce come vasocostrittore;
- invece se c’è poco O2, significa che c’è bisogno di un flusso abbondante, quindi l’ipossia attiva una serie di vasodilatatori, che riaumentano il flusso e sono: adenosina (prodotto del metabolismo di ATP), NO (liberato in modo tonico perché volatile quindi altrimenti non avrebbe effetto), ioni H+, ioni K+, CO2, prostaglandine.
La relazione tra il consumo di ossigeno e frequenza cardiaca è lineare.
Inoltre se c’è un aumento di contrattilità c’è un aumento del consumo di ossigeno; l’aumento del consumo di ossigeno mi porta ad un aumento del flusso coronarico; quindi anche qua c’è relazione diretta tra variazione della contrattilità e variazione del flusso coronarico.
si tratta di un meccanismo presente in tutti i circoli protetti e consiste nel fatto che, in un certo ambito,
nonostante l’aumento della pressione il flusso rimane costante.
Normalmente, se aumenta la pressione di spinta, aumenta anche la pressione transmurale (cioè la pressione con la quale il sangue spinge contro la parete del vaso e tende a dilatare il vaso, quindi il raggio vasale), perciò si verifica un aumento di flusso dovuto sia alla maggiore pressione di spinta, sia alla vasodilatazione causata dalla maggiore pressione transmurale. Tuttavia nei circoli protetti: i vasi hanno fibrocellule muscolari lisce con canali per il Ca++ sensibili allo stiramento per cui la vasodilatazione dovuta all’aumento pressorio comporta un’attivazione di questi canali;
- un maggiore ingresso di Ca++;
- una contrazione della cellula muscolare;
- quindi una vasocostrizione che aumenta la resistenza in modo proporzionale all’aumento pressorio che si è verificato, così da mantenere costanti il flusso e la pressione a valle.
Il restringimento del vaso mi viene a compensare l’aumento della pressione che c’è stato perché mi viene a ridurre la pressione. Ecco allora che questo sistema serve a mantenere costanti pressione e flusso in un determinato organo a dispetto di variazioni pressorie.
Questo sistema di autoregolazione funziona in un range (tra 50 mmHg e 150mmHg), al di là del quale non funziona più.
Allora significa che se in questo range la pressione aumenta o diminuisce, il flusso rimane lo stesso.
Supponiamo che il soggetto abbia avuto un’emorragia importante, nonostante l’emorragia riesce a mantenere lo stesso apporto ematico a questo distretto che gode di questo sistema di autoregolazione.
Se però la pressione scende sotto un certo valore, 60 mmHg, non ce la fa più e il soggetto non può garantire a cuore, rene e cervello un flusso adeguato. Se non si rialza, il paziente si scompensa completamente e va incontro a morte.
sistema di autoregolazione funziona in un range (tra 50 mmHg e 150mmHg), al di là del quale non funziona più.
Allora significa che se in questo range la pressione aumenta o diminuisce, il flusso rimane lo stesso. ( i vasi hanno fibrocellule muscolari lisce con canali per il Ca++ sensibili allo stiramento per cui la vasodilatazione dovuta all’aumento pressorio comporta un’attivazione di questi canali;
- un maggiore ingresso di Ca++;
- una contrazione della cellula muscolare;
- quindi una vasocostrizione che aumenta la resistenza in modo proporzionale all’aumento pressorio che si è verificato, così da mantenere costanti il flusso e la pressione a valle.
Il restringimento del vaso mi viene a compensare l’aumento della pressione che c’è stato perché mi viene a ridurre la pressione)
Supponiamo che il soggetto abbia avuto un’emorragia importante, nonostante l’emorragia riesce a mantenere lo stesso apporto ematico a questo distretto che gode di questo sistema di autoregolazione.
Se però la pressione scende sotto un certo valore, 60 mmHg, non ce la fa più e il soggetto non può garantire a cuore, rene e cervello un flusso adeguato. Se non si rialza, il paziente si scompensa completamente e va incontro a morte.
si basa sull’elasticità vasale e consiste nel fatto che, se aumenta la pressione nel vaso, esso si dilata in virtù della sua elasticità e il flusso aumenta, sia per la maggiore pressione di spinta nel vaso sia per la vasodilatazione
Il grafico mostra la variazione in flusso in funzione della pressione di spinta (la pressione nei vasi);
La linea tratteggiata mostra il flusso che otterremmo ad una certa pressione secondo la legge di Ohm (NON tiene in considerazione l’elasticità basale) -> relazione lineare tra flusso e pressione.
La curva rossa evidenzia il comportamento reale ed evidenzia: 1) un valore in cui non c’è movimento di sangue
2) un andamento particolare: all’inizio è un po’ schiacciata ma poi impenna e la sua pendenza è superiore a quella che si ha con la legge di ohm;
perciò una variazione di pressione della stessa entità induce un aumento di flusso superiore da quello predetto dalla legge di ohm. se il flusso è uguale alla differenza di pressione diviso la resistenza e cambia la pressione nella realtà la resistenza non può essere considerata un parametro costatante:
- se aumenta la pressione il vaso si dilata, in quanto elastico; - se si dilata il raggio aumenta;
- se esso aumenta la resistenza diminuisce;
ecco il motivo per cui la pendenza della curva cambia.
Quindi ho un aumento di perfusione nelle coronarie abbiamo un aumento di flusso legato alla proporzionalità ma anche legato al fatto che le coronarie si dilatano, dato che hanno un certo grado di elasticità;
se le coronarie sono rigide per un processo di invecchiamento o perdita di elasticità, questo aumento di flusso sarà minore.
SNs: vasocostrittore SNp: vasodilatatore
Il sistema parasimpatico non innerva il sistema vascolare.
Il sistema coronarico non risente dell’innervazione simpatica.
Ancora oggi non si sa perché ci sia questa differenza.
Quale sia il ruolo del simpatico non è chiaro anche perché si sa che in natura ciò che non serve viene scartato;
per quanto riguarda il parasimpatico esso è presente e dà un certo grado di vasodilatazione.
indica quanto sangue può essere mandato al miocardio in situazioni in cui la richiesta ha un apporto massimale.
lo studio della riserva coronarica si effettua provocando una occlusione e determinando una vasodilatazione coronarica massimale: al variare della pressione di perfusione si ha un’impennata del flusso coronarico.
Questa differenza costituisce la differenza coronarica che ci dice in sostanza quanto il flusso coronarico in tale soggetto può essere aumentato in situazioni di emergenza.
- è quella sottoposta allo sforzo maggiore perché irrora la porzione sinistra del cuore, cioè quella
ad alta pressione, che lavora di più e quindi ha bisogno di un più elevato quantitativo di substrati; - va incontro a una più vigorosa contrazione isometrica durante la quale il flusso coronarico
stesso è ostacolato;
QUINDI: un danno alla coronaria sinistra ha sul miocardio ripercussioni più gravi rispetto alla coronaria destra.
Presenta anastomosi funzionalmente inadeguate, che non riescono a sopperire ad un’eventuale ostruzione;
quindi nel miocardio (e anche nel SNC e nell’intestino) una trombosi (ostruzione) determina la morte del settore di irrorazione o quantomeno dei danni, dal momento che non posso essere sfruttati circoli anastomotici collaterali che invece si trovano negli altri organi.
Le coronarie, non possedendo anastomosi funzionali e irrorando un tessuto che dipende totalmente dal flusso ematico, risentono moltissimo delle alterazioni vascolari;
per cui se il diametro viene ridotto (ad es. placche aterosclerotiche o danni endoteliali) si avranno ripercussioni molto gravi.
Se le coronarie non riescono a fornire un apporto di ossigeno adeguato alla richiesta di ATP, si va in debito di ossigeno;
Questa è una situazione tollerata per tempi brevissimi, che poi determina:
- angina pectoris (lesioni reversibili del tessuto miocardico, che vanno a stimolare fibre nocicettive e rilascio di sostanza P, acido lattico, istamina e K+; comporta ischemia temporanea);
- Se le lesioni diventano irreversibili, infarto del miocardio (cioè la necrosi vera e propria del tessuto, dovuta a un’ischemia protratta, che porta a una degenerazione della fibrocellula muscolare;
quindi si creerà una parte del cuore cicatrizzata che non va più incontro a contrazione o che può determinare fibrillazione
studia le forze e le dinamiche che vanno a gestire il movimento del sangue.
Questo studio si basa innanzitutto sul principio per cui il movimento del sangue avviene per differenze di energia lungo il condotto, quindi per spostare il cuore dal comparto di destra a quello di sinistra è necessario creare gradienti pressori fra questi comparti. un principio di riferimento molto importante è che il ventricolo è il solo generatore di energia; nonostante ciò la parete arteriosa contribuisce a ridistribuire questa energia in fase di diastole, grazie alla sua elasticità.
A. Contrattilità: la variazione della contrattilità cambia la pressione e il quantitativo di sangue che è
buttato fuori.
B. Il tempo di rilasciamento
C. La velocità d conduzione del segnale elettrico D. La frequenza cardiaca
A. Volume telediastolico (precarico) -> dipende dal ritorno venoso
B. Volume telesistolico
C. Pressione e arteriosa (post carico) -> condiziona quello che farà il cuore
LA FUNZIONE CARDIACA VIENE VARIATA AGENDO SU:
A. Contrattilità: la variazione della contrattilità cambia la pressione e il quantitativo di sangue che è
buttato fuori.
B. Il tempo di rilasciamento
C. La velocità d conduzione del segnale elettrico
D. La frequenza cardiaca
IL LAVORO CARDIACO DIPENDE DA
A. Volume telediastolico (precarico) -> dipende dal ritorno venoso
B. Volume telesistolico
C. Pressione e arteriosa (post carico) -> condiziona quello che farà il cuore
IL CUORE LAVORA IN MANIERA DISCONTINUA
1. Il flusso di sangue è regolato in base alle necessità dell’organo attraverso un controllo sia locale che sistemico:
- controllo locale: è dettato dalla situazione dei differenti organi
- controllo sistemico: quanto flusso ematico il sistema mette a disposizione dell’intero apparato
(gittata cardiaca).
2. La gittata cardiaca è regolata dal ritorno venoso che è la somma dei singoli flussi provenienti
dai diversi organi
3. In generale la pressione arteriosa è un fattore regolato indipendentemente dai controlli dei flussi locali e della gittata cardiaca.
La pressione arteriosa deve essere:
- abbastanza alta da permettere il ritorno venoso;
- abbastanza bassa da consentire gli scambi a livello capillare (permettere assorbimento ed evitare filtrazioni eccessive).
- La pressione è pulsatile a livello dei vasi arteriosi
- La pressione perde le oscillazioni mano mano che si diminuisce il calibro dei vasi - A livello delle vene la pressione è priva di oscillazioni
L’ARTERIA HA DUE AZIONI:
1. Garantire una pressione adeguata in diastole impedente che la pressione precipiti a zero 2. Ridurre le pulsazioni fino a scomparire a livello dell’arteriola
Nello studio dell’emodinamica si considera un sistema di tubi chiuso, e si deve partire da due
assunzioni principali, che sono delle approssimazioni: 1. I VASI SONO CONDOTTI RIGIDI
Per spiegare l’emodinamica si fa riferimento al modello resistivo basato sulla legge di Ohm che omette il parametro elasticità;
2. IL SANGUE È UNA SOLUZIONE SEMPLICE ED OMOGENEA
Non si considera il parametro viscosità che costituisce un ostacolo allo scorrimento.
Trascurando elasticità e viscosità, si può affermare che lo spostamento di una massa di sangue dipenderà solo dalla differenza di energia e, per l’incomprimibilità del sangue e per la legge della conservazione della massa, se abbiamo lo spostamento in un punto, ci deve essere lo stesso spostamento in un altro punto
il sistema vascolare è un circuito chiuso e dall’approssimazione secondo la quale è costituito da condotti rigidi, deriva un altro fondamentale principio, cioè la costanza del flusso, per cui tanto entra tanto esce.
Il principio della costanza del flusso prevede che in un qualunque momento a pressione e flusso costanti si abbia lo stesso flusso in tutti i punti dell’albero circolatorio.
La costanza del flusso implica la presenza di una relazione tra velocità di scorrimento del sangue e diametro del condotto:
- se il diametro vasale si restringe deve aumentare la velocità per mantenere costante il flusso; - se il diametro vasale aumenta deve diminuire la velocità.
È molto importante considerare, però, che quando si parla di diametro vasale, si intende l’area aggregata: nel sistema cardiovascolare i vasi si diramano e, ogni volta che si ha una diramazione, il diametro del singolo vaso diventa più piccolo ma aumenta il numero di vasi, quindi complessivamente la sezione totale dei condotti cresce. La conseguenza di ciò è che, quando il sangue passa da un vaso più grande nei vasi più piccoli, la velocità diminuisce perché aumenta l’area aggregata data dalle molte ramificazioni.
Il principio della costanza del flusso prevede che in un qualunque momento a pressione e flusso costanti si abbia lo stesso flusso in tutti i punti dell’albero circolatorio.
La costanza del flusso implica la presenza di una relazione tra velocità di scorrimento del sangue e diametro del condotto:
- se il diametro vasale si restringe deve aumentare la velocità per mantenere costante il flusso; - se il diametro vasale aumenta deve diminuire la velocità. quando si parla di diametro vasale, si intende l’area aggregata: nel sistema cardiovascolare i vasi si diramano e, ogni volta che si ha una diramazione, il diametro del singolo vaso diventa più piccolo ma aumenta il numero di vasi, quindi complessivamente la sezione totale dei condotti cresce. La conseguenza di ciò è che, quando il sangue passa da un vaso più grande nei vasi più piccoli, la velocità diminuisce perché aumenta l’area aggregata data dalle molte ramificazioni. Questo rallentamento del sangue a livello dei capillari, dovuto all’enorme aumento dell’area aggregata, è funzionale agli scambi capillari: il sangue non può fermarsi, ma può quantomeno rallentare quando passa nei capillari, così da permettere gli scambi di sostanze con i tessuti, sia a riposo che sotto sforzo (cioè quando la velocità di flusso aumenta).
- un fattore che aumenta la resistenza, dovuto al progressivo restringimento del calibro; - un fattore che attenua l’aumento della resistenza, dovuto all’architettura in parallelo.
Il fatto che l’arteria si dirama in vasi di calibro minore implica un aumento della resistenza;
Tuttavia, il fatto che questi condotti siano posizionati in parallelo implica che ci sia una diminuzione della resistenza;
Il sistema cardiovascolare utilizza il modello resistivo basato su tre parametri: flusso, pressione e resistenza.
Il flusso è la variabile controllata, cioè il parametro più importante, ed è regolato tramite la pressione e la resistenza secondo la legge di Ohm: F = ΔP/R.
Poiché la pressione viene generata dal cuore ed è sostanzialmente costante, il parametro che varia tantissimo per modificare il flusso è la resistenza.
Normalmente nel nostro organismo si ha un flusso laminare, caratterizzato dal fatto che il flusso è diviso in tante lamine che scorrono l’una sull’altra secondo un gradiente di velocità crescente dalla periferia del vaso verso il centro, perché:
- le lamine più esterne risentono dell’attrito della parete vasale (quindi scorrono più lentamente);
- quelle via via più centrali risentono di un attrito sempre minore, dato solo dalle lamine circostanti (quindi scorrono più velocemente); indicando con:
- dx la variazione di distanza delle lamine dalla parete vasale;
- dV la variazione di velocità;
-> il gradiente di velocità è dV/dx;
-> la forza tangenziale necessaria a vincere l’attrito sarà proporzionale a questo gradiente secondo un coefficiente h, che rappresenta la viscosità [T= h(dV/dx)].
Si tratta di un moto ordinato (le particelle si muovono in linea retta) e silenzioso (le particelle non urtano né fra di loro né contro le pareti vasali, quindi non generano rumore).
Solo in determinati casi (passaggio di sangue dall’atrio al ventricolo, passaggio di sangue dal ventricolo all’aorta, e varie situazioni non fisiologiche) il flusso laminare si trasforma in flusso turbolento. il flusso turbolento è svantaggioso, perché le particelle si scontrano e perdono energia, quindi, poiché il flusso deve essere costante, il cuore dovrà faticare circa il 30% in più per imprimere più energia in partenza.
Si tratta di un moto:
- più lento (perché vi è maggiore dissipazione di energia):
- disordinato (le particelle si muovono generando gorghi e movimenti scoordinati di liquido); - rumoroso (le particelle urtano fra loro e contro le pareti vasali, quindi generano rumore).
Normalmente nel nostro organismo si ha un flusso laminare, Solo in determinati casi (passaggio di sangue dall’atrio al ventricolo, passaggio di sangue dal ventricolo all’aorta, e varie situazioni non fisiologiche) il flusso laminare si trasforma in flusso turbolento. Il flusso turbolento è caratterizzato da un continuo rimescolamento delle particelle all’interno del condotto;
il flusso turbolento è svantaggioso, perché le particelle si scontrano e perdono energia, quindi, poiché il flusso deve essere costante, il cuore dovrà faticare circa il 30% in più per imprimere più energia in partenza.
Si tratta di un moto:
- più lento (perché vi è maggiore dissipazione di energia):
- disordinato (le particelle si muovono generando gorghi e movimenti scoordinati di liquido); - rumoroso (le particelle urtano fra loro e contro le pareti vasali, quindi generano rumore).
- aumento della velocità di flusso oltre il valore di “velocità critica” (dovuto ad esempio ad
un’ostruzione che riduce il diametro vasale);
- sostanziale aumento del diametro vasale (ad esempio in un aneurisma); - bassa viscosità.
Questo passaggio da moto laminare a turbolento è indicato come probabilità di turbolenza, espressa dal numero di Reynolds.
Il numero di Reynolds è un valore che considera i fattori che maggiormente possono influire sulla turbolenza, cioè:
- raggio del vaso (r);
- velocità del flusso (v);
- densità del sangue (ρ); - viscosità del sangue (η);
Re = v x r x ρ / η
- se Re<2000, allora il flusso è laminare;
- se 2000<Re<3000, allora il flusso è misto; - se Re>3000, allora il flusso è turbolento.
- un aumento del raggio, della velocità e della densità comportano una maggiore probabilità di turbolenza;
- un aumento della viscosità determina una minore probabilità di turbolenza, perché riduce la velocità di flusso
all’aumentare di una pressione di spinta si ha:
☐1. una prima fase in cui la relazione con il flusso è lineare: tanto aumento la pressione di spinta, tanto aumenta il flusso come ci si dovrebbe aspettare secondo la legge di ohm in un circuito che sia caratterizzato da pareti rigide. Fino a quando si ha un moto laminare del sangue c’è una relazione diretta;
2. andando oltre un certo valore della pressione di spinta, aumenta l’energia applicata al
sistema, e si arriva alla velocità critica: si entra in una condizione di moto turbolento; Questo causa una diversa relazione tra flusso e pressione, appiattita, perché il moto
turbolento mangia energia.
L’energia impartita al sangue dal ventricolo è un’energia potenziale perché utilizzata lungo il percorso per vincere le resistenze mano a mano che il sangue va avanti.
Quando si entra in un moto turbolento questa energia viene spesa negli urti, ogni volta che vi è un urto tra le particelle c’è una dispersione di energia che si traduce in una riduzione del flusso.
1. parametri geometrici, cioè le caratteristiche del condotto:
- lunghezza, che in casi fisiologici è legata alla massa corporea e consideriamo costante; - raggio;
2. parametri fisici, cioè le caratteristiche del fluido:
- viscosità, che in casi fisiologici consideriamo costante.
Questi parametri sono espressi nella legge di Poisseuille: F = ΔP x π x^4 / 8 x η x L
e, da questa legge (sapendo che F=ΔP/R), si può ricavare formula che descrive il comportamento della resistenza:
R = 8 x η x L / π x r^4.
è l’operatore mediante il quale una differenza di pressione viene trasformata in una differenza di flusso;
quindi la resistenza determina quanto il flusso aumenta all’aumentare della pressione di spinta.
Essa rappresenta l’ostacolo che il sangue incontra allo scorrimento e, mediante le resistenze, si può dirottare il flusso, per convogliarlo nei vari distretti dove vi è maggiore necessità.
F = ΔP x π x^4 / 8 x η x L
e, da questa legge (sapendo che F=ΔP/R), si può ricavare formula che descrive il comportamento della resistenza:
R = 8 x η x L / π x r^4.
In questa formula:
- 8 è una costante;
- η è la viscosità del vaso che può essere considerata costante; - L è la lunghezza vasale che può essere considerata costante; - π è una costante,
- r è il raggio vasale.
Se η e L aumentano, R aumenta, quindi maggiore lunghezza e maggiore viscosità determinano una maggiore resistenza;
se r aumenta, R diminuisce quindi all’aumentare del raggio diminuisce la resistenza.
Ma poiché η e L sono più o meno costanti, è evidente che il parametro che maggiormente condiziona la resistenza è il raggio del vaso, che è elevato alla quarta potenza, quindi anche sue variazioni minime modificano sensibilmente la resistenza, e quindi il flusso.
Dall’approssimazione secondo la quale il sangue è una soluzione semplice ed omogenea deriva il fatto che nel sistema cardiovascolare si consideri costante la VISCOSITÀ (η);
infatti, se non considerassi il sangue come una soluzione omogenea (cioè liquido in cui, al variare della velocità, η rimane costante), η cambierebbe al variare della velocità, e questo complicherebbe troppo il modello resistivo.
Dall’approssimazione secondo la quale il sangue è una soluzione semplice ed omogenea deriva il fatto che nel sistema cardiovascolare si consideri costante la VISCOSITÀ (η);
infatti, se non considerassi il sangue come una soluzione omogenea (cioè liquido in cui, al variare della velocità, η rimane costante), η cambierebbe al variare della velocità, e questo complicherebbe troppo il modello resistivo.
Quindi consideriamo che essa fisiologicamente non influisca molto sulla resistenza, perché si mantiene più o meno costante, ma è molto importante, in quanto rappresenta un attrito interno che ostacola la scorrevolezza del fluido (Newton), data dall’attrito delle lamine che scivolano l’una sull’altra;
in quanto attrito interno, la viscosità influenza la forza tangenziale del flusso laminare, cioè la forza necessaria a vincere l’attrito e far scorrere le lamine ad una certa velocità;
Se la viscosità è maggiore, dovrà essere maggiore la forza tangenziale da applicare: T= η(dV/dx).
QUINDI: la viscosità è data dal rapporto fra forza tangenziale e gradiente di velocità, e η: - dipende da come le lamine del fluido interagiscono fra loro;
- è un coefficiente specifico per ogni materiale.
1. Ematocrito
2. Composizione dell’ematocrito
3. Diametro vasale
4. Velocità
5. Proteine
la viscosità è data dal rapporto fra forza tangenziale e gradiente di velocità, e η: - dipende da come le lamine del fluido interagiscono fra loro;
- è un coefficiente specifico per ogni materiale. Se la viscosità è maggiore, dovrà essere maggiore la forza tangenziale da applicare: T= η(dV/dx), questo oerche in quanto attrito interno (che ostacola la scorrevolezza del fluido (Newton), data dall’attrito delle lamine che scivolano l’una sull’altra), la viscosità influenza la forza tangenziale del flusso laminare, cioè la forza necessaria a vincere l’attrito e far scorrere le lamine ad una certa velocità.
Esso è la quantità di cellule che abbiamo nel sangue, quindi ne condiziona la viscosità, rendendola un po’ superiore a quella dell’acqua: più alto è l’ematocrito, maggiore sarà la viscosità.
Valori fisiologici di ematocrito si riferiscono all’ematocrito in vena e corrispondono a circa 40;
se l’ematocrito aumenta eccessivamente (ad esempio in seguito a malattie come la leucemia o all’assunzione di alcuni farmaci):
- aumenta troppo la viscosità;
- quindi aumenta la resistenza;
- quindi aumenta il post-carico;
- quindi aumenta lo sforzo a cui il cuore è sottoposto
All’aumentare dell’ematocrito la viscosità aumenta esponenzialmente.
Anche il tipo di cellule che compongono l’ematocrito influisce sulla viscosità, perché eritrociti, leucociti e piastrine contribuiscono in maniera diversa alla viscosità:
infatti anche se numericamente i globuli rossi sono preponderanti nell’ematocrito, il maggior contributo alla viscosità è dato da globuli bianchi e piastrine.
Questo è dovuto al fatto che i globuli rossi, pur essendo numericamente di più, hanno una struttura flessibile e idrodinamica quindi ostacolano poco lo scorrimento delle lamine di sangue, mentre globuli bianchi e piastrine, pur essendo numericamente di meno, sono più rigidi e meno deformabili quindi ostacolano maggiormente lo scorrimento delle lamine.
Esso è la quantità di cellule che abbiamo nel sangue, quindi ne condiziona la viscosità, rendendola un po’ superiore a quella dell’acqua: più alto è l’ematocrito, maggiore sarà la viscosità.
Valori fisiologici di ematocrito si riferiscono all’ematocrito in vena e corrispondono a circa 40;
se l’ematocrito aumenta eccessivamente (ad esempio in seguito a malattie come la leucemia o all’assunzione di alcuni farmaci):
- aumenta troppo la viscosità;
- quindi aumenta la resistenza;
- quindi aumenta il post-carico;
- quindi aumenta lo sforzo a cui il cuore è sottoposto
All’aumentare dell’ematocrito la viscosità aumenta esponenzialmente.
il tipo di cellule che compongono l’ematocrito influisce sulla viscosità, perché eritrociti, leucociti e piastrine contribuiscono in maniera diversa alla viscosità:
infatti anche se numericamente i globuli rossi sono preponderanti nell’ematocrito, il maggior contributo alla viscosità è dato da globuli bianchi e piastrine.
Questo è dovuto al fatto che i globuli rossi, pur essendo numericamente di più, hanno una struttura flessibile e idrodinamica quindi ostacolano poco lo scorrimento delle lamine di sangue, mentre globuli bianchi e piastrine, pur essendo numericamente di meno, sono più rigidi e meno deformabili quindi ostacolano maggiormente lo scorrimento delle lamine.
Esso condiziona la viscosità, ma in modo non lineare:
- fino ad un certo valore di diametro la viscosità è più o meno costante;
- poi col diminuire del diametro vasale cala sostanzialmente anche la viscosità;
- poi da un certo valore di diametro la viscosità aumenta nuovamente al diminuire del diametro.
Quindi inizialmente la riduzione del calibro vasale diminuisce la viscosità, perché abbassa l’ematocrito:
per via del gradiente di velocità dovuto al flusso laminare, le cellule del sangue si dispongono soprattutto al centro del vaso e solo in piccola parte vicino alla parete, quindi, quando si staccano delle ramificazioni dalla parete del vaso, sono poche le cellule che entrano nella ramificazione (perché nella periferia del vaso principale ci sono meno cellule che al centro);
quindi nei vasi più piccoli entrano via via meno cellule, quindi l’ematocrito va via via diminuendo e diminuisce anche la viscosità.
Tuttavia questo vale fino a un diametro di 7μm, cioè fino ai capillari, perché, da questo valore in giù, la riduzione del calibro aumenta la viscosità, per via dell’andamento dei globuli rossi: nei capillari i globuli rossi transitano con difficoltà, strusciano contro la parete capillare e assumono un andamento a cingolo (cioè ruotano su sé stessi come il cingolo di un carro armato), che comporta un rallentamento, un ostacolo allo scorrimento, e quindi un aumento della viscosità.
Essa condiziona la viscosità, perché, al diminuire della velocità (che si verifica con l’aumento dell’area aggregata), la viscosità del sangue aumenta.
Questo è dovuto al fatto che, quando nei vasi più piccoli cala la velocità, i globuli rossi tendono a ingorgarsi e formano i roleaux, cioè degli impilamenti fisiologici di globuli rossi che si disgregano e si riformano in continuazione. Questi aggregati, essendo formati da eritrociti, sono dotati in piccola parte di flessibilità e idrodinamicità, ma rappresentano comunque un ostacolo allo scorrimento che aumenta la viscosità.
È quindi evidente che il sangue non è in realtà un fluido omogeneo in cui la viscosità non dipende dalla velocità, ma assumiamo che sia così per semplicità
Esse condizionano la viscosità, perché alcune di esse possono rendere più rigidi i roleaux e quindi aumentare la viscosità.
Quindi, se ad esempio aumentano in maniera eccessiva le proteine IgM e IgA, aumenta la parte corpuscolata del sangue e quindi la viscosità, perché queste proteine hanno la tendenza ad aggregarsi.
fino a un diametro di 7μm. inizialmente la riduzione del calibro vasale diminuisce la viscosità, perché abbassa l’ematocrito: nei vasi più piccoli entrano via via meno cellule, quindi l’ematocrito va via via diminuendo e diminuisce anche la viscosità.
Tuttavia questo vale fino a un diametro di 7μm, cioè fino ai capillari, perché, da questo valore in giù, la riduzione del calibro aumenta la viscosità, per via dell’andamento dei globuli rossi: nei capillari i globuli rossi transitano con difficoltà, strusciano contro la parete capillare e assumono un andamento a cingolo (cioè ruotano su sé stessi come il cingolo di un carro armato), che comporta un rallentamento, un ostacolo allo scorrimento, e quindi un aumento della viscosità.
i globuli rossi, pur essendo numericamente di più, hanno una struttura flessibile e idrodinamica quindi ostacolano poco lo scorrimento delle lamine di sangue, mentre globuli bianchi e piastrine, pur essendo numericamente di meno, sono più rigidi e meno deformabili quindi ostacolano maggiormente lo scorrimento delle lamine.
La pressione è la variabile in entrata, che condiziona il flusso (in particolare il flusso è regolato dalle differenze di pressione nei vasi);
Essa è imposta primariamente dal cuore, e regolata dalle resistenze periferiche. Nei vasi la pressione presenta tre aspetti fondamentali:
1. pressione di spinta: è la pressione diretta lungo l’asse longitudinale del vaso, e dipende dalla forza che il ventricolo imprime al sangue;
2. pressione transmurale: è la differenza fra la pressione all’interno del vaso (che tende a dilatare la parete vasale) e la pressione all’esterno (che tende a schiacciare la parete vasale);
questo valore è importante dal momento che i vasi non sono strutture rigide ma elastiche, perché è quello che determina il diametro vasale;
3. pressione idrostatica: è la pressione data dal peso del sangue che grava su un particolare distretto vasale quando stiamo in piedi;
Questa pressione favorisce la discesa del sangue, ma ne ostacola la salita.
1. Gravità
2. Compliance vasale
3. Viscosità
4. Velocità
In posizione ortostatica, la pressione in alcuni punti è dovuto anche alla gravità.
Infatti questo parametro condiziona fortemente i valori pressori all’interno del nostro corpo, perché, se fra due punti c’è una differenza di altezza, c’è anche una differenza di pressione;
quindi la pressione deve sempre essere relativa a un valore di altezza (infatti si misura la pressione arteriosa a livello dell’arteria brachiale perché essa è più o meno alla stessa altezza del cuore, quindi ha più o meno la stessa pressione dell’aorta). In posizione clinostatica (a sinistra):
sono annullate le differenze di altezza rispetto al cuore, quindi la pressione arteriosa (linea sopra)
è correlata solo alla spinta cardiaca e alle resistenze che il sangue incontra nello scorrimento: se per la spinta cardiaca il sangue ha una pressione di 95mmHg, esso arriva ai piedi con una
pressione di 90mmHg, perché perde 5mmHg per attrito.
Per quanto riguarda la pressione venosa (linea sotto), nei piedi essa è pari a 5mmHg, perché il
sangue perde energia nel passaggio all’interno di venule, capillari e soprattutto arteriole;
quindi, a causa del segmento arteriola – capillare – venula, c’è una differenza di 85mmHg fra la pressione in arteria e in vena, e questa energia è quella usata per spingere il sangue dall’arteria alla vena.
In posizione ortostatica (a destra):
Subentrano le differenze di altezza, e quindi il ruolo della pressione idrostatica e della gravità.
Quindi la pressione arteriosa (linea a sinistra) è correlata anche al peso della colonna di sangue: se per la spinta cardiaca il sangue ha una pressione di 95mmHg, esso arriva ai piedi con una
pressione di 185mmHg, perché bisogna aggiungere il peso della colonna sovrastante di sangue;
al contrario, al cranio arriva sangue con una pressione di 53mmHg, perché bisogna sottrarre il peso
della colonna sovrastante.
Per quanto riguarda la pressione venosa (linea a destra), nei piedi si ha una pressione di 100mmHg, di cui 95mmHg sono dati dal peso della colonna di sangue sovrastante, mentre solo 5mmHg dalla spinta cardiaca;
è evidente che c’è, anche in questo caso, una differenza di 85mmHg fra pressione in arteria e in vena, quindi in posizione eretta o distesa la differenza artero-venosa resta invariata.
La situazione pressoria in posizione ortostatica, indica che il sangue scende senza problemi, aiutato dal peso della colonna sovrastante, poi perde energia passando nel segmento arteriola – capillare – venula, e poi dovrebbe risalire con la poca energia che gli rimane, contro una colonna di sangue che pesa ed esercita una pressione di 95mmHg; questo dimostra che la sola spinta del cuore non rende possibile il ritorno venoso al cuore, ma sono necessari meccanismi ausiliari (meccanismi propri del compartimento venoso).
sono annullate le differenze di altezza rispetto al cuore, quindi la pressione arteriosa (linea sopra)
è correlata solo alla spinta cardiaca e alle resistenze che il sangue incontra nello scorrimento: se per la spinta cardiaca il sangue ha una pressione di 95mmHg, esso arriva ai piedi con una
pressione di 90mmHg, perché perde 5mmHg per attrito.
Per quanto riguarda la pressione venosa (linea sotto), nei piedi essa è pari a 5mmHg, perché il
sangue perde energia nel passaggio all’interno di venule, capillari e soprattutto arteriole;
quindi, a causa del segmento arteriola – capillare – venula, c’è una differenza di 85mmHg fra la pressione in arteria e in vena, e questa energia è quella usata per spingere il sangue dall’arteria alla vena.
Subentrano le differenze di altezza, e quindi il ruolo della pressione idrostatica e della gravità.
Quindi la pressione arteriosa (linea a sinistra) è correlata anche al peso della colonna di sangue: se per la spinta cardiaca il sangue ha una pressione di 95mmHg, esso arriva ai piedi con una
pressione di 185mmHg, perché bisogna aggiungere il peso della colonna sovrastante di sangue;
al contrario, al cranio arriva sangue con una pressione di 53mmHg, perché bisogna sottrarre il peso
della colonna sovrastante.
Per quanto riguarda la pressione venosa (linea a destra), nei piedi si ha una pressione di 100mmHg, di cui 95mmHg sono dati dal peso della colonna di sangue sovrastante, mentre solo 5mmHg dalla spinta cardiaca;
è evidente che c’è, anche in questo caso, una differenza di 85mmHg fra pressione in arteria e in vena, quindi in posizione eretta o distesa la differenza artero-venosa resta invariata.
in posizione eretta o distesa la differenza artero-venosa resta invariata E ammonta a una differenza di 85mmHg.
In posizione ortostatica, se per la spinta cardiaca il sangue ha una pressione di 95mmHg, esso arriva ai piedi con una pressione di 185mmHg, perché bisogna aggiungere il peso della colonna sovrastante di sangue;
al contrario, al cranio arriva sangue con una pressione di 53mmHg, perché bisogna sottrarre il peso
della colonna sovrastante. Per quanto riguarda la pressione venosa (linea a destra), nei piedi si ha una pressione di 100mmHg, di cui 95mmHg sono dati dal peso della colonna di sangue sovrastante, mentre solo 5mmHg dalla spinta cardiaca. In posizione clinostatica, se per la spinta cardiaca il sangue ha una pressione di 95mmHg, esso arriva ai piedi con una
pressione di 90mmHg, perché perde 5mmHg per attrito.
Per quanto riguarda la pressione venosa (linea sotto), nei piedi essa è pari a 5mmHg, perché il
sangue perde energia nel passaggio all’interno di venule, capillari e soprattutto arteriole;
indica che il sangue scende senza problemi, aiutato dal peso della colonna sovrastante, poi perde energia passando nel segmento arteriola – capillare – venula, e poi dovrebbe risalire con la poca energia che gli rimane, contro una colonna di sangue che pesa ed esercita una pressione di 95mmHg; questo dimostra che la sola spinta del cuore non rende possibile il ritorno venoso al cuore, ma sono necessari meccanismi ausiliari (meccanismi propri del compartimento venoso).
Questo parametro indica la distensibilità del vaso, cioè quanto aumenta il volume del vaso a fronte di un aumento pressorio di 1mmHg. possiamo immaginare tre tipi di compliance: compliance nulla, in cui il contenitore è rigido e non si lascia dilatare, quindi continuando a riempire il contenitore, non si può determinare un aumento del suo volume, e quindi può solo aumentare all’infinito la pressione (DV=0, DP=∞), compliance infinita, in cui il contenitore non offre alcuna resistenza, quindi si lascia dilatare senza limiti quindi continuando a riempire il contenitore, non si può determinare un aumento di pressione, perché il volume aumenta all’infinito (DV=∞, DP=0), compliance definita (destra), in cui il contenitore presenta un certo grado di distensibilità e un certo grado di resistenza alla distensione quindi riempendo il contenitore, si verifica un aumento di volume definito (per la parziale dilatazione delle pareti) e un aumento di pressione definito (per la resistenza passiva delle pareti).
Si avrà dunque DV>0 e DP>0, e la compliance sarà data da: DV/DP. Quest’ultimo caso è quello che si verifica in arteria, in cui le pareti sono dotate di elasticità.
In virtù di questa elasticità esse si dilatano quando, in fase sistolica, il cuore pompa il sangue in aorta;
quindi si verifica un piccolo aumento volumico e un immagazzinamento di energia pressoria dovuta alla tensione passiva della parete;
alla chiusura delle semilunari, in fase diastolica, le pareti ritornano al grado di distensione iniziale, spingendo il sangue in avanti con l’energia che avevano accumulato grazie alle loro proprietà elastiche.
Quindi, proprio in virtù della loro compliance definita e relativamente bassa (vene invece hanno alta compliance e si lasciano dilatare troppo, immagazzinando pochissima energia), le arterie sono in grado di “rubare” e immagazzinare volume di sangue ed energia pressoria all’azione ventricolare, e li restituiscono in fase diastolica per spingere avanti il sangue anche quando il cuore è fermo;
QUINDI: la pressione nelle arterie è generata anche dalla loro distensibilità.
le arterie hanno compliance definita, cioe sono un contenitore che presenta un certo grado di distensibilità e un certo grado di resistenza alla distensione;
in questo caso, riempendo il contenitore, si verifica un aumento di volume definito (per la parziale dilatazione delle pareti) e un aumento di pressione definito (per la resistenza passiva delle pareti).
Si avrà dunque DV>0 e DP>0, e la compliance sarà data da: DV/DP.
in arteria, in cui le pareti sono dotate di elasticità, in virtù di questa elasticità esse si dilatano quando, in fase sistolica, il cuore pompa il sangue in aorta;
quindi si verifica un piccolo aumento volumico e un immagazzinamento di energia pressoria dovuta alla tensione passiva della parete;
alla chiusura delle semilunari, in fase diastolica, le pareti ritornano al grado di distensione iniziale, spingendo il sangue in avanti con l’energia che avevano accumulato grazie alle loro proprietà elastiche.
Quindi, proprio in virtù della loro compliance definita e relativamente bassa (vene invece hanno alta compliance e si lasciano dilatare troppo, immagazzinando pochissima energia), le arterie sono in grado di “rubare” e immagazzinare volume di sangue ed energia pressoria all’azione ventricolare, e li restituiscono in fase diastolica per spingere avanti il sangue anche quando il cuore è fermo;
QUINDI: la pressione nelle arterie è generata anche dalla loro distensibilità.
in arteria, in cui le pareti sono dotate di elasticità.
In virtù di questa elasticità esse si dilatano quando, in fase sistolica, il cuore pompa il sangue in aorta;
quindi si verifica un piccolo aumento volumico e un immagazzinamento di energia pressoria dovuta alla tensione passiva della parete;
alla chiusura delle semilunari, in fase diastolica, le pareti ritornano al grado di distensione iniziale, spingendo il sangue in avanti con l’energia che avevano accumulato grazie alle loro proprietà elastiche.
Quindi, proprio in virtù della loro compliance definita e relativamente bassa (vene invece hanno alta compliance e si lasciano dilatare troppo, immagazzinando pochissima energia), le arterie sono in grado di “rubare” e immagazzinare volume di sangue ed energia pressoria all’azione ventricolare, e li restituiscono in fase diastolica per spingere avanti il sangue anche quando il cuore è fermo;
Questo parametro dipende dall’area aggregata, cioè dalla sezione totale dei condotti, e condiziona la pressione per il teorema di Bernoulli, secondo cui il movimento avviene per differenze di energia meccanica (energia potenziale ma anche energia cinetica);
per cui un fluido può scorrere da un punto x1 a un punto x2, anche se Px1 < Px2, se l’energia totale (che include anche l’energia cinetica) in x1 è > dell’energia totale in x2.
E’, ad esempio, quello che succede nel ventricolo durante la sistole istonica: sangue continua a passare da ventricolo in aorta, anche se così pressione in aorta sale al di sopra di quella in ventricolo, perché sangue ha maggiore energia cinetica, e quindi maggiore energia totale, in ventricolo.
Quindi velocità (energia cinetica) e pressione (energia potenziale) sono correlate, in quanto sono entrambe aspetti dell’energia meccanica totale.
Questo parametro condiziona la pressione, dal momento che, se aumenta la viscosità, deve aumentare necessariamente anche la pressione:
infatti l’aumento di viscosità comporta un aumento della resistenza, e l’aumento della resistenza comporta un aumento della pressione, per mantenere il flusso costante.
Il sangue entra in un condotto (sopra) dotato di tre colonnine, con una certa velocità (v);
per il principio di Pascal, la pressione è diretta anche verso l’alto, quindi il sangue verrà spinto anche nelle colonnine e arriverà fino ad una certa altezza: maggiore è la pressione, maggiore è l’altezza a cui arriva nella colonnina.
- nella prima colonnina P=100; - nella seconda P=90;
- nella terza P=80;
quindi andando avanti la pressione diminuisce, perché il sangue perde energia:
consideriamo la pressione come energia potenziale (e avanzando l’energia potenziale diminuisce) e, in questo caso, si considera l’energia totale come esclusivamente data dall’energia potenziale;
infatti si può normalmente trascurare l’energia cinetica (in quanto essa è costante), ma essa diventa rilevante in determinate situazioni in cui si restringe il calibro vasale, e dimostra che la pressione dipende anche dalla velocità.
Il sangue entra in un condotto (sotto) dotato di tre colonnine e di un restringimento centrale, con una certa velocità (v);
- nella prima colonnina P=100; - nella seconda P=60;
- nella terza P=80;
Andando avanti la pressione diminuisce, perché il sangue perde energia e diminuisce l’energia potenziale;
ma in più, in questo caso, c’è un’ulteriore diminuzione di pressione a livello del restringimento;
Questo accade perché in quel punto aumenta l’energia cinetica (per la costanza del flusso, se diminuisce il diametro, deve aumentare la velocità) e quindi deve ridursi l’energia potenziale (pressione), per il principio di conservazione dell’energia meccanica (data dalla somma di energia potenziale e energia cinetica, per cui se aumenta una, deve diminuire l’altra).
Ne segue che nei nostri vasi si ha una continua trasformazione di energia cinetica in energia pressoria e viceversa, a seconda del calibro vasale.
Il principio di Bernoulli viene sfruttato nel cateterismo arterioso, per misurare la pressione.
- nella prima colonnina P=100; - nella seconda P=60;
- nella terza P=80;
Andando avanti la pressione diminuisce, perché il sangue perde energia e diminuisce l’energia potenziale; ma in più, in questo caso, c’è un’ulteriore diminuzione di pressione a livello del restringimento;
Questo accade perché in quel punto aumenta l’energia cinetica (per la costanza del flusso, se diminuisce il diametro, deve aumentare la velocità) e quindi deve ridursi l’energia potenziale (pressione), per il principio di conservazione dell’energia meccanica (data dalla somma di energia potenziale e energia cinetica, per cui se aumenta una, deve diminuire l’altra).
Ne segue che nei nostri vasi si ha una continua trasformazione di energia cinetica in energia pressoria e viceversa, a seconda del calibro vasale.
Il principio di Bernoulli viene sfruttato nel cateterismo arterioso, per misurare la pressione.
Esistono due metodi di misurazione della pressione arteriosa.
1) cateterismo arterioso:
è più invasivo e viene utilizzato soprattutto per la misurazione della pressione sia all’interno delle arterie che all’interno delle cavità cardiache.
2) lo sfigmomanometro:
non è invasivo e viene utilizzato per la misurazione della pressione a livello dell’arteria brachiale, che ha il vantaggio di essere abbastanza superficiale e di trovarsi più o meno all’altezza del cuore (si elimina la componente pressoria idrostatica);
non è invasivo e viene utilizzato per la misurazione della pressione a livello dell’arteria brachiale, che ha il vantaggio di essere abbastanza superficiale e di trovarsi più o meno all’altezza del cuore (si elimina la componente pressoria idrostatica);
questo metodo si basa sulla possibilità di creare una contro-pressione esterna sull’arteria, quindi sfrutta la componente pressoria transmurale. - Si dispone il bracciale dello sfigmomanometro attorno al braccio, sopra la piega del gomito; - man mano che il bracciale viene gonfiato, aumenta la pressione esterna contro le pareti
dell’arteria, quindi la transmurale (=pressione interna – pressione esterna) va diminuendo;
- quando la transmurale arriva a 0, non c’è più alcuna pressione interna del sangue a controbilanciare la contro-pressione esterna, e quindi il vaso risulta completamente chiuso e non c’è passaggio di sangue;
- poi si va piano piano a sgonfiare il bracciale: il bracciale continuerà ad esercitare una contro- pressione sul vaso, sufficiente a ridurne il diametro ma non più a occluderlo, quindi ci si troverà in situazioni in cui il sangue ricomincia a passare perché il vaso non è più completamente occluso, ma solo parzialmente schiacciato (c’è flusso quando pressione nel vaso è superiore o uguale a contro-pressione esterna);
- il fatto che ci sia questa variazione di diametro del vaso fa sì che il sangue, quando ricomincia a fluire nell’arteria, abbia un moto turbolento, che, in quanto rumoroso, può essere ascoltato con un fonendoscopio, posto a livello della piega del gomito: si sentirà un rumore ogni volta che il sangue viene spinto nell’arteria, quindi ad ogni picco sistolico.
Quando la pressione nello sfigmomanometro è superiore a quella nell’arteria per tutto il ciclo cardiaco (anche in fase sistolica), non c’è flusso di sangue, quindi non c’è rumore;
Quando la pressione nello sfigmomanometro equivale a quella nell’arteria, inizia il passaggio di sangue con moto turbolento e si sente il primo rumore: questo valore pressorio rappresenta la pressione massima;
- Quando la pressione nello sfigmomanometro è inferiore a quella nell’arteria in fase di sistole (ma non di diastole), il vaso è ancora parzialmente ristretto, quindi continua il moto turbolento del sangue e si sentono rumori via via più bassi;
Non appena la pressione nel bracciale scende al di sotto della pressione in arteria per tutto il ciclo cardiaco (anche in fase diastolica), l’arteria torna alle dimensioni originali, quindi il flusso di sangue riassume un comportamento laminare e non si sente più alcun rumore: questo valore pressorio rappresenta la pressione minima.
Questo metodo di misurazione “esterno” presenta un certo grado di errore, dato dal fatto che anche i tessuti circostanti esercitano una certa pressione sull’arteria;
ma poiché questa pressione è molto bassa (1-2mmHg), l’errore è accettabile e il metodo risulta comunque affidabile.
1) tramite media aritmetica (pressione massima e minima diviso due): è un metodo impreciso perché il tempo durante il quale la pressione è bassa è molto più lungo del tempo durante il quale la pressione è alta.
2) si può fare un calcolo più dettagliato tramite un integrale: considera l’area sottesa al tracciato della pressione;
3) mediante espressione, che considera la pressione arteriosa media come data dalla pressione diastolica + 1/3 della differenziale. Questo calcolo, su un soggetto normale, ha una variazione di 5mmHg rispetto alla media matematica, margine di errore assolutamente trascurabile. Se il soggetto però ha una massima e una minima divaricate, come accade nel caso di aterosclerosi, la differenza comincia ad essere sostanziale.
1) La classica: pressione minima e pressione massima
2) Pressione arteriosa media, sulla quale bisogna regolarsi per valutare come l’individuo sta complessivamente. Se la PAV scende sotto un certo valore, intorno agli 80mmHg la situazione è preoccupante, se scende sotto i 60 mmHg la situazione è molto preoccupante.
3) La differenziale, ovvero la differenza tra massima e minima.
Se la differenziale è molto elevata, cioè le due pressioni si divaricano troppo, l’elasticità arteriosa, che in questi soggetti è già deficitaria, difficilmente riuscirà a smorzare le oscillazioni e si avrà un circolo pulsatorio anche nei capillari.
Gli eventi di immagazzinamento di sangue nelle arterie (sistole) e di successivo svuotamento e propulsione del sangue (diastole) si ripetono in modo continuo lungo tutte le arterie dando origine all’onda sfigmica.
L’onda sfigmica si trasmette l’unico le pareti o elastiche elle arterie a velocità 10 volte superiore della velocità del sangue e può essere percepita come pulsazione a livello delle arterie periferiche.
QUINDI: quando si percepisce la pulsazione a livello dell’arteria radiale al polso, l’onda sfigmica è la vibrazione che è posta dall’eiezione cardiaca che fa vibrare la parete.
Il POLSO VENOSO risulta essere l’oscillazione che si registra a livello delle vene. La PRESSIONE ARTERIOSA dipende principalmente dal ventricolo; L’OSCILLAZIONE PRESSORIA DELLE VENE dipende dall’atrio.
1) Innanzitutto ci sono differenze relative al raggio interno: si passa da dimensioni in cm, a livello di arterie e vene, a dimensioni in μm, a livello dei capillari.
2) Sono poi rilevanti le differenze nel numero di unità vascolari: - passando dalle grosse arterie ai capillari si ha un fenomeno di divergenza (cioè un singolo vaso dà origine a una serie di ramificazioni, quindi il letto vasale aumenta, mentre il raggio si riduce):
- passando dai capillari alle grosse vene si ha un fenomeno di convergenza (cioè più vasi confluiscono in vasi più grandi, quindi si riduce il letto vasale, mentre il raggio aumenta)
3) Ci sono poi anche differenze rilevanti per quanto riguarda l’area aggregata:
si passa:
- da una sezione di 4cm2 nell’aorta;
- a un’area di letto totale nei capillari aperti pari a 2800cm2.
4) Tali differenze nell’area aggregata comportano di conseguenza differenze nella velocità:
si passa da una velocità elevata (21cm/s) nelle arterie, a una velocità assai ridotta (0,03cm/s) nei
capillari, funzionale agli scambi di sostanze con i tessuti.
5) Naturalmente è invece costante il flusso (83cm3/s) in tutti i tipi di vasi, proprio perché all’aumentare dell’area aggregata diminuisce la velocità.
6) Ci sono differenze per quanto riguarda i valori pressori:
si passa da:
- 95mmHg nelle arterie;
- a 60mmHg nelle arteriole; - a 25mmHg nei capillari;
- a 5mmHg nelle vene;
7) Ci sono poi importanti differenze nella distribuzione del volume ematico nei diversi comparti del sistema cardiocircolatorio.
Queste differenze di distribuzione sono relative al tipo di circolazione: - l’85% del volume ematico si trova nel circolo sistemico;
- il 10% nel circolo polmonare;
- il 5% nelle camere cardiache.
Queste differenze di distribuzione sono relative al tipo di circolazione: - l’85% del volume ematico si trova nel circolo sistemico;
- il 10% nel circolo polmonare;
- il 5% nelle camere cardiache.
La diversa distribuzione di sangue è relativa anche alla pressione e alla compliance dei vasi: - il 15% del volume ematico si trova nei vasi ad alta pressione che hanno bassa distensibilità;
- l’80% del volume ematico si trova nei vasi a bassa pressione che hanno alta distensibilità;
- il 5% nelle camere cardiache.
La distribuzione del volume ematico è differente anche a secondo del tipo di vaso; dell’85% di volume ematico che si trova nel circolo sistemico:
- il 13% si trova nelle arterie sistemiche;
- il 2% nelle arteriole;
- il 5% nei capillari (perché molti sono chiusi); - il 65 % nelle vene.
si passa da:
- 95mmHg nelle arterie;
- a 60mmHg nelle arteriole; - a 25mmHg nei capillari;
- a 5mmHg nelle vene;
l’andamento pressorio nel circolo sistemico ha quindi un andamento a S italica:
- ci sono una parte iniziale (arterie) e una parte finale (vene) quasi piatte, in cui il valore pressorio si mantiene più o meno costante;
- c’è una parte centrale (arteriole) in cui la pressione precipita, perché le arteriole rappresentano una strettoia in cui il sangue deve passare e “mangiano” gran parte dell’energia impressa al sangue da parte del cuore.
si passa:
- da vasi presenti in singola quantità (come aorta e vena cava);
- a migliaia di piccole arterie e vene;
- fino a valori dell’ordine di 10^7 per quanto riguarda le arteriole; - 10^10 per quanto riguarda i capillari;
è stato stimato che su un totale di 4x10^10 capillari, solo 1x10^10 (cioè il 25%) sono aperti in condizioni di riposo, mentre gli altri vengono chiusi grazie agli sfinteri pre-capillari, altrimenti tutto il volume ematico sarebbe sequestrato dal letto capillare e non ci sarebbe ritorno venoso né gittata cardiaca (si parla infatti di “lago capillare”).
Quindi:
- passando dalle grosse arterie ai capillari si ha un fenomeno di divergenza (cioè un singolo vaso dà origine a una serie di ramificazioni, quindi il letto vasale aumenta, mentre il raggio si riduce):
- passando dai capillari alle grosse vene si ha un fenomeno di convergenza (cioè più vasi confluiscono in vasi più grandi, quindi si riduce il letto vasale, mentre il raggio aumenta).
si passa:
- da una sezione di 4cm2 nell’aorta;
- a un’area di letto totale nei capillari aperti pari a 2800cm2.
4) Tali differenze nell’area aggregata comportano di conseguenza differenze nella velocità:
si passa da una velocità elevata (21cm/s) nelle arterie, a una velocità assai ridotta (0,03cm/s) nei
capillari, funzionale agli scambi di sostanze con i tessuti.
5) Naturalmente è invece costante il flusso (83cm3/s) in tutti i tipi di vasi, proprio perché all’aumentare dell’area aggregata diminuisce la velocità.
perché sono dotate di:
- grande elasticità;
- compliance relativamente bassa;
[in realtà elasticità e compliance sono sinonimi, ma si intende che la compliance delle arterie è poco cedevole, al contrario di quella cedevole delle vene];
PER CUI: si lasciano distendere poco dal sangue e durante la sistole immagazzinano volume ematico ed energia pressoria, che restituiscono durante la diastole per permettere la propulsione del sangue anche in fase diastolica;
quindi le arterie redistribuiscono energia e volume ematico per smorzare le oscillazioni fra sistolica e diastolica, così da garantire un flusso continuo e non pulsatile ai capillari;
perché sono una strettoia in cui il sangue deve passare, quindi offrono un’elevata resistenza al passaggio di sangue e determinano un crollo pressorio, perché il flusso deve rimanere costante e F=DP/R:
poiché la resistenza è il parametro utilizzato per controllare il flusso ed è a livello delle arteriole che si gioca la resistenza del sistema cardiovascolare, le arteriole sono i principali regolatori di flusso;
sono dotate di una muscolatura liscia sufficientemente spessa da vincere la transmurale, perché sono i vasi che saranno costretti per regolare il flusso;
perché sono dotate di elevata compliance, quindi possono dilatarsi molto e ospitare una grande quantità di sangue pari al 65%;
per questo si parla di “serbatoio venoso”.
si possono avere:
- situazioni in cui i vasi sono disposti in serie;
- situazioni in cui i vasi sono disposti in parallelo.
Nel caso delle resistenze in serie, si ha un vaso che va progressivamente restringendosi: la sezione si riduce quindi la resistenza aumenta (si parla di “resistenza”);
la resistenza totale è data dalla somma delle singole resistenze nei singoli restringimenti: Rtot=R1+R2+R3...;
è il caso delle arteriole, che rappresentano delle strozzature in cui il diametro vasale diminuisce e quindi si verifica un netto aumento della resistenza (vasi a resistenza) che viene sfruttata per regolare il flusso e indirizzarlo nei vari distretti.
Nel caso delle resistenze in parallelo, si ha un vaso che si dirama in altri vasi:
la sezione totale aumenta quindi la resistenza diminuisce (si parla di “conduttanza”);
la resistenza totale è data dalla somma dei reciproci delle singole resistenze nelle singole ramificazioni: Rtot= 1/R1 + 1/R2 + 1/R3...;
è il caso dei capillari, in cui l’area di letto aumenta esponenzialmente e quindi si riduce moltissimo la resistenza.
Nel nostro organismo le due architetture sono presenti contemporaneamente, il risultato in termini di resistenza dipenderà da come questi due aspetti si bilanciano fra loro, per cui ci saranno comparti ad alta resistenza e comparti a bassa resistenza.
nelle arterie la pressione si mantiene più o meno costante grazie alla spinta del cuore e alle proprietà elastiche della parete arteriosa, quindi il crollo pressorio è minimo perché minime sono le resistenze offerte al passaggio di sangue;
poi nelle arteriole si verifica un brusco crollo pressorio perché le arteriole sono i vasi che offrono la massima resistenza al passaggio di sangue, dal momento che c’è un restringimento del calibro vasale (resistenze in serie);
poi la pressione continua a calare ma il crollo pressorio è meno netto nei capillari perché la resistenza va diminuendo dal momento che aumenta il letto vasale (resistenze in parallelo);
fino alle vene in cui la pressione rimane più o meno costante.
Situazione di vasocostrizione -> in seguito ad emorragia [curva superiore-inferiore]:
le arteriole si costringono grazie alla loro spessa muscolatura, quindi si riduce ulteriormente il diametro, aumenta la resistenza, il crollo pressorio diventa più brusco;
nelle arterie aumenta la pressione perché il sangue si ingorga;
nei capillari diminuisce la pressione perché arriva meno sangue;
quindi una vasocostrizione comporta sempre: - un aumento pressorio a monte;
- un calo pressorio a valle.
Situazione di vasodilatazione -> caldo eccessivo [curva inferiore-superiore]:
la muscolatura liscia dell’arteriola si rilassa, quindi questa offre minore resistenza al passaggio di sangue, quindi il calo pressorio è meno brusco e il sangue si muove più facilmente dalle arterie ai capillari:
per cui le arterie si svuotano e la loro pressione diventa più bassa;
i capillari si riempiono e la loro pressione sale
quindi una vasodilatazione comporta sempre: - un calo pressorio a monte;
- un aumento pressorio a valle.
se in un distretto ho vasocostrizione riduco gli scambi;
se ho vasodilatazione aumento gli scambi in quel distretto;
Se la vasocostrizione e vasodilatazione sono sistemiche e si ha un aumento o diminuzione di resistenza sistemica, allora gli effetti sono anche a monte. Quando invece la vasodilatazione e la vasocostrizione sono locali, abbiamo un effetto locale importante ma a monte non ce ne si accorge
- letto arteriolare e letto capillare separati da una resistenza in ingresso (R1) che dipende dalla vasocostrizione arteriolare;
- letto capillare e letto venulare separati da una resistenza in uscita (R2) che dipende da qualunque fattore ostacoli il passaggio di sangue dal capillare all’atrio.
Per quanto riguarda R1:
1. se questa aumenta (per vasocostrizione), si crea: - un aumento pressorio nell’arteriola (a monte);
- un calo pressorio nel capillare (a valle);
quindi arriva meno sangue nel capillare e sono sfavoriti gli scambi;
2. se questa diminuisce (per rilassamento), si crea: - un calo pressorio nell’arteriola (a monte);
- un aumento pressorio nel capillare (a valle);
quindi arriva più sangue al capillare e sono favoriti gli scambi.
Quindi la resistenza in ingresso regola quanto sangue nell’unità di tempo arriva nel capillare per gli scambi e con che pressione.
Per quanto riguarda R2:
1. se questa aumenta, si crea:
- un aumento pressorio nel capillare (a monte); -un calo pressorio nella venula (a valle);
il sangue ha difficoltà a uscire dal capillare e quindi tenderà ad accumularsi;
2. se invece questa diminuisce si crea:
- un calo pressorio nel capillare (a monte);
- un aumento pressorio nella venula (a valle);
il sangue esce più facilmente dal capillare e fluisce verso il comparto venoso.
Quindi la resistenza in uscita regola quanto sangue nell’unità di tempo se ne va dal capillare alla venula.
1. se questa aumenta (per vasocostrizione), si crea: - un aumento pressorio nell’arteriola (a monte);
- un calo pressorio nel capillare (a valle);
quindi arriva meno sangue nel capillare e sono sfavoriti gli scambi;
2. se questa diminuisce (per rilassamento), si crea: - un calo pressorio nell’arteriola (a monte);
- un aumento pressorio nel capillare (a valle);
quindi arriva più sangue al capillare e sono favoriti gli scambi.
Quindi la resistenza in ingresso regola quanto sangue nell’unità di tempo arriva nel capillare per gli scambi e con che pressione.
1. se questa aumenta, si crea:
- un aumento pressorio nel capillare (a monte); -un calo pressorio nella venula (a valle);
il sangue ha difficoltà a uscire dal capillare e quindi tenderà ad accumularsi;
2. se invece questa diminuisce si crea:
- un calo pressorio nel capillare (a monte);
- un aumento pressorio nella venula (a valle);
il sangue esce più facilmente dal capillare e fluisce verso il comparto venoso.
Quindi la resistenza in uscita regola quanto sangue nell’unità di tempo se ne va dal capillare alla venula.
perché trascura un parametro che invece contribuisce in maniera importante alla regolazione emodinamica e che modifica la legge di Ohm: l’ELASTICITÀ (o compliance).
Questa è garantita da una serie di elementi che compongono la parete vasale:
1. elastina-> (contributo principale all’elasticità del vaso, estendibile molte volte la sua lunghezza; 2. muscolo liscio -> elemento attivo, dotato di estensibilità variabile;
3. il collagene che forma l’avventizia è invece rigido e serve a proteggere il vaso da dilatazioni eccessive che porterebbero allo scompaginamento della struttura e da dilatazioni prolungate che porterebbero allo sfiancamento del vaso e alla perdita delle sue proprietà elastiche.
4. Endotelio -> ha estensione notevole e garantisce permeabilità.
Questa è garantita da una serie di elementi che compongono la parete vasale:
1. elastina-> (contributo principale all’elasticità del vaso, estendibile molte volte la sua lunghezza; 2. muscolo liscio -> elemento attivo, dotato di estensibilità variabile;
3. il collagene che forma l’avventizia è invece rigido e serve a proteggere il vaso da dilatazioni eccessive che porterebbero allo scompaginamento della struttura e da dilatazioni prolungate che porterebbero allo sfiancamento del vaso e alla perdita delle sue proprietà elastiche.
4. Endotelio -> ha estensione notevole e garantisce permeabilità.
- semplifica notevolmente il modello resistivo e rende la legge di Ohm molto efficace nel descrivere
qualitativamente il sistema cardiovascolare;
- tuttavia non la rende adeguata ad una descrizione quantitativa del sistema, perché trascura un parametro che invece contribuisce in maniera importante alla regolazione emodinamica e che modifica la legge di Ohm: l’ELASTICITÀ (o compliance).
i la pressione transmurale sfrutta proprio l’elasticità: tale pressione infatti spinge contro le pareti provocando una dilatazione e ne consegue che, essendo il vaso elastico, se essa non è sufficientemente alta, il vaso collassa e si richiude.
Inoltre l’elasticità modifica la legge di Ohm, facendo sì che la relazione fra il flusso e la pressione nella realtà non sia lineare.
- nell’approssimazione assunta dal modello resistivo (linea tratteggiata), è una retta: all’aumentare della pressione aumenta linearmente il flusso secondo un coefficiente dato dal reciproco della resistenza (pendenza della retta è data da angolo pari a 1/R).
- nella realtà non è rappresentato da una retta, ma da una curva e si possono distinguere diversi casi:
1) Nel caso in cui il vaso sia passivo cioè la contrazione della muscolatura liscia sia nulla per l’assenza di stimolazione simpatica, si ha la curva ha una pendenza maggiore e parte un po’ più avanti
2) Nel caso in cui via sia contrazione della muscolatura liscia in seguito a stimolazione simpatica basale, si ha la curva più bassa rispetto alla curva precedente, cioè ha una pendenza minore e parte un po’ più avanti
3) Nel caso di stimolazione simpatica intensa (che si verifica ad esempio per compensare una situazione emorragica) la curva è schiacciata verso il basso e spostata ancora più avanti, quindi ha una pendenza ancora minore e ha una pressione critica di chiusura ancora maggiore.
1) Nel caso in cui il vaso sia passivo cioè la contrazione della muscolatura liscia sia nulla per l’assenza di stimolazione simpatica, si ha la prima curva che presenta delle differenze rispetto alla retta della legge di Ohm:
- essa ha una pendenza maggiore (l’aumento della pressione di spinta aumenta il flusso più di quanto sia espresso dalla legge di Ohm) perché se aumenta la pressione di spinta, aumenta anche la pressione transmurale, quindi per l’elasticità del vaso aumenta anche il raggio vasale, quindi diminuisce la resistenza, quindi aumenta il coefficiente 1/R;
- essa parte un po’ più avanti, poiché presenta un valore pressorio (detto pressione critica di chiusura) in corrispondenza del quale, pur essendoci pressione, non c’è flusso: esso rappresenta quel valore minimo di pressione (in questo caso pari a 7-8mmHg) che serve non a creare flusso, ma a dilatare il vaso, dal momento che per la sua elasticità il vaso tenderebbe a collassare su stesso e serve una certa pressione per aprirlo.
2) Nel caso in cui via sia contrazione della muscolatura liscia in seguito a stimolazione simpatica basale, si ha la curva centrale, che presenta delle differenze rispetto alla curva precedente ma è comunque diversa rispetto alla retta della legge di Ohm:
- essa è più bassa rispetto alla curva precedente, cioè ha una pendenza minore, perché in questo caso l’effetto dell’elasticità (che prima, con l’aumento della transmurale, determinava un aumento del diametro vasale e quindi una diminuzione della resistenza) è diminuito dall’irrigidimento della parete vasale dovuto allo stato contratto della muscolatura liscia, quindi la dilatazione è minore, la resistenza diminuisce di meno e il coefficiente 1/R è un po’ più basso;
- essa parte un po’ più avanti anche rispetto alla curva precedente, cioè ha una pressione critica di chiusura più alta, perché all’effetto della forza elastica che tende a chiudere il vaso si aggiunge anche la contrazione della muscolatura liscia che tende ancora di più a chiuderlo, quindi servirà un valore pressorio più alto per aprire il vaso e determinare il flusso.
3) Nel caso di stimolazione simpatica intensa (che si verifica ad esempio per compensare una situazione emorragica) questa situazione si esaspera e si ottiene la curva inferiore:
- questa è schiacciata verso il basso e spostata ancora più avanti, quindi ha una pendenza ancora minore;
- ha una pressione critica di chiusura ancora maggiore.
Le situazioni in cui la stimolazione simpatica è così importante sono correlate ad un ingente calo pressorio importante, come un’emorragia; questo, quindi, non è correlato ad un mancato pompaggio del cuore, ma risiede nella massa di sangue che abbiamo perso, dunque un calo della volemia.
si ha una curva che presenta delle differenze rispetto alla retta della legge di Ohm:
- essa ha una pendenza maggiore (l’aumento della pressione di spinta aumenta il flusso più di quanto sia espresso dalla legge di Ohm) perché se aumenta la pressione di spinta, aumenta anche la pressione transmurale, quindi per l’elasticità del vaso aumenta anche il raggio vasale, quindi diminuisce la resistenza, quindi aumenta il coefficiente 1/R;
- essa parte un po’ più avanti, poiché presenta un valore pressorio (detto pressione critica di chiusura) in corrispondenza del quale, pur essendoci pressione, non c’è flusso: esso rappresenta quel valore minimo di pressione (in questo caso pari a 7-8mmHg) che serve non a creare flusso, ma a dilatare il vaso, dal momento che per la sua elasticità il vaso tenderebbe a collassare su stesso e serve una certa pressione per aprirlo.
si ha la curva centrale, che presenta delle differenze rispetto alla curva precedente ma è comunque diversa rispetto alla retta della legge di Ohm:
- essa è più bassa rispetto alla curva precedente, cioè ha una pendenza minore, perché in questo caso l’effetto dell’elasticità (che prima, con l’aumento della transmurale, determinava un aumento del diametro vasale e quindi una diminuzione della resistenza) è diminuito dall’irrigidimento della parete vasale dovuto allo stato contratto della muscolatura liscia, quindi la dilatazione è minore, la resistenza diminuisce di meno e il coefficiente 1/R è un po’ più basso;
- essa parte un po’ più avanti anche rispetto alla curva precedente, cioè ha una pressione critica di chiusura più alta, perché all’effetto della forza elastica che tende a chiudere il vaso si aggiunge anche la contrazione della muscolatura liscia che tende ancora di più a chiuderlo, quindi servirà un valore pressorio più alto per aprire il vaso e determinare il flusso.
si ottiene la curva inferiore:
- questa è schiacciata verso il basso e spostata ancora più avanti, quindi ha una pendenza ancora minore;
- ha una pressione critica di chiusura ancora maggiore.
Le situazioni in cui la stimolazione simpatica è così importante sono correlate ad un ingente calo pressorio importante, come un’emorragia; questo, quindi, non è correlato ad un mancato pompaggio del cuore, ma risiede nella massa di sangue che abbiamo perso, dunque un calo della volemia.
Il sangue (con gittata classica di 5L/m) farà fatica ad arrivare nei vari distretti, arrivando, dove arriva, a bassa pressione; gli scambi saranno dunque fortemente inficiati.
Un altro fenomeno è il forte aumento della pressione critica di occlusione (o di apertura) Che significa che sotto stimolazione simpatica il flusso è comunque diminuito, per la vasocostrizione, ma oltre ad essere diminuito il flusso in alcuni punti manca totalmente, perché il sangue non ha abbastanza forza per poter superare la tendenza del vaso a chiudersi.
Quindi, il forte aumento della pressione critica di chiusura fa si che in molti tessuti abbiamo un’ischemia importante.
Quindi è un meccanismo che nasce per aiutare l’organismo, ma se portato all’estremo induce uno scompenso: detto compenso scompensante (compenso perché mira a compensare il sistema, scompensante perché facendolo disequilibra ancora di più.
l’elasticità. se fosse precisa la legge di Ohm (approssimazione vasi condotti rigidi), la curva della pressione e quella del flusso sarebbero identiche, solo scalate di un fattore pari al reciproco della resistenza, invece nella realtà il loro andamento è diverso;
Grafico flusso – pressione è una curva chevparte un po’ più avanti rispetto alla curva precedente (caso in cui il vaso sia passivo cioè la contrazione della muscolatura liscia sia nulla per l’assenza di stimolazione simpatica), cioè ha una pressione critica di chiusura più alta, perché all’effetto della forza elastica che tende a chiudere il vaso si aggiunge anche la contrazione della muscolatura liscia che tende ancora di più a chiuderlo, quindi servirà un valore pressorio più alto per aprire il vaso e determinare il flusso. Nel caso di stimolazione simpatica intensa (che si verifica ad esempio per compensare una situazione emorragica) questa situazione si esaspera e si ha una pressione critica di chiusura ancora maggiore. forte aumento della pressione critica di occlusione (o di apertura) Che significa che sotto stimolazione simpatica il flusso è comunque diminuito, per la vasocostrizione, ma oltre ad essere diminuito il flusso in alcuni punti manca totalmente, perché il sangue non ha abbastanza forza per poter superare la tendenza del vaso a chiudersi.
Quindi, il forte aumento della pressione critica di chiusura fa si che in molti tessuti abbiamo un’ischemia importante.
Quindi è un meccanismo che nasce per aiutare l’organismo, ma se portato all’estremo induce uno scompenso: detto compenso scompensante (compenso perché mira a compensare il sistema, scompensante perché facendolo disequilibra ancora di più.
Il nostro organismo vaso costringe tutti i vasi, in caso di marcata diminuzione di volemia, dilatando quelli relativi a circoli protetti, cercando di dirottare il poco di sangue che c’è dove è realmente indispensabile, ovvero nel:
- Circolo renale,
- Circolo cerebrale - Circolo coronarico.
Il nostro organismo vaso costringe tutti i vasi, in caso di marcata diminuzione di volemia, dilatando quelli relativi a circoli protetti, cercando di dirottare il poco di sangue che c’è dove è realmente indispensabile, ovvero nel:
- Circolo renale,
- Circolo cerebrale - Circolo coronarico.
Lo attua attraverso una forte stimolazione simpatica a cui consegue un forte aumento della pressione critica di occlusione (o di apertura) Che significa che sotto stimolazione simpatica il flusso è comunque diminuito, per la vasocostrizione, ma oltre ad essere diminuito il flusso in alcuni punti manca totalmente, perché il sangue non ha abbastanza forza per poter superare la tendenza del vaso a chiudersi.
Quindi, il forte aumento della pressione critica di chiusura fa si che in molti tessuti abbiamo un’ischemia importante.
Quindi è un meccanismo che nasce per aiutare l’organismo, ma se portato all’estremo induce uno scompenso: detto compenso scompensante (compenso perché mira a compensare il sistema, scompensante perché facendolo disequilibra ancora di più.
Hooke, che introdusse il concetto secondo cui vi è una diretta proporzionalità fra la forza applicata a una struttura elastica e l’allungamento da essa subito; la costante di proporzionalità in questa relazione forza-allungamento è chiamata costante di Hooke e dipende dalla natura del materiale stesso;
quindi l’aspetto a cui si riferisce Hooke è di quanto si allunga una struttura elastica, cioè il grado di allungamento.
Questo concetto venne in parte modificato da Young, che introdusse il cosiddetto modulo di Young, che esprime invece la frazione di allungamento, cioè di quanto una struttura si allunga rispetto alla propria lunghezza iniziale.
In condizioni di elasticità ideale questo rapporto è lineare, fino ad un punto di rottura.
Il grado di distensibilità è diverso nelle arterie e nelle vene, come evidente dal grafico che ha:
- in ascisse la pressione transmurale (approssimativamente simile alla pressione interna, perché la pressione esterna dei tessuti circostanti è trascurabile);
- in ordinate il volume relativo (cioè di quanto aumenta il volume) di questi vasi.
Nel caso delle arterie, si può avere un aumento di pressione fino a circa 200mmHg, quindi si tratta di vasi ad alta pressione;
la compliance ha un comportamento lineare, quindi all’aumentare della pressione, si ha un aumento più o meno lineare del volume, fino ad una pressione di circa 200mHg;
in corrispondenza di questa pressione la dilatazione del diametro vasale è massima e subentra il collagene dell’avventizia per evitare un’ulteriore dilatazione che porterebbe allo scompaginamento della struttura. Il fatto che siano necessarie pressioni così alte per raggiungere il massimo grado di dilatazione, significa che le arterie si lasciano dilatare poco, quindi le arterie hanno bassa compliance;
la conseguenza di ciò è che nelle arterie si verifica sia aumento volumico sia aumento pressorio.
Inoltre nelle arterie la parete vasale ha una struttura più rigida che consente una forma del vaso sempre circolare, quindi l’aumento di volume coincide effettivamente con un aumento di diametro del vaso. Invece nelle vene la pressione rimane sempre a valori piuttosto bassi, fino a circa 50mmHg, quindi si tratta di vasi a bassa pressione;
in questo caso la compliance ha un comportamento differente, sempre lineare ma con una pendenza molto maggiore, perché a piccoli aumenti di pressione corrispondono enormi variazioni di volume, fino ad arrivare ad una pressione massima di circa 50mmHg, oltre la quale la curva si appiattisce;
Questo accade perché si raggiunge il valore pressorio in corrispondenza del quale si ha il diametro massimo e subentra il collagene dell’avventizia per evitare un’ulteriore dilatazione
che porterebbe allo scompaginamento della struttura.
Il fatto che siano sufficienti pressioni così basse per raggiungere il massimo grado di dilatazione, significa che le vene si lasciano dilatare moltissimo, quindi le vene hanno alta compliance;
la conseguenza di ciò è che nelle vene si verifica solo un aumento volumico, mentre l’aumento pressorio è quasi nullo.
Inoltre nelle vene la parete vasale ha una struttura meno rigida che dà al vaso una forma più irregolare, quindi l’aumento di volume coincide non tanto con un aumento di diametro, quanto piuttosto con un cambiamento del profilo del vaso.
- in ascisse la pressione transmurale (approssimativamente simile alla pressione interna, perché la pressione esterna dei tessuti circostanti è trascurabile);
- in ordinate il volume relativo (cioè di quanto aumenta il volume) di questi vasi.
Nel caso delle arterie, si può avere un aumento di pressione fino a circa 200mmHg, quindi si tratta di vasi ad alta pressione;
la compliance ha un comportamento lineare, quindi all’aumentare della pressione, si ha un aumento più o meno lineare del volume, fino ad una pressione di circa 200mHg;
in corrispondenza di questa pressione la dilatazione del diametro vasale è massima e subentra il collagene dell’avventizia per evitare un’ulteriore dilatazione che porterebbe allo scompaginamento della struttura. Il fatto che siano necessarie pressioni così alte per raggiungere il massimo grado di dilatazione, significa che le arterie si lasciano dilatare poco, quindi le arterie hanno bassa compliance;
la conseguenza di ciò è che nelle arterie si verifica sia aumento volumico sia aumento pressorio.
Inoltre nelle arterie la parete vasale ha una struttura più rigida che consente una forma del vaso sempre circolare, quindi l’aumento di volume coincide effettivamente con un aumento di diametro del vaso
- in ascisse la pressione transmurale (approssimativamente simile alla pressione interna, perché la pressione esterna dei tessuti circostanti è trascurabile);
- in ordinate il volume relativo (cioè di quanto aumenta il volume) di questi vasi.
nelle vene la pressione rimane sempre a valori piuttosto bassi, fino a circa 50mmHg, quindi si tratta di vasi a bassa pressione;
in questo caso la compliance ha un comportamento differente, sempre lineare ma con una pendenza molto maggiore, perché a piccoli aumenti di pressione corrispondono enormi variazioni di volume, fino ad arrivare ad una pressione massima di circa 50mmHg, oltre la quale la curva si appiattisce;
Questo accade perché si raggiunge il valore pressorio in corrispondenza del quale si ha il diametro massimo e subentra il collagene dell’avventizia per evitare un’ulteriore dilatazione
che porterebbe allo scompaginamento della struttura.
Il fatto che siano sufficienti pressioni così basse per raggiungere il massimo grado di dilatazione, significa che le vene si lasciano dilatare moltissimo, quindi le vene hanno alta compliance;
la conseguenza di ciò è che nelle vene si verifica solo un aumento volumico, mentre l’aumento pressorio è quasi nullo.
Inoltre nelle vene la parete vasale ha una struttura meno rigida che dà al vaso una forma più irregolare, quindi l’aumento di volume coincide non tanto con un aumento di diametro, quanto piuttosto con un cambiamento del profilo del vaso.
, perché maggiore è la tensione che deve essere sviluppata, maggiore è la componente elastica.
La tensione che un vaso deve sviluppare è una forza che si oppone allo stiramento circonferenziale del vasale, cioè alla pressione transmurale che tende a dilatarlo (in realtà il vaso è sottoposto a stiramento circonferenziale, longitudinale e radiale, ma la dimensione circonferenziale è quella che viene maggiormente allungata).
Nel caso dei vasi la legge di Laplace trascura lo spessore della parete, poiché questo è minimo, quindi considera che la tensione dipenda da:
- pressione;
- raggio vasale;
T = DP × r
per cui il vaso dovrà sviluppare una tensione tanto maggiore, quanto maggiore è la pressione all’interno o il raggio vasale (quindi una rottura vasale può essere dovuta a tensione inadeguata, pressione eccessiva, raggio troppo grande che impedisce di sviluppare tensione).
Poiché una maggiore tensione da sviluppare comporta una maggiore componente elastica nel vaso, e poiché la tensione dipende da raggio e pressione, si hanno delle differenze nelle strutture elastiche a seconda del tipo di vaso:
- le arterie sono dotate sia di grande raggio che di alta pressione, quindi la componente elastica nella loro parete è massima;
- i capillari sono dotati sia di piccolo raggio che di bassa pressione quindi non hanno componenti elastiche nella parete (infatti se aumenta troppo la pressione nei capillari, questi si rompono, ma la rottura non è grave perché viene subito riassorbita);
- le vene sono dotate di bassa pressione ma hanno un grande raggio, quindi presentano una notevole componente elastica nella loro parete, ma inferiore rispetto alle arterie.
La tensione che un vaso deve sviluppare è una forza che si oppone allo stiramento circonferenziale del vasale, cioè alla pressione transmurale che tende a dilatarlo (in realtà il vaso è sottoposto a stiramento circonferenziale, longitudinale e radiale, ma la dimensione circonferenziale è quella che viene maggiormente allungata).
Si può immaginare la tensione come la forza che tiene uniti i due lembi di un ipotetico taglio sulla parete vasale, mentre la pressione è la forza che spinge sulle pareti e tenderebbe a dilatare i lembi;
quindi da un lato la pressione transmurale tendere a sfondare la parete del vaso, dall’altro la tensione tende a mantenerla integra.
Nel caso dei vasi la legge di Laplace trascura lo spessore della parete, poiché questo è minimo, quindi considera che la tensione dipenda da:
- pressione;
- raggio vasale;
T = DP × r
per cui il vaso dovrà sviluppare una tensione tanto maggiore, quanto maggiore è la pressione all’interno o il raggio vasale (quindi una rottura vasale può essere dovuta a tensione inadeguata, pressione eccessiva, raggio troppo grande che impedisce di sviluppare tensione).
Poiché una maggiore tensione da sviluppare comporta una maggiore componente elastica nel vaso, e poiché la tensione dipende da raggio e pressione, si hanno delle differenze nelle strutture elastiche a seconda del tipo di vaso:
- le arterie sono dotate sia di grande raggio che di alta pressione, quindi la componente elastica nella loro parete è massima;
- i capillari sono dotati sia di piccolo raggio che di bassa pressione quindi non hanno componenti elastiche nella parete (infatti se aumenta troppo la pressione nei capillari, questi si rompono, ma la rottura non è grave perché viene subito riassorbita);
- le vene sono dotate di bassa pressione ma hanno un grande raggio, quindi presentano una notevole componente elastica nella loro parete, ma inferiore rispetto alle arterie.
Nel caso dei vasi la legge di Laplace trascura lo spessore della parete, poiché questo è minimo, quindi considera che la tensione dipenda da:
- pressione;
- raggio vasale;
T = DP × r
per cui il vaso dovrà sviluppare una tensione tanto maggiore, quanto maggiore è la pressione all’interno o il raggio vasale (quindi una rottura vasale può essere dovuta a tensione inadeguata, pressione eccessiva, raggio troppo grande che impedisce di sviluppare tensione).
Poiché una maggiore tensione da sviluppare comporta una maggiore componente elastica nel vaso, e poiché la tensione dipende da raggio e pressione, si hanno delle differenze nelle strutture elastiche a seconda del tipo di vaso:
- le arterie sono dotate sia di grande raggio che di alta pressione, quindi la componente elastica nella loro parete è massima;
- i capillari sono dotati sia di piccolo raggio che di bassa pressione quindi non hanno componenti elastiche nella parete (infatti se aumenta troppo la pressione nei capillari, questi si rompono, ma la rottura non è grave perché viene subito riassorbita);
- le vene sono dotate di bassa pressione ma hanno un grande raggio, quindi presentano una notevole componente elastica nella loro parete, ma inferiore rispetto alle arterie.
si basano sulla legge di Laplace che nel caso dei vasi trascura lo spessore della parete, poiché questo è minimo, T = DP × r
per cui il vaso dovrà sviluppare una tensione tanto maggiore, quanto maggiore è la pressione all’interno o il raggio vasale (quindi una rottura vasale può essere dovuta a tensione inadeguata, pressione eccessiva, raggio troppo grande che impedisce di sviluppare tensione).
Poiché una maggiore tensione da sviluppare comporta una maggiore componente elastica nel vaso, e poiché la tensione dipende da raggio e pressione, si hanno delle differenze nelle strutture elastiche a seconda del tipo di vaso:
- le arterie sono dotate sia di grande raggio che di alta pressione, quindi la componente elastica nella loro parete è massima;
- i capillari sono dotati sia di piccolo raggio che di bassa pressione quindi non hanno componenti elastiche nella parete (infatti se aumenta troppo la pressione nei capillari, questi si rompono, ma la rottura non è grave perché viene subito riassorbita);
- le vene sono dotate di bassa pressione ma hanno un grande raggio, quindi presentano una notevole componente elastica nella loro parete, ma inferiore rispetto alle arterie.
L’elasticità serve a:
- garantire la propulsione del sangue anche in fase diastolica;
- permettere un flusso costante e non pulsatile.
Infatti in fase di sistole il ventricolo pompa in arteria più sangue di quanto in quel momento fluisca dalle arterie alle arteriole, quindi parte di esso si accumula nella sezione arteriosa, che in virtù della sua elasticità si dilata, immagazzinando sangue ed energia;
in fase diastolica il ventricolo non pompa più e le arterie, tornando al loro diametro originale, spingono il sangue immagazzinato precedentemente in avanti (quindi in aorta il decadimento pressorio è più lento rispetto al ventricolo, grazie sia all’elasticità che alle resistenze periferiche).
Questa prima funzione della componente elastica è detta “effetto mantice”.
Se questo non avvenisse, cioè se non esistesse l’elasticità arteriosa:
- aumenterebbe la pressione massima (perché l’aorta ruba meno energia);
- diminuirebbe la pressione minima (perché l’aorta restituisce meno energia);
questa divaricazione delle due pressioni (che può avvenire per irrigidimento della parete o per problemi valvolari) comporta un aumento della differenziale (differenza fra pressione massima e minima), tale per cui si genera un’oscillazione di flusso troppo grossa che il sistema non ammortizza, quindi ai capillari arriverà un flusso intermittente in quanto riceveranno il sangue solo in fase sistolica.
non si avrebbe l effetto mantice e qu8ndi
- aumenterebbe la pressione massima (perché l’aorta ruba meno energia);
- diminuirebbe la pressione minima (perché l’aorta restituisce meno energia);
questa divaricazione delle due pressioni (che può avvenire per irrigidimento della parete o per problemi valvolari) comporta un aumento della differenziale (differenza fra pressione massima e minima), tale per cui si genera un’oscillazione di flusso troppo grossa che il sistema non ammortizza, quindi ai capillari arriverà un flusso intermittente in quanto riceveranno il sangue solo in fase sistolica.
- se l’elasticità è eccessiva, il vaso si dilata troppo e si possono creare situazioni aneurismatiche (comparto arterioso) o varicose (comparto venoso);
- se invece l’elasticità è insufficiente, il vaso si dilata troppo poco e risulta troppo rigido per smorzare le oscillazioni, causando problemi a livello del SN (cosa che avviene con l’invecchiamento).
Le caratteristiche elastiche dei vasi non sono invariabili nel tempo: il tessuto della parete vascolare è caratterizzato da fibrocellule muscolari lisce, che potendo modificare il loro stato elettrico e quindi anche il loro stato meccanico, sono in grado di modulare l’elasticità basale.
Nel soggetto anziano, si ha una progressiva perdita di queste caratteristiche elastiche. Con l’avanzata dell’età servono variazioni pressorie più alte per ottenere la stessa dilatazione;
Inoltre si sviluppano tensioni maggiori a causa della: - perdita delle componenti elastiche;
- prevalenza delle componenti connettive. Con l’età, come conseguenza dell’ irrigidimento della parete, si avrà un comportamento della pressione arteriosa simile sia nell’uomo che nella donna. Infatti, la parete necessiterà di una pressione maggiore per essere dilatata e questo comporta che la parete arteriosa andrà a:
- “rubare” meno energia alla frase sistolica;
- accumulare meno sangue dalla fase sistolica;
Come conseguenza la spinta sarà:
- minore in fase diastolica -> pressione diastolica inferiore - maggiore in fase sistolica -> pressione sistolica maggiore
1. sono preposti agli scambi di sostanze e il collagene ne ostacolerebbe il passaggio;
2. il capillare, grazie al suo ridottissimo diametro e quindi all’applicazione della legge di Laplace, riesce a evitare situazioni di rischio in cui la parete può essere sottoposta ad eccessive tensioni.
poiché il parametro che interessa al sistema nervoso è il flusso, il nostro organismo correrà ai ripari, aumentando la pressione massima.
la pressione minima si limita a rimanere intorno ai 70-80mmHg, ma il “prezzo da pagare”, per questo compensamento, sarà una pressione massima che aumenta.
La pressione media rientra nel Range fisiologico;
La pressione pulsatoria (differenza tra massima e minima) varia -> se questa differenza è troppo grossa, a livello dei capillari avremo una pressione pulsatile e conseguentemente un flusso pulsatile.
In alcuni momenti l’apporto nutritivo è adeguato, mentre in fase diastolica, invece, il rapporto nutritivo potrebbe essere inadeguato e avremo sofferenza dei tessuti.
quella rete vascolare formata dal letto vasale deputato agli scambi, cioè:
- principalmente dai capillari;
- dall’ultima porzione delle arteriole; - dalla prima porzione delle venule.
Nell’ambito di questa funzione hanno:
1. un ruolo nutritivo: fornire e rimuovere substrati metabolici;
2. un ruolo non nutritivo:
- filtrazione plasmatica renale;
- termoregolazione a livello della cute - trasporto di segnali chimici
- difesa dal danno tissutale
Ciascuna rete capillare è sovrapposta ad altre in modo tale che nel caso in cui un’arteriola venisse occlusa per trombosi, le altre saranno in grado di garantire alla stessa popolazione cellulare un flusso ematico adeguato.
Ci sono però tre eccezioni:
- sistema nervoso centrale;
- miocardio;
- parete del tubo intestinale;
in cui ci sono arteriole e reti capillari specifiche per ogni area di tessuto: se l’arteriola si occlude, si avranno ischemia e necrosi → infarto cardiaco, cerebrale o intestinale.
nel punto di origine dei capillari sono presenti gli sfinteri precapillari, cioè anellini di tessuto muscolare liscio in grado di contrarsi.
La contrazione è di tipo on/off, non esiste cioè la possibilità di una apertura parziale:
- quando il muscolo è contratto, il capillare è chiuso; - quando il muscolo si rilascia, il capillare si apre.
Questo sistema è fondamentale poiché se tutti i capillari fossero aperti allo stesso istante, gran parte del sangue contenuto nei vasi finirebbe nei capillari, causando uno shock ipotensivo.
L’arteriola e la venula sono collegate da una metarteriola o canale preferenziale, un condotto di calibro leggermente maggiore rispetto ai capillari.
Quando gli sfinteri precapillari sono chiusi, il sangue viene cortocircuitato nella metarteriola, in modo tale da risparmiare sangue, che altrimenti finirebbe nei capillari.
In alcune situazioni ci sono anche delle anastomosi arterovenose, cioè circuiti che saltano di netto la rete capillare.
controllato tramite le resistenze in entrata dalle arteriole terminali. le arteriole hanno diametro di 30 50 µm e si biforcano fino a dare alla quarta quinta generazione le arteriole terminali che hanno diametro di cinque 25 µm da cui si diramano dagli otto ai 50 capillari. le arteriole terminali hanno un'mportante componente muscolare, quindi il calibro vasale può variare → al variare del settore vasale vi è una variazione della pressione. insismee ai capillari che da esse si dipartono formano l unita microvascolare
Dalle arteriole terminali che hanno un diametro di cinque 25 µm e dai capillari che da esse si dipartono che possono essere dagli otto ai 50 capillari
1. Venule post-capillari -> hanno funzione filtrante e si trovano subito dopo ai capillari;
2. Venule collettrici -> costituiscono parte della resistenza in uscita e si trovano subito dopo le venule post-capillari.
1. capillari a parete continua
formati da una membrana basale ininterrotta e da cellule endoteliali strettamente giustapposte tramite giunzioni strette (ad esempio barriera ematoencefalica);
il passaggio di sostanze in questo caso è molto selettivo, perché è permesso solo per via transcellulare tramite meccanismi di endocitosi e esocitosi, per cui i materiali non possono passare tra una cellula e l’altra ma solo attraverso la cellula stessa, che quindi decide quali sostanze possono passare e quali no. 2. capillari fenestrati
presentano delle fenestrature più o meno grandi, in quanto sono formati da una membrana basale ininterrotta e da cellule endoteliali che non sono strettamente giustapposte, ma legate tramite giunzioni aderenti;
il passaggio di sostanze in questo caso è meno selettivo, perché è consentito anche per via paracellulare, per cui le sostanze trovano sufficiente spazio per passare tra una cellula e l’altra.
Il trasporto paracellulare può essere regolato dalla presenza di forze centrifughe e centripete dovute all’actina (individuata all’interno delle membrane basali):
- l’actina contraendosi, determinerà un accorciamento delle cellule endoteliali, permettendo l’apertura di un passaggio tra le due cellule;
- quando avviene il rilascio dell’ actina, le cellule vengono riportate alla loro lunghezza originaria dalle forze centrifughe, date da una serie di strutture molecolari che garantiscono l’adesione tra cellule adiacenti.
3) capillari sinusoidi
presentano delle grandi aperture, in quanto sono formati da una membrana basale con dei pori e
da cellule endoteliali legate tramite giunzioni aderenti;
il passaggio di sostanze in questo caso non è selettivo, perché attraverso questi grandi pori è consentito il passaggio di macromolcole e cellule
presentano delle fenestrature più o meno grandi, in quanto sono formati da una membrana basale ininterrotta e da cellule endoteliali che non sono strettamente giustapposte, ma legate tramite giunzioni aderenti;
il passaggio di sostanze in questo caso è meno selettivo, perché è consentito anche per via paracellulare, per cui le sostanze trovano sufficiente spazio per passare tra una cellula e l’altra.
Il trasporto paracellulare può essere regolato dalla presenza di forze centrifughe e centripete dovute all’actina (individuata all’interno delle membrane basali):
- l’actina contraendosi, determinerà un accorciamento delle cellule endoteliali, permettendo l’apertura di un passaggio tra le due cellule;
- quando avviene il rilascio dell’ actina, le cellule vengono riportate alla loro lunghezza originaria dalle forze centrifughe, date da una serie di strutture molecolari che garantiscono l’adesione tra cellule adiacenti.
formati da una membrana basale ininterrotta e da cellule endoteliali strettamente giustapposte tramite giunzioni strette (ad esempio barriera ematoencefalica);
il passaggio di sostanze in questo caso è molto selettivo, perché è permesso solo per via transcellulare tramite meccanismi di endocitosi e esocitosi, per cui i materiali non possono passare tra una cellula e l’altra ma solo attraverso la cellula stessa, che quindi decide quali sostanze possono passare e quali no.
presentano delle grandi aperture, in quanto sono formati da una membrana basale con dei pori e
da cellule endoteliali legate tramite giunzioni aderenti;
il passaggio di sostanze in questo caso non è selettivo, perché attraverso questi grandi pori è Consentito il passaggio di macro molecole e anche di cellule
Sono invaginazione della parete endoteliale che favoriscono i fenomeni di transcitosi
- può variare i livelli di permeabilità (es: nei processi infiammatori viene prima aumentata per permettere il trasferimento di sostanze dal vaso all’interstizio e poi ridotta)
- può inibire i processi di coagulazione (emostasi).
L’endotelio vasale contribuisce a modulare il grado di contrazione e rilasciamento della muscolatura liscia liberando monossido di azoto, molecola gassosa sempre presente nel sangue, in grado di generare una vasodilatazione di background su cui poi intervengono altri fattori vasodilatatori e vasocostrittori.
nel microcircolo. Anche se si considera l’unità microvascolare come costituita da arteriole, capillari e venule post- capillari (concetto che si basa sull’ organizzazione anatomo-istologica), le effettive sedi di scambio sono:
- i capillari;
- le venule post-capillari;
- in misura molto modesta le venule collettrici;
- in misura ancora più modesta le arteriole terminali.
La superficie di scambio è di circa 1000-1200m2 e gli scambi riguardano gas e sostanze nutritive
Il modello di Krogh è un modello di microcircolo che può essere utilizzato sia in chiave puramente descrittiva sia in chiave quantitativa, per predire come varia lungo il capillare la concentrazione o la pressione parziale di un gas.
Il modello di Krogh considera il tessuto come diviso in tanti cilindri, ciascuno dei quali servito da un capillare in grado di nutrirlo.
Avremo quindi una certa lunghezza del capillare, lungo la quale abbiamo gli scambi e abbiamo un certo raggio, che indica la dimensione del cilindro che questo capillare riesce a nutrire. Allora ogni tessuto può essere considerato un insieme di cilindri, irrorati da un numero equivalente di capillari, in cui ciascun capillare verrà a nutrire un cilindro di raggio r.
Il numero dei cilindri dipenderà dalla densità dei capillari: più i capillari son densi, numerosi, più il raggio del cilindro sarà piccolo, perché i capillari saranno più fitti e più vicini tra loro; un tessuto che metabolicamente consuma l’energia velocemente ha bisogno di un cilindro piccolo, altrimenti le cellule che sono troppo distanti vanno in sofferenza:
Però in condizioni basali solo il 25% dei capillari è aperto, per cui ci sono dei cilindri che ricevono nutrienti da capillari situati in altri cilindri, quindi ci sono porzioni di tessuto, che, essendo più lontane dal capillare, ricevono meno nutrimento dell’unità di tempo;
questa situazione funziona in condizioni basali, ma, se la situazione metabolica locale richiede un maggiore apporto di nutrienti (condizioni di sforzo):
1. si aprono gli sfinteri pre-capillari di altri capillari vicini, quindi si riduce la distanza di diffusione che devono percorrere i nutrienti per raggiungere ciascun cilindro.
2. nel singolo capillare aumentano gli scambi per sopperire alla maggiore richiesta di nutrienti; questo è possibile in virtù del fatto che in condizioni basali viene usato solo il primo 30% del capillare per gli scambi, quindi resta un 70% per effettuare gli scambi sotto sforzo, quando il flusso e la velocità aumentano.
indica quanta sostanza viene sottratta dal sangue capillare rispetto al totale della sostanza trasportata dal sangue;
ad esempio la frazione di estrazione dell’O2 è:
- 30% per i muscoli scheletrici (quindi sotto sforzo gli resta un 70% da poter estrarre per sopperire alle aumentate richieste metaboliche);
- 80% per il muscolo cardiaco (quindi esso è strettamente dipendente dal flusso, perché sotto sforzo non gli rimane molto O2 da estrarre, ma dovrà necessariamente aumentare il flusso per far arrivare più O2 e sopperire alle aumentate richieste metaboliche);
La frazione di estrazione dipende da: 1. Flusso
2. Consumo di O2
IPOTESI SUGLI SCAMBI
Si calcola facendo il rapporto tra:
- la differenza delle [O2] nell’arteria e nella vena; - [O2] nell’arteria
1. le sostanze liposolubili sono dotate di permeabilità elevata (molecola passa senza problemi, quindi il fattore limitante sarà il flusso nel capillare) e passano per DIFFUSIONE, cioè uno spostamento basato su differenze di concentrazione (movimento secondo gradiente);
2. le sostanze idrosolubili sono dotate di permeabilità bassa (il fattore limitante è il grado di permeabilità dell’endotelio) e passano per FILTRAZIONE, cioè uno spostamento basato su differenze di pressione e su altri fattori discriminanti, quali il diametro delle particelle e la carica elettrica.
IPOTESI 1: ELEVATA PERMEABILITÀ DEL VASO La sostanza passa con estrema facilità da un comparto all altro.
Il fattore limitante è il flusso.
Es: miocardio
IPOTESI 2: BASSA PERMEABILITÀ DEL VASO
Il fattore limitante è la permeabilità: se si vuole aumentare l’apporto di sostanze bisogna
aumentare la permeabilità. es. stato infiammatorio
$ $ $ $
Pressione idrostatica: pressione del sangue nel capillare, indipendentemente dalla posizione dell’individuo e quindi dalla forza di gravità
Pressione interstiziale: pressione del liquido interstiziale nell’interstizio fra i tessuti, su cui invece interviene la forza di gravità
Pressione osmotica: pressione esercitata sia nel capillare che nel liquido interstiziale dalle sostanze osmoticamente attive, come gli elettroliti
Pressione oncotica o colloidosmotica: pressione osmotica generata solo nel sangue e non nel liquido interstiziale dalle proteine, che si trovano solamente nel capillare (le poche che passano nell’interstizio vengono immediatamente drenate dal sistema linfatico)
Di queste pressioni, quelle che intervengono negli scambi capillari sono solo la pressione idrostatica del sangue nel capillare e la pressione oncotica, mentre si possono ignorare la pressione interstiziale (assume valori trascurabili di 1-2mmHg, perché si tratta di tessuti aperti in cui il volume disponibile al liquido interstiziale è enorme, quindi la sua capacità di fare pressione è praticamente nulla) e la pressione osmotica (è uguale nel capillare e nell’interstizio, perché acqua ed elettroliti passano liberamente).
capillari sono solo la pressione idrostatica del sangue nel capillare e la pressione oncotica, mentre si possono ignorare la pressione interstiziale (assume valori trascurabili di 1-2mmHg, perché si tratta di tessuti aperti in cui il volume disponibile al liquido interstiziale è enorme, quindi la sua capacità di fare pressione è praticamente nulla) e la pressione osmotica (è uguale nel capillare e nell’interstizio, perché acqua ed elettroliti passano liberamente). Pressione idrostatica: pressione del sangue nel capillare, indipendentemente dalla posizione dell’individuo e quindi dalla forza di gravità Pressione interstiziale: pressione del liquido interstiziale nell’interstizio fra i tessuti, su cui invece interviene la forza di gravità
Pressione osmotica: pressione esercitata sia nel capillare che nel liquido interstiziale dalle sostanze osmoticamente attive, come gli elettroliti
Pressione oncotica o colloidosmotica: pressione osmotica generata solo nel sangue e non nel liquido interstiziale dalle proteine, che si trovano solamente nel capillare (le poche che passano nell’interstizio vengono immediatamente drenate dal sistema linfatico)
Pressione oncotica o colloidosmotica: pressione osmotica generata solo nel sangue e non nel liquido interstiziale dalle proteine, che si trovano solamente nel capillare (le poche che passano nell’interstizio vengono immediatamente drenate dal sistema linfatico)
Pressione idrostatica: pressione del sangue nel capillare, indipendentemente dalla posizione dell’individuo e quindi dalla forza di gravità La pressione colloidale viene considerata ad un valore di circa 26 mmHg, valore che include anche la pressione del liquido interstiziale poiché queste due pressioni (colloidale e interstiziale) lavorano allo stesso modo:
- la colloidale tira liquidi dentro il capillare;
- la interstiziale spinge liquidi dentro il capillare;
Poiché le proteine non passano, la pressione oncotica viene assunta costante (paria 26mmHg) ed è una pressione verso l’interno, perché richiama liquidi dentro il capillare.
Invece per quanto riguarda la pressione idrostatica, essa è una pressione verso l’esterno, perché spinge liquidi fuori dal capillare.
Inizialmente la pressione idrostatica è pari a 37mmHg, quindi è superiore rispetto alla pressione oncotica; questo significa che:
- prevale la pressione verso l’esterno su quella verso l’interno;
- perciò il materiale (sempre tramite il vettore acqua) passa dal capillare all’interstizio;
In questa prima fase il capillare perde acqua che passa nell’interstizio, quindi:
- le proteine che rimangono nel capillare risultano via via più concentrate (quindi in realtà la pressione oncotica non rimane costante, ma 26mmHg è un valore medio che viene assunto per semplificare);
- la pressione idrostatica all’interno del capillare va via via diminuendo, fino ad un valore di transizione pari a 26 mmHg in cui la situazione si inverte;
a questo punto la pressione idrostatica scende fino a 17mmHg, quindi è inferiore rispetto pressione oncotica; questo significa che:
- prevale la pressione verso l’interno su quella verso l’esterno;
- perciò il materiale (sempre tramite il vettore acqua) passa dall’interstizio al capillare;
La pressione di filtrazione è data dalla differenza fra la pressione verso l’esterno (37mmHg) e quella verso l’interno (26mmHg), ed è pari a 11mmHg;
La pressione di riassorbimento è data dalla differenza fra la pressione verso l’interno (26mmHg) e la pressione verso l’esterno (17mmHg), ed è pari a 9mmHg;
quindi c’è un’asimmetria fra la pressione di filtrazione (maggiore) e quella di riassorbimento (minore), che dimostra che il capillare filtra più di quanto riassorbe, perciò ogni giorno si accumulano nei nostri tessuti dai 2 ai 4 L di acqua, che vengono rimossi dal sistema linfatico.
La pressione colloidale (oncotica o colloidosmotica: pressione osmotica generata solo nel sangue e non nel liquido interstiziale dalle proteine, che si trovano solamente nel capillare) viene considerata ad un valore di circa 26 mmHg, valore che include anche la pressione del liquido interstiziale poiché queste due pressioni (colloidale e interstiziale) lavorano allo stesso modo:
- la colloidale tira liquidi dentro il capillare;
- la interstiziale spinge liquidi dentro il capillare; Poiché le proteine non passano, la pressione oncotica viene assunta costante (paria 26mmHg) ed è una pressione verso l’interno, perché richiama liquidi dentro il capillare.
Invece per quanto riguarda la pressione idrostatica, è pressione del sangue nel capillare, indipendentemente dalla posizione dell’individuo e quindi dalla forza di gravità, essa è una pressione verso l’esterno, perché spinge liquidi fuori dal capillare.
1) FASE DI FILTRAZIONE
Inizialmente la pressione idrostatica è pari a 37mmHg, quindi è superiore rispetto alla pressione oncotica; questo significa che:
- prevale la pressione verso l’esterno su quella verso l’interno;
- perciò il materiale (sempre tramite il vettore acqua) passa dal capillare all’interstizio;
In questa prima fase il capillare perde acqua che passa nell’interstizio, quindi:
- le proteine che rimangono nel capillare risultano via via più concentrate (quindi in realtà la pressione oncotica non rimane costante, ma 26mmHg è un valore medio che viene assunto per semplificare);
- la pressione idrostatica all’interno del capillare va via via diminuendo, fino ad un valore di transizione pari a 26 mmHg in cui la situazione si inverte;
2) FASE DI RIASSORBIMENTO
a questo punto la pressione idrostatica scende fino a 17mmHg, quindi è inferiore rispetto pressione oncotica; questo significa che:
- prevale la pressione verso l’interno su quella verso l’esterno;
- perciò il materiale (sempre tramite il vettore acqua) passa dall’interstizio al capillare;
La pressione di filtrazione è data dalla differenza fra la pressione verso l’esterno (37mmHg) e quella verso l’interno (26mmHg), ed è pari a 11mmHg;
La pressione di riassorbimento è data dalla differenza fra la pressione verso l’interno (26mmHg) e la pressione verso l’esterno (17mmHg), ed è pari a 9mmHg;
quindi c’è un’asimmetria fra la pressione di filtrazione (maggiore) e quella di riassorbimento (minore), che dimostra che il capillare filtra più di quanto riassorbe, perciò ogni giorno si accumulano nei nostri tessuti dai 2 ai 4 L di acqua, che vengono rimossi dal sistema linfatico.
. Nel grafico degli scambi capillari si ha in ordinate la pressione e in ascisse il decorso del capillare, con un inizio (arteriola terminale) e una fine (venula). Poiché le proteine non passano, la pressione oncotica viene assunta costante (pari a 26mmHg= 25+1 di pressione interstiziale) ed è una pressione verso l’interno, perché richiama liquidi dentro il capillare. Invece per quanto riguarda la pressione idrostatica, essa è una pressione verso l’esterno, perché spinge liquidi fuori dal capillare. Inizialmente la pressione idrostatica è pari a 37mmHg, quindi è superiore rispetto alla pressione oncotica: questo significa che prevale la pressione verso l’esterno su quella verso l’interno, perciò il materiale (sempre tramite il vettore acqua) passa dal capillare all’interstizio e si ha la fase di filtrazione. In questa prima fase il capillare perde acqua che passa nell’interstizio, quindi le proteine che rimangono nel capillare risultano via via più concentrate (quindi in realtà la pressione oncotica non rimane costante, ma 26mmHg è un valore medio che viene assunto per semplificare), mentre la pressione idrostatica all’interno del capillare va via via diminuendo, fino ad un valore di transizione pari a 26 mmHg in cui la situazione si inverte; a questo punto la pressione idrostatica scende fino a 17mmHg, quindi è inferiore rispetto pressione oncotica: questo significa che prevale la pressione verso l’interno su quella verso l’esterno, perciò il materiale (sempre tramite il vettore acqua) passa dall’interstizio al capillare e si ha la fase di riassorbimento. La pressione di filtrazione è data dalla differenza fra la pressione verso l’esterno (37mmHg) e quella verso l’interno (26mmHg), ed è pari a 11mmHg, mentre la pressione di riassorbimento è data dalla differenza fra la pressione verso l’interno (26mmHg) e la pressione verso l’esterno (17mmHg), ed è pari a 9mmHg; quindi c’è un’asimmetria fra la pressione di filtrazione (maggiore) e quella di riassorbimento (minore), che dimostra che il capillare filtra più di quanto riassorbe, perciò ogni giorno si accumulano nei nostri tessuti dai 2 ai 4 L di acqua, che vengono rimossi dal sistema linfatico. Questo grafico può cambiare e può cambiare il punto di transizione dalla filtrazione all’assorbimento, se cambiano le pressioni in seguito a variazioni delle resistenze.
La pressione di filtrazione è data dalla differenza fra la pressione verso l’esterno (37mmHg) e quella verso l’interno (26mmHg), ed è pari a 11mmHg, mentre la pressione di riassorbimento è data dalla differenza fra la pressione verso l’interno (26mmHg) e la pressione verso l’esterno (17mmHg), ed è pari a 9mmHg; quindi c’è un’asimmetria fra la pressione di filtrazione (maggiore) e quella di riassorbimento (minore), che dimostra che il capillare filtra più di quanto riassorbe, perciò ogni giorno si accumulano nei nostri tessuti dai 2 ai 4 L di acqua, che vengono rimossi dal sistema linfatico.
se cambiano le pressioni in seguito a variazioni delle resistenze. In caso di vasodilatazione arteriolare, la linea della pressione oncotica resta uguale, mentre quella della pressione idrostatica sale, perché diminuisce la resistenza in ingresso quindi aumenta la pressione idrostatica nel capillare; se la linea della pressione oncotica resta invariata, mentre quella della pressione idrostatica si alza, si riduce l’area triangolare del riassorbimento e aumenta quella della filtrazione: quindi la vasodilatazione determina un aumento della filtrazione rispetto al riassorbimento. Invece in caso di vasocostrizione arteriolare, la linea della pressione oncotica resta uguale, mentre quella della pressione idrostatica scende, perché aumenta la resistenza in ingresso quindi diminuisce la pressione idrostatica nel capillare; se la linea della pressione oncotica resta invariata, mentre quella della pressione idrostatica si abbassa, si riduce l’area triangolare della filtrazione e aumenta quella del riassorbimento: quindi la vasocostrizione determina un aumento della riassorbimento rispetto alla filtrazione. Questi due casi sono ascrivibili alle resistenze in entrata; se invece aumentano le resistenze in uscita (ad esempio per via di un’ostruzione), la linea della pressione oncotica resta invariata, mentre quella della pressione idrostatica resta invariata nella prima porzione (perché non vengono alterate le resistenze in ingresso, quindi la pressione in ingresso non cambia) e si alza nell’ultima porzione (perché il sangue ristagna nel capillare, quindi la pressione in uscita all’interno del capillare aumenta): in questo caso si riduce l’area triangolare del riassorbimento quindi il capillare filtra più di quanto riassorba.
In caso di vasodilatazione arteriolare:
- la linea della pressione oncotica resta uguale;
- la linea della pressione idrostatica sale -> diminuisce la resistenza in ingresso quindi aumenta la pressione idrostatica nel capillare;
se la linea della pressione oncotica resta invariata, mentre quella della pressione idrostatica si alza, si riduce l’area triangolare del riassorbimento e aumenta quella della filtrazione:
QUINDI: la vasodilatazione determina un aumento della filtrazione rispetto al riassorbimento.
in caso di vasocostrizione arteriolare:
- la linea della pressione oncotica resta uguale;
- la linea della pressione idrostatica scende -> aumenta la resistenza in ingresso quindi diminuisce la pressione idrostatica nel capillare;
se la linea della pressione oncotica resta invariata, mentre quella della pressione idrostatica si abbassa, si riduce l’area triangolare della filtrazione e aumenta quella del riassorbimento:
QUINDI: la vasocostrizione determina un aumento del riassorbimento rispetto alla filtrazione.
se invece aumentano le resistenze in uscita (ad esempio per via di un’ostruzione): - la linea della pressione oncotica resta invariata;
- la linea della pressione idrostatica resta invariata nella prima porzione (perché non vengono alterate le resistenze in ingresso, quindi la pressione in ingresso non cambia) e si alza nell’ultima porzione (perché il sangue ristagna nel capillare, quindi la pressione in uscita all’interno del capillare aumenta):
in questo caso si riduce l’area triangolare del riassorbimento quindi il capillare filtra più di quanto riassorba.
Il drenaggio venoso si basa sulla capacità del sistema venoso di portare il sangue verso il cuore.
Affinché questo spostamento avvenga è fondamentale la funzione cardiaca: il cuore pompa il sangue, lo spinge nei vasi e la spinta, anche se si è ridotta a 17 mmHg, lo fa tornare indietro.
Tuttavia la forza di gravità si fa sentire pesantemente sul ritorno venoso, ragione per cui esistono una serie di meccanismi aggiuntivi.
Se questi non dovessero funzionare bene, i nostri arti si gonfierebbero perchè il sangue avrebbero difficoltà a risalire per via della forza di gravità e questa situazione equivale ad un aumento della resistenza in uscita.
Nel caso del sistema linfatico vi è un problema legato al fatto che non ha una pompa, di conseguenza la spinta non può venire dal cuore e dunque devono esistere altri meccanismi che consentono di spingere quei 3-4 litri di acqua che drena. Si tratta dei meccanismi suppletivi che agiscono anche nel sistema venoso
1. Bassa velocità di scorrimento del sangue 2. Pressione bassa
3. Pareti sottili
4. Compliance venosa molto elevata
5. Notevole deformabilità 6. Presenza di valvole
1. Impediscono il ritorno indietro di sangue (=semilunari) -> quando questo prova a tornare indietro si inserisce nelle tasche (nelle valvole), le gonfia e le chiude.
2. Frammentano la colonna di sangue che grava su quella sottostante facendo sì che gli strati inferiori risentano meno del peso.
circa il 64/65% della massa ematica totale si trova nelle vene in condizioni di riposo. Questo ha due conseguenze:
- il sangue deve essere aiutato a risalire, altrimenti si ingorga nelle gambe e il ritorno venoso risulterebbe difficoltoso e insufficiente
- il serbatoio venoso consente di variare il quantitativo di sangue che torna al cuore e aumentare la gittata.
Il quantitativo di sangue che sta nella vena non è altro che la sommatoria dei flussi locali nei vari organi.
Il sangue arriva negli organi, questi a seconda delle loro esigenze dilatano, vasocostringono, i capillari;
poi il sangue di questi organi confluisce nelle vene -> il quantitativo di sangue dipende dal grado di dilatazione nei vari organi:
- più l’organo è dilatato;
- più sangue c’è dentro in un determinato istante; - quindi ce ne sarà di meno nelle vene.
Il ritorno venoso è funzione di quello che fanno i circoli locali.
Il quantitativo di sangue che sta nella vena non è altro che la sommatoria dei flussi locali nei vari organi.
Il sangue arriva negli organi, questi a seconda delle loro esigenze dilatano, vasocostringono, i capillari;
poi il sangue di questi organi confluisce nelle vene -> il quantitativo di sangue dipende dal grado di dilatazione nei vari organi:
- più l’organo è dilatato;
- più sangue c’è dentro in un determinato istante; - quindi ce ne sarà di meno nelle vene.
Questo è un aspetto importante perché è vero che gittata sistolica dipende dal ritorno venoso,
ma il ritorno venoso non dipende direttamente dalla gittata cardiaca, ma da molti altri fattori. devono esistere altri meccanismi, sistemi di controllo, che consentono di aumentare la gittata cardiaca
(può aumentare fino a 7-8 volte se serve).
Per aumentare la gittata cardiaca bisogna aumentare il ritorno venoso perché questo è il primo determinante.
Affinché possa aumentare il ritorno venoso, si può agire sul serbatoio venoso -> Si parla di mobilizzazione dei serbatoi venosi (distretti ben specifici quali cute, milza e fegato che contengono molto sangue).
Per aumentare la gittata cardiaca bisogna aumentare il ritorno venoso perché questo è il primo determinante.
Affinché possa aumentare il ritorno venoso, si può agire sul serbatoio venoso -> Si parla di mobilizzazione dei serbatoi venosi (distretti ben specifici quali cute, milza e fegato che contengono molto sangue).
Il ritorno venoso è funzione di quello che fanno i circoli locali.
Questo è un aspetto importante perché è vero che gittata sistolica dipende dal ritorno venoso,
ma il ritorno venoso non dipende direttamente dalla gittata cardiaca, ma da molti altri fattori. devono esistere altri meccanismi, sistemi di controllo, che consentono di aumentare la gittata cardiaca
(può aumentare fino a 7-8 volte se serve)
È una pompa aspirante e premente;
Il venir meno di questa pompa (insufficienza cardiaca) provoca: - contrazione meno vigorosa
- meno forza di spinta del ventricolo
- l’atrio viene stirato di meno
- forza aspirante dell’atrio insufficiente
-> il sangue si ingorga di più nelle vene (aumento della resistenza in uscita) e le gambe si gonfiano.
Quando siamo in posizione verticale, il sangue venoso ha difficoltà a scorrere in due compartimenti: nelle gambe e nell’addome.
Le vene, ad eccezione della safena, passano in mezzo alle masse muscolari.
Nel momento in cui si cammina, vengono attivate alternativamente le contrazioni di flessori ed estensori della gamba.
La compressione delle vene durante una contrazione della muscolatura circostante:
1. spinge il sangue verso il cuore dato che il reflusso verso il basse è impedito dalle valvole. 2. Fa in modo che avvenga la segmentazione della colonna venosa.
le pressioni venose variano in base alla posizione
in cui ci si trova.
In posizione eretta la pressione è molto alta. In marcia la pressione è più bassa.
In corsa tende ad aumentare. Aumentando la velocità, la pressione aumenta.
L’azione di pompaggio è praticamente assente quando si è in una situazione di stazionamento verticale: benché per stare in piedi, si deve avere la contrazione dei muscoli antigravitari (quadricipiti), questa contrazione è assolutamente minimale -> in questa situazione, le colonne di sangue, le vene, sono pervie.
Quando invece si cammina, la situazione cambia: il normale cammino, più del movimento veloce, favorisce ancora di più il pompaggio perché sono movimenti di una certa forza, protratti nel tempo.
E’ molto più efficace una lenta e progressiva contrazione seguita da un lento rilasciamento: si garantisce ai segmenti inferiori la possibilità di riempirsi di sangue refluo che poi verrà progressivamente pompato verso l’alto
In posizione eretta la pressione è molto alta. In marcia la pressione è più bassa.
In corsa tende ad aumentare.
Quando siamo in posizione verticale, il sangue venoso ha difficoltà a scorrere in due compartimenti: nelle gambe e nell’addome.
Le vene, ad eccezione della safena, passano in mezzo alle masse muscolari.
Nel momento in cui si cammina, vengono attivate alternativamente le contrazioni di flessori ed estensori della gamba.
La compressione delle vene durante una contrazione della muscolatura circostante:
1. spinge il sangue verso il cuore dato che il reflusso verso il basse è impedito dalle valvole. 2. Fa in modo che avvenga la segmentazione della colonna venosa.
le pressioni venose variano in base alla posizione
in cui ci si trova.
In posizione eretta la pressione è molto alta. In marcia la pressione è più bassa.
In corsa tende ad aumentare.
Aumentando la velocità, la pressione aumenta.
L’azione di pompaggio è praticamente assente quando si è in una situazione di stazionamento verticale: benché per stare in piedi, si deve avere la contrazione dei muscoli antigravitari (quadricipiti), questa contrazione è assolutamente minimale -> in questa situazione, le colonne di sangue, le vene, sono pervie.
Quando invece si cammina, la situazione cambia: il normale cammino, più del movimento veloce, favorisce ancora di più il pompaggio perché sono movimenti di una certa forza, protratti nel tempo.
E’ molto più efficace una lenta e progressiva contrazione seguita da un lento rilasciamento: si garantisce ai segmenti inferiori la possibilità di riempirsi di sangue refluo che poi verrà progressivamente pompato verso l’alto
Si hanno tre sezioni:
-Torace
- Cavità addominale, chiusa dal pavimento pelvico - Arti inferiori
Durante la respirazione c'è la dilatazione e il restringimento del volume toracico.
Inspirazione
il diaframma scende e si abbassa in seguito alla contrazione; questo provoca:
- l'espansione del torace;
- diminuzione della pressione interna al torace.
- diminuzione del volume dell’addome;
- aumento della pressione interna all’addome;
Questo provoca la compressione delle vene addominali.
Dunque, così è:
- favorito il ritorno del sangue dall'addome al torace;
- ostacolato il ritorno del sangue dalle gambe all'addome.
Espirazione
Durante l'espirazione il diaframma torna su:
- il volume addominale aumenta;
- la pressione addominale diminuisce;
A questo punto il sangue accumulato negli arti inferiori nella fase precedente può risalire nella cavità addominale e poi nel torace.
La pompa respiratoria ha un'azione minore della pompa muscolare, ma quando lo sforzo respiratorio aumenta (sforzo fisico, alcune patologie) questa azione è più importante.
Inspirazione
il diaframma scende e si abbassa in seguito alla contrazione; questo provoca:
- l'espansione del torace;
- diminuzione della pressione interna al torace.
- diminuzione del volume dell’addome;
- aumento della pressione interna all’addome;
Questo provoca la compressione delle vene addominali.
Dunque, così è:
- favorito il ritorno del sangue dall'addome al torace;
- ostacolato il ritorno del sangue dalle gambe all'addome.
Durante l'espirazione il diaframma torna su:
- il volume addominale aumenta;
- la pressione addominale diminuisce;
A questo punto il sangue accumulato negli arti inferiori nella fase precedente può risalire nella cavità addominale e poi nel torace.
Oltre all'attività simpatica di base che mantiene il tono liscio vasale sempre presente:
- la stimolazione può aumentare, dando riduzione del diametro vasale; - la stimolazione può diminuire dando vasodilatazione.
Durante lo sforzo fisico aumenta l'attività simpatica per far sì che aumenti la performance muscolare.
Si avrà dunque venocostrizione, che favorisce il ritorno venoso al cuore, aumentando la gittata cardiaca.
aumenta il pompaggio del cuore, dei muscoli e l'azione della pompa respiratoria. Inoltre, si c'è l'azione del simpatico che determina venocostrizione, favorendo il ritorno venoso.
pressione che il sangue possiede quando passa dai capillari alle venule; Ha un valore che si assume essere intorno ai 7 mmHg (valore corrispondente anche alla pressione di
riempimento dei vasi)
quando abbiamo una stimolazione simpatica il raggio della vena viene a ridursi e c’è una marcata riduzione della compliance, che nel complesso comporta un aumento del ritorno venoso stesso.
La venocostrizione determina, soprattutto se a livello sistemico, un aumento del flusso ematico e del ritorno venoso;
esattamente il contrario di quanto accade con arteriole: questa differenza è proprio dovuta all’azione sulla compliance.
pressione che eguaglia quella interna all’atrio destro, o, più precisamente,
quella all’altezza dell’apertura delle vene cave all’interno dell’atrio destro.
È praticamente pari a 0 mmHg (non è mai davvero nulla ma oscilla a seconda delle varie fasi, quindi ha un
valore medio pari a 0 mmHg)
Il ritorno venoso è dato proprio dalla differenza tra la pressione venosa periferica e la pressione venosa centrale, flusso cui si oppone ovviamente la resistenza venosa.
Pressione venosa periferica: pressione che il sangue possiede quando passa dai capillari alle venule; Ha un valore che si assume essere intorno ai 7 mmHg (valore corrispondente anche alla pressione di
riempimento dei vasi)
pressione venosa centrale: pressione che eguaglia quella interna all’atrio destro, o, più precisamente,
quella all’altezza dell’apertura delle vene cave all’interno dell’atrio destro.
È praticamente pari a 0 mmHg (non è mai davvero nulla ma oscilla a seconda delle varie fasi, quindi ha un
valore medio pari a 0 mmHg)
È necessario che ci sia un equilibrio tra il ritorno venoso e la gittata cardiaca, e tale meccanismo è descritto dalla Legge di Starling.
Quando la contrazione cardiaca aumenta, abbiamo:
- da una parte una spinta maggiore al sangue che entra nell’arteria; - dall’altra, una diminuzione della pressione all’interno dell’atrio;
la pressione venosa centrale (pressione che eguaglia quella interna all’atrio destro, o, più precisamente,
quella all’altezza dell’apertura delle vene cave all’interno dell’atrio destro.
È praticamente pari a 0 mmHg ) diminuisce (poiché una contrazione ventricolare più vigorosa porta a uno spostamento del piano valvolare e a uno spostamento del setto atrioventricolare).
Dunque, quando la forza di contrazione cardiaca aumenta, otteniamo un’azione aspirante maggiore e un aumento del ritorno venoso;
Naturalmente, al contrario, quando la forza di contrazione è minore e il cuore si contrae con minore energia, la forza di aspirazione diminuisce come anche il flusso del ritorno venoso.
7mmHg
La pressione media di riempimento (7mmHg) è la pressione che il sangue possiede all’interno del circolo quando il cuore è fermo.
È data dal fatto che il volume ematico mantiene dilatati i vasi, i quali hanno una componente elastica che tende di per sé a farli collassare;
di conseguenza, sviluppano una pressione che vale all’incirca 7 mmHg e che corrisponde alla pressione di riempimento del circuito cardiovascolare In altre parole, il valore pressorio di 7 mmHg è il valore della pressione generata dalla volemia, ovvero soltanto dal volume e non dalla spinta del cuore.
Questo valore pressorio di 7mmHg lo ritroviamo in ogni punto del circuito per cui: la pressione di riempimento è pari alla pressione venosa periferica.
La pressione venosa centrale, invece, varia da 7 mmHg a -8 mmHg, poiché questo parametro l’abbiamo descritto come la pressione a livello dell’atrio.
La pressione media di riempimento (7mmHg) è la pressione che il sangue possiede all’interno del circolo quando il cuore è fermo.
È data dal fatto che il volume ematico mantiene dilatati i vasi, i quali hanno una componente elastica che tende di per sé a farli collassare;
di conseguenza, sviluppano una pressione che vale all’incirca 7 mmHg e che corrisponde alla pressione di riempimento del circuito cardiovascolare.
In altre parole, il valore pressorio di 7 mmHg è il valore della pressione generata dalla volemia, ovvero soltanto dal volume e non dalla spinta del cuore.
Questo valore pressorio di 7mmHg lo ritroviamo in ogni punto del circuito per cui: la pressione di riempimento è pari alla pressione venosa periferica.(pressione che il sangue possiede quando passa dai capillari alle venule)
La pressione venosa centrale, invece, varia da 7 mmHg a -8 mmHg, poiché questo parametro l’abbiamo descritto come la pressione a livello dell’atrio
Quando le fibrocellule muscolari si contraggono, la loro lunghezza si accorcia, la contrazione della muscolatura liscia determina una diminuzione del raggio vasale sia per le arteriole che per le vene.
Si ha quindi per entrambe una variazione della resistenza (ostacolo al flusso). ARTERIOLE
- Hanno uno spessore notevole
- sono dotate di una certa rigidità
La contrazione della muscolatura liscia non causa modificazioni della compliance
Variazione della resistenza (ostacolo al flusso)
VENE
- sono dotate di una rigidità molto bassa
La contrazione della muscolatura liscia porta ad un irrigidimento della parete che ha come conseguenza una diminuzione della compliance.
- variazione della resistenza (ostacolo al flusso) - diminuzione della compliance (facilita il flusso)
Dunque, quando abbiamo un’attivazione del sistema simpatico e conseguente contrazione della muscolare liscia della parete venosa, abbiamo:
- da un lato un aumento della resistenza;
- dall’altro una riduzione di compliance;
il fattore che vince è il secondo: la venocostrizione, cioè, determina un aumento di flusso e quindi di ritorno venoso.
In definitiva, la stimolazione simpatica a livello vasale, soprattutto se la costrizione è generalizzata ed estesa, ha effetti opposti:
- nella arteriola vince l’aumento di resistenza con la diminuzione del flusso;
- nella vena vince la riduzione della compliance e con l’aumento dello stesso.
Quando le fibrocellule muscolari si contraggono, la loro lunghezza si accorcia, la contrazione della muscolatura liscia determina una diminuzione del raggio vasale sia per le arteriole che per le vene.
Si ha quindi per entrambe una variazione della resistenza (ostacolo al flusso).
ARTERIOLE
- Hanno uno spessore notevole
- sono dotate di una certa rigidità
La contrazione della muscolatura liscia non causa modificazioni della compliance
Variazione della resistenza (ostacolo al flusso)
Quando le fibrocellule muscolari si contraggono, la loro lunghezza si accorcia, la contrazione della muscolatura liscia determina una diminuzione del raggio vasale sia per le arteriole che per le vene.
Si ha quindi per entrambe una variazione della resistenza (ostacolo al flusso). VENE
- sono dotate di una rigidità molto bassa
La contrazione della muscolatura liscia porta ad un irrigidimento della parete che ha come conseguenza una diminuzione della compliance.
- variazione della resistenza (ostacolo al flusso) - diminuzione della compliance (facilita il flusso)
Dunque, quando abbiamo un’attivazione del sistema simpatico e conseguente contrazione della muscolare liscia della parete venosa, abbiamo:
- da un lato un aumento della resistenza;
- dall’altro una riduzione di compliance;
il fattore che vince è il secondo: la venocostrizione, cioè, determina un aumento di flusso e quindi di ritorno venoso.
Nel caso di una venocostrizione locale (ovvero, quando solo un piccolo distretto viene interessato) dettata dal sistema simpatico, la pressione venosa centrale non aumenta, ma solo la resistenza, con conseguente riduzione del flusso locale.
Es: prelievo in cui l’ago non prende la vena ma passa tangente alla parete venosa
L’ago passando tangente alla vena, stira la parete venosa; lo sturamento della parte implica lo stiramento delle fibrocellule muscolari lisce; si aprono i canali del Calcio e la fibrocellula si contrae, portando la vena in venocostrizione con riduzione del flusso, semplicemente perché l’effetto è locale: la vena si rimpicciolisce e c’è meno sangue; il resto delle vene non ne sono influenzate.
Il ritorno venoso è maggiormente influenzato da variazioni di resisenza venosa rispetto a variazioni di resistenza arteriosa:
RESISTENZA ARTERIOSA
La riduzione di calibro arterioso provoca modesto accumulo di sangue a monte della stenosi con consistente aumento della pressione che permette il superamento delle resistenze.
Il flusso e quindi il ritorno venoso rimangono invariati.
RESISTENZA VENOSA
La riduzione di calibro venoso provoca accumulo consistente di sangue a monte della stenosi.
A causa dell’elevata compliance venosa il modesto incremento di pressione impedisce il superamento della resistenza.
Si ha stasi del flusso e minor ritorno venoso.
LA VENOCOSTRIZIONE LOCALE: non alza la pressione media di riempimento ma incrementa la resistenza e riduce il flusso locale;
LA VENOCOSTRIZIONE SISTEMICA: incrementa la pressione media di riempimento (riduce la compliance) più della resistenza quindi comporta un aumento del ritorno venoso.
In caso di venocostrizione estesa si ha: - riduzione del diametro
- irrigidimento della parete (- compliance)
-> Se il contenitore diminuisce di dimensione e il contenuto rimane invariato è come se ci fosse stato un aumento della volemia.
Di conseguenza il RV AUMENTA e la curva viene traslata verso destra
Aumenta anche la PVC -> l’intercetta della curva sull’ascissa si sposta:
La tendenza del vaso a collassare a seguito della venocostrizione è aumentata e poiché questo valore di pressione media di riempimento è determinato dall’azione di restringimento del vaso, la pressione di riempimento o periferica, spinge il sangue verso l’atrio e il ritorno venoso aumenta.
In caso di venodilatazione estesa si ha: - aumento della compliance
- dilatazione della vena
-> diminuzione della volemia.
p
Se abbiamo un vasocostrizione (aumento della resistenza arteriolare) si ha una diminuzione del passaggio di sangue dal comparto arterioso al comparto capillare, dal comparto capillare alle vene ed il ritorno venoso diminuisce.
Se abbiamo una vasodilatazione arriva più sangue, più velocemente; il flusso aumenta ai capillari ed aumenterà il anche il ritorno venoso.
Dunque, la curva si sposta anche in questo caso ma poiché la pressione media di riempimento non cambia, si avrà una rotazione della curva verso l’alto o verso il basso
- contiene linfa, cioè un liquido trasparente che rende i vasi linfatici quasi impossibili da vedere;
- è un sistema parallelo al sistema cardiovascolare, cioè i vasi linfatici decorrono quasi adiacenti a quelli sanguigni;
- è un circuito a fondo cieco (al contrario del sistema cardiovascolare), cioè nasce con capillari a fondo cieco in prossimità dei capillari sanguigni, e da qui i vasi linfatici confluiscono in condotti sempre più grandi, passando attraverso le stazioni linfonodali;
- non è un circuito chiuso (al contrario del sistema cardiovascolare), in quanto i dotti linfatici più grandi confluiscono nelle grandi vene, immettendo la linfa nel sistema cardiovascolare;
- questo sistema non presenta una pompa (al contrario del sistema cardiovascolare), quindi sono necessari meccanismi che spingano la linfa in avanti, analoghi a quelli del sistema venoso.
questa quota viene rimossa dal sistema linfatico;
quindi il sistema linfatico ha un ruolo di drenaggio, sia per quanto riguarda il liquido interstiziale non riassorbito dal capillare, sia per quanto riguarda le proteine rilasciate dai tessuti (infatti la pressione oncotica nell’interstizio deve essere 0).
ogni cellula è poggiata sull’altra con un certo grado di sovrapposizione, ma senza altri legami: in questo modo esse possono essere facilmente spostate dal liquido per differenze di pressione, e si garantisce un drenaggio linfatico più efficiente possibile.
una caratteristica dei vasi linfatici (come di quelli venosi) importante per permettere la propulsione della linfa è la presenza di valvole a nido di rondine, che vengono chiuse dalla linfa stessa quando questa cerca di refluire verso il basso, così da consentire il passaggio di fluido in un’unica direzione.
Il principale determinante del flusso linfatico è la pressione interstiziale, infatti a determinare lo spostamento del liquido dall’interstizio al capillare è l’accumulo di liquido stesso, che determina un aumento della pressione interstiziale al di sopra della pressione nel capillare linfatico;
questo aumento della pressione nell’interstizio provoca lo spostamento delle cellule a tegola, così da aprire un cospicuo varco fra di esse, e il gradiente pressorio fra interstizio e lume del capillare linfatico permettere l’ingresso del liquido e delle proteine interstiziali nel vaso.
A questo punto la pressione all’estremità del capillare risale al di sopra di quella nell’interstizio e le cellule a tegola tornano nella loro posizione;
Il principale determinante del flusso linfatico è la pressione interstiziale, infatti a determinare lo spostamento del liquido dall’interstizio al capillare è l’accumulo di liquido stesso, che determina un aumento della pressione interstiziale al di sopra della pressione nel capillare linfatico;
questo aumento della pressione nell’interstizio provoca lo spostamento delle cellule a tegola, così da aprire un cospicuo varco fra di esse, e il gradiente pressorio fra interstizio e lume del capillare linfatico permettere l’ingresso del liquido e delle proteine interstiziali nel vaso.
A questo punto la pressione all’estremità del capillare risale al di sopra di quella nell’interstizio e le cellule a tegola tornano nella loro posizione;
poiché si accumula liquido all’interno del vaso, esso si gonfia (Fase di espansione).
In questa fase la pressione all’estremità del capillare linfatico è superiore rispetto a quella del segmento successivo, in cui la pressione è più bassa; quindi il liquido tende a spostarsi dall’estremità del capillare al segmento successivo, seguendo il proprio gradiente pressorio, e allo stesso modo avanza via via da un segmento al segmento successivo a pressione più bassa;
in questa fase ciascun segmento, che si è precedentemente gonfiato di liquido, si svuota nel successivo (fase di compressione).
Poiché, per via della forza di gravità, le differenze pressorie non sono sufficienti a garantire la propulsione della linfa verso l’alto, intervengono i dispositivi valvolari che evitano il reflusso della linfa e suddividono il vaso linfatico nei vari segmenti.
I tessuti interstiziali si comportano come strutture a bassa compliance, quindi si oppongono al passaggio di troppo liquido e, se per qualche motivo (ad esempio un trauma) si accumula un eccesso di liquido nell’interstizio, essi si lasciano dilatare solo fino a un certo punto (quando sbatti il ginocchio, questo si gonfia ma solo fino a un certo punto);
la ragione di questo risiede in un meccanismo auto-limitante, per cui l’aumento della pressione interstiziale oltre le possibilità di drenaggio del sistema linfatico blocca l’eccesso di filtrazione e quindi smette di accumularsi ulteriore liquido.
Tuttavia, se l’eccesso di filtrazione supera di troppo le possibilità di drenaggio del sistema linfatico, i tessuti interstiziali iniziano a comportarsi come strutture ad alta compliance, perché l’eccessivo accumulo di liquido non determina più lo spostamento delle cellule a tegola, ma lo schiacciamento del capillare, che viene occluso e non riesce più a drenare;
il sistema non riesce più a compensare l’eccesso di filtrazione e si crea un accumulo di liquido che porta ad un enorme dilatazione dei tessuti, che prende il nome di edema.
I tessuti interstiziali si comportano come strutture a bassa compliance, quindi si oppongono al passaggio di troppo liquido e, se per qualche motivo (ad esempio un trauma) si accumula un eccesso di liquido nell’interstizio, essi si lasciano dilatare solo fino a un certo punto (quando sbatti il ginocchio, questo si gonfia ma solo fino a un certo punto);
la ragione di questo risiede in un meccanismo auto-limitante, per cui l’aumento della pressione interstiziale oltre le possibilità di drenaggio del sistema linfatico blocca l’eccesso di filtrazione e quindi smette di accumularsi ulteriore liquido.
Tuttavia, se l’eccesso di filtrazione supera di troppo le possibilità di drenaggio del sistema linfatico, i tessuti interstiziali iniziano a comportarsi come strutture ad alta compliance, perché l’eccessivo accumulo di liquido non determina più lo spostamento delle cellule a tegola, ma lo schiacciamento del capillare, che viene occluso e non riesce più a drenare;
il sistema non riesce più a compensare l’eccesso di filtrazione e si crea un accumulo di liquido che porta ad un enorme dilatazione dei tessuti, che prende il nome di edema.
grado di contrazione della muscolatura liscia in un determinato distretto vasale; naturalmente questo aspetto condiziona la pressione arteriosa, perché un maggiore stato di vasocostrizione implica un aumento delle resistenze periferiche (il raggio influisce sulla resistenza con la quarta potenza, quindi anche sue variazioni minime influenzano moltissimo la resistenza) e conseguentemente un aumento della pressione arteriosa.
Il tono vasale a riposo ha due componenti:
1. Tono basale: determinato da influenze locali sulla muscolatura della parete vasale
2. Tono neurogeno: determinato dall’innervazione simpatica e adrenergica vasocostrittrice.
Il tono vasale è definito come l’entità della contrazione delle fibrocellule muscolari determinanti un restringimento o una dilatazione del vaso.
Tale contrazione è variabile e determinata da due meccanismi: 1. FATTORI SISTEMICI
2. FATTORI LOCALI
è il flusso: l’obiettivo del sistema è infatti quello di garantire un flusso adeguato, cioè un quantitativo di sangue adeguato ai vari organi in base alle loro necessità.
Il flusso in un organo dipende dalla resistenza al flusso che a sua volta dipende da: 1. Organizzazione anatomica
2. Dall’entità del tono vasale a riposo
1. Tono basale: determinato da influenze locali sulla muscolatura della parete vasale
2. Tono neurogeno: determinato dall’innervazione simpatica e adrenergica vasocostrittrice.
Il tono vasale è definito come l’entità della contrazione delle fibrocellule muscolari determinanti un restringimento o una dilatazione del vaso.
dal SNs: si parta infatti di TONO NEUROGENO, che tramite l’area vasomotrice ha un’azione tonica sulla muscolatura liscia dei vasi e li mantiene costantemente in un certo grado di contrazione;
tuttavia questo grado di contrazione può aumentare o diminuire a seconda delle esigenze sistemiche o del distretto.
Ci sono organi con esigenze di flusso elevate, ma poco variabili (cervello e rene) quindi con scarso tono neurogeno;
Al contrario, organi con esigenze di flusso molto variabili (muscolatura scheletrica, tratto GI, fegato, cute) avranno un tono neurogeno molto elevato.
Il grado di contrazione tonica dei vasi è mantenuto dal SNs: si parta infatti di TONO NEUROGENO, che tramite l’area vasomotrice ha un’azione tonica sulla muscolatura liscia dei vasi e li mantiene costantemente in un certo grado di contrazione;
tuttavia questo grado di contrazione può aumentare o diminuire a seconda delle esigenze sistemiche o del distretto.
Ci sono organi con esigenze di flusso elevate, ma poco variabili (cervello e rene) quindi con scarso tono neurogeno;
Al contrario, organi con esigenze di flusso molto variabili (muscolatura scheletrica, tratto GI, fegato, cute) avranno un tono neurogeno molto elevato.
Il grado di contrazione tonica dei vasi è mantenuto dal SNs: si parta infatti di TONO NEUROGENO, che tramite l’area vasomotrice ha un’azione tonica sulla muscolatura liscia dei vasi e li mantiene costantemente in un certo grado di contrazione;
tuttavia questo grado di contrazione può aumentare o diminuire a seconda delle esigenze sistemiche o del distretto.
Ci sono organi con esigenze di flusso elevate, ma poco variabili (cervello e rene) quindi con scarso tono neurogeno;
Al contrario, organi con esigenze di flusso molto variabili (muscolatura scheletrica, tratto GI, fegato, cute) avranno un tono neurogeno molto elevato.
Questa azione sulla muscolatura liscia vasale è tonica poiché sempre presente.
Infatti, il SNs porta un segnale al vaso a bassa frequenza sostanzialmente costante nel tempo andando a determinare il rilascio di noradrenalina, che troverà immediatamente i suoi recettori alfa determinando un certo grado di contrazione muscolare e quindi di raggio vasale.
La contrazione del raggio vasale deriva pertanto dall’interazione di due forze:
- la forza sviluppata dalla contrazione della muscolatura liscia (che tende a chiudere il vaso); - la pressione del sangue sviluppata all’interno del vaso contro la parete vasale.
Il valore di raggio, ovvero il grado di dilatazione vasale che troviamo in ogni istante in ogni vaso sarà il risultato dell’interazione tra queste due forze.
Ecco, allora, che quando il segnale nervoso aumenta la contrazione (la forza che tende a chiudere il vaso), assumendo che la pressione non sia cambiata, abbiamo una costrizione vasale: il raggio diminuisce.
Quando il segnale portato dal sistema simpatico diminuisce, il grado di contrazione diminuisce; di conseguenza, la pressione all’interno del vaso si farà sentire di più e dilaterà maggiormente il vaso.
- la forza sviluppata dalla contrazione della muscolatura liscia (che tende a chiudere il vaso); - la pressione del sangue sviluppata all’interno del vaso contro la parete vasale.
Il valore di raggio, ovvero il grado di dilatazione vasale che troviamo in ogni istante in ogni vaso sarà il risultato dell’interazione tra queste due forze.
Ecco, allora, che quando il segnale nervoso aumenta la contrazione (la forza che tende a chiudere il vaso), assumendo che la pressione non sia cambiata, abbiamo una costrizione vasale: il raggio diminuisce.
Quando il segnale portato dal sistema simpatico diminuisce, il grado di contrazione diminuisce; di conseguenza, la pressione all’interno del vaso si farà sentire di più e dilaterà maggiormente il vaso.
1. la costrizione vasale è un fenomeno attivo: richiede la contrazione delle fibrocellule muscolari lisce.
2. la dilatazione vasale è, invece, un fenomeno passivo, il raggio del vaso sarà fondamentalmente determinato dalla pressione del sangue che tende a dilatare il vaso contro questa forza muscolare.
Vi è inoltre un terzo elemento nella regolazione del raggio vasale: l’elasticità della parete.
Anche la componente elastica (passiva) tende ad opporsi alla dilatazione ma è evidente che la sua azione è sensibilmente inferiore alla contrazione delle fibrocellule muscolari lisce che tendono a chiudere il vaso restringendone il calibro.
il SNs porta un segnale al vaso a bassa frequenza sostanzialmente costante nel tempo andando a determinare il rilascio di noradrenalina, che troverà immediatamente i suoi recettori alfa determinando un certo grado di contrazione muscolare e quindi di raggio vasale. si parta infatti di TONO NEUROGENO, che tramite l’area vasomotrice ha un’azione tonica sulla muscolatura liscia dei vasi e li mantiene costantemente in un certo grado di contrazione;
tuttavia questo grado di contrazione può aumentare o diminuire a seconda delle esigenze sistemiche o del distretto. La contrazione del raggio vasale deriva pertanto dall’interazione di due forze:
- la forza sviluppata dalla contrazione della muscolatura liscia (che tende a chiudere il vaso); - la pressione del sangue sviluppata all’interno del vaso contro la parete vasale. quando il segnale nervoso aumenta la contrazione (la forza che tende a chiudere il vaso), assumendo che la pressione non sia cambiata, abbiamo una costrizione vasale: il raggio diminuisce.
Quando il segnale portato dal sistema simpatico diminuisce, il grado di contrazione diminuisce; di conseguenza, la pressione all’interno del vaso si farà sentire di più e dilaterà maggiormente il vaso.
1. Fattori sistemici:
agiscono in contemporanea su tutto l’organismo.
Si tratta fondamentalmente di due tipi meccanismi:
-> meccanismi ormonali: Si tratta soprattutto dell’adrenalina in circolo. -> meccanismi nervosi: Si tratta principalmente del SNs.
2. Fattori locali:
si sovrappongono ai fattori sistemici e agiscono in un particolare distretto per regolarne la pressione indipendentemente dalla situazione sistemica, tramite il rilascio di sostanze in grado di modulare il tono vasale generando vasodilatazione o vasocostrizione.
Si tratta fondamentalmente di due meccanismi:
RISPOSTA MIOGENA e METABOLITI LOCALI+ AUTOREGOLAZIONE
agiscono in contemporanea su tutto l’organismo.
Si tratta fondamentalmente di due tipi meccanismi:
-> meccanismi ormonali: Si tratta soprattutto dell’adrenalina in circolo. -> meccanismi nervosi: Si tratta principalmente del SNs.
ed entrambi determinano:
- vasocostrizione tramite apertura dei canali del Ca++;
- un aumento del Ca++ intracellulare;
- un maggior numero di ponti acto-miosinici attivi;
- una maggiore forza di contrazione della muscolatura liscia:
Questo garantisce la contrazione tonica della muscolatura liscia del vaso tramite una frequenza basale di scarica molto bassa (fibre simpatiche piccole e amieliniche), pari a circa 3-4 impulsi al secondo;
per alterare lo stato di contrazione del vaso, il SNs modifica questa frequenza di scarica: - diminuisce a 1-2 per ottenere vasodilatazione;
- aumenta a 10-12 per ottenere vasocostrizione.
In realtà si ipotizza che in un caso specifico il SNs possa avere, accanto all’azione sistemica, un’azione particolare a livello del sistema muscolare scheletrico. Infatti durante l’attività fisica si attiva il SNs che causa vasocostrizione sistemica generalizzata, ma allo stesso tempo servirebbe vasodilatazione a livello dei muscoli scheletrici, per far arrivare loro più O2; questo è permesso dal fatto che probabilmente esistono delle fibre simpatiche che a livello dei vasi dei muscoli scheletrici rilasciano acetilcolina, che a sua volta stimola il rilascio di sostanze vasodilatatrici, come il NO.
Si tratta di un importante meccanismo di auto-regolazione attuato dal vaso stesso senza fattori esterni e consiste nella capacità di mantenere costante la pressione a fronte di variazioni sistemiche;
tale meccanismo è presente in tutti gli organi, ma ha un ruolo particolarmente rilevante a livello del cuore, del rene e del SNC.
Il vaso si comporta in maniera passiva (cioè si lascia dilatare passivamente) fino ad un certo valore di pressione, oltre il quale reagisce costringendosi: il vaso risponde a un aumento pressorio con una vasocostrizione proporzionale all’aumento pressorio stesso. Questo è dovuto al fatto che:
- l’aumento della pressione transmurale determina un aumento del raggio vasale;
- quindi uno stiramento della parete del vaso;
- quindi un’apertura dei canali del Ca++ sensibili allo stiramento presenti sulle cellule muscolari lisce della parete vasale;
- quindi un aumento del Ca++ intracellulare;
- una contrazione della muscolatura liscia proporzionale allo stiramento subito dal vaso e quindi
all’aumento pressorio a cui è stato sottoposto;
la contrazione determina una riduzione del raggio vasale, quindi un aumento della resistenza:
se la pressione si porta dietro un aumento proporzionale della resistenza, il flusso (DP/R) a valle rimane invariato, e così la pressione arteriosa a valle.
In questo modo il vaso fa sì che una variazione della pressione che si è verificato a livello sistemico, non si ripercuota localmente in quel particolare distretto.
Naturalmente questo meccanismo riesce a compensare le variazioni pressorie solo fino a un certo punto (ad esempio nel rene funziona solo se la pressione media non scende al di sotto degli 80mHg).
meccanismo di auto-regolazione attuato dal vaso stesso senza fattori esterni e consiste nella capacità di mantenere costante la pressione a fronte di variazioni sistemiche; Il vaso si comporta in maniera passiva (cioè si lascia dilatare passivamente) fino ad un certo valore di pressione, oltre il quale reagisce costringendosi: il vaso risponde a un aumento pressorio con una vasocostrizione proporzionale all’aumento pressorio stesso. - l’aumento della pressione transmurale determina un aumento del raggio vasale;
- quindi uno stiramento della parete del vaso;
- quindi un’apertura dei canali del Ca++ sensibili allo stiramento presenti sulle cellule muscolari lisce della parete vasale;
- quindi un aumento del Ca++ intracellulare;
- una contrazione della muscolatura liscia proporzionale allo stiramento subito dal vaso e quindi
all’aumento pressorio a cui è stato sottoposto;
la contrazione determina una riduzione del raggio vasale, quindi un aumento della resistenza:
se la pressione si porta dietro un aumento proporzionale della resistenza, il flusso (DP/R) a valle rimane invariato, e così la pressione arteriosa a valle.
In questo modo il vaso fa sì che una variazione della pressione che si è verificato a livello sistemico, non si ripercuota localmente in quel particolare distretto.
Naturalmente questo meccanismo riesce a compensare le variazioni pressorie solo fino a un certo punto (ad esempio nel rene funziona solo se la pressione media non scende al di sotto degli 80mHg).
Si tratta di un importante meccanismo di auto-regolazione attuato dal vaso stesso senza fattori esterni e consiste nella capacità di mantenere costante la pressione a fronte di variazioni sistemiche;
tale meccanismo è presente in tutti gli organi, ma ha un ruolo particolarmente rilevante a livello del cuore, del rene e del SNC. Il vaso si comporta in maniera passiva (cioè si lascia dilatare passivamente) fino ad un certo valore di pressione, oltre il quale reagisce costringendosi: il vaso risponde a un aumento pressorio con una vasocostrizione proporzionale all’aumento pressorio stesso. la contrazione determina una riduzione del raggio vasale, quindi un aumento della resistenza:
se la pressione si porta dietro un aumento proporzionale della resistenza, il flusso (DP/R) a valle rimane invariato, e così la pressione arteriosa a valle.
In questo modo il vaso fa sì che una variazione della pressione che si è verificato a livello sistemico, non si ripercuota localmente in quel particolare distretto.
Naturalmente questo meccanismo riesce a compensare le variazioni pressorie solo fino a un certo punto (ad esempio nel rene funziona solo se la pressione media non scende al di sotto degli 80mHg).
Si tratta di un meccanismo che prevede il rilascio in un particolare distretto di sostanze vasoattive, rilasciate da terminazioni nervose, portate da cellule o rilasciate dall’endotelio stesso (endotelio è una struttura attiva, in grado di rilevare variazioni della velocità di taglio con cui fluisce il sangue e aumentare/diminuire il diametro vasale per diminuire/aumentare la velocità).
Queste sostanze vasoattive possono avere un’azione vasodilatatoria, è il caso di:
- adenosina, che deriva dalla scissione di ATP (quindi da un’intensa attività metabolica in loco), quindi segnala la necessità di un maggiore apporto di nutrienti per l’aumentato metabolismo in atto e quindi la necessità di un maggiore flusso in quel distretto (questo avviene ad esempio nel cuore, dove il sistema è autoregolato e sensibilissimo ai metaboliti);
- NO, che viene liberato dall’endotelio vasale stesso per determinare una vasodilatazione, così da ridurre la velocità di flusso e permettere scambi capillari più efficaci.
Questi metaboliti possono avere anche un’azione vasocostrittrice, è il caso di:
- serotonina, che agisce soprattutto sul SNC, costringendo le arteriole della pia madre;
- angiotensina, che viene attivata dalla renina rilasciata dal rene in seguito a calo pressorio, per determinare una vasocostrizione, così da rialzare la pressione e permettere al rene di continuare la sua azione di filtrazione.
è particolarmente importante in alcuni distretti: miocardio, SNC, rene, laddove i parametri termodinamici devono essere mantenuti costanti.
Il ruolo di questo meccanismo è quello di fronteggiare improvvisi aumenti di pressione media.
In alcuni distretti è importante che i valori pressori e di flusso siano mantenuti costanti anche se poi a livello sistemico ci può essere un aumento della pressione sistolica a 145 circa a seguito di uno sforzo fisico.
A fronte di questo aumento, che comporta un aumento anche della pressione media, l’autoregolazione consente di mantenere il flusso e la pressione entro valori costanti a livello dei vasi a valle delle arteriole nei territori dove questo meccanismo è presente.
Questo sistema ha un range di funzionamento oltre il quale iniziano a variare flusso e pressione nell’organo.
si basa sulla risposta miogena. All’aumentare della pressione, aumenta la resistenza di ingresso al letto vasale.
La legge di Ohm mi dice che il flusso è uguale alla differenza di pressione sulla resistenza; se il numeratore e denominatore aumentano, il rapporto non cambia e il flusso resta costante. Al variare della pressione ho un aumento della resistenza che è proporzionale.
L’aumento della pressione di spinta determina aumento della transmurale, che a sua volta tende a dilatare il vaso e questo implica uno stiramento della fibrocellula muscolare, con apertura dei canali di calcio.
Aumentando la concentrazione di calcio intracellulare, si innesca vasocostrizione, la quale sarà proporzionale all’aumento di pressione.
Ecco allora che ci troviamo nella situazione in cui sia il numeratore che denominatore della legge di Ohm sono entrambi aumentati e il flusso rimane costante.
Naturalmente vale la stessa cosa al contrario: se immaginiamo che la pressione diminuisce, la transmurale diminuisce, la dilatazione della parete diminuisce, il quantitativo di calcio dentro le fibrocellule diminuisce, la contrazione diminuisce, il vaso si lascia dilatare e la pressione risale tornando al valore precedente
FUNZIONAMENTO DELL’AUTOREGOLAZIONE del tono vasale basato sulla risposta miogena,
Il sistema dell’autoregolazione viene ad andare in sovrapposizione con gli altri che agiscono sul tono vasale (fattori sistemici, metaboliti locali...)
Se si innesca una vasocostrizone del simpatico con calo di pressione a valle e calo di flusso nel sistema, la curva scivola in basso, cioè il sistema di autoregolazione funziona, ma su valori più bassi, stabiliti da qualcun altro (in questo caso dalla stimolazione simpatica dettata dal SNC, ma può essere stabilita da metaboliti locali, come nel caso del miocardio).
Impostata una certa richiesta funzionale dal miocardio, sulla base dei metaboliti locali, per cui abbiamo un certo valore di flusso, questo viene mantenuto anche se la pressione in arteria in uscita cambia.
Lo scopo è quindi quello di mantenere un quantitativo di sangue adeguato nel circolo capillare a valle, una pressione di perfusione adeguata, la quale ha la funzione di far progredire sangue verso le vene e di garantire filtrazione e assorbimento.
La pressione arteriosa è la pressione che vige in arteria ed è quindi rappresentata dalla forza pressoria che esercita il sangue sulle pareti dell’arteria.
Essendo determinata dalla spinta del sangue sulle pareti, il fattore da cui dipende principalmente la pressione arteriosa è la volemia: maggiore è il volume di sangue all’interno dell’arteria, maggiore sarà la forza da questo esercitata sulle pareti arteriose (infatti nel cadavere c’è pressione di 7mmHg anche in assenza di spinta, perché rimane un po’ di sangue nei vasi che fa pressione contro le pareti).
è il picco pressorio che si registra in arteria quando il ventricolo spinge il sangue in aorta (quindi in sistole isotonica ≈ pressione sistolica);
assume valori maggiori se la forza con cui il ventricolo effettua questa eiezione è maggiore, perché il sangue, spinto con più forza, spingerà con più forza sulle pareti arteriose;
perciò la pressione massima dipende anche dalla forza di contrazione e quindi dalla gittata
La pressione minima è il valore pressorio minimo che si registra in arteria quando il sangue sta fluendo in periferia prima della sistole isotonica (durante la diastole ventricolare e la sistole isometrica ≈ pressione diastolica), per il quale si verifica l’apertura delle semilunari -> rappresenta il post- carico, cioè l’ostacolo che il ventricolo deve superare per poter eiettare il sangue in arteria;
se dopo la sistole di eiezione il sangue fluisce più velocemente verso il lago capillare (perché trova meno resistenze periferiche, quindi vasodilatazione), allora diminuisce la pressione esercitata da quel sangue in arteria e si raggiungerà un valore minimo più basso e più velocemente: perciò la pressione minima dipende anche dalle resistenze periferiche.
:
1. mediante media matematica (se il soggetto sta bene, ma se una delle due pressioni assume un valore troppo alto o troppo basso, tale valore deve avere un peso diverso nel calcolo);
2. mediante calcolatore, che considera l’area sottesa al tracciato della pressione;
3. mediante espressione, che considera la pressione arteriosa media come data dalla pressione diastolica + 1/3 della differenziale.
Δp tra massima e minima
2. fattori fisici:
- la volemia;
- l’elasticità o compliance arteriosa;
1. fattori fisiologici (fattori dati dall’azione cardiaca):
- gittata cardiaca;
- resistenza periferica;
- OSCILLAZIONI DI PRIMO ORDINE, legate alle oscillazioni della frequenza cardiaca perché se questa aumenta, aumenta la gittata che di conseguenza influisce sul valore pressorio.
- OSCILLAZIONI DI SECONDO ORDINE, legate alla frequenza respiratoria perché il sistema respiratorio è in grado di influenzare i valori pressori (il ritorno venoso aumenta in una certa fase del respiro e diminuisce in un’altra).
- OSCILLAZIONI DI TERZO ORDINE, dettate dal SNA e sono più o meno 1 al min. - OSCILLAZIONI CIRCARDIANE (max 15h, min 3h).
Tuttavia queste oscillazioni mantengono complessivamente i valori pressori in un certo ambito considerato fisiologico
1. Il mantenimento di una pressione di perfusione (pressione arteriosa) adeguata;
2. La regolazione della gittata cardiaca come: - controllo della distribuzione regionale
- controllo del volume ematico
La regolazione dei parametri circolatori si basa su meccanismi a feedback negativo:
La pressione arteriosa ha il ruolo fondamentale di controllare il grado di dilatazione vasale e soprattutto garantire gli scambi capillari.
Perciò la regolazione della pressione arteriosa ha un ruolo fondamentale. Esistono due tipi di regolazione arteriosa:
1. regolazione omeostatica -> orientata principalmente a correggere gli effetti delle perturbazioni della pressione arteriosa, così da mantenere la pressione a valori costanti e quindi assicurare la circolazione distrettuale;
2. regolazione comportamentale -> legata a quello che si sta facendo, quindi orientata a produrre gli assetti cardiovascolari adeguati alla necessità del momento, ad esempio mantenendo la pressione fisiologicamente più alta durante l’attività fisica.
1. Meccanismi a breve latenza: consiste in riflesso barocettivo, riflesso chemocettivo, risposta ischemica del sistema nervoso centrale; Sono meccanismi a feedback, più flessibili, adattabili ed utili di una semplice risposta stereotipata ad uno stimolo, tipica di un riflesso.
2. Meccanismi a latenza intermedia: si caratterizza per risposte in parte endocrine che agiscono sulla volemia ma anche a livello vasale, andando ad agire sulla muscolatura venosa o arteriolare. La risposta è importante, rapida ma non rapidissima e comunque prelude la risposta a lunga latenza.
3. Meccanismi a lunga latenza: richiedono ore e giorni per intervenire, ma sono i più efficaci. Agiscono sul controllo della volemia: un meccanismo estremamente potente nel garantire una pressione arteriosa fisiologica ma ha un tempo di intervento piuttosto lungo (una o due settimane). Il meccanismo a lunga latenza è guidato prevalentemente da meccanismi di tipo ormonale e si basa sull’aumento dell’escrezione o del trattenimento dell’acqua in due modi:
- direttamente sull’acqua;
- indirettamente sul sodio (il sodio viene trattenuto o eliminato l’acqua tende a seguirlo per osmosi).
La pressione può essere modificata agendo su:
1) cuore
2) resistenze
3) volume ematico che dipende dal quantitativo di acqua e dalla concentrazione salina
La pressione arteriosa è determinata dal quantitativo di sangue che il cuore butta fuori e dalle resistenze che esso incontra.
Finora abbiamo lavorato in termini di flusso (regolato da pressione e resistenza), ora ci interessa la pressione. Essa è determinata dal flusso (gittata cardiaca, quello che fa il cuore) e dalla resistenza.
PRESSIONE = FLUSSO x RESISTENZA
Si tratta di fattori fisiologici perché entrambi i parametri (flusso e resistenza) possono essere
modificati (dal sistema nervoso, dal sistema ormonale).
Anche alcuni fattori fisici possono essere modificati ma in un modo molto più complesso: - il volume ematico, ovvero la volemia;
- la compliance dell’arteria ;
non la compliance in generale, ma la compliance dell’arteria. La compliance venosa è, infatti, regolata e modificata dall’intervento del simpatico e rientra quindi tra i fattori di resistenza. Sull’arteria, invece, l’azione nervosa del simpatico in grado di modificare la compliance è molto modesta.
Quando c’è un aumento della contrazione muscolare liscia, a livello delle arteriole si ha una modifica della resistenza, a livello delle vene abbiamo una modifica della resistenza ma soprattutto una modifica della compliance.
Quindi la compliance dell’arteria è fondamentalmente dovuta alla struttura fisica dell’arteria. Questi fattori concorrono, in vario modo, alla regolazione e determinazione del parametro di pressione arteriosa
Si tratta di meccanismi di tipo nervoso, che quindi determinano aggiustamenti della pressione arteriosa media tramite risposte estremamente rapide (pochi secondi) e transitorie.
Va a modificare la pressione arteriosa agendo principalmente su due leve:
- attività del cuore, quindi frequenza e gittata sistolica (che determina la pressione massima); - resistenze periferiche (che determinano la pressione minima);
su ciascuna di queste leve agisce uno dei tre meccanismi di regolazione a breve termine, cioè: - i barocettori (che agiscono soprattutto sulle resistenze periferiche);
- i chemocettori (che agiscono sulla gittata);
- i recettori atriali (che agiscono soprattutto sulla frequenza);
in più esiste anche un meccanismo para-fisiologico di risposta ischemica da parte del SNC.
I meccanismi a breve termine che regolano la pressione arteriosa sono composti dai seguenti elementi:
1. RILEVATORE: sensore o recettore;
2. VIE NERVOSE AFFERENTI: trasmettono il segnale dal rilevatore al SNC
3. CENTRO DI COORDINAMENTO: è un centro di controllo nel SNC che confronta il segnale in arrivo con un valore di riferimento (set-Point) e genera un messaggio che codifica la risposta appropriata.
4. VIE NERVOSE EFFERENTI: trasmettono il messaggio alla periferia 5. EFFETTORI: sono preposti all’esecuzione della risposta appropriata
1. RILEVATORE: sensore o recettore;
2. VIE NERVOSE AFFERENTI: trasmettono il segnale dal rilevatore al SNC
3. CENTRO DI COORDINAMENTO: è un centro di controllo nel SNC che confronta il segnale in arrivo con un valore di riferimento (set-Point) e genera un messaggio che codifica la risposta appropriata.
4. VIE NERVOSE EFFERENTI: trasmettono il messaggio alla periferia 5. EFFETTORI: sono preposti all’esecuzione della risposta appropriata
Sono terminazioni nervose libere (Rilevatori: meccanocettori) che si trovano in due punti strategici: - arco aortico (controllano la pressione del sangue che esce dal ventricolo);
- biforcazione carotidea (controllano la pressione del sangue che entra nella scatola cranica);
Le vie afferenti sono costituite dal:
- nervo vago per quanto riguarda i barocettori aortici;
- nervo glossofaringeo per quanto riguarda i barocettori carotidei.
Questi recettori sono sottoposti alle alte pressioni che vigono in arteria, quindi sono attivati da alte pressioni (per questo sono chiamati “recettori ad alta pressione”);
registrano direttamente variazioni di pressione arteriosa, perché si trovano in un tessuto a bassa compliance (parete arteriosa), quindi qualunque variazione del flusso nell’arteria si riflette in una variazione di pressione.
1. la prima è rappresentata dalla resistenza vasale; 2. la seconda dall’azione sul cuore.
RESISTENZA VASALE
La resistenza vasale è data dal raggio del vaso stesso:
- se il raggio aumenta per vasodilatazione la resistenza cala;
- se il raggio diminuisce per vasocostrizione la resistenza aumenta.
Sui vasi è sempre operativo il tono vasale, ovvero il vaso ha una certa tendenza a chiudersi resistendo alla tendenza transmurale che invece tende a dilatarlo.
Questa tendenza del vaso a restringersi è dovuta a due meccanismi:
- il primo è passivo;
- il secondo è attivo, dato dalla contrazione delle fibrocellule muscolari lisce sempre a un certo livello.
Questa contrazione è guidata dai neuroni simpatici postgangliari, a loro volta guidati dai neuroni simpatici pregangliari che si trovano nella colonna intermedio laterale del MS, ma questi devono ricevere a loro volta una scarica tonica imposta dall’area vasomotoria.
L’area vasomotoria si trova nel tronco dell’encefalo e ha un comando tonico, la frequenza di scarica si mantiene nel tempo ma è sottoposta a fluttuazioni in base alle esigenze dell’organismo.
- Quando l’area vasomotoria è attivata controlla il neurone pregangliare che eccita il neurone postgangliare, che induce vasocostrizione.
- Quando l’area vasomotoria è inibita avverrà il contrario, il comando sul neurone pregangliare diminuisce, cosi come quello sul neurone postgangliare e diminuisce anche il grado di contrazione delle fibrocellule muscolari lisce, la pressione transmurale è in grado di dilatare il vaso, la resistenza diminuisce.
AZIONE SUL CUORE
In questo caso si individua l’area cardioinibitoria che fa parte del sistema vagale.
L’azione dell’area cardioinibitrice deprime la frequenza e in parte la forza di contrazione del cuore.
Il sistema cardioinibitore fa parte del sistema vagale, è quindi un sistema parasimpatico.
La resistenza vasale è data dal raggio del vaso stesso:
- se il raggio aumenta per vasodilatazione la resistenza cala;
- se il raggio diminuisce per vasocostrizione la resistenza aumenta.
Sui vasi è sempre operativo il tono vasale, ovvero il vaso ha una certa tendenza a chiudersi resistendo alla tendenza transmurale che invece tende a dilatarlo.
Questa tendenza del vaso a restringersi è dovuta a due meccanismi:
- il primo è passivo;
- il secondo è attivo, dato dalla contrazione delle fibrocellule muscolari lisce sempre a un certo livello.
Questa contrazione è guidata dai neuroni simpatici postgangliari, a loro volta guidati dai neuroni simpatici pregangliari che si trovano nella colonna intermedio laterale del MS, ma questi devono ricevere a loro volta una scarica tonica imposta dall’area vasomotoria.
L’area vasomotoria si trova nel tronco dell’encefalo e ha un comando tonico, la frequenza di scarica si mantiene nel tempo ma è sottoposta a fluttuazioni in base alle esigenze dell’organismo.
- Quando l’area vasomotoria è attivata controlla il neurone pregangliare che eccita il neurone postgangliare, che induce vasocostrizione.
- Quando l’area vasomotoria è inibita avverrà il contrario, il comando sul neurone pregangliare diminuisce, cosi come quello sul neurone postgangliare e diminuisce anche il grado di contrazione delle fibrocellule muscolari lisce, la pressione transmurale è in grado di dilatare il vaso, la resistenza diminuisce.
effettuato dai BAROCETTORI che Sono terminazioni nervose libere (Rilevatori: meccanocettori). fa parte dei meccanismi di REGOLAZIONE A BREVE TERMINE,i meccanismi di tipo nervoso, che quindi determinano aggiustamenti della pressione arteriosa media tramite risposte estremamente rapide (pochi secondi) e transitorie.
sfrutta una componente sensitiva afferente e una motoria efferente.
Nel caso in cui la pressione arteriosa aumenti:
- aumenta naturalmente anche la componente transmurale, quindi il vaso si dilata e il barocettore viene stirato;
- lo stiramento del barocettore determina l’apertura dei canali del Na+;
- entra il Na+ e si depolarizza la membrana;
- la depolarizzazione determina un aumento della scarica di questo recettore;
quindi un aumento pressorio comporta una maggiore frequenza di scarica del barocettore;
allora, tramite il nervo vago (aortici) o il nervo glossofaringeo (carotidei), queste terminazioni nervose inviano un segnale (vagamente proporzionale all’onda pressoria) fino al centro di coordinamento, rappresentato dal bulbo e in particolare al nucleo del tratto solitario (NTS);
Questo:
- confronta il segnale ricevuto con un set-point (cioè con il valore che normalmente la pressione dovrebbe assumere);
- calcola l’errore (cioè di quanto il valore segnalato si discosta dal set-point);
- e corregge l’errore per riportare la pressione arteriosa a valori più bassi;
per fare questo il NTS deve diminuire l’attività cardiaca e le resistenze periferiche, e lo fa agendo, a sua volta, su altri due nuclei del tronco encefalico, cioè:
- il nucleo rostrale ventro-laterale (centro vasomotore);
- il nucleo ambiguo (centro cardioinibitore):
se l’area vasomotoria e cardioinibitrice sono tonicamente attive per permettere una costante attività del SNs sui vasi (tono vasale) e una costante frenatura dell’azione del SNs sul cuore, in caso di aumento pressorio il NTS attiva:
- gli interneuroni inibitori del centro vasomotore;
- gli interneuroni eccitatori del centro cardioinibitore;
così da:
- ridurre l’attivazione tonica del SNs a livello vasale (vasodilatazione e abbassamento delle resistenze periferiche);
- incrementare l’inibizione tonica sul SNs a livello cardiaco (riduzione della performance cardiaca);
QUINDI: complessivamente un aumento pressorio comporta un’inibizione della componente simpatica.
Al contrario, quando la pressione arteriosa cala:
- la parete dell’arteria si dilata di meno; - il recettore non viene stirato;
- non si verifica la depolarizzazione;
- diminuisce la scarica del recettore;
quindi un calo pressorio comporta una minore frequenza di scarica del barocettore;
tramite il nervo vago o il nervo glossofaringeo, queste terminazioni nervose inviano il segnale al NTS; questo confronta il segnale ricevuto con il set-point, calcola l’errore e lo corregge per riportare la pressione arteriosa a valori più alti;
per fare questo il NTS deve aumentare le resistenze periferiche e l’attività cardiaca, e lo fa agendo sempre sul nucleo rostrale ventro-laterale (centro vasomotore) e sul nucleo ambiguo (centro cardioinibitore);
in caso di calo pressorio il NTS attiva:
- gli interneuroni eccitatori del centro vasomotore; - gli interneuroni inibitori del centro cardioinibitore;
così da:
- incrementare l’attivazione tonica del SNs a livello vasale (vasocostrizione e aumento delle resistenze periferiche);
- ridurre l’inibizione tonica sul SNs a livello cardiaco (aumento della performance cardiaca); quindi complessivamente un calo pressorio comporta un’attivazione della componente simpatica.
- aumenta naturalmente anche la componente transmurale, quindi il vaso si dilata e il barocettore viene stirato;
- lo stiramento del barocettore determina l’apertura dei canali del Na+;
- entra il Na+ e si depolarizza la membrana;
- la depolarizzazione determina un aumento della scarica di questo recettore;
quindi un aumento pressorio comporta una maggiore frequenza di scarica del barocettore;
allora, tramite il nervo vago (aortici) o il nervo glossofaringeo (carotidei), queste terminazioni nervose inviano un segnale (vagamente proporzionale all’onda pressoria) fino al centro di coordinamento, rappresentato dal bulbo e in particolare al nucleo del tratto solitario (NTS);
Questo:
- confronta il segnale ricevuto con un set-point (cioè con il valore che normalmente la pressione dovrebbe assumere);
- calcola l’errore (cioè di quanto il valore segnalato si discosta dal set-point);
- e corregge l’errore per riportare la pressione arteriosa a valori più bassi;
per fare questo il NTS deve diminuire l’attività cardiaca e le resistenze periferiche, e lo fa agendo, a sua volta, su altri due nuclei del tronco encefalico, cioè:
- il nucleo rostrale ventro-laterale (centro vasomotore);
- il nucleo ambiguo (centro cardioinibitore):
se l’area vasomotoria e cardioinibitrice sono tonicamente attive per permettere una costante attività del SNs sui vasi (tono vasale) e una costante frenatura dell’azione del SNs sul cuore, in caso di aumento pressorio il NTS attiva:
- gli interneuroni inibitori del centro vasomotore;
- gli interneuroni eccitatori del centro cardioinibitore;
così da:
- ridurre l’attivazione tonica del SNs a livello vasale (vasodilatazione e abbassamento delle resistenze periferiche);
- incrementare l’inibizione tonica sul SNs a livello cardiaco (riduzione della performance cardiaca);
QUINDI: complessivamente un aumento pressorio comporta un’inibizione della componente simpatica.
- la parete dell’arteria si dilata di meno; - il recettore non viene stirato;
- non si verifica la depolarizzazione;
- diminuisce la scarica del recettore;
quindi un calo pressorio comporta una minore frequenza di scarica del barocettore;
tramite il nervo vago o il nervo glossofaringeo, queste terminazioni nervose inviano il segnale al NTS; questo confronta il segnale ricevuto con il set-point, calcola l’errore e lo corregge per riportare la pressione arteriosa a valori più alti;
per fare questo il NTS deve aumentare le resistenze periferiche e l’attività cardiaca, e lo fa agendo sempre sul nucleo rostrale ventro-laterale (centro vasomotore) e sul nucleo ambiguo (centro cardioinibitore);
in caso di calo pressorio il NTS attiva:
- gli interneuroni eccitatori del centro vasomotore; - gli interneuroni inibitori del centro cardioinibitore;
così da:
- incrementare l’attivazione tonica del SNs a livello vasale (vasocostrizione e aumento delle resistenze periferiche);
- ridurre l’inibizione tonica sul SNs a livello cardiaco (aumento della performance cardiaca); quindi complessivamente un calo pressorio comporta un’attivazione della componente simpatica.
Il segnale rilevato da questi barocettori non è di tipo statico, ma è un segnale dinamico, cioè essi registrano le variazioni pressorie nel tempo, non quello che avviene in un istante;
questo avviene per permettere al sistema di anticipare l’errore, cioè di valutare (lavorando sulle derivate nel tempo delle variazioni pressorie) non il picco pressorio, ma le accelerazioni del sistema per arrivare al picco, così da capire in anticipo se il valore arriverà troppo in alto perché ha un’accelerazione troppo alta.
Il valore pressorio per il quale questi recettori scaricano è normalmente 100mmHg e coincide con la pressione media, così i barocettori hanno lo stesso margine di sensibilità sia per registrare un aumento pressorio (e aumentare la scarica) sia un calo pressorio (e diminuire la scarica).
Il valore pressorio per il quale questi recettori scaricano è normalmente 100mmHg e coincide con la pressione media, così i barocettori hanno lo stesso margine di sensibilità sia per registrare un aumento pressorio (e aumentare la scarica) sia un calo pressorio (e diminuire la scarica). Il segnale rilevato da questi barocettori non è di tipo statico, ma è un segnale dinamico, cioè essi registrano le variazioni pressorie nel tempo, non quello che avviene in un istante;
questo avviene per permettere al sistema di anticipare l’errore, cioè di valutare (lavorando sulle derivate nel tempo delle variazioni pressorie) non il picco pressorio, ma le accelerazioni del sistema per arrivare al picco, così da capire in anticipo se il valore arriverà troppo in alto perché ha un’accelerazione troppo alta.
In realtà, il riflesso barocettivo non è propriamente un riflesso (stimolazione recettore -> attivazione dell’effettore), ma piuttosto un feedback, cioè un meccanismo più flessibile che implica la presenza di un set-point, che può essere variato a seconda delle circostanze (ad esempio attività fisica)
Il sistema a feedback svolge sostanzialmente un confronto tra l’atteso, il set point, e il realizzato, ossia il valore attuale; la differenza tra i due valori è l’errore che corrisponde alla correzione da attuare.
Il sistema a feedback rispetto al sistema riflesso è flessibile: è possibile cambiare il setpoint.
Cambiando il setpoint è ammissibile che il sistema barocettivo funzioni a valori diversi in condizioni diverse (durante l’attività fisica).
Se il set point è spostato da 95/100mmHg a 140/150mmHg durante l’attività fisica, la pressione arteriosa fisiologica assumerà valore più alto. Il meccanismo barocettivo interverrà quando il nuovo setpoint sarà superato o si giungerà a un valore inferiore.
In realtà, il riflesso barocettivo non è propriamente un riflesso (stimolazione recettore -> attivazione dell’effettore), ma piuttosto un feedback, cioè un meccanismo più flessibile che implica la presenza di un set-point, che può essere variato a seconda delle circostanze (ad esempio attività fisica)
Il sistema a feedback svolge sostanzialmente un confronto tra l’atteso, il set point, e il realizzato, ossia il valore attuale; la differenza tra i due valori è l’errore che corrisponde alla correzione da attuare.
Il sistema a feedback rispetto al sistema riflesso è flessibile: è possibile cambiare il setpoint.
Cambiando il setpoint è ammissibile che il sistema barocettivo funzioni a valori diversi in condizioni diverse (durante l’attività fisica).
Se il set point è spostato da 95/100mmHg a 140/150mmHg durante l’attività fisica, la pressione arteriosa fisiologica assumerà valore più alto.
Il meccanismo barocettivo interverrà quando il nuovo setpoint sarà superato o si giungerà a un valore inferiore.
Perciò nonostante si parli in maniera impropria di “riflesso barocettivo” si tratta in realtà di un feedback che può cambiare il proprio setpoint.
in seguito ad aumento pressorio, la frequenza di scarica aumenta per i primi minuti, poi dopo un po’ si riduce e continua a diminuire, quindi smette di scaricare nonostante la pressione elevata, perché accetta come valido quel nuovo valore;
l’implicazione funzionale di questo è che tale sistema è molto efficace per i cambiamenti repentini e improvvisi di pressione legati ad esempio alle modificazioni posturali del soggetto (come nell’ipotensione ortostatica: passaggio clinostatismo/ortostatismo), ma non va bene per gli stati cronici, per i quali sono invece più adatti i meccanismi a lungo termine.
Sono recettori che si trovano in prossimità dei barocettori, in corrispondenza del glomo aortico e del glomo carotideo.
Questi recettori non registrano direttamente la pressione arteriosa, ma variazioni della concentrazione di O2, CO2 e pH nel sangue;
la loro risposta a queste variazioni è:
- innanzitutto un cambiamento della respirazione (che diventa più o meno profonda e frequente);
- se questo non è sufficiente, vanno ad agire sulla gittata sistolica, che determina conseguentemente anche una variazione della pressione arteriosa.
Ad esempio, se i chemocettori registrano poco O2 e troppa CO2:
- aumenta la loro frequenza di scarica;
- prima rendono la respirazione più profonda e frequente;
- poi, se questo non basta, agendo anch’essi sul nucleo del tratto solitario, aumentano la gittata cardiaca per far arrivare più O2 ai tessuti;
- l’aumento della gittata cardiaca si porta dietro un aumento della pressione arteriosa.
Questo sistema entra in azione quando il valore della pressione media scende sotto quello di 80mmHg (valore basso, paziente con pressione arteriosa 60mmHg rischia), il che implica un calo della pressione minima e della pressione massima cospicuo.
Il sistema chemocettivo si considera un sistema a breve termine che interviene in seconda battuta, dopo il sistema barocettivo nel caso in cui il primo intervento non sia stato in grado di ristabilire i parametri.
Sono recettori che si trovano in prossimità dei barocettori, in corrispondenza del glomo aortico e del glomo carotideo.
Questi recettori non registrano direttamente la pressione arteriosa, ma variazioni della concentrazione di O2, CO2 e pH nel sangue;
la loro risposta a queste variazioni è:
- innanzitutto un cambiamento della respirazione (che diventa più o meno profonda e frequente);
- se questo non è sufficiente, vanno ad agire sulla gittata sistolica, che determina conseguentemente anche una variazione della pressione arteriosa.
- aumenta la loro frequenza di scarica;
- prima rendono la respirazione più profonda e frequente;
- poi, se questo non basta, agendo anch’essi sul nucleo del tratto solitario, aumentano la gittata cardiaca per far arrivare più O2 ai tessuti;
- l’aumento della gittata cardiaca si porta dietro un aumento della pressione arteriosa.
Questo sistema entra in azione quando il valore della pressione media scende sotto quello di 80mmHg (valore basso, paziente con pressione arteriosa 60mmHg rischia), il che implica un calo della pressione minima e della pressione massima cospicuo.
Il sistema chemocettivo si considera un sistema a breve termine che interviene in seconda battuta, dopo il sistema barocettivo nel caso in cui il primo intervento non sia stato in grado di ristabilire i parametri.
Questo sistema entra in azione quando il valore della pressione media scende sotto quello di 80mmHg (valore basso, paziente con pressione arteriosa 60mmHg rischia), il che implica un calo della pressione minima e della pressione massima cospicuo.
Il sistema chemocettivo si considera un sistema a breve termine che interviene in seconda battuta, dopo il sistema barocettivo nel caso in cui il primo intervento non sia stato in grado di ristabilire i parametri.
Si tratta di un meccanismo para-fisiologico, perché è un meccanismo fisiologico attivato da uno stato patologico (P<60mmHg, massima azione P=15-20mmHg) e in alcuni casi può anche peggiorare la situazione.
Se a livello cerebrale si verifica una trombosi o un’emorragia, il SNC non viene più perfuso adeguatamente e allora aumenta la pressione sanguigna così da ricevere più sangue;
se questo non crea particolari problemi in caso di trombosi, ne crea invece in caso di emorragia, perché l’aumento pressorio determina un maggiore sanguinamento incontrollato che peggiora la situazione.
Si tratta di un meccanismo molto potente che in pochi minuti può portare la pressione anche fino a 250mmHg.
Questi recettori non agiscono direttamente sulla pressione arteriosa, ma controllano la volemia e, poiché la volemia è uno dei principali determinanti della pressione arteriosa, regolano indirettamente anche la pressione arteriosa.
Sono meccanocettori situati all’interno dell’atrio e sono di due tipi:
1. recettori di tipo A (si trovano nella regione centrale dell’atrio e mandano scariche sincrone con la sistole
atriale, quindi controllano la frequenza);
2. recettori di tipo B, che si trovano allo sbocco delle vene cave e scaricano subito prima dell’apertura delle valvole atrio-ventricolari cioè quando l’atrio è pieno e sta per svuotarsi nel ventricolo, quindi controllano il volume atriale e dunque il RV.
Infatti questi recettori di tipo B sono chiamati “barocettori di volume”, perché strutturalmente sono identici ai barocettori ma, invece di misurare direttamente la pressione, misurano il volume;
recettori atriali di tipo B sono chiamati “barocettori di volume”, perché strutturalmente sono identici ai barocettori ma, invece di misurare direttamente la pressione, misurano il volume;
questo è dovuto al diverso contesto in cui si trovano:
- i barocettori arteriosi si trovano in tessuto a bassa compliance (quindi parete si dilata poco, quindi volume aumenta poco e parametro che varia di più è la pressione);
- i recettori atriali si trovano in tessuto ad alta compliance (quindi parete si lascia dilatare molto, quindi pressione aumenta poco e parametro che varia di più è volume).
Questi recettori di tipo B sono anche chiamati “recettori a bassa pressione”, perché sono meccanocettori che, al contrario dei barocettori arteriosi (che sono attivati da valori pressori molto alti), rispondono a variazioni minime di pressione. I recettori registrano cambiamenti della volemia che si portano dietro cambiamenti della pressione e in particolare rilevano aumenti della volemia e rispondono tramite il riflesso di Bainbridge
recettori di tipo B, che si trovano allo sbocco delle vene cave e scaricano subito prima dell’apertura delle valvole atrio-ventricolari cioè quando l’atrio è pieno e sta per svuotarsi nel ventricolo, quindi controllano il volume atriale e dunque il RV.
Infatti questi recettori di tipo B sono chiamati “barocettori di volume”, perché strutturalmente sono identici ai barocettori ma, invece di misurare direttamente la pressione, misurano il volume;
questo è dovuto al diverso contesto in cui si trovano:
- i barocettori arteriosi si trovano in tessuto a bassa compliance (quindi parete si dilata poco, quindi volume aumenta poco e parametro che varia di più è la pressione);
- i recettori atriali si trovano in tessuto ad alta compliance (quindi parete si lascia dilatare molto, quindi pressione aumenta poco e parametro che varia di più è volume).
Questi recettori di tipo B sono anche chiamati “recettori a bassa pressione”, perché sono meccanocettori che, al contrario dei barocettori arteriosi (che sono attivati da valori pressori molto alti), rispondono a variazioni minime di pressione.
registrano quindi cambiamenti della volemia che si portano dietro cambiamenti della pressione (quindi registrano variazioni della pressione in modo indiretto);
In particolare rilevano aumenti della volemia e rispondono tramite il riflesso di Bainbridge:
Il riflesso di Bainbridge è la risposta dei recettori atriali ad aumenti della volemia:
Aumenta volemia = aumenta ritorno venoso -> aumenta P atriale -> stimola i barocettori -> attiva il SNs:
- a livello periferico -> vasocostrizione (se torna troppo sangue aumento resistenze periferiche, così aumenta post-carico, così esce meno sangue, così ne torna di meno all’atrio)
- a livello centrale -> effetto cronotropo positivo (aumenta la frequenza) e aumenta la contrattilità (aumenta la gittata cardiaca per pareggiare ritorno venoso e gittata cardiaca).
1. Vasodilatazione renale per determinare una diminuzione della volemia (con aumento della diuresi);
2. Inibisce il rilascio di ADH dall’ipotalamo per determinare una diminuzione della volemia (con aumento della diuresi); 3. Rilascia il peptide natriuretico atriale che vasodilata il rene e aumenta la diuresi.
È evidente che la frequenza aumenta in seguito a: - un aumento di pressione e volemia;
- una diminuzione di pressione e volemia;
perché in entrambi i casi si attiva il SNs:
- in caso di aumento, tramite recettori atriali di tipo B e riflesso di Bainbridge (e anche tramite
stiramento del nodo SA);
- in caso di diminuzione, tramite barocettori aortici e carotidei.
Quindi queste due situazioni, pur essendo opposte, hanno lo stesso effetto sulla frequenza cardiaca per ragioni diverse.
- il cuore ha meno sangue da pompare;
- quindi diminuisce la GS;
- per mantenere la GC più o meno costante bisogna aumentare la frequenza;
parte sinistra del grafico: la curva della GS scende ma quella della frequenza sale per compensare quindi curva della GC non scende quanto la GS
- la GS rimane costante perché i barocettori diminuiscono la contrattilità (quindi anche se aumenta il VTD aumenta pure il VTS) perché si accorgono che è aumentata la pressione (per via dell aumento dellavolemia), quindi (oltre a diminuire
le resistenze periferiche per abbassare la minima) riducono la forza di contrazione per abbassare la massima;
- allora se GS resta costante, per pareggiare l’aumento del ritorno venoso con GC (cioè il quantitativo di sangue che entra dentro con quello che esce fuori) bisogna aumentare la frequenza;
parte destra del grafico: la curva di GS rimane costante, mentre quella della frequenza sale facendo salire anche quella di GC.
frequenza e GS hanno ndamenti non lineari rispetto alla volemia. La GC è praticamente linearmente proporzionale alla volemia: infatti all aumentare della volemia lungo l asse x essa aumenta e viceversa
Si tratta di meccanismi di tipo ormonale, che quindi determinano aggiustamenti della pressione arteriosa media tramite risposte più lente (minuti o ore) e durature.
Questo tipo di regolazione va a modificare la pressione arteriosa agendo principalmente su una leva: la volemia;
Sono i controlli più importanti perchè il controllo nervoso è immediato ma serve a tamponare momentaneamente una situazione altrimenti pericolosa ma è necessario risolvere il problema.
TRE MECCANISMI FONDAMENTALI:
1) SISTEMA RENINA-ANGIOTENSINA-ALDOSTERONE
2) MECCANISMO DI STRESS RELAXATION VASALE
3) SPOSTAMENTO DI VOLUMI TRA INTERSTIZIO E SANGUE
Ci sono due modi per modificare la volemia:
1. Introdurre più acqua aumentandola fisicamente 2. Eliminare l’acqua attraverso la minzione
1. Introdurre più acqua aumentandola fisicamente 2. Eliminare l’acqua attraverso la minzione
Poiché il rene svolge il suo lavoro di filtrazione soprattutto attraverso la pressione, deve mantenere la propria pressione costante e molto piccola (10mmHg) rispetto alle variazioni che avvengono all’interno dell’organismo, quindi risponde con molta efficacia alle variazioni pressorie.
In caso di eccessivo abbassamento della pressione, il rene (che, se non la rialzasse, avrebbe una ridotta capacità di filtrazione):
- libera nel sangue l’ormone renina;
- la renina tramite un meccanismo a cascata va ad attivare l’angiotensina II;
- l’angiotensina II è un vasocostrittore così potente da poter determinare un innalzamento della pressione arteriosa anche fino a 300mmHg;
- oltre ad agire sulle resistenze periferiche, l’angiotensina II attiva l’aldosterone;
- l’aldosterone aumenta il riassorbimento di Na+ a livello renale e conseguentemente di acqua,
così da aumentare la volemia e di conseguenza la pressione arteriosa. In questo grafico si può notare l’efficacia del
sistema.
Si nota l’effetto di un’emorragia in cui la pressione media scende da 100mmHg a 50mmHg nel caso in cui:
- il sistema renina-angiotensina sia attivo -> nell’arco di circa 20 minuti si manifesta l’effetto e si dimezza il problema
- in assenza di sistema renina angiotensina -> il recupero è molto più tardivo
Gli organi cavi costituiti da tessuto muscolare liscio sono in grado di mantenere un certo grado di contrazione per tenere sempre il contenuto a una pressione costante.
Quando il contenitore si dilata (il contenuto aumenta) l’azione deve diminuire (il muscolo si rilascia) in modo tale che la pressione rimanga uguale.
Quando il contenitore si svuota la muscolatura tende, al contrario, a contrarsi.
Esistono tre compartimenti: - intracellulare
- extracellulare interstiziale - extracellulare vascolare
Per aumentare o diminuire la volemia si deve trasferire liquido dall’ interstizio ai vasi o viceversa, in questo modo il volume contenuto nei vasi può essere variato e come conseguenza si avranno variazioni della pressione.
Quando:
- pressione idrostatica > oncotica -> il capillare filtra
- pressione idrostatica < oncotica -> il capillare assorbe
AUMENTO PRESSORIO (IPERTENSIONE) - la filtrazione aumenta
- il riassorbimento diminuisce
CALO PRESSORIO
- la filtrazione diminuisce
- il riassorbimento aumenta
L’azione è sempre la stessa: modificano la volemia grazie al coinvolgimento del sistema urinario e del rene che opera andando a scambiare o a trattenere H2O e sali.
Il compito principale del rene è fare in modo che la quantità di acqua e sali che entra nel corso della giornata sia uguale a quella che fuoriesce: deve eliminare acqua ed elettroliti in modo da mantenere l’equilibrio idrico-elettrolitico.
Controllando il bilancio idrico-elettrolitico si controlla la volemia e quindi la pressione arteriosa la quale condiziona la gittata.
Il controllo del bilancio idrico elettrolitico è effettuato a tre livelli: - controllo neuro-ormonale sistemico
- controlli renali locali
- sistema renina-aldosterone
Sono dei meccanismi che presentano una latenza maggiore (intervengono dopo minuti-ore) e si protraggono nel tempo (giorni-mesi).
Si esplicano attraverso variazioni di scambi idro-salini e della volemia e il coinvolgimento del sistema urinario.
Il rene regola le concentrazioni, ma può anche intervenire nella modifica del volume del solvente (=volemia) andando a regolare l’eliminazione a fronte di un certo valore di assunzione quotidiana di sali ed acqua:
- bilancio idrico elettrolitico positivo: ne elimino meno di quanta ne introduco - bilancio idrico elettrolitico negativo: ne elimino di più (aumenta la diuresi).
Il rene a sua volta agisce sulla pressione andando a modificare la volemia.
In corrispondenza del glomerulo renale in 24h passano 180L di H2O ed elettroliti dal capillare al rene. In media eliminiamo 1,5L di acqua.
Se la pressione arteriosa aumenta -> aumenta la filtrazione -> passa più H2O dai capillari al rene -> viene eliminata più H2O.
Questo sistema è in grado di ridurre la volemia all’infinito ed già straordinaria efficacia a stabilizzarla non appena aumenta.
DIURESI PRESSORIA = aumento dei liquidi eliminati a seguito di innalzamenti pressori .
Mette in relazione la pressione arteriosa con l’intake e l’output di sale e acqua.
- a una PA di 50mmHg l’output di urina è zero
- a una PA di 100 mmHg è normale (punto di equilibrio) - a una Pa di 200mmHg aumenta di 6/8 volte
Se si elimina acqua bisogna eliminare anche sale (altrimenti la [Na+] aumenterebbe troppo).
Per cui oltre a diuresi pressoria si ha anche natriuresi pressoria (nelle vie urinarie c’è maggiore sodio).
Esempio: la pressione arteriosa sale a 150mmHg e l’intake di acqua e sale rimane uguale
In questi caso si avrà un’eliminazione molto più elevata di acqua e sale rispetto all’intake e il bilancio diventa negativo.
Di conseguenza si avrà:
- una diminuzione della volemia;
- una diminuzione della pressione fino al valore normale.
Ci sono due modi per modificare il punto di equilibrio:
1. Cambiare l’assunzione di acqua e sali 2. Spostare la curva di funzione renale
Dal momento che si sta spostando il punto di equilibrio, il sistema funziona ad un altro livello per cui si entra in un meccanismo patologico. Nel caso in cui l’intake rimanga costante ma si sposti la curva di funzione renale si avrà un funzionalmente diverso (patologico) del rene. La sequenza di eventi sarà:
- patologia renale
- spostamento del punto di equilibrio
- un nuovo valore pressorio al quale il rene riesce a lavorare
1. Cambiare l’assunzione di acqua e sali 2. Spostare la curva di funzione renale
Dal momento che si sta spostando il punto di equilibrio, il sistema funziona ad un altro livello per cui si entra in un meccanismo patologico.
Individui diversi rispondono in maniera differente all’intake e di sale:
- individui sale-sensibili -> l’apporto dietetico di NaCl maggiore del normale crea poroblemi - individui insensibili -> l’apporto dietetico di NaCl maggiore del normale non ha conseguenze.
In situazioni fisiologiche il rene viene informato dell’aumento di sale e senza variare la pressione aumenta l’escrezione di sale ed elettroliti introdotti sotto il controllo di una serie di ormoni (tra cui l’aldosterone).
Per cui fisiologicamente, con un corretto funzionamento dei reni, l’aumento dell’apporto di sale è assolutamente tollerato e non provoca un aumento della pressione. Può succedere che il rene non riesca a far fronte a questa situazione e che quindi ci sia uno stato di ipertensione.
Questo può succedere:
1. Per perdita di nefroni (intervento chirurgico) 2. Alterazioni funzionali del rene
Variazioni delle resistenze periferiche si riflettono sulla gittata: - aumento delle resistenze periferiche
- aumento del post-carico
- più difficoltà da parte del cuore a vincere il post-carico
- la gittata cardiaca diminuisce
Nonostante ciò, in situazioni fisiologiche in cui vi è corretto funzionamento dei reni la pressione arteriosa media rimane inalterata.
Ciò per sottolineare che il controllo della pressione, della gittata e della volemia sono separati ma al tempo stesso gli aspetti sono interdipendenti tra di loro:
- posso avere un controllo della gittata indipendente dalla pressione arteriosa;
- se aumento molto la gittata posso avere un aumento della pressione arteriosa, se questa situazione si mantiene nel tempo posso andare a ridurre la pressione arteriosa normalizzandola e mantenendo la gittata alta utilizzando la funzione renale.
La regolazione comportamentale nasce ad esempio quando c'è un'attivazione nel sistema nervoso autonomo;
l'attivazione è legata al fatto che devo affrontare una stress psichico e più frequentemente fisico, quindi il corpo viene preparato ad affrontare questa situazione:
- le vie respiratorie vengono dilatate dalla stimolazione del simpatico per favorire l'apporto di aria, e la rimozione della CO2;
- la pressione aumenterà leggermente;
- soprattutto la funzione cardiaca aumenterà per aumentare la gittata cardiaca.
Allora queste sono modifiche comportamentali decise dal cervello che decide che devo impegnarmi fisicamente e va ad adeguare l'intero sistema a quella che è la nuova situazione.
L'aspetto importante è che la preparazione anticipa il bisogno, è un feedforward: nel momento in cui il cervello decide che deve prepararsi ad affrontare una prova fisica di una certa importanza, anticipa il problema e comincia ad aumentare la performance degli apparati che saranno coinvolti.
Quindi è comunque un qualcosa che parte al livello corticale dove si decide, poi deve essere inviata alla porzione profonda dell'encefalo dove vengono controllate le funzioni neurovegetative e da qui poi agli effettori che vanno a gestire questa situazione che si viene a creare.
1. ritorno venoso (somma dei controlli locali)
2. controlli che adeguano la gittata alle richieste metaboliche (fattori periferici e legge di starling) 3. comando nervoso (controllo funzionale: adatto la funzione
4. ipertrofia cardiaca (comando adattivo: adatto la struttura)
Queste modifiche vengono descritte dalle curve di funzione cardiaca.
Il cuore è un muscolo e quindi può andare incontro a modifiche strutturali.
Se la richiesta di lavoro è aumentata, il muscolo cardiaco aumenta la massa e aumenta la forza.
Un eccesso di richiesta può danneggiare il cuore; per eccesso di richiesta si intende che la massa muscolare cresce troppo velocemente rispetto all'angiogenesi, infatti se aumenta la massa muscolare, devono crescere anche i capillari altrimenti non arriva sangue in maniera adeguata.
Nel caso del cuore questa situazione è critica perché la densità capillare è altissima perché la funzione delle fibrocellule cardiache è una funzione esclusivamente di tipo aerobico e quindi l'accoppiamento deve essere stretto, altrimenti la densità capillare sarà più bassa e il soggetto rischierà l'infarto.
ESEMPIO: il maratoneta
È il classico soggetto che va incontro ad un aumento della massa cardiaca importante, fino al 50/75%, arriva fino a 30/40 litri al minuto che lui può buttare fuori, perché la maratona è uno sport aerobico quindi deve necessariamente arrivare il sangue altrimenti il maratoneta si ferma.
In questa situazione l’aumento della gittata che arriva fino a 30/ 40 litri e il 75% della massa, è determinante.
Quindi sicuramente è un meccanismo molto potente in grado di aumentare e variare fortemente la curva di funzione cardiaca.
Il controllo nervoso è una modifica funzionale che avviene nel giro di alcuni minuti.
Il mantenimento della pressione a livello basso è un compito: - del sistema nervoso, che interviene nell’immediatezza;
- del sistema renale interviene nel tempo.
L’intervento nervoso è rapido e transitorio, quello renale è lento ma persistente, a lungo termine.
I fattori importanti a mantenere una pressione adeguata sono il ritorno venoso e la gittata, perché i meccanismi che intervengono sono dati da:
- vasodilatazione periferica;
- aumento la gittata e mantenimento della pressione;
- vasodilatazione periferica;
- aumento del ritorno venoso e aumento della gittata (che aumenta la pressione)
I controlli periferici mi richiedono di andare ad aumentare la gittata e mi dicono dove questo flusso deve aumentare, in quale parte del mio corpo. I controlli centrali mi devono aiutare a sostenere questo aumento della gittata ma anche al tempo stesso mantenere la pressione a livelli corretti.
viene indotto un forte aumento della richiesta metabolica farmacologicamente, il dinitrofenolo dà un
aumento molto importante, molto simile a quello che si può avere con un esercizio fisico molto intenso.
Quindi determinerà un’ intensa vasodilatazione, abbastanza generalizzata, con un aumento della gittata.
- A sistema nervoso intatto, abbiamo un forte aumento della gittata, ma abbiamo un mantenimento della pressione allo stesso valore.
- Se però noi abbiamo un blocco del controllo nervoso allora vediamo che la gittata aumenta poco e la pressione precipita perché i controlli locali mi impongono una vasodilatazione, per cui i controlli locali mi vanno in definitiva a sottrarre sangue rispetto al ritorno venoso e il cuore avrà poco da buttare fuori, quindi bisogna in qualche modo compensare e mantenere questo equilibrio.
abbiamo un comando che parte dal SNC, quindi un comando centrale che va ai vasi muscolari, che
va a determinare una venocostrizione molto intensa.
I vasi venosi si restringono, ma l’effetto sulla compliance è molto maggiore e fa sì che la parete
oltre che a rimpicciolirsi, si irrigidisca e corrisponde ad un aumento relativo della volemia.
Si ha un aumento della contrazione quindi della frequenza cardiaca (effetto inotropo e cronotropo positivo), da cui un aumento della gittata, ma un aumento modesto della pressione, perché la vasodilatazione periferica viene a contenere il fenomeno.
Il cuore si trova nel torace e intorno al cuore abbiamo la pressione all'interno dello spazio pleurico che ha una pressione negativa che preme molto poco anzi, affatto, sul cuore.
Questa pressione negativa in realtà tende a dilatare il cuore.
il valore medio è di circa -4 mm Hg.
Se la pressione aumentasse da -4 a -2 mmHg, la curva si sposterebbe a destra e quindi serviranno pressioni atriali maggiori.
Osservando la curva venosa, possiamo dire che il punto di equilibrio si sta spostando.
Se la pressione aumenta ancora, ecco che la curva scivola nuovamente verso destra;
QUINDI: se cambia la pressione pleurica, cambia la funzione cardiaca.
Normalmente è un fattore di cui noi rileviamo la presenza, ma c'è fisiologicamente;
se cambia la respirazione, questo si ripercuote su quello che fa il cuore, quindi dovrà intervenire il sistema simpatico che andrà a compensare questa perdita di funzione della curva cardiaca. Le situazioni fisiologiche e non fisiologiche in cui questo fenomeno ha luogo sono: - durante la respirazione, perché la pressione pleurica cambia.
La pressione pleurica può cambiare molto in alcune situazioni, per esempio, in uno stato di asma, quando noi respiriamo contro una pressione negativa o una pressione positiva.
- In un’altra situazione abbiamo il tamponamento cardiaco: il cuore è circondato dal pericardio che interviene a contenere la dilatazione cardiaca, offrendo; il cuore diventerebbe troppo dilatabile se il pericardio non ci fosse (circa il 30%).
Se c’è del sangue nel pericardio il cuore viene fasciato da un liquido incomprimibile e che tende a limitare la dilatazione del cuore: la curva si sviluppa molto verso destra e si appiattisce, il che vuol dire che questo processo si verifica soprattutto nel momento in cui il riempimento ventricolare è molto, allora il pericardio che si oppone, si fa sentire e questa è la situazione di tamponamento cardiaco.
Il valore della pressione sistema di riempimento è il valore che abbiamo quando il cuore è fermo.
Questa pressione è dovuta al fatto che la massa ematica che noi abbiamo, di circa 5L, mantiene dilatati di un certo grado i vasi, stirando le componenti elastiche e genera in esse tensione che si ripercuote su sangue con +7mmHg.
In tutti vasi ritroviamo questo valore pressorio.
La pressione media di riempimento è generata dallo stiramento elastico valsale, determinato dal volume di Sangue presente.
Ad una volemia di 4000ml la pressione media di riempimento è pari a zero perchè questa volemia non stira le pareti vasali.
La curva è molto ripida: piccole variazioni spostano abbastanza la pressione di riempimento, tuttavia siamo sempre su valori molto modesti rispetto alla pressione fisiologica.
La stimolazione simpatica aumenta la pressione media di riempimento perchè riduce la capacitanza del sistema: alla tendenza elastica al collasso del vaso si aggiunge la pressione muscolare.
Il blocco simpatico alimenta marcatamente la capacitanza e la pressione di riempimento crolla.
Vi è una notevole modifica relativa della volemia perchè è cambiata la capacitanza: andando a determinare la contrazione del sistema simpatico si hanno due effetti:
1. Riduzione della compliance (la parete si restringe)
2. La parete è meno dilatabile
Quando la pressione di riempimento aumenta, la curva del ritorno venoso si sposta in alto e a destra.
Questo significa che maggiore è il riempimento del sistema, più è facile per il sangue entrare nel cuore.
Una variazione modesta della pressione di riempimento che si può ottenere tramite trasfusione, provoca una modifica della gittata cardiaca molto importante.
Ecco il significato di 50cc di soluzione fisiologica al paziente che ha avuto un’emorragia -> la variazione anche di mezzo litro di volemia ha un significato sull’attività del cuore molto importante.
Quando abbiamo una costrizione arteriolare:
- da una parte c’è un impedimento al passaggio del sangue nel compartimento venoso; - dall’altro è un aiuto poiché la pressione aumenta.
Quando abbiamo una venocostrizione c’è:
- un aumento di resistenza perché il raggio diminuisce;
- ma la compliance venosa si riduce con conseguente aumento di pressione nel sistema venoso rispetto a quello che è a valle della venocostrizione, ovvero nell’atrio.
La venocostrizione, riducendo la compliance, favorisce il gradiente pressorio tra vena e atrio, favorendo il riempimento dell’atrio.
Gran parte della resistenza venosa non è data dalla costrizione arteriolare, ma da ostacoli al ritorno venoso.
A livello arteriolare = resistenza è la arteriocostrizione
A livello venoso = resistenza è intesa come ostacolo al ritorno venoso.
Un ostacolo, un aumento della resistenza può essere un aumento di pressione nell’atrio.
Se l’ostacolo è raddoppiato, quindi il ritorno venoso è diminuito . La curva del ritorno venoso ruota (con perno la pressione di riempimento) quando la pressione di riempimento non cambia.
Se Ho un aumento della pressione di riempimento e della resistenza:
Un aumento della pressione di riempimento porta la curva verso l’alto; Un aumento della resistenza porta la curva versato il basso;
La curva ruota e si sposta sull’asse delle ascisse -> la pressione atriale aumenta.
La somma dei due fenomeni è una curva che scende per valori bassi di pressione atriale (condizione problematica per il soggetto)
Se abbiamo una diminuzione della resistenza e un aumento della pressione di riempimento la curva ruota e si sposa verso destra;
Il ritorno venoso aumenta in modo importante e viene eliminato l’eventuale ostacolo. Viene aumenta la gittata cardiaca e il ventricolo viene riempito meglio.
Se si verifica un improvviso aumento della volemia (circa +20%) aumenta la gittata (2,5x-3x);
Questi comporta:
1. Aumento di 16mmHg della pressione di riempimento con spostamento verso destra della curva venosa;
2. Dilatazione venosa
Quindi cala la resistenza venosa e la curva ruota verso l’alto oltre s spostarsi a destra -> si crea un nuovo punto di equilibrio a 8mmHg (molto più in alto). Questi fenomeni durano poco: se un soggetto ha un aumento della volemia improvviso, viene ripristinata perché intervengono una serie di sistemi di controllo.
AZIONE DEL SNs:
1. Effetto ionotropo positivo
2. Vasocostrizione sopratutto venosa
La stimolazione simpatica massimale aumenta: - la pressione di riempimento a 17mmHg
- l’efficacia della pompa cardiaca del 100%
Questo comporta:
- raddoppio della gittata
- modesta modifica della pressione atriale
Quando abbiamo un crollo dell’attività simpatica la curva venosa si sposta in basso e verso sinistra perché abbiamo:
- un aumento significativo della compliance;
- una grossa dilatazione vasale;
quindi:
- aumenta il quantitativo di sangue immagazzinato nel comparto venoso; - il cuore spinge di meno;
- gittata molto bassa.
Dal punto di vista fisiologico, c’è un equilibrio tra emostasi e fibrinolisi, funzionale al mantenimento dell’integrità vasale e della fluidità ematica:
l’emostasi ha la funzione di andare a riparare i vasi che continuamente vanno incontro ad usura e le cui pareti devono essere ripristinate, ma tale processo continuamente attivo risulta essere esplosivo e rapidissimo, quindi è necessario che la fibrinolisi vada a limitare l’emostasi e la circoscriva al solo punto in cui è necessaria (altrimenti, visto che il sangue è ininterrotto, coagulerebbe tutto il sangue in circolo);
se questo equilibrio si sbilancia si va verso la trombosi o verso l’emorragia.
1. FASE VASCOLARE
2. FASE PIASTRINICA
3. FASE COAGULATIVA
4. FASE FIBRINOLITICA
Il compito della fase vascolare è quello di RIDURRE IL LUME VASCOLARE, AL FINE DI RIDURRE IL FLUSSO, perché altrimenti le sostanze necessarie per la riparazione sarebbero portate via e non farebbero in tempo ad attivarsi.
I meccanismi che intervengono per ridurre il vaso coinvolgono sia direttamente lo strato muscolare, sia l’endotelio e le piastrine.
1) Per quanto riguarda lo strato di muscolatura liscia, si determina lo spasmo muscolo-vascolare, cioè la contrazione delle fibrocellule muscolari con parziale occlusione del vaso;
tale contrazione è innescata da tre meccanismi:
- il trauma determina stiramento delle fibrocellule muscolari, quindi apertura dei canali del Ca++ sensibili allo stiramento, quindi ingresso di Ca++ e contrazione muscolare;
- il trauma determina l’attivazione riflessi locali innescati dai nerva vasorum;
- nel caso dei vasi di organi interni, i tessuti attorno al vaso, riempiti del sangue fuoriuscito, possono esercitare su di esso una pressione tale da comprimere il vaso.
2) per quanto riguarda l’endotelio questo contribuisce alla vasocostrizione: - rilasciando fattori locali (ATP, prostacicline e ormoni locali), che vengono attivati dalle piastrine e
sono in grado di bloccare il flusso (endotelio come struttura attiva);
- inoltre le cellule endoteliali stesse possono parzialmente contrarsi quando la lamina endoteliale viene stirata dal sangue.
3) Per quanto riguarda le piastrine, queste:
- liberano fattori che favoriscono sempre la vasocostrizione, come il trombossano;
- inoltre le piastrine liberano già trombina che favorisce l’arresto del flusso, andando ad attivare l’endotelina-1 che agisce da vasocostrittore.
Il compito della fase piastrinica è quello di FORMARE IL TAPPO PIASTRINICO, cioè un accumulo di piastrine che va a tappare il punto che deve essere riparato.
Si verifica una aggregazione di piastrine, fra loro e con l’endotelio;
quindi deve aumentare l’adesività delle piastrine sia reciproca sia con le cellule endoteliali, e questo avviene grazie all’attivazione di fattori che normalmente sono inattivi per evitare che si verifichino coagulazioni spontanee.
L’adesione delle piastrine alla zona lesa avviene in seguito alla liberazione di una serie di fattori da parte delle piastrine:
- ADP (circoscrive la zona lesa, perché determina il legame piastrine-collagene nella zona lesa, e la liberazione di NO e prostacicline nelle zone limitrofe sane per inibire l’adesività piastrinica);
- trombossano (favorisce la vasocostrizione a monte);
- Ca++ (fondamentale per la cascata coagulativa);
- fattore V (interviene nella formazione del coagulo a valle);
- fibrinogeno (stabilizza il rapporto fra piastrine e fibroblasti vasali, ed è alla base della formazione del coagulo di fibrina a valle);
- fattore di von Willebrand (stimola l’interazione fra i recettori esposti sulle piastrine e le molecole di collagene, fibronectina e laminina esposte e messe a nudo dalla lesione sulle cellule della zona lesa).
L’esposizione di queste molecole favorisce nella piastrina anche un cambio conformazionale, che porta alla formazione di una serie di pseudopodi;
questo cambio favorisce il formarsi di complessi multimolecolari indispensabili per la successiva fase di coagulazione, ossia il complesso tenasico e il complesso protrombinasico
Il compito della fase coagulativa è quello di FORMARE IL COAGULO DI FIBRINA, cioè una rete di fibrina che intrappola al suo interno globuli rossi, globuli bianchi e piastrine, per permettere la riparazione del vaso; questa fase inizia 30 secondi dopo la lesione.
Nella fase coagulativa si distinguono due vie: 1. la via intrinseca
2. la via estrinseca
tuttavia esiste una via finale comune, per cui le due cascate di eventi alla fine vanno ad attivare un unico fattore, il fattore X.
1 La via estrinseca
inizia da un fattore tissutale esterno al vaso o situato nel contesto della parete vasale esterna. Questa via inizia con una tromboplastina tissutale, cioè il fattore tissutale TF, che, in presenza di
ioni Ca++, è in grado di attivare il fattore VII;
il fattore VII attivato diventa una proteasi in grado di attivare il fattore X.
2 La via intrinseca
inizia da pro-enzimi (molecole proteiche inattive, cioè fattore XII e fattore XI), che sono già tutti presenti nel torrente sanguigno e formano il complesso dello SPAC (sistema plasmatico attivabile dal contatto).
Le cellule esposte nella sede del danno presentano sulla superficie delle cariche negative e la callicreina, che attivano il fattore XII;
il fattore XII attivato:
- è una proteasi che attiva il fattore XI, il quale è legato a un complesso chinasico ad alto peso
molecolare, cioè HMWK;
- attiva una chinasi che attiva ancora di più il fattore XII, cioè con un meccanismo a feedback
positivo;
il fattore XI attivato è una proteasi che attiva il fattore IX;
il fattore IX attivato, in presenza di ioni Ca++, di fosfolipidi e del fattore VIII, costituisce il complesso tenasico, che è in grado di attivare il fattore X.
3 La via finale comune
è data dal fatto che entrambe le vie vanno ad attivare il fattore X, che attiva una trombochinasi in grado di trasformare la pro-trombina in trombina;
la trombina:
- attiva il fattore V, che stimola l’attività della trombina stessa (feedback positivo);
- è una proteasi che converte il fibrinogeno in monomeri di fibrina, che polimerizzano spontaneamente e poi formano un reticolo stabilizzato dal fattore XIII (attivato sempre dalla trombina).
Il primo coagulo che si forma è dovuto alla prima polimerizzazione della fibrina, quindi non è stabilizzato dal fattore XIII e risulta più instabile;
il secondo coagulo che si forma è stabilizzato dall’effetto del fattore XIII e quindi è quello stabile che funziona.
Questo coagulo è quindi una rete di fibrina che intrappola globuli rossi, globuli bianchi e piastrine; per stabilizzare il coagulo avviene una contrazione di filamenti di actina, che strizzano fuori il siero,
facendo essiccare il coagulo.
inizia da un fattore tissutale esterno al vaso o situato nel contesto della parete vasale esterna. Questa via inizia con una tromboplastina tissutale, cioè il fattore tissutale TF, che, in presenza di
ioni Ca++, è in grado di attivare il fattore VII;
il fattore VII attivato diventa una proteasi in grado di attivare il fattore X.
inizia da pro-enzimi (molecole proteiche inattive, cioè fattore XII e fattore XI), che sono già tutti presenti nel torrente sanguigno e formano il complesso dello SPAC (sistema plasmatico attivabile dal contatto).
Le cellule esposte nella sede del danno presentano sulla superficie delle cariche negative e la callicreina, che attivano il fattore XII;
il fattore XII attivato:
- è una proteasi che attiva il fattore XI, il quale è legato a un complesso chinasico ad alto peso
molecolare, cioè HMWK;
- attiva una chinasi che attiva ancora di più il fattore XII, cioè con un meccanismo a feedback
positivo;
il fattore XI attivato è una proteasi che attiva il fattore IX;
il fattore IX attivato, in presenza di ioni Ca++, di fosfolipidi e del fattore VIII, costituisce il complesso tenasico, che è in grado di attivare il fattore X.
è data dal fatto che entrambe le vie vanno ad attivare il fattore X, che attiva una trombochinasi in grado di trasformare la pro-trombina in trombina;
la trombina:
- attiva il fattore V, che stimola l’attività della trombina stessa (feedback positivo);
- è una proteasi che converte il fibrinogeno in monomeri di fibrina, che polimerizzano spontaneamente e poi formano un reticolo stabilizzato dal fattore XIII (attivato sempre dalla trombina).
Il primo coagulo che si forma è dovuto alla prima polimerizzazione della fibrina, quindi non è stabilizzato dal fattore XIII e risulta più instabile;
il secondo coagulo che si forma è stabilizzato dall’effetto del fattore XIII e quindi è quello stabile che funziona.
Questo coagulo è quindi una rete di fibrina che intrappola globuli rossi, globuli bianchi e piastrine; per stabilizzare il coagulo avviene una contrazione di filamenti di actina, che strizzano fuori il siero,
facendo essiccare il coagulo.
Il compito della fase fibrinolitica è quello di DISSOLVERE IL COAGULO in tanti frammenti che i macrofagi possono rimuovere, per permettere la prosecuzione del flusso;
se questo processo non avviene efficacemente si può verificare il distacco di parti più grandi (embolizzazione) oppure la mancata dissoluzione del coagulo che quindi diventa un trombo.
Nella fase fibrinolitica si verifica l’attivazione del plasminogeno, contenuto nel coagulo;
il plasminogeno si trasforma in plasmina, che fa sì che il coagulo vada incontro a lisi mentre avviene la riparazione del tessuto.
La forza sviluppata a parità di ATP messo i gioco dipende dalla lunghezza iniziale alla quale si trova il sarcomero/muscolo.
Ogni movimento è preceduto da una contrazione isometrica tale da far raggiungere la tensione sufficiente per sollevare l’oggetto o compiere il movimento compiendo una contrazione isotonica.
Il sarcomero è formato da una sovrapposizione di
flamenti sottili e filamenti spessi:
Il muscolo viene stirato
Il sarcomero si allunga
I filamenti sottili e spessi si allontanano
C'è meno possibilità di sviluppare ponti trasversali
Riavvicinando i sarcomeri si ricomincia a sviluppare forza grazie alla formazione di ponti trasversali -> più ci si avvicina più ponti si creano e maggiore forza si genera.
VALORE OTTIMALE DELLA LUNGHEZZA DEL SARCOMERO distanza delle linee Z =
2,25μm corrisponde alla sovrapposizione ottimale per la forza di contrazione
Se continuo ad avvicinare i sarcomeri la forza si inizia a ridurre fino ad un valore in cui i sarcomero non produce forza perché è fiscamente troppo accorciato e non può più scorrere.
Nel sarcomero
la miosina è un po’ più corta nella sua zona presente di teste rispetto a quanto è lungo il filamento di actina, quindi ad un certo punto, l’actina si sovrappone e finisce con una sua porzione fuori dalla zona con le teste di miosina a causa della zona nuda.
però questo non contribuisce alla riduzione, quanto una sorta di plateau in cui la forza cala ma in modo progressivo per poi crollare.
Nel sarcomero cè la titina, che è una molla che quando viene compressa dà forz@ elastica resistente, opponendosi alla contrazione
I valori di contrazione del sarcomero vanno da 1,2μm a 3,5μm.
la curva lunghezza-tensione si può ottenere quasi solo in laboratorio perché si lavora isometria e in tetano:
Si prende il muscolo alla sua dimensione minima si fissa; Gli si dà una scarica tetanica e si vede quanta forza sviluppa.
Si stacca il muscolo, si allunga e si ripete l’operazione per vedere come cambia la forza generata.La forza di tensione di un muscolo varia passando dal
minimo ad un massimo, in modo diverso da un sarcomero, in quanto alla fine si ha un andamento asintotico.
la tensione totale è data dalla somma di due forze: tensione attiva (che deriva dal sarcomero e ha l andamento a campana visto prima); tensione passiva (data dagli elementi elastici titina e parte connettivale).
Il muscolo, grazie alle componenti elastiche, funziona come una molla: quando la stendo la molla tende a tornare verso il centro. La tensione passiva di ritorno elastico va a sovrapporsi con la tensione attivs -> andando tutte e due verso il centro del muscolo (nella stessa direzione) si sommano. quindi se si allunga un muscolo si può sovrapporre al ritorno elastico anche la tensione attiva.. Il picco di tensione attiva, che corrisponde alla somma delle tensioni di tutti i sarcomeri a 2,25μm, è in corrispondenza non del valore 0 della tensione passiva, ma di un valore diverso da
0; cioè la lunghezza ottimale del muscolo (per quanto riguarda i sarcomeri) corrisponde ad uno stato di stiramento del muscolo. i muscoli sono posti in stiramento in modo che ci sia del ritorno elastico verso il centro, a quella lunghezza tale che il sarcomero possa esprimere la sua massima potenza. Allora la forza che ha il muscolo a quella data lunghezza non è quella del sarcomero, ma è quella del sarcomero sommata alla tensione passiva. Quindi a parità di ATP con cui andrei ad attivare il sarcomero vado a sfruttare anche l’energia elastica. Quindi il muscolo sull’articolazione è messo in modo da dare più forza rispetto a quanta ne darebbe tolto dall’articolazione. Più allungo il muscolo più la forza elastica gioca un ruolo, ma diventa difficile allungarlo.
Questa cosa non si può sfruttare troppo, poiché i muscoli sono fissi.
.
1. sessuata
- poco efficiente
- progenie con elevata variabilità genetica e fenotipica -> Adattativo ai cambiamenti ambientali
2. Asessuata
- altamente efficiente - rapida
- elevato numero di prole geneticamente identica -> È vulnerabile ai cambiamenti ambientali
La selezione naturale favorisce la riproduzione sessuata.
Vi è la possibilità di generare un nuovo individuo dalla combinazione del materiale genetico
proveniente dalla madre e dal padre, quindi:
- individui sessualmente dissimili;
- appartenenti alla stessa specie;
- in grado di produrre cellule specializzate.
Le cellule sessuali sono i gameti, distinti tra maschili e femminili;
gli individui dissimili sono garanti dell’unione del gamete maschile e femminile, che avviene
tramite strategie di singamia (che è proprio il processo in cui i due gameti si fondono per formare lo zigote ovvero una nuova cellula), producendo progenie specie specifica.
la capacità di maschi e femmine di produrre ognuno un tipo di gamete specifico è dovuta alla differenziazione sessuale dimorfica, ovvero al fatto che maschi e femmine presentano caratteristiche sessuali diverse, rendendo l’individuo speciale e specifico rispetto al partner;
QUINDI, i due individui riescono ad interagire tra di loro e favorire la singamia.
tutte le caratteristiche sessuali di un individuo sviluppate per rendere più efficiente l’unione di gameti
si sviluppa in 2 fasi precedute, sia nella spermatogenesi che nella oogenesi, dalla replicazione del DNA presente, seguite poi da:
1. Divisione riduzionale dei cromosomi omologhi: genera cellule con corredo aploide, fondamentale per generare uno zigote costituito da 23 coppie di cromosomi.
Le cellule originate saranno:
- Nella spermatogenesi i due spermatociti secondari;
- Mentre nell’oogenesi, oocita secondario e corpo polare.
2. Divisione equazionale: non è preceduta da una duplicazione del DNA e risulta nella distribuzione del numero già aploide di cromosomi nei 4 spermatidi e nella singola cellula uovo e tre corpi polari.
Durante la meiosi 1 avviene il crossing over del materiale genetico: i cromosomi omologhi (padre e madre) ricombinano il proprio materiale genetico in prossimità dei punti di contatto tra i cromatidi fratelli, attraverso lo scambio e ripartizione del materiale, equa ma casuale, generando cromosomi geneticamente diversi dalla coppia iniziale.
Questo processo è il determinante dell’alta variabilità genetica e fenotipica che permette l’adattamento alle condizioni ambientali.
I cromosomi ricombinanti verranno poi ridistribuiti in meiosi 2 producente gameti geneticamente differenti tra di loro e rispetto a ciascun genitore:
- Gametogenesi maschile: 4 spermatidi, ancora non maturi, desinati a diventare maturi attraverso un processo complesso che si tiene durante tutta la vita dell’individuo;
- Gametogenesi femminile: oocita maturo + 3 corpi polari destinati a degenerarsi.
Il cromosoma Y è determinante nello sviluppo sessuale perché:
- se presente, l’individuo si sviluppa come maschio;
- se è assente, l’individuo prende il programma predefinito e si sviluppa come femmina.
È il sesso genotipico che indirizza la differenziazione delle gonadi: la gonade indifferenziata è costituita dalla parte corticale e midollare:
- in assenza di cromosoma Y la corticale dà origine allo sviluppo e alla differenziazione dell’ovaio e il midollo regredisce;
- in presenza di cromosoma Y il midollo differenzia in testicolo e la corteccia regredisce;
La presenza del cromosoma Y NON è l’unica discriminante:
- il cariotipo della sindrome di Turner (45, X0) porta a un non completo sviluppo delle ovaie (sono
necessari entrambi i cromosomi X);
- il cariotipo della sindrome di Klinefelter (47, XXY) porta a un soggetto fenotipicamente maschio nonostante la presenza del cromosoma X.
DUE CROMOSOMI X SONO NECESSARI PER IL NORMALE SVILUPPO DELLE OVAIE
IL CROMOSOMA Y E’ NECESSARIO PER IL NORMALE SVILUPPO DEI TESTICOLI
- il gene di determinazione testicolare si trova sul braccio corto del cromosoma Y e codifica per il fattore di trascrizione TDF necessario per lo sviluppo dei testicoli;
- se durante la ricombinazione avviene uni scambio aberrante di materiale genetico che comprende il gene SRY provocandone la traslocazione si può creare un individuo con cariotipo 46, XX con caratteristiche maschili.
Gli organi indifferenziati primordiali sono in grado di produrre delle sostanze che hanno un’azione endocrina e paracrina così da determinare lo sviluppo delle caratteristiche sessuali fenotipiche, primarie e secondarie.
Una volta sviluppate le gonadi svolgono funzioni endocrine e paracrine -> determinano i fenotipi sessuali primari e secondari dell’individuo.
La determinazione genetica della differenziazione sessuale NON è IRREVOCABILE: numerosi stimoli interni ed esterni durante lo sviluppo possono modificare o invertire completamente il fenotipo dell’individuo, indipendentemente dal sesso genotipico.
Circa nella V settimana di gestazione le creste gonadiche sono identiche e indifferenziate, composte da corteccia esterna e midollo interno, con la possibilità di differenziare in testicolo o ovaio;
Circa nella V settimana di gestazione le creste gonadiche sono identiche e indifferenziate, composte da corteccia esterna e midollo interno, con la possibilità di differenziare in testicolo o ovaio;
Queste creste primordiali non presentano di per sé le cellule capaci di dare luogo alla gametogenesi. Le cellule germinali provengono dall’esterno dell’embrione, ovvero dal sacco vitellino e da qui,
migrano nella gonade, intorno alla quinta settimana di gestazione generando la linea germinale.
Questo processo induce una serie di modificazioni tali da influenzare anche lo sviluppo gonadico: laddove, infatti, non avvenga la migrazione dal sacco vitellino, lo sviluppo delle gonadi non procede normalmente e qualunque evento possa interferire con la corretta migrazione determinerà anomalie nella differenziazione gonadica.
Il processo di migrazione prevede il passaggio delle cellule dal sacco alla faccia ventrale delle creste attraverso l’intestino caudale.
Indipendentemente dall’organo che si genererà, le cellule germinali raggiungono la porzione corticale delle creste gonadiche.
Il processo da qui, procederà differentemente per lo sviluppo dell’ovaio o del testicolo
Le cellule germinali primordiali:
- migrano dalla corteccia nei cordoni sessuali
primitivi del midollo
- inducono la maturazione delle strutture dei cordoni sessuali primitivi che diventano cavi e si sviluppano in tubuli seminiferi, comprendenti le cellule del sertoli
Le cellule germinali che sono arrivate in questo punto sono spermatogoni, quindi cellule staminali.
I residui dei cordoni sessuali primitivi formano la rete testis, un sistema di tubuli sottili e interconnessi che si sviluppa nella parte dorsale della gonade
Consentono il drenaggio dei tubuli seminiferi nei dotti efferenti che si evolvono in uno sblocco per lo sperma.
Il processo inizia intorno alla quinta settimana e termina approssimativamente alla 10-13esima settimana.
Intorno alla X settimana le cellule di Leydig rispondono agli ormoni pituitari e placentari fetali producendo testosterone con conseguente differenziazione dei genitali esterni.
I principali tipi di cellule nei tubuli seminiferi sono: - le cellule del sertoli
- gli spermatozoi
Durante la pubertà il tasso di mitosi degli spermatozoi aumenta:
- un sottogruppo di spermatozoi inizia la meiosi ed entra nel promo esso di spermatogenesi per produrre spermatozoi maturo
- per tutta la vita del maschio una popolazione di cellule staminali di spermatozoi è mantenuta dalla mitosi -> la spermatogenesi continua dopo la pubertà
- Il midollo della gonade regredisce
- i cordoni sessuali primari vengono riassorbiti
- l’interno della gonade è permeato da vasi sanguigni
- La corteccia si ispessisce e viene popolata da ovogoni (cellule primordiali che sono migrate dal sacco vitellino)
Dall’VIII settimana le ovaie in via di sviluppo contengono circa 600000 ovogoni; aumentano fino a 6-7 milioni entro la XX settimana.
- un gran numero di ovogoni muore e si riassorbe
- i rimanenti sono circondati da un singolo strato di cellule della granulosa -> formano follicoli primordiali ed entrano in meiosi per diventare ovociti primari. Tutti gli ovogoni o presenti nell’ovaio in via di sviluppo sono irreversibilmente destinati alla meiosi
Il numero di cellule prodotto entro la XX settimana di gestazione rappresenta il corredo completo di cellule gameti che sessuali femminili disponibili per la riproduzione.
Gli ovociti sono bloccati alla profase della meiosi I finché il follicolo viene selezionato per la maturazione oppure va incontro a morte per arteria.
Alla nascita l’individuo contiene circa 1 milione di follicoli primordiali (dai 7 milioni alla XX settimana c’è stata artesia di cellule) che verranno poi attivati in seguito alla pubertà per terminare la prima meiosi dando origine alla formazione di un ovulo maturo.
sono quelle caratteristiche acquisite durante la pubertà (es: peli pubici e mammelle);
sono specializzazioni esterne che diversamente da quelle primarie non sono essenziali per la riproduzione o per la singamia ma influenzano il comportamento sessuale nonché la capacità di permettere la nascita e la nutrizione dei nuovi individui.
Lo sviluppo delle caratteristiche sessuali secondarie dipende da ormoni Steroidei sessuali prodotti dalle gonadi.
Gli steroidi sessuali prodotti dalle gonadi modulano la stato fisiologico delle caratteristiche sessuali secondario verso la mascolinità e la femminilità.
Gli organi sessuali accessori comprendono dotti e ghiandole in grado di immagazzinare e trasportare i gameti e permettono, insieme alle gonadi, la definizione delle caratteristiche sessuali primarie.
COMPONENTI ESTERNE:
- maschi: pene e scroto
- femmine: vulva, labbra e clitoride
COMPONENTI INTERNE:
- maschi: testicolo, epididimo, d. deferenti, vescicole seminali, d. eiaculatorio, prostata, gh. bulbouretrali - femmine: vagina, utero, tube
Prima della VII settima gli embrioni presentano una doppia sede di dotti genitali:
- dotti di Wolf o del mesonefro (rene secondario -> il primo è il pronefro) - dotti di Müller o del paramesonefro
I dotti genitali formano il percorso attraverso il quale le cellule sessuali arrivano nel luogo della fecondazione.
Nei maschi:
- il mesonefro si sviluppa nell’epididimo
- il dotto di Wolf si sviluppa in vasi deferenti, vescicole seminali e dotto eiaculatorio - i dotti Mülleriani degenerano
Nelle femmine:
- il mesonefro e i dotti wolfiani degenerano
- i dotti paramesonefrici (Mülleriani) si sviluppano a formare le tube, l’utero e la vagina Nell’embrione maschi dotti wolfiani sono responsabili dello sviluppo degli organi accessori
Nell’embrione femmina i dotti mulleriani sono responsabili dello sviluppo degli organi accessori La maturazione e la degenerazione dipendono dalla liberazione di fattori locali.
la rimozione dei testicoli e la somministrazione di testosterone determina: - sviluppo normale dei dotti wolfiani
- nessuna regressione dei dotti mulleriani
-> il testosterone sostiene lo sviluppo dei dotti wolfiani
-> il testosterone non ha effetto sulla regressione mulleriana
-> prodotto testicolare diverso dal testosterone è necessario per la regressione dei dotti mulleriani
Il trattamento di una femmina con testosterone determina la: - conservazione dei dotti wolfiani
- conservazione dei dotti mulleriani
Quindi, si comprese che la sostanza prodotta dai testicoli in grado di sostenere lo sviluppo wolffiano era il testosterone.
prodotto dalle cellule del Sertoli, l’ormone anti-mulleriano (AMH), una glicoproteina prodotta in forma dimerica, della superfamiglia del fattore di crescita trasformante (TGF-β).
Nei maschi
- AMH provoca la degenerazione dei dotti mulleriani
- il testosterone stimola la differenziazione dei dotti wolfiani
Nelle femmine
- i dotti mulleriani si differenziano in assenza di AMH
- i dotti wolfiani degenerano spontaneamente in assenza di testosterone
In entrambi i sessi i genitali esterni si sviluppano tra il primo e il secondo trimestre di gravidanza a partire da una struttura primordiale comune, il tubercolo genitale.
Il tubercolo genitale si sviluppa durante la IV settimana e dà origine: - al glande del pene nel maschii
- al clitoride nelle femmine
Nel primo trimestre di gravidanza è indifferenziato quindi i genitali esterni sono indistinguibili.
Le pieghe urogenitali:
- appaiate danno origine alla faccia ventrale del pene nei maschi; - separate danno origine alle piccole labbra nelle femmine;
Se il TDF non è presente si svilupperà un ovaio; Se il TDF è presente si sviluppa un testicolo
Prima della IX settimana di sviluppo la differenziazione sessuale maschile dipende da tre ormoni:
- testosterone (testicolo)
- diidrotestosterone (DHT, tessuti periferici) - AMH (testicolo) Il TESTOSTERONE è il principale steroide sessuale maschile.
Le cellule di Leydig sono la fonte di produzione di testosterone nei testicoli.
Il DIIDROTESTOSTERONE è prodotto a partire dal testosterone ad opera della 5α-reduttasi;
Agiscono su cellule bersaglio legandosi a recettori specifici (recettori per gli androgeni - AR): - il DHT si lega ad AR con un’affinità che è 100 volte superiore al legame del testosterone
- il complesso DHT-AR si lega al DNA più strettamente del complesso testosterone-recettore
Testosterone e DHT inducono:
- la conversione del dotto di Wolf nel dotto eiaculatorio maschile
- inducono la differenziazione del seno urogenitale e dei genitali esterni
La fase wolfiana della differenziazione sessuale maschile è regolata dal testosterone (non serve la conversione in DHT d fino alla VII settimana).
Il DHT è necessario per la virilizzazione a livello di; - Seno urogenitale
- prostata
- uretra peniena
- genitali esterni
Alla pubertà il DHT è fondamentale per la maturazione sessuale
1. le cellule del sertoli iniziano a produrre AMH e la PROTEINA DI LEGAME DEGLI ANDROGENI (ABP) che lega e mantiene alta la [testosterone] locale che è necessaria per favorire:
- sviluppo della prostata
- differenziazione della gonade nella rete testicolare
- differenziazione dei dotti di Wolf
2. Le cellule di Leydig iniziano a produce TESTOSTERONE.
Lo sviluppo dei genitali esterni e dei derivati interni (prostata e gh. Bulbouretrali) dipende dalla conversione di testosterone in DHT dalla IX alla XIII settimana. Infatti, se gli androgeni sono assenti i genitali esterni rimangono indifferenziati e seguono il modello femminile di differenziazione. Al contrario, nella femmina esposta a livelli anormali di androgeni (iperplasia surrenale congenita) extra gonadici si verifica la virilizzazione del seno urogenitale.
Le cellule del seno urogenitale e dei genitali esterni (NON quelle del dotto di Wolf) contengono la 5alpha-refutasti -> convertono testosterone in DHT
La [DHT] deve essere alta nel tubercolo genitale per il suo allungamento e formazione del glande del pene, corpo spongioso e corpi cavernosi
La formazione di pene e scroto avviene entro la XIII settimana
In assenza di enzima viene compromessa la virilizzazione dei genitali esterni
In assenza di androgeni i genitali esterni non si fondono e si seguo il modello femminile
Gli STEROIDI GONADICI influenzano il comportamento sessuale: gli androgeni non agiscono direttamente né a livello dell’ ipotalamo né di altre aree cerebrali ma devono essere convertiti ad opera dell’AROMATASI che li converte in estrogeni che agiscono a livello cerebrale.
Rappresenta una serie di modificazione che portano alla maturazione Sessuale finale. Affinché avvenga sono necessari due processi fisiologici:
1. GONADARCA: maturazione funzionale delle gonadi e formazione dei gameti e degli steroidi sessuali nelle gonadi.
2. ADENARCA: aumento di produzione di steroidi androgeni prodotti a livello della corteccia surrenalica: - DHEA
- DHEAS
-A4
L’aumento di questi ormoni induce il PUBARCA: la crescita dei peli pubici
Il gonadarca è indotto dalla produzione delle gonadotopine: FHS e LH prodotte dall’ ipofisi anteriore sotto il controllo dell’ipotalamo
La secrezione di questi ormoni presenta un andamento caratteristico:
- un picco nella vita intrauterina per il differenziamento sessuale;
- una secrezione bassa e costante durante l’infanzia (con livelli di FSH > LH);
- nella vita adulta la secrezione diventerà ciclica nella donna e tonica nell’uomo (LH > FSH);
- nella senescenza c’è un aumento della produzione con FSH > LH
A seconda del sesso si avrà una maturazione differente
MASCHI: SPEMARCA -> i testicoli iniziano a produrre spermatozoi
FEMMINE:
FOLLICOLOGENESI -> maturazione del follicolo ovarico MENARCA -> inizio del ciclo mestruale
TELARCA -> sviluppo delle mammelle
È la produzione e l’aumento di steroidi androgeni a livello della corteccia surrenalica.
I principali steroidi androgeni prodotti durante l’adrenarca sono il DHEA, DHEAS e l’androstenedione, i cui livelli, dunque, incominciano ad aumentare in un arco di tempo detto periodo pre-puberale, che inizia intorno ai 6-8 anni.
La pubertà è associata all’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi:
-> crescita dei testicoli dovuto all’aumento del numero dei tubuli seminiferi (è il primo segno)
-> proliferazione delle cellule di leydig con aumento produzione testosterone
-> compaiono i peli del viso, del pube, delle ascelle; la crescita del pene; l’abbassamento della voce; l’inizio dello spermarca e della spermatogenesi
-> crescita degli organi sessuali accessori come la prostata
-> pronunciata crescita lineare
La pubertà è associata all’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi:
FSH E LH AGISCONO A LIVELLO DELLE OVAIE CHE INIZIANO A SINTETIZZARE ESTRADIOLO:
-> TELARCA: sviluppo delle mammelle (è il primo segno);
-> nei due anni successivi segue il MENARCA - lo scatto di crescita inizia prima e finisce
prima e non è così spiccato
- I peli pubici e ascellari precedono il menarca e dipendono dall’adenarca.
In generale, gli eventi principali della pubertà nei maschi e nelle femmine presentano un fattore iniziale comune, l’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisario.
Tutto ha inizio a livello ipotalamico, dove ci sono neuroni specializzati nella secrezione dell’ormone di rilascio delle gonadotropine (GnRH).
La produzione delle gonadotropine dipende dall’ormone di rilascio delle gonadotropine prodotto da neuroni dell’ipotalamo.
Uno dei primi eventi della pubertà è l’inizio del rilascio pulsatile di GnRH dall’ipotalamo che dipende dai neuroni ipotalamici e prosegue durante tutta l’età riproduttiva.
La differenza sta infatti nell’innesco di questo rilascio iniziale, che sembra dipendere da una maturazione che avviene anche a livello dei neuroni ipotalamici. La comparsa della pulsatilità del GnRH all’inizi della pubertà dipende dalla minore sensibilità del sistema ipotalamo ipofisi agli steroidi sessuali circolanti.
Con il passare degli anni, il sistema presenta una minore sensibilità agli ormoni circolanti, essendosi regolato su quelli che sono i valori di riferimento degli ormoni steroidei, agendo tramite feedback negativo.
Osservando il grafico si intuisce come prima della pubertà siamo necessari bassi livelli per attivare il feedback negativo e bloccare un ulteriore rilascio delle gonadotropine, mentre procendendo con l’età sono necessarie maggiori quantità di steroidi per inibire la secrezione di gonadotropine.
PRIMA DELLA PUBERTÀ saranno sufficienti bassi livelli di ormoni steroidei per inviare un feedback negativo
NELLA FASCE ADOLESCENZIALE E POST ADOLESCENZIALE i livelli di steroidi necessari a bloccare il rilascio di gonadotropine aumentano progressivamente
Il processo di pubertà può essere diviso in 5 fasi di sviluppo: FASI DI TANNER basate sul grado di crescita pubertà peli pubici e sullo sviluppo dei genitali e del seno
Generalmente, la pubertà nei maschi inizia intorno ai 9-10 anni e dura tra 2 e 4 anni e mezzo.
Il primo segno (stadio 2 di tanner) è l’allargamento dei testicoli dovuto all’aumento dei tubuli seminiferi e della produzione di testosterone.
I peli pubici si sviluppano generalmente 1-1,5 anni dopo lo sviluppo genitale. Il testosterone agisce inducendo:
EFFETTI ANDROGENICI
- Maturazione die genitali esterni e degli organi sessuali accessori - sviluppi delle caratteristiche sessuali secondarie (voce)
EFFETTI ANABOLICI
- stimolazione della crescita lineare del corpo - sviluppo muscolare
Lo scatto di crescita si verifica in ritardi rispetto alle femmine e l’altezza aumenta in media di 28cm.
1. Il primo segno è il TELARCA tra i 10 e gli 11 anni dovuto al progesterone, responsabile dello sviluppo degli alveoli e agli estrogeni che stimolano lo sviluppo del sistema dei dotti che collegano alveolo all’esterno
Esistono anche altri ormoni come l’insulina, il GH, gli ormoni glucocorticoidi e la tiroxina che contribuiscono allo sviluppo del seno
2. L’utero e la cervice si ingrandiscono perchè aumentano le funzioni secretorie di conseguenza all’aumento del rilascio di estradiolo
3. Aumentano le ghiandole uterine
4. Aumenta il volume di endometrio e dello stroma in risposta agli estrogeni
5. Si verifica il MENARCA circa 2 anni dopo al TELARCA (età media 12,5 anni - intervallo normale tra gli 8 e i 16 anni
Costituito da
1. GONADI (testicoli):
-> produzione di gameti (spermatozoi) necessari poter la riproduzione sessuale;
-> produzione di testosterone: condizionamento funzionale - degli organi sessuali
- dei caratteri sessuali secondarie
- della regolazione a feedback
- della secrezione di gonadotropine
- la modulazione del comportamento sessuale
2. ORGANI SESSUALI ACCESSORI: ghiandole e dotti
I testicoli sono costituiti dai tubuli seminiferi e dalle cellule interstiziali di leydig.
I tubuli seminiferi hanno un epitelio composto dalle cellule del sertoli e sono la sede della spermatogenesi.
Le ghiandole e i dotti immagazzinano e trasportano gli spermatozoi per permettere la fecondazione
Questo avviene grazie agli organi sessuali accessori costituiti da:
- epididimi
- vasi deferenti
- vescicole seminali - dotti eiaculatori - prostata
- gh. Bulbouretrali - uretra
- pene
Lo sviluppo e il mantenimento dello stato fertile dipendono dallo stato dell’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi
Due funzioni primarie:
1. Produzione di gameti
2. Biosintesi degli steroidi sessuali gonadici
L’ipotalamo produce GnRH che stimola l’ipofisi a secernere LH e FSH: - LH: controlla le cellule di leydig
- FSH: controlla le cellule di sertoli
Il GnRH è sintetizzato dai neuroni parvicellulari peptidergici nell’ipotalamo che sono localizzati principalmente nel nucleo arcuato e nell’area preottica.
L’ipotalamo è in contatto con altre aree cerebrali (es sistema limbico) che prendono contatto con i neuroni ipotalamici e formano una rete neuronale funzionale che integra numerosi segnali ambientali e segnali fisiologici per controllare il rilascio di GnRH e quindi la funzione del sistema riproduttivo.
IL GNRH è un DECAPEPTIDE prodotto come pre-ormone (69aa) è codificato da un gene sul cromosoma 8;
viene clivato e si forma:
- decapeptide GnRH
- peptide associato al GnRH (GAP)
GAP e GnRH vengono rilasciati a livello del terminale assonale dei neuroni ipotalamici.
Gli ormoni entrano nel circolo portale a livello dell’eminenza mediana, e trovano le cellule
dell’adenoipofisi che sono in grado di rispondere a questo ormone specifico.
Il recettore è espresso a livello della membrana, essendo l’ormone un peptide e incapace quindi di attraversare la membrana citoplasmatica; è associato ad una proteina Gαq -> attivazione di PLC -> DAG e IP3 -> rilascio di ioni calcio e di PKC -> stimolazione sintesi di FSH e di LH.
Essendo il rilascio di GnRH pulsatile, anche LH ed FSH seguiranno l’andamento del GnRH:
- LH ha un rilascio di gonadotropine di circa 8-14 impulsi nelle 24ore; - FSH presenta meno impulsi, data l’emivita maggiore.
Il legame di GnRH con il recettore di membrana induce anche un’internalizzazione dello stesso, per ridurre la quantità di recettori disponibili a fronte di esposizioni prolungate di GnRH.
I recettori possono poi essere riesposti in un processo che prende il nome di rifornimento dei recettori, oppure devono essere sintetizzati ex novo
L’ipotalamo produce GnRH che stimola l’ipofisi a secernere LH e FSH: - LH: controlla le cellule di leydig
- FSH: controlla le cellule di sertoli
Il GnRH è sintetizzato dai neuroni parvicellulari peptidergici nell’ipotalamo che sono localizzati principalmente nel nucleo arcuato e nell’area preottica.
L’ipotalamo è in contatto con altre aree cerebrali (es sistema limbico) che prendono contatto con i neuroni ipotalamici e formano una rete neuronale funzionale che integra numerosi segnali ambientali e segnali fisiologici per controllare il rilascio di GnRH e quindi la funzione del sistema riproduttivo.
IL GNRH è un DECAPEPTIDE prodotto come pre-ormone (69aa) è codificato da un gene sul cromosoma 8;
viene clivato e si forma:
- decapeptide GnRH
- peptide associato al GnRH (GAP)
GAP e GnRH vengono rilasciati a livello del terminale assonale dei neuroni ipotalamici.
Gli ormoni entrano nel circolo portale a livello dell’eminenza mediana, e trovano le cellule
dell’adenoipofisi che sono in grado di rispondere a questo ormone specifico.
Il recettore è espresso a livello della membrana, essendo l’ormone un peptide e incapace quindi di attraversare la membrana citoplasmatica; è associato ad una proteina Gαq -> attivazione di PLC -> DAG e IP3 -> rilascio di ioni calcio e di PKC -> stimolazione sintesi di FSH e di LH.
Essendo il rilascio di GnRH pulsatile, anche LH ed FSH seguiranno l’andamento del GnRH:
- LH ha un rilascio di gonadotropine di circa 8-14 impulsi nelle 24ore; - FSH presenta meno impulsi, data l’emivita maggiore.
Il legame di GnRH con il recettore di membrana induce anche un’internalizzazione dello stesso, per ridurre la quantità di recettori disponibili a fronte di esposizioni prolungate di GnRH.
I recettori possono poi essere riesposti in un processo che prende il nome di rifornimento dei recettori, oppure devono essere sintetizzati ex novo.
Il principale ormone sessuale maschile, il testosterone, è prodotto a livello della porzione esterna dei tubuli seminiferi ed è rilasciato direttamente dalle cellule di Leydig.
L’aumento della popolazione di queste cellule secernenti, e conseguentemente della produzione di testosterone è regolato nella fase intrauterina:
- dalla gonadotropina corionica (hCG), prodotta a livello placentare;
- dall’ormone luteinizzante (LH), prodotto dall’asse ipotalamo-ipofisario.
Fondamentale è anche il ruolo di un derivato del testosterone prodotto a livello dei genitali esterni: il
diidrotestosterone (DHT).
Viene prodotto in seguito all’azione dell’enzima 5α-reduttasi, espresso solo in una popolazione di cellule specializzate a livello del seno urogenitale.
I due ormoni sessuali maschili agiscono sulle cellule bersaglio legandosi a recettori specifici, i recettori per gli androgeni (AR). Essendo entrambi ormoni steroidei, attraversano la membrana plasmatica, e dentro la cellula si legano agli AR intracellulari attivando fattori di trascrizione in grado di regolare l'espressione di geni specifici.
Complessivamente, questi ormoni androgeni vanno a dirigere il modello di differenziazione sessuale maschile dal momento che sortiscono un effetto specifico:
- livello dei dotti interni;
- a livello del seno urogenitale;
- nella formazione dei genitali esterni;
il testosterone induce la conversione dei dotti di Wolff;
entrambi indirizzano, dirigono e regolano in maniera coordinata la differenziazione del seno urogenitale e dei genitali esterni.
Il processo ha inizio intorno alla nona settimana e termina verso la tredicesima
La differenza sostanziale tra i due risiede nella loro efficacia:
- il DHT si lega al recettore AR con un’affinità 100 volte superiore al testosterone;
- in più, lo stesso complesso DHT-recettore si lega al DNA in maniera molto più solida di quanto non faccia il complesso testosterone-recettore.
Nelle primissime settimane di gestazione, si ha la necessità di rilascio del solo testosterone.
La sua conversione in DHT è utile solo durante il processo di virilizzazione del seno urogenitale e
dei genitali esterni e nel processo di maturazione sessuale in pubertà.
Le cellule del Sertoli, oltre a produrre AMH, secernono una proteina specifica detta proteina legante gli androgeni (ABP), con funzione di legare e mantenere costante la concentrazione di testosterone a livello locale.
Nella fase di differenziazione serve una grande e costante quantità di testosterone per favorire: - lo sviluppo della prostata;
- la differenziazione del midollo della gonade nella rete testicolare;
- lo sviluppo dei dotti di Wolff in epididimo, dotto deferente, vescicole seminali e dotto eiaculatorio.
Gli androgeni agiscono anche a livello cerebrale effettuando la cosiddetta sessualizzazione del cervello.
Questi ormoni non sono in grado però, di agire direttamente né a livello ipotalamico né di qualunque altro distretto del SNC ma devono necessariamente essere convertiti prima in estrogeni, da un enzima specifico, l’aromatasi.
Gli estrogeni infatti, sono in grado di agire direttamente a livello cerebrale.
Il bersaglio principale del LH sono le cellule di Leydig -> fonte primaria di testosterone; Presentano un recettore ad alta affinità accoppiato a proteina G con subunità αs
LH + GPCR -> adenilato ciclasi -> cAMP -> PKA -> trascrizione genica -> sintesi dei enzimi e proteine per la biosintesi del testosterone
L’FSH agisce sulle cellule del sertoli e le stimola a sintetizzare ormoni che influenzano le cellule di Leydig e la spermatogenesi
FSH + recettore -> aumento della sintesi proteica
Le cellule del sertoli promuovono la sintesi dell’androgen Binding protein (ABP) che lega e mantiene alta la concentrazione di testerone locale che promuove la spermatogenesi.
Sono dotate inoltre dell’aromatasi p-450 che converte il testosterone in estradiolo Sono adibite anche al rilascio di fattori di crescita che stimolano la spermatogenesi
Le cellule del Sertoli sono le maggiori produttrici di inibine, che esercitano un’azione di controllo a feedback negativo sull’ipofisi andando a inibire la produzione di FSH da parte dell’ipofisi.
lipoproteine appartenenti alla superfamiglia del fattore di crescita trasformante in β, a cui appartengono anche le attivine e l’ormone antimulleriano.
Queste sostanze sono in grado di modulare il rilascio delle gonadotropine da parte dell’ipofisi. Nell’uomo sono prodotte principalmente dalle cellule testicolari del Sertoli, nelle donne da
cellule altamente specializzate, le cellule granulose.
Nei testicoli le inibine vengono prodotte e secrete al livello del tubulo seminifero e nella parte
del liquido interstiziale testicolare, determinando:
- un effetto endocrino, tramite feeback negativo sull’asse ipotalamo-ipofisi; - un effetti paracrino, come fattore di crescita sulle cellule di Leydig. Esiste un crosstalk tra le due tipologie cellulari che determina un controllo combinato nel rilascio di FSH e LH ipofisari:
FSH sarà in grado di modulare la fisiologia delle cellule del Leydig attraverso effetti che sono determinati sulle cellule del Sertoli ma che indirettamente modulano anche le cellule di Leydig.
2 tipi di cellule testicolari (cellule di leydig e cellule di sertoli) 2 gonadotropine (FSH e LH)
1 androgeno (testosterone) 1. Le cellule di leydig sono necessarie per produrre testosterone
2. FSH e le cellule del sertoli sono importanti per le cellule spermatiche in sviluppo e per la produzione di fattori di crescita che influenzano le cellule di leydig
3. FSH influenza anche lo sviluppo delle cellule di leydig in modo che siano disponibili adeguati livelli di testosterone per la spermatogenesi e lo sviluppo delle caratteristiche sessuali secondarie
L’asse ipotalamo ipofisi testicoli nei maschi post puberali induce: -> produzione di testosterone e inibine da parte dei testicoli
-> feedback negativo di queste sostanze
I livelli circolanti di testosterone modulano il rilascio pulsatile da parte dell’ipotalamo del GnRH riducendo l’ampiezza e la frequenza del rilascio di FSH e LH.
La secrezione di LH e di FSH è regolata da: - neuropeptidi
- aspartato
- gonadotropina corionica
- oppioidi endogeni
Avviene a livello delle cellule di Leydig nel mitocondrio, catalizzata da un enzima in grado di tagliare la catena laterale del citocromo P-450 producendo pregnenolone.
La reazione COLESTEROLO -> PREGNENOLONE è il fattore limitante della sintesi del testosterone
LH stimola la reazione:
- aumentando l’affinità di p-450 per il colesterolo
- aumenta i livelli della proteina trasportatrice degli steroli
Una volta avvenuta la conversione, la via biosintetica dell’ormone è la via indicata come “VIA 5” comprendente altre 4 reazioni:
1. pregnenolone -> 17-alfa-idrossipregnenolone
2. 17-alfa-idrossipregnenolone -> diidroandrosteneidiione
3. diidroandrosteneidiione -> androstenedione
4. androstenedione (più debole del testosterone) -> testosterone.
Non solo le cellule testicolari promuovono la produzione di testosterone; esistono altre sedi in cui testosterone e altri ormoni androgeni vengono sintetizzati:
- tessuto adiposo
- pelle
- corteccia surrenale
In cui avviene la conversione dell’androstenedione in testosterone (pelle e tessuto adiposo);
Il testosterone viene convertito in estradiolo nelle cellule del sertoli o in DHT, importante per la virilizzazione dei genitali esterni e la maturazione della caratteristiche sessuali primarie;
La maggior parte di queste reazioni è reversibile, dunque è permessa l’interconversione dei diversi ormoni, a seconda delle necessità. Durante il periodo puberale, gioca un ruolo fondamentale la corteccia surrenale che, tramite il 5areduttasi, converte il testosterone in DHT.
Se però, c’è un’eccessiva produzione dell’ormone, è possibile che ne risentano i bulbi piliferi, determinando la principale causa di calvizie negli uomini.
La maggior parte del testosterone circolante è legato a specifiche proteine di legame - 45% testosterone plasmatico si lega alla globulina legante gli ormoni sessuali
- 55% si lega albumina sierica e alla globulina legante i corticosteroidi
- 2% del testosterone circola libero nel plasma -> entra nelle cellule per diffusione e viene metabolizzato da organi come prostata, fegato e intestino
Nella cellula si lega al recettore AR nel nucleo o viene convertito in DHT e si lega anch’esso all’AR (lega due molecole di DHT o testosterone)
Una volta che si è formato il complesso androgeno-recettore agisce come un fattore di trascrizione specifico legandosi al promotore del gene bersaglio inducendo la sintesi di proteine specifiche.
L’attività biologica del DHT è da 30 a 50 volte superiore a quella del testosterone.
SPERMATOGENESI
- divisioni mitotiche degli spermatogoni
- divisioni meiotiche degli spermatogoni in spermatidi aploidi - maturazione in spermatozoi
- spermatocitogenesi
- spermatogenesi
SPERMATOCITOGENESI
Spermatogoni diploidi (2N) -> spermatociti primari diploidi (4N) -> spermatociti secondari aploidi (2N) -> spermatidi aploidi (1N)
SPERMIOGENESI
La maturazione degli spermatidi (1N aploidi) in spermatozoi maturi
SPERMIAZIONE
Rilascio degli spermatozoi dalle cellule del sertoli conclusa la spermatogenesi
Gli spermatogoni prodotti dal primo processo di mitosi cellulare sono gli spermatogoni di tipo A e gli spermatogoni di tipo B.
a) Gli spermatogoni di tipo A sono costituiti dalla popolazione di cellule germinali maschili che si dividono mitoticamente e danno luogo sempre a spermatogoni di tipo A
b) Gli spermatogoni di tipo B si dividono per via mitotica, ma per un numero limitato di volte, andando poi incontro a meiosi;
Gli spermatogoni di tipo B che entrano nella prima divisione meiotica diventano spermatociti primari;
I cromosomi subiscono crossing over. Gli spermatociti primari hanno un set duplicato di 46 cromosomi (4N):
22 coppie di cromosomi autosomi i duplicati + un cromosoma X duplicato + un cromosoma Y duplicato
Diventano spermatociti secondari con un numero apolide di cromosomi duplicati (2N):
22 cromosomi autosomici duplicati + un cromosoma X o Y duplicato
Gli spermatociti secondari entrano in seconda divisione meiotica e danno origine agli spermatidi (numero apolide di cromosomi non duplicati (1N)
Gli spermatidi si trasformano in spermatozoi in un processo chiamato spermiogenesi.
Analizzando la sezione di un tubulo seminifero, risulta evidente come:
- gli spermatogoni siamo localizzati nella parte più periferica della membrana basale; - gli spermatidi più differenziati si trovano più vicini al lume.
Il processo procede a velocità differenti lungo il tubulo, permettendo di definire la spermatogenesi un processo asincrono.
Fondamentale è il ruolo delle cellule del Sertoli, rispondendo all’FSH, mantengono: - sia un ambiente favorevole alla spermatogenesi;
- sia una [ABP] costante.
Inoltre, hanno azione fagocitica nei confronti del citoplasma in eccesso, al fine di favorire la maturazione degli spermatidi.
Le cellule del Sertoli sono legate tra loro da gap junctions che permettono la comunicazione tra cellule adiacenti. Difatti, circondano con processi citoplasmatici, come fossero una barriera, i gameti che avanzano verso il lume.
La loro struttura morfologica, insieme con la disposizione spaziale, garantisce la formazione di una barriera emato-testicolare, così da prevenire inoltre, eventuali risposte immunitarie contro il non-self.
Il processo di rilascio di spermatozoi prende il nome di SPERMIAZIONE.
Raggiunto il lume tubulare, le cellule non sono ancora dotate di motilità, e devono subire un ulteriore stadio di maturazione. Questo accade a livello dell’EPIDIDIMO, un dotto altamente circonvoluto localizzato nella porzione superiore e dorsale del testicolo.
Gli spermatozoi che vi transitano sono trasferiti dal tubulo seminifero in maniera passiva, grazie alla presenza di un epitelio ciliato e delle contrazioni ritmiche della struttura anatomica.
Dopo aver lasciato il testicolo, gli spermatozoi intraprendono un percorso che dura dai 12 ai 26 giorni, e permette loro di raggiungere la porzione finale da cui lo sperma sarà eiaculato.
La motilità degli spermatozoi è garantita dalle riserve energetiche contenute nel liquido seminale (elevata [fruttosio], acido citrico, acido ascorbico, vitamina P).
Difatti, solo il 10% del volume dello sperma è costituito da cellule spermatiche; il restante 90% è costituito da plasma seminale (di varia composizione) generato dalle vescicole seminali, prostata e ghiandole bulbo uretrali.
Generalmente, in un volume eiaculato maggiore di 2ml, si contano circa 150/600 milioni di spermatozoi.
Il plasma seminale è un liquido isotonico con un pH neutro o leggermente alcalino che permette la sopravvivenza degli spermatozoi;
Una delle componenti principali del plasma seminale è prodotta a livello prostatico: la ghiandola, infatti, rilascia una serie di fattori che contengono zuccheri e vitamine (importante ruolo vitamina E che sfavorisce la “coagulazione” degli spermatozoi).
All’interno del plasma seminale inoltre, è presenta la colina, spermina, ioni Na, K, piccoli peptidi a basso peso molecolare, generanti l’ambiente ottimale per la sopravvivenza dei gameti.
Fondamentale è il ruolo degli amminoacidi liberi, derivanti da processi catabolici degli spermatozoi stessi, che conferiscono protezione da metalli pesanti.
Una volta eiaculato, lo sperma subisce un processo immediato di coagulazione, seguito da una repentina liquefazione (eventi determinati da enzimi proteolitici prostatici).
La prostata produce e rilascia fosfatasi acida, avente come substrato la fosfatidilcolina, un derivato proveniente dalle secrezioni delle vescicole seminali.
Altra proteina importante è la ialuronidasi, enzima citoplasmatico dello spermatozoo: è rilasciata durante la fecondazione al fine di facilitare la penetrazione dell’ovocita, degradando la matrice di acido ialuronico dell’ovulo. Le fasi di erezione e di eiaculazione sono sotto il controllo sia della componente parasimpatica che di quella simpatica.
La parte erettile del pene riceve anche una componente somatica, possedendo un’innervazione motoria e una afferente sensitiva attraverso il nervo pudendo.
La fase di eiaculazione è controllata da un’azione riflessa del midollo spinale in seguito al passaggio dello sperma dall’uretra prostatica alla porzione bulbare.
Si stimolano dunque, le contrazioni della muscolatura striata del pene, favorendo l’emissione di sperma tramite il meato esterno.
L’attività della catena parasimpatica interviene nella fase iniziale dell’erezione: - determinando il rilasciamento del corpo spongioso e cavernoso;
- aumentando l’afflusso di sangue negli interstizi corporali.
Essa dipende dal rilascio di acetilcolina e dal rilascio dell’ossido nitrico con azione vasodilatatrice a
livello del pene, aumentando il flusso ematico quindi la rigidità.
L’acetilcolina agisce in particolare su recettori muscarinici di tipo M3 e su recettori metabotropici accoppiati a proteina Gq -> attivazione della via della fosfolipasi C -> aumento [Ca++ intracellulare]
-> attivazione enzimi calcio-sensibili (ossido nitrico-sintasi) -> aumento [NO] -> vasodilatazione.
Inoltre, le terminazioni nervose, in prossimità delle cellule muscolari lisce, possono rilasciare NO -> attivazione via dell’adenilato ciclasi -> PK specifiche funzionali al rilassamento muscolare.
2. L'ATTIVITÀ SIMPATICA: FASE DI TUMESCENZA
L’attività simpatica lavora sulla parte tonica contribuendo alla fase di tumescenza che segue l’eiaculazione;
3. ATTIVITÀ DELLA COMPONENTE SOMATICA: FASE FINALE DELL’EREZIONE
L’attività della componente somatica è rivolta al muscolo ischio-cavernoso innervato dal nervo pudendo:
la sua contrazione durante la fase finale dell’erezione determina un aumento pressorio, contribuendo alla formazione della spinta propulsiva per l’eiaculazione dello sperma.
il controllo del SNpr è bersaglio di varie terapie contro la disfunzione erettile.
Molti farmaci, come il Viagra o il Cialis, modulano la via di degradazione del GMPciclico: un aumento della sua concentrazione, infatti, porta a rilasciamento della muscolatura e quindi alla possibilità di vasodilatazione ed erezione.
Il principio attivo su cui si basa il trattamento con questi farmaci, utilizza inibitori specifici della FOSFODIESTERASI C, enzima [GMPciclico]-dipendente.
L’effetto è dunque, l’aumento progressivo della concentrazione intracellulare di GMPciclico con un miglioramento della vasodilatazione.
(infatti 1. L’EREZIONE È PRINCIPALMENTE SOTTO IL CONTROLLO PARASIMPATICO
L’attività della catena parasimpatica interviene nella fase iniziale dell’erezione: - determinando il rilasciamento del corpo spongioso e cavernoso;
- aumentando l’afflusso di sangue negli interstizi corporali.
Essa dipende dal rilascio di acetilcolina e dal rilascio dell’ossido nitrico con azione vasodilatatrice a
livello del pene, aumentando il flusso ematico quindi la rigidità.
L’acetilcolina agisce in particolare su recettori muscarinici di tipo M3 e su recettori metabotropici accoppiati a proteina Gq -> attivazione della via della fosfolipasi C -> aumento [Ca++ intracellulare]
-> attivazione enzimi calcio-sensibili (ossido nitrico-sintasi) -> aumento [NO] -> vasodilatazione.
Inoltre, le terminazioni nervose, in prossimità delle cellule muscolari lisce, possono rilasciare NO -> attivazione via dell’adenilato ciclasi -> PK specifiche funzionali al rilassamento muscolare.)
FUNZIONI
1. Produrre gameti apolidi (ovuli)
2. Facilitare la singamia (fecondazione) tra ovulo e spermatozoo;
3. Fornire una sede d’impianto dell’embrione e l’instaurazione della gravidanza; 4. Fornire l’ambiente fisico e soddisfare le esigente nutrizionali del feto
5. Nutrire il neonato
Gli ormoni principali in gioco nella regolazione di questo apparato sono estrogeni (in particolare estradiolo) e progesterone.
Entrambi sono prodotti a livello delle ovaie in maniera ciclica, regolano la crescita e la funzione degli organi sessuali accessori e lo sviluppo dei caratteri sessuali secondari.
Le gonadi, ovvero le ovaie, sono costituite: - da una porzione corticale esternamente; - una midollare internamente.
Nella parte corticale di una donna fertile possiamo osservare diversi follicoli in via di sviluppo, alcuni primordiali, altri primari, secondari e terziari fino ad arrivare al follicolo in fase di ovulazione.
È possibile osservare anche la presenza di corpi lutei in varie fasi di degenerazione.
Nella parte centrale della midollare sono tipici i vasi sanguigni per garantire l’apporto di determinate sostanze al livello dell’organo.
Oltre alle gonadi ritroviamo organi sessuali accessori che includono: le tube di Falloppio; l’utero; la vagina; i genitali esterni e le mammelle.
Le tube di Falloppio rappresentano il percorso attraverso il quale gli ovuli maturi e in grado di essere fecondati si sposteranno dall’ovaio all’intero.
L’estremità distale della tuba si espande come infundibolo e termina in fimbrie multiple.
Le tube e le fimbrie hanno un epitelio specializzato che contiene cellule ciliate il cui movimento permette lo spostamento dell’ovulo verso l’utero. Questo è garantito anche da delle contrazioni peristaltiche che avvengono nella parete delle tube di Falloppio;
Entrambi i meccanismi appena descritti aumentano nel periodo di ovulazione, insieme alla secrezione di un fluido contenente delle sostanze nutritive prodotte al fine di supportare i gameti maschile e femminile ed eventualmente lo zigote, la cui origine avviene nelle tube.
Entrambe le tube di Falloppio convergono nell’utero, un organo muscolare a forma di pera rovesciata, diviso in una parte superiore (fondo), una parte centrale (corpo) e una parte caudale (cervice).
- La porzione esterna dell’utero è rappresentata da una sierosa;
- La porzione interna è definita endometrio (tessuto ghiandolare + stroma)
- Tra l’endometrio e la sierosa sussiste una muscolatura liscia specializzata (miometrio).
L’utero è in comunicazione con la vagina attraverso il canale cervicale.
La cervice è composta da tessuto fibroso denso e cellule muscolari lisce e presenta delle ghiandole che riversano nel canale il contenuto ricco di zuccheri e la cui viscosità varia con la produzione degli ormoni ovarici, estrogeni e progesterone.
- FOLLICOLOGENESI
- OVULAZIONE
- FORMAZIONE DEL CORPO LUTEO - ATRESIA DEL CORPO LUTEO
Dal punto di vista temporale possiamo suddividere il ciclo ovarico in:
- una prima fase detta FASE FOLLICOLARE che inizia subito dopo la degenerazione del corpo luteo, dura circa 12/14 giorni e termina con la fase di ovulazione;
- una seconda fase detta FASE LUTEALE che inizia con l’ovulazione, dura 12/14 giorni e termina con la degenerazione del corpo luteo.
- una prima fase detta FASE FOLLICOLARE che inizia subito dopo la degenerazione del corpo luteo, dura circa 12/14 giorni e termina con la fase di ovulazione;
- una seconda fase detta FASE LUTEALE che inizia con l’ovulazione, dura 12/14 giorni e termina con la degenerazione del corpo luteo
- FASE MESTRUALE: mestruazione;
- FASE PROLIFERATIVA: proliferazione endometriale;
- FASE SECRETIVA: differenziazione dell’epitelio endometriale in fenotipo ghiandolare secretorio
Il ciclo ovarico si compone di 4 eventi fondamentali:
- FOLLICOLOGENESI
- OVULAZIONE
- FORMAZIONE DEL CORPO LUTEO - ATRESIA DEL CORPO LUTEO
Dal punto di vista temporale possiamo suddividere il ciclo ovarico in:
- una prima fase detta FASE FOLLICOLARE che inizia subito dopo la degenerazione del corpo luteo, dura circa 12/14 giorni e termina con la fase di ovulazione;
- una seconda fase detta FASE LUTEALE che inizia con l’ovulazione, dura 12/14 giorni e termina con la degenerazione del corpo luteo.
Il ciclo endometriale si sovrappone a quello ovarico, è finemente regolato da ormoni steroidei prodotti a livello ovarico (i principali sono estrogeni e progesterone) che durante la fase follicolare e luteale indurranno modificazioni specifiche a livello dell’endometrio.
Sono tre gli eventi che si verificano nel ciclo endometriale:
- FASE MESTRUALE: mestruazione;
- FASE PROLIFERATIVA: proliferazione endometriale;
- FASE SECRETIVA: differenziazione dell’epitelio endometriale in fenotipo ghiandolare secretorio
Gli eventi ovarici ed endometriali sono integrati in un’unica sequenza coordinata dalla produzione di ormoni steroidei.
La prima fase follicolare/proliferativa (rispettivamente per ciclo ovarico ed endometriale che si sovrappongono) dura all’incirca 14 giorni ed è la più variabile all’interno del ciclo mestruale.
Inizia con l’inizio delle mestruazioni ed è coordinata dalla produzione delle gonadotropine dall’adenoipofisi:
FSH e LH stimolano la crescita di un certo numero di follicoli presenti nell’ovaio; questi sono responsabili della produzione dell’estradiolo che andrà ad indurre la crescita dell’endometrio.
Poi un solo follicolo andrà a dar vita al cosiddetto follicolo preovulatorio che risulterà dominante rispetto agli altri e rappresenterà la principale fonte di estradiolo durante la fase proliferativa, interruttore della fase di ovulazione.
Seconda fase ciclo ovarico
Verso la fine della fase follicolare (giorno 12-13) si verificano i livelli massimi dei estradiolo; L’effetto dell’estradiolo sull’ipotalamo e sull’ipofisi passa da un feedback negativo a un feedback
positivo con conseguente brusco aumento transitorio dell’LH e piccolo aumento di FSH; L’aumento di LH è fondamentale per l’avvento dell’ovulazione e infatti provoca la rottura del
follicolo dominante e il conseguente rilascio dell’oocita.
A seguire c’è la fase luteale/secretoria (rispettivamente per ciclo ovarico e endometriale) che inizia dopo l’ovulazione quando i residui del follicolo dominante si trasformano in corpo luteo.
Le cellule luteali iniziano a produrre soprattutto progesterone e piccole quantità di estradiolo. Nel frattempo, l’endometrio viene indotto nella differenziazione dell’epitelio ghiandolare con
funzione secretoria.
Se non c’è impianto dello zigote e quindi gravidanza il corpo luteo degenera intorno al
20/22esimo giorno, determinando anche un calo di progesterone e estradiolo.
Se invece c’è gravidanza la gonadotropina corionica umana, indotta dalla placenta, andrà a
mantenere il corpo luteo a supporto dell’endometrio e prevenendo la mestruazione.
Se non c’è stata fecondazione e quindi non c’è inizio di gravidanza alla fase luteale/secretoria seguono le mestruazioni, fase che dura 4/6 giorni e porta alla degenerazione del corpo luteo (già iniziata) con la riduzione di progesterone ed estrogeni e una degenerazione dello strato funzionale dell’endometrio.
Questo comporta necrosi con costrizione dei vasi sanguigni a livello dell’endometrio, questo strato compromesso si stacca dall’endometrio e si avranno le perdite mestruali.
Il primo giorno di mestruazione coincide con il primo giorno del ciclo endometriale ma anche col primo giorno del ciclo ovarico.
La ricostruzione dello strato funzionale dell’endometrio riprenderà quando i livelli di estrogeni e progesterone aumenteranno in corrispondenza della crescita di un altro follicolo e quindi dell’inizio di una nuova fase follicolare.
L’ipotalamo è in grado di liberare l’ormone di rilascio delle gonadotropine che agisce a livello ipofisario, inducendo il rilascio di FSH e LH;
FSH e LH andranno ad agire sull’ovaio comportando:
- la sintesi degli ormoni sessuali, ovvero estrogeni e progesterone;
- la secrezione di altri ormoni peptidici ovarici, in particolare inibine e attivine, con funzione di regolare la liberazione di LH e FSH dall’adenoipofisi.
La combinazione degli ormoni peptidici ovarici e ormoni steroidei (prodotti sempre a livello ovarico) indurrà un meccanismo a feedback negativo nelle prime fasi del ciclo ovarico;
in prossimità della fine della fase follicolare sarà a feedback positivo così da ottenere l’uscita dell’ovulo dal follicolo maturo. Centri superiori del cervello stimola no il rilascio di GnRH nelle vicinanze dei vasi portali; GnRH si lega ai recettori presenti sulla superficie delle cellule gonadotrope dell’ipofisi anteriore;
Prima della pubertà i neuroni che rilasciano il GnRH sono quiescenti e quindi il sistema riproduttivo è inattivo.
Dopo la pubertà l’attività dei neuroni ipotalamici aumenta e determina un rilascio di GnRH a impulsi ritmici (1 impulso all’ora) con creazione di picchi orari nel rilascio delle gonadotropine.
La frequenza di rilascio indurrà una risposta specifica sull’ipofisi anteriore, cioè il rilascio di FSH e LH a cui farà seguito una risposta specifica anche a livello dell’ovaio, della gonade.
Questi impulsi, intervallati ogni 60/90 minuti inducono un aumento del numero di recettori del GnRH presenti sulle cellule gonadotrope.
L’ipotalamo è in grado di liberare l’ormone di rilascio delle gonadotropine che agisce a livello ipofisario, inducendo il rilascio di FSH e LH;
FSH e LH andranno ad agire sull’ovaio comportando:
- la sintesi degli ormoni sessuali, ovvero estrogeni e progesterone;
- la secrezione di altri ormoni peptidici ovarici, in particolare inibine e attivine, con funzione di regolare la liberazione di LH e FSH dall’adenoipofisi. Prima della pubertà i neuroni che rilasciano il GnRH sono quiescenti e quindi il sistema riproduttivo è inattivo.
Dopo la pubertà l’attività dei neuroni ipotalamici aumenta e determina un rilascio di GnRH a impulsi ritmici (1 impulso all’ora) con creazione di picchi orari nel rilascio delle gonadotropine.
La frequenza di rilascio indurrà una risposta specifica sull’ipofisi anteriore, cioè il rilascio di FSH e LH a cui farà seguito una risposta specifica anche a livello dell’ovaio, della gonade.
Questi impulsi, intervallati ogni 60/90 minuti inducono un aumento del numero di recettori del GnRH presenti sulle cellule gonadotrope. - nella prima parte della fase follicolare le cellule gonadotrope non sono molto sensibili alla quantità di GnRH circolante e dunque rispondono producendo dei piccoli aumenti di LH;
- nella fase follicolare più tardiva queste cellule sono gradualmente più sensibili ai livelli di GnRH, dipendendo dal numero di recettori presenti, determinando un progressivo aumento del rilascio di LH, necessario al fine di garantire l’ovulazione.
Esiste anche un ritmo di rilascio di GnRH mensile, responsabile dell’induzione del picco di LH a metà ciclo e quindi dell’ovulazione stessa.
Il GnRH agisce sulle cellule dell’adenoipofisi attraverso recettore di membrana accoppiato alla proteina G che ad attivare la fosfolipasi C che indurrà l’azione di endochinasi per la regolazione dell’espressione delle gonadotropine FSH e LH. Le due gonadotropine sono costituite da due subunità, alfa e beta, quest’ultima costituisce la componente che fa la differenza in termini di funzione;
vengono rilasciate grazie al calcio attraverso un meccanismo di esocitosi, sono messe in circolo e raggiungono così le ovaie, dove trovano due tipi di cellule specifiche:
- cellule della granulosa; - cellule tecali
che rispondono diversamente alle due gonadotropine, producendo gli ormoni ovarici, estrogeni e progesterone.
Il GnRH agisce sulle cellule dell’adenoipofisi attraverso recettore di membrana accoppiato alla proteina G che ad attivare la fosfolipasi C che indurrà l’azione di endochinasi per la regolazione dell’espressione delle gonadotropine FSH e LH. Quindi L’ipotalamo è in grado di liberare l’ormone di rilascio delle gonadotropine che agisce a livello ipofisario, inducendo il rilascio di FSH e LH;
FSH e LH andranno ad agire sull’ovaio comportando:
- la sintesi degli ormoni sessuali, ovvero estrogeni e progesterone;
- la secrezione di altri ormoni peptidici ovarici, in particolare inibine e attivine, con funzione di regolare la liberazione di LH e FSH dall’adenoipofisi. Nella prima fase che precede l’ovulazione LH e FSH agiscono sui follicoli in via di sviluppo, in particolare:
- sulle cellule della teca su cui prevalgono i recettori per LH;
- sulle cellule della granulosa su cui invece sussistono entrambi i tipi di recettori.
Dopo l’ovulazione invece LH agisce sulle cellule del corpo luteo.
I recettori specifici in grado di legare LH e FSH sono anch’essi accoppiati ad una proteina G e all’adenilato ciclasi, comportando l’aumento di cAMP e dunque l’attività di fosfochinasi A che andrà ad indurre l’espressione di geni coinvolti nella divisione cellulare e produzione di peptidi e ormoni steroidei.
La combinazione degli ormoni peptidici ovarici e ormoni steroidei (prodotti sempre a livello ovarico) indurrà un meccanismo a feedback negativo nelle prime fasi del ciclo ovarico;
in prossimità della fine della fase follicolare sarà a feedback positivo così da ottenere l’uscita dell’ovulo dal follicolo maturo.
ORMONI OVARICI STEROIDEI
Degli ormoni ovarici steroidei i più importanti sono estradiolo e progesterone che agiscono con feedback negativo e positivo sull’asse ipotalamo-ipofisi;
ORMONI PEPTIDICI OVARICI
Gli ormoni peptidici, si suddividono in due classi distinte: inibine e attivine;
agiscono a livello dell’ipofisi anteriore andando ad esercitare un effetto sul rilascio delle
gonadotropine:
- le inibine un feedback negativo; - le attivine un feedback positivo;
I principali ormoni steroidei (estradiolo e progesterone) esercitano per la maggior parte del tempo un meccanismo a feedback negativo a livello di ipotalamo e ipofisi, riducendo il rilascio di GnRH e quindi LH e FSH.
L’estradiolo è in grado di agire sull’ipotalamo in quanto agisce su degli interneuroni specifici a loro volta in grado di inibire i neuroni ipotalamici.
Questo effetto inibitorio dato dall’estradiolo è mediato dal rilascio di neurotrasmettitori diversi: - a livello del nucleo arcuato questa inibizione è determinata dal rilascio di oppiacei;
- a livello dell’area preottica questa inibizione è determinata dal rilascio di GABA.
Sebbene questi ormoni abbiano un effetto inibitorio di tipo negativo a livello ipotalamico e ipofisario, la situazione si inverte alla fine della fase follicolare, quando i livelli di estradiolo gradualmente aumentano per poi avere un brusco picco che dura circa due giorni e a cui segue il rilascio elevato di LH dall’adenoipofisi.
Questo dipende dall’effetto diretto dell’estradiolo sulle cellule gonadotrope perché ne aumenta la sensibilità, incrementandone il numero di recettori e quindi promuove la capacità di rilascio passivo di LH, inducendo quindi feedback positivo.
Una volta che i livelli di estradiolo sono aumentati e hanno condizionato le cellule gonadotrope a livello dell’ipofisi anteriore, anche il progesterone prodotto a livello ovarico indurrà una risposta a feedback positivo facilitando rilascio di LH dall’adenoipofisi.
Parallelamente agli ormoni steroidei ci sono anche i peptidici di cui i principali sono inibine e attivine, che possono rispettivamente inibire o attivare il rilascio di gonadotropine, in particolare solo ed esclusivamente FSH dall’ipofisi anteriore;
la terza classe di ormoni è rappresentata dalle follistatine, molecole altamente affini alle attivine e possono legarle e sequestrarle riducendone l’attività e quindi indirettamente comportando l’inibizione del rilascio di FSH.
Sia inibine che attivine sono glicoproteine della famiglia del fattore di crescita trasformante beta, dimeri compositi da:
- una subunità alfa glicosilata;
- una subunità beta A;
- una subunità beta B;
l’inibina A si compone delle subunità alfa e beta A; l’inibina B si compone delle subunità alfa e beta B.
Per le attivine i dimeri constano di due subunità beta, con tre tipi di combinazioni: - beta A-beta A;
- beta B-beta B;
- beta A-beta B.
Le follistatine sono essenzialmente dei polipeptidi monomerici non correlati alla stessa famiglia delle prime due classi.
Queste sostanze modulano anch’esse l’attività dell’asse ipotalamo-ipofisi.
L’FSH stimola le cellule della granulosa a produrre inibine;
Anche l’estradiolo prodotto a livello ovarico stimola la produzione delle inibine attraverso un
meccanismo intraovarico;
Prima dell’ovulazione, quando le cellule della granulosa iniziano ad esprimere i recettori per LH,
anche LH stimola la produzione di inibine da parte delle cellule della granulosa; Le inibine, infatti, inducono feedback negativo riducendo il rilascio di FSH.
L’effetto che si osserva nell’asse ipotalamo-ipofisi è quindi la riduzione della secrezione di FSH e riduzione dei livelli di mRNA per le subunità alfa e beta di FSH;
Non si osserva nessun effetto invece per mRNA per la subunità beta di LH;
Le attivine sono prodotte dagli stessi tessuti che secernono le inibine, sia a livello ovarico che periferico e, in senso opposto:
- promuovono l’aumento della sintesi delle subunità di FSH e quindi rilascio dello stesso;
- inducono l’incremento di rilascio di GnRH dall’ipotalamo, andando a modulare sia la fase di follicologenesi che quella di creazione del corpo luteo e la successiva produzione di ormoni steroidei da parte di quest’ultimo. Le attivine esercitano la loro azione legandosi a dei recettori presenti sulla superficie cellulare, di tipo 1 e di tipo 2, che sono essenzialmente delle chinasi accoppiate alla cascata intracellulare che riguarda chinasi SMAD-dipendente che comporta l’attivazione di fattori di trascrizione specifici col coinvolgimento di una vasta gamma di geni.
La modulazione della secrezione di gonadotropine attraverso questi meccanismi di feedback negativo/positivo è alla base del ritmo mestruale normale.
Nelle donne in età fertile abbiamo rilascio GnRH da parte dell’ipofisi circa ogni ora, quindi FSH e LH con effetto diretto a livello ovarico.
La produzione di ormoni ovarici comporta un’azione con meccanismo a feedback negativo sull’asse ipotalamo-ipofisi, tranne prima dell’ovulazione, dove invece si parla di feedback positivo.
All’inizio della fase follicolare si hanno livelli di estradiolo bassi ma in aumento; la frequenza degli impulsi di LH rimane invariata e l’ampiezza aumenta gradualmente col tempo
Più tardi nella fase follicolare vi sono alti livell di estradiolo con conseguente: -> aumento di frequenza e ampiezza degli impulsi di LH
-> feedback positivo sull’asse ipotalamo-ipofisi da parte degli steroidi ovarici
Nella fase follicolare finale l’effetto netto è un aumento dei livelli circolanti di FSH e LH. Il picco di LH sussiste a seguito degli eventi di 12/14esimo giorno della fase follicolare, in
particolare a seguito dell’aumento dell’estradiolo.
L’aumento degli estrogeni in particolare ha un duplice effetto in fase preovulatoria: - sensibilizzazione le cellule gonadotrope dell’ipofisi anteriore agli impulsi di GnRH; - modulazione dell’attività neuronale ipotalamica con induzione del picco di GnRH.
Il picco di LH va a determinare il feedback positivo necessario ad aumentare estrogeni, progesterone e attivine.
L’aumento del progesterone determina un effetto a Feedback positivo sull’asse ipotalamo-ipofisi che è sinergico a quello determinato dagli estrogeni andandone quindi ad aumentare l’effetto.
Una volta avvenuto il picco sussiste la fase di ovulazione e in seguito di luteinizzazione. Questa fase essenzialmente prevede un cambiamento fisiologico a livello delle cellule della
granulosa del follicolo con secrezione di progesterone al posto di estradiolo/estrogeni.
Inoltre le stesse cellule della granulosa e della teca vanno incontro ad una serie di trasformazioni, anche strutturali, che culminano con la formazione delle cellule luteali (fase luteinica).
Nella fase luteale i livelli di FSH e LH si abbassano e avremo feedback negativo indotto dall’azione di estradiolo, progesterone e inibina;
così anche i livelli di steroidi ovarici sono interessati da un calo in termini di quantità.
Nella fase luteale le cellule luteali iniziano gradualmente a produrre estradiolo, progesterone e inibina.
nella fase luteale tardiva abbiamo la graduale costrizione del corpo luteo con diminuzione dei livelli di progesterone, estradiolo e inibine da parte di questa struttura.
Dopo l’inizio delle mestruazioni l’asse ipotalamo-ipofisi ritorna al suo pattern di secrezione di LH in fase follicolare con graduale aumento della frequenza degli impulsi di GnRH.
Il principale ormone estrogenico è l’estradiolo;
Il principale ormone progestinico è il progesterone;
entrambi sono prodotti a partire dal colesterolo a livello ovarico (il primo prodotto di conversione è il pregnenolone).
Il colesterolo può:
- essere sintetizzato ex novo dalle cellule follicolari dell’ovaio;
- proviene dalla dieta: è utilizzato sotto forma di particelle LDL, assorbite a livello ovarico. - provenire dal fegato, in grado di produrlo a partire dall’acetato.
La quota di estrogeni circolanti nelle donne deriva:
- principalmente dalla produzione ovarica e dalle ghiandole surrenaliche;
- in parte dalla conversione degli androgeni in estrogeni, soprattutto a livello del tessuto adiposo. Nelle donne non in gravidanza la maggior parte dell’estradiolo circolante è prodotto e secreto dalle
ovaie.
La prima reazione che avviene è quella a partire dal colesterolo, che viene convertito in pregnenolone ad opera di un enzima specifico: l’enzima p450. Questa reazione rappresenta la fase limitante della sintesi degli estrogeni.
Una volta formato il pregnenolone, le cellule ovariche lo convertono in progestinici ed estrogeni.
Le cellule ovariche Hanno un P-450 Aromatasi in grado di convertire:
- androstenedione -> estrone; - testosterone -> estradiolo;
A livello del fegato:
deidroepiandrosterone -> estrone -> estriolo androstenedione -> estradiolo -> estriolo
I due progestinici principali sono il progesterone (più importante) ed il 17α-idrossiprogesterone.
La sintesi dei progestinici richiede una sola tipologia cellulare, mentre la biosintesi degli estrogeni necessita di due cellule ovariche e di due gonadotropine diverse (FSH e LH). Le cellule interessate sono le cellule tecali e le cellule della granulosa.
Le cellule tecali superficiali:
- sono vicine ai vasi sanguigni, dunque, sono in grado di assorbire le particelle di LDL circolanti:
- colesterolo assunto rapidamente convertito in pregnenolone dall’enzima p450 -> progesterone -> androstenedione e testosterone.
- mancano però dell’enzima aromatasi necessaria per la sintesi di estrogeni.
Le cellule della granulosa e della granulosa luteina:
- contengono l’aromatasi -> convertire l’androstenedione in testosterone ed estrone; - mancano di idrossilasi e desmolasi -> non possono convertire il progesterone in androstenedione.
Complessivamente, queste due tipologie cellulari comunicano e collaborano fra loro, al fine di promuovere la produzione di estrogeni.
Nello strato follicolare, le cellule della granulosa acquisiscono la maggior parte del colesterolo con la sintesi ex novo;
dopo la fase di formazione del corpo luteo, quando la vascolarizzazione diventa importante, le cellule della granulosa luteina saranno in grado di assumere il colesterolo sotto forma di LDL e di sintetizzare grandi quantità di progesterone.
Ciò che distingue queste due tipologie cellulari, a prescindere dal corredo di enzimi necessari alla sintesi di estrogeni e progestinici, è anche la disposizione dei recettori per le gonadotropine:
- le cellule della granulosa possiedono entrambi i recettori per LH e FSH;
- le cellule della teca possiedono soltanto recettori per LH
I due progestinici principali sono il progesterone (più importante) ed il 17α-idrossiprogesterone. prodotti a partire dal colesterolo a livello ovarico (il primo prodotto di conversione è il pregnenolone).
Il colesterolo può:
- essere sintetizzato ex novo dalle cellule follicolari dell’ovaio;
- proviene dalla dieta: è utilizzato sotto forma di particelle LDL, assorbite a livello ovarico. - provenire dal fegato, in grado di produrlo a partire dall’acetato.
La sintesi dei progestinici richiede una sola tipologia cellulare, mentre la biosintesi degli estrogeni necessita di due cellule ovariche e di due gonadotropine diverse (FSH e LH). Le cellule interessate sono le cellule tecali e le cellule della granulosa.
Le cellule tecali superficiali:
- sono vicine ai vasi sanguigni, dunque, sono in grado di assorbire le particelle di LDL circolanti:
- colesterolo assunto rapidamente convertito in pregnenolone dall’enzima p450 -> progesterone -> androstenedione e testosterone.
- mancano però dell’enzima aromatasi necessaria per la sintesi di estrogeni.
Le cellule della granulosa e della granulosa luteina:
- contengono l’aromatasi -> convertire l’androstenedione in testosterone ed estrone; - mancano di idrossilasi e desmolasi -> non possono convertire il progesterone in androstenedione.
Complessivamente, queste due tipologie cellulari comunicano e collaborano fra loro, al fine di promuovere la produzione di estrogeni.
Nello strato follicolare, le cellule della granulosa acquisiscono la maggior parte del colesterolo con la sintesi ex novo;
dopo la fase di formazione del corpo luteo, quando la vascolarizzazione diventa importante, le cellule della granulosa luteina saranno in grado di assumere il colesterolo sotto forma di LDL e di sintetizzare grandi quantità di progesterone.
Ciò che distingue queste due tipologie cellulari, a prescindere dal corredo di enzimi necessari alla sintesi di estrogeni e progestinici, è anche la disposizione dei recettori per le gonadotropine:
- le cellule della granulosa possiedono entrambi i recettori per LH e FSH;
- le cellule della teca possiedono soltanto recettori per LH.
Il principale ormone estrogenico è l’estradiolo;
prodotti a partire dal colesterolo a livello ovarico (il primo prodotto di conversione è il pregnenolone).
Il colesterolo può:
- essere sintetizzato ex novo dalle cellule follicolari dell’ovaio;
- proviene dalla dieta: è utilizzato sotto forma di particelle LDL, assorbite a livello ovarico. - provenire dal fegato, in grado di produrlo a partire dall’acetato.
La quota di estrogeni circolanti nelle donne deriva:
- principalmente dalla produzione ovarica e dalle ghiandole surrenaliche;
- in parte dalla conversione degli androgeni in estrogeni, soprattutto a livello del tessuto adiposo. Nelle donne non in gravidanza la maggior parte dell’estradiolo circolante è prodotto e secreto dalle
ovaie.
La prima reazione che avviene è quella a partire dal colesterolo, che viene convertito in pregnenolone ad opera di un enzima specifico: l’enzima p450. Questa reazione rappresenta la fase limitante della sintesi degli estrogeni.
Una volta formato il pregnenolone, le cellule ovariche lo convertono in progestinici ed estrogeni.
Le cellule ovariche Hanno un P-450 Aromatasi in grado di convertire:
- androstenedione -> estrone; - testosterone -> estradiolo;
A livello del fegato:
deidroepiandrosterone -> estrone -> estriolo androstenedione -> estradiolo -> estriolo
LH stimola inizialmente le cellule della teca, inducendo un aumento dell’attività dell’adenilato ciclasi, l’aumento della sintesi dei recettori per le particelle LDL ed un’aumentata sintesi dell’enzima p450.
Conseguentemente, la stimolazione delle cellule della teca porta ad un aumento della sintesi di androstenedione che, necessariamente, deve passare alle cellule della granulosa adiacenti, dotate degli enzimi necessari al fine di produrre gli estrogeni principali.
Dunque, l’androstenedione potrà, diffondendo liberamente:
- essere convertito in estrone e, da qui, si otterrà l’estradiolo;
- essere convertito in testosterone e tramite l’aromatasi in estradiolo.
La gonadotropina FSH agisce sulle cellule della granulosa, inducendo l’aumento della produzione di aromatasi
Gli androgeni derivanti dalla teca sono convertiti in estrogeni nelle cellule della granulosa diffusi poi a livello ematico.
- Basse concentrazioni: gli androgeni prodotti dalle cellule della teca diventano substrati per la sintesi di estrogeni da parte delle cellule della granulosa, potenziando anche l’attività dell’aromatasi.
- Alte concentrazioni: la conversione di androgeni in estrogeni si riduce, quindi sono spesso convertiti da un altro enzima, il 5αreduttasi, in DHT, non convertibile in estrogeni.
L’azione degli androgeni è di inibizione sulle cellule follicolari modulando la formazione dei recettori per LH sulle cellule follicolare: l’effetto netto sarà la creazione di un ambiente altamente concentrato di androgeni così da ridurre la produzione di estrogeni.
Nella fase di luteizzazione del follicolo, avverranno una serie di cambiamenti biochimici ed anatomici:
i vasi sanguigni penetrano in profondità raggiungendo le cellule della granulosa permettendo l’acquisizione del colesterolo sotto forma di LDL.
L’LH stimola le cellule della granulosa luteina ad assumere ed elaborare il colesterolo, esattamente come avviene per le cellule della teca.
Si ottiene quindi un effetto netto di aumento di biosintesi di progesterone, necessario nella fase luteale e nella regressione del corpo luteo.
I principali prodotti del corpo luteo saranno quindi il progesterone e il 17α-idrossiprogesterone.
Le cellule della granulosa luteina, quindi, hanno necessariamente bisogno della componente tecale per produrre questi ormoni trasportando il progesterone dalle cellule tecali alle cellule della granulosa
Gli ESTROGENI hanno come obiettivo principale la regolazione delle diverse fasi del ciclo mestruale, esercitando un effetto a livello ovarico ed endometriale, inducendo un aumento della proliferazione cellulare e la crescita degli organi sessuali e altri tessuti legati alla riproduzione.
La maggior parte degli estrogeni sono presenti nel plasma in forma combinata con proteine:
- il 60% di estradiolo viaggia legato all’albumina;
- il 38% lega la proteina legante gli ormoni sessuali;
- il 2% circola come ormone libero, in grado di attraversare le membrane e sortire il suo effetto su cellule target specifiche aventi i recettori nucleari.
Il recettore per gli estrogeni è un dimero che, una volta legato l’estrogeno, è in grado di legarsi al promotore ed aumentare la traduzione di geni specifici e la sintesi proteica.
Gli estrogeni agiscono tipicamente su utero e seno, che presentano ER.
Possono anche esercitare azioni diverse, legandosi a recettori accoppiati a proteine G.
I PROGESTINICI, ed in particolare il progesterone, modulano l’attività dell’endometrio, stimolando la secrezione ghiandolare e la maturazione del tessuto.
Il progesterone presenta un recettore specifico, anch’esso dimerico: al momento del legame, induce dei cambiamenti nella secrezione endometriale.
L’espressione di questi recettori dipende anche dal livello di estrogeni, in grado di modulare la loro responsività al progesterone.
Durante la seconda metà del ciclo mestruale, il progesterone induce la maturazione finale dell’endometrio, necessaria per la possibile ricezione dell’ovulo fecondato: se ciò non avviene si andrà incontro a mestruazione
Il ciclo ovarico è costituito da eventi specifici:
- follicologenesi;
- ovulazione;
- formazione e regressione del corpo luteo;
questi eventi hanno luogo a livello dell’ovaio, iniziano durante il periodo puberale e il numero di gameti che possono andare incontro a ciclo ovarico è limitato e viene determinato prima ancora che l’individuo nasca (numero di ovociti formati durante la vita fetale).
All’VIII settimana di gestazione sono presenti circa 300.000 ovogoni in ogni ovaio dei quali alcuni entrano nella Profase della meiosi I diventando ovociti primari.
Il numero di cellule germinali è determinato da:
- Mitosi
- meiosi
- morte per apoptosi degli ovogoni che non entrano nella meiosi I entro la XVIII-XXX settimana;
Gli ovociti che hanno iniziato il processo meiotico, si fermano però al primo stadio della prima profase meiotica, stato che durerà fino alla pubertà, che prende il nome di Dictiotene.
La seconda divisione meiotica avviene al momento della singamia.
Nell’ovaio fetale gli ovociti ditiotenici sono circondati da uno strato di cellule pregranulose piatte a forma di fuso a formare un follicolo primordiale.
Questo numero di follicoli primordiali, stabilito ancor prima della nascita, andrà incontro ad un inevitabile processo di apoptosi, che inizia già a metà della gestazione e termina con l’inizio della menopausa.
Questo processo di apoptosi porterà ad un progressivo esaurimento dei follicoli primordiali disponibili, esaurimento che non può essere in alcun modo modulato dalla produzione di ormoni gonadotropici, dello stato di gravidanza o dall’uso di contraccettivi orali.
Dopo la pubertà ogni mese una coorte di 10-30 follicoli primordiali viene reclutata per entrare nel processo irreversibile di follicologenesi:
-> ovulazione: rottura del follicolo ed espulsione degli ovuli;
-> atresia: ovocita e cellule del follicolo vanno incontro ad apoptosi, degenerazione e riassorbimento.
In qualsiasi momento una piccola parte dei follicoli primordiali inizia una serie di cambiamenti In termini di dimensioni, morfologia e funzione: entrano in follicologenesi.
Questa fase è controllata da fattori intrinseci all’ovaio e dalle gonadotropine e avviene attraverso tre processi:
1. Ingrandimento e maturazione dell’ ovocita;
2. Differenziazione e proliferazione delle cellule della granulosa e della teca;
3. Formazione e accumulo di fluidi;
Follicolo primario
La prima fase della follicologenesi è la trasformazione del follicolo primordiale in follicolo primario: questo passaggio è determinato da una serie di eventi che permetto a questa cellula di uscire dallo stato di quiescenza e di trasformarsi in follicolo primario:
- proliferazione delle cellule della granulosa;
- differenziazione delle cellule della granulosa da cellule pregranullose appiattite a cuboidali;
Questo follicolo primario acquisirà anche una zona, detta zona pellucida, che è una sorta di guscio protettivo che circonda la membrana plasmatica dell’oocita.
Follicolo secondario
Successivamente, il follicolo primario verrà trasformato attraverso la proliferazione delle cellule della granulosa e la comparsa delle cellule della teca, in follicolo secondario;
I follicolo secondari contengono un Ovocita primario circondato da diversi strati di cellule della granulosa cuboidali;
l’oocita aumenta ancora le sue dimensioni fino a raggiungere un diametro di circa 80 micron, all’interno di un follicolo che misura circa 120 micron.
Follicolo terziario
Dal follicolo secondario avverrà il passaggio a follicolo terziario; questo passaggio viene determinato anche dalla capacità delle cellule della granulosa che circondano i follicoli secondari di acquisire ed esprimere recettori per l’LH e di sintetizzare ormoni steroidei.
A livello dei follicoli secondari sono presenti anche delle giunzioni gap, che permetteranno il passaggio di sostanze nutritive e informazioni tra le cellule della granulosa e l’oocita e viceversa.
La trasformazione del follicolo terziario avviene durante la maturazione dei follicoli secondari e comporta che le cellule della granulosa inizino a produrre un fluido, che viene riversato al centro del follicolo e va pian piano a forma uno spazio che prende il nome di Antrum. In questa fase, l’FSH sarà importante perché determinerà la transizione da follicolo secondario a follicolo terziario.
L’Antrum si andrà ad allargare sempre di più, aumentando il diametro del follicolo fino a trasformarlo nel follicolo di Graaf ovulatorio.
Follicolo di Graaf
Nei follicoli di Graaf sono presenti 3 tipi di cellule della granulosa:
1. murale -> più metabolicamente attive, presentano i recettori per LH e gli enzimi necessari per la sintesi degli ormoni steroidei;
2. cumuliforme -> rilasciate con l’ovocita al momento dell’ovulazione;
3. antral -> si affacciano sull’Antrum e poi diventeranno le cellule luteali della granulosa;
Questi 3 tipi di cellule hanno la capacità di produrre ormoni steroidei, ma le cellule del cumulo non hanno la capacità di formare estrogeni perché non dotati degli enzimi necessari alla loro biosintesi.
Man mano che il fluido antrale si insinua e aumenta lo spazio antrale stesso, si viene a creare un ambiente protetto che favorisce:
- la crescita e lo sviluppo dell’oocita;
- il rilascio dell’ ovocita-cumulo
- lo scambio dei nutrienti;
- la rimozione dei rifiuti nel compartimento avascolare;
L’accumulo di liquido antrabe è inoltre un fattore importante per la formazione del follicolo dominante.
Cinque/sei giorni prima che avvenga l’ovulazione, il follicolo dominante subirà un’espansione
accelerata e determinerà un rigonfiamento che verrà poi riconosciuto come una sorta di macchia, che determinerà poi la fuoriuscita dell’oocita stesso. La seconda divisione meiotica avviene soltanto in caso di fecondazione.
Dal follicolo secondario avverrà il passaggio a follicolo terziario; questo passaggio viene determinato anche dalla capacità delle cellule della granulosa che circondano i follicoli secondari di acquisire ed esprimere recettori per l’LH e di sintetizzare ormoni steroidei.
A livello dei follicoli secondari sono presenti anche delle giunzioni gap, che permetteranno il passaggio di sostanze nutritive e informazioni tra le cellule della granulosa e l’oocita e viceversa.
La trasformazione del follicolo terziario avviene durante la maturazione dei follicoli secondari e comporta che le cellule della granulosa inizino a produrre un fluido, che viene riversato al centro del follicolo e va pian piano a forma uno spazio che prende il nome di Antrum. In questa fase, l’FSH sarà importante perché determinerà la transizione da follicolo secondario a follicolo terziario.
L’Antrum si andrà ad allargare sempre di più, aumentando il diametro del follicolo fino a trasformarlo nel follicolo di Graaf ovulatorio.
Nei follicoli di Graaf sono presenti 3 tipi di cellule della granulosa:
1. murale -> più metabolicamente attive, presentano i recettori per LH e gli enzimi necessari per la sintesi degli ormoni steroidei;
2. cumuliforme -> rilasciate con l’ovocita al momento dell’ovulazione;
3. antral -> si affacciano sull’Antrum e poi diventeranno le cellule luteali della granulosa;
Questi 3 tipi di cellule hanno la capacità di produrre ormoni steroidei, ma le cellule del cumulo non hanno la capacità di formare estrogeni perché non dotati degli enzimi necessari alla loro biosintesi.
Man mano che il fluido antrale si insinua e aumenta lo spazio antrale stesso, si viene a creare un ambiente protetto che favorisce: - la crescita e lo sviluppo dell’oocita;
- il rilascio dell’ ovocita-cumulo
- lo scambio dei nutrienti;
- la rimozione dei rifiuti nel compartimento avascolare;
L’accumulo di liquido antrabe è inoltre un fattore importante per la formazione del follicolo dominante.
Cinque/sei giorni prima che avvenga l’ovulazione, il follicolo dominante subirà un’espansione
accelerata e determinerà un rigonfiamento che verrà poi riconosciuto come una sorta di macchia, che determinerà poi la fuoriuscita dell’oocita stesso. Durante le fasi di crescita e maturazione dell’oocita all’interno del follicolo preovulatorio, si ha: - un aumento del numero di mitocondri;
- un’acquisizione della capacità di completare il processo meiotico (MEIOSI I).
Infatti, a differenza di quanto avviene nell’apparato riproduttivo maschile, le cellule rimangono bloccate e non terminano la meiosi I se non successivamente, durante queste fasi di maturazione;
La seconda divisione meiotica avviene soltanto in caso di fecondazione.
Durante questo processo, sono importanti anche altri eventi, ad esempio l’imprinting genomico, con alcuni geni che si troveranno silenziati e altri no.
Ciò che stimolerà tutti questi eventi di maturazione sarà la successiva, progressiva e ciclica produzione di FSH e LH, che andranno a stimolare la crescita di un gruppo di follicoli che andranno incontro alle diverse fasi di differenziazione.
La maggior parte dei follicoli, durante la vita riproduttiva, va incontro ad atresia, tranne quelli che vengono ovulati.
In ciascun mese, almeno un follicolo deve raggiungere la dominanza e questo è ciò che accade soprattutto nel primo periodo dell’età riproduttiva, via via che si procede verso il periodo premenopausa, questa capacità si riduce sempre di più.
La capacità di acquisire la dominanza dipenderà essenzialmente dagli estrogeni circolanti, che faranno sì che durante la fase follicolare del ciclo possa indursi una graduale secrezione di FSH e questo possa ripercuotersi a livello delle cellule della granulosa, inducendo l’aumento dei livelli di inibine che andrà ad inibire la secrezione di FSH.
Quando i livelli di FSH si riducono, questo comporta:
- un calo dell’attività dell’aromatasi nelle cellule della granulosa, con una conseguente riduzione
delle produzione di estradiolo nei follicoli meno maturi;
- gli estrogeni aumenteranno l’efficacia per l’FSH nei follicoli più maturi, aumentando i recettori
per l’FSH.
Il follicolo dominante, che presenta più recettori per l’FSH, sarà in grado di avere un tasso di proliferazione delle cellule della granulosa maggiore, quindi un’attività dell’aromatasi maggiore e un aumento della capacità di produrre estrogeni.
Follicoli non dominanti -> un rapporto estrogeni/androgeni più basso -> atresia.
Follicolo dominante -> diventerà prominente e più capace di produrre soprattutto estradiolo,
rispetto alle cellule circostanti.
Anche l’apporto vascolare alle cellule della teca del follicolo dominante cambia: esso si amplifica rapidamente determinando un maggior apporto di FSH al follicolo dominante.
La maggior parte dei follicoli, durante la vita riproduttiva, va incontro ad atresia, tranne quelli che vengono ovulati.
In ciascun mese, almeno un follicolo deve raggiungere la dominanza e questo è ciò che accade soprattutto nel primo periodo dell’età riproduttiva, via via che si procede verso il periodo premenopausa, questa capacità si riduce sempre di più.
La capacità di acquisire la dominanza dipenderà essenzialmente dagli estrogeni circolanti, che faranno sì che durante la fase follicolare del ciclo possa indursi una graduale secrezione di FSH e questo possa ripercuotersi a livello delle cellule della granulosa, inducendo l’aumento dei livelli di inibine che andrà ad inibire la secrezione di FSH.
Quando i livelli di FSH si riducono, questo comporta:
- un calo dell’attività dell’aromatasi nelle cellule della granulosa, con una conseguente riduzione
delle produzione di estradiolo nei follicoli meno maturi;
- gli estrogeni aumenteranno l’efficacia per l’FSH nei follicoli più maturi, aumentando i recettori
per l’FSH.
Il follicolo dominante, che presenta più recettori per l’FSH, sarà in grado di avere un tasso di proliferazione delle cellule della granulosa maggiore, quindi un’attività dell’aromatasi maggiore e un aumento della capacità di produrre estrogeni.
Follicoli non dominanti -> un rapporto estrogeni/androgeni più basso -> atresia.
Follicolo dominante -> diventerà prominente e più capace di produrre soprattutto estradiolo,
rispetto alle cellule circostanti.
Anche l’apporto vascolare alle cellule della teca del follicolo dominante cambia: esso si amplifica rapidamente determinando un maggior apporto di FSH al follicolo dominante.
L’ovulazione avviene a metà del ciclo mestruale ed è innescata dal picco di LH, stimolato da un repentino aumento di livelli di estradiolo ad opera del follicolo dominante.
Il follicolo dominante rilascia segnali al sistema ipotalamo-ipofisi segnalando il completamento del processo e comunicando il momento corretto per l’ovulazione.
Il picco di LH termina e questo è dovuto:
- in parte all’aumento del progesterone, che agirà a feedback negativo sul rilascio di LH; - in parte al feedback positivo acquisito grazie agli elevati livelli di estradiolo.
Al momento del picco di LH, di fatto, l’oocita riprende e completa il suo processo meiotico, alcune ore prima dell’eliminazione.
Si forma quindi l’oocita secondario, che inizia la seconda fase meiotica, ma si arresta quasi subito in metafase, fino al momento della fecondazione. Il cumulo dell’ooforo risente del rilascio di LH, si espande in corrispondenza del picco, determinando la separazione ed il galleggiamento delle cellule nel liquido antrale.
L’apertura di questa porzione del cumulo è determinata anche da un aumento della sintesi di ialuronidasi, indotta da FSH, con conseguente assottigliamento del resto della parete.
L’oocita è trasportato verso l’infundibolo, spazzolato dalle fimbrie, e trova un epitelio ciliato e muscolare.
Il movimento delle ciglia e la contrazione muscolare della tuba permettono la compressione dell’oocita all’interno della tuba stessa, luogo dove fisiologicamente avviene il processo di fecondazione.
Se avviene, lo zigote resta nella parte ampollare per 72 ore circa per poi essere trasportato rapidamente verso la cavità uterina, dove resterà altri 2/3 giorni, prima di attecchire all’endometrio.
Avvenuta l’ovulazione, si ha la formazione del corpo luteo, grazie alle cellule della granulosa e della teca che permangono nell’area follicolare, ad oocita espulso, e si differenziano sotto il controllo dell’LH. Nella fase iniziale luteale si ha la produzione di progesterone e di estradiolo a opera del corpo luteo;
questi ormoni, essendo passata anche l’ovulazione andranno a inibire, sia a livello ipotalamico che dell’adenoipofisi, la liberazione delle gondotropine per inibire il processo di follicologenesi che è già avvenuto e ha già dato luogo all’ovulazione.
Se non si instaura una gravidanza, nelle fasi luteali più tardive, il corpo luteo va incontro a una fase di regressione che prende il nome di luteolisi.
Questa inizia intorno all’undicesimo giorno dall’ovulazione ed è determinata dalla mancanza del supporto trofico, e da fattori locali quali la prostaglandina f2a indotta dalle cellule dell’endometrio.
Nella fase luteale, il ruolo principale dell’estradiolo e del progesterone è quello di attivare e sensibilizzare le cellule dell’endometrio alla presenza di questi ormoni.
Il PROGESTERONE, i cui livelli iniziano ad aumentare in prossimità della fase di ovulazione, subito dopo il picco raggiunto dagli estrogeni, aumenta nel tempo e raggiunge un picco a circa 7 giorni dalla fase di ovulazione.
Questo incremento è necessario per inibire la crescita follicolare durante la fase luteale e per inibire l’asse ipotalamo-ipofisi.
Il progesterone ha anche un effetto antiestrogenico a livello dell’endometrio, determinando un’inibizione dell’espressione dei recettori per gli estrogeni andandone a silenziare l’effetto.
L’ESTRADIOLO aumenta nella fase luteinica ed è anch’ esso prodotto a livello del corpo luteo.
Similmente al progesterone, induce l’espressione del recettore del progesterone su cellule target specifiche, dove il progesterone indurrà quella serie di modificazioni ed alterazioni proprie del ciclo endometriale.
Si ha quindi sia la produzione di estradiolo e di progesterone da parte del corpo luteo che andranno a influenzare e regolare le funzioni dell’endometrio, determinando:
- inizialmente nel primo periodo un momento di crescita dell’endometrio stesso;
- poi in assenza di gravidanza lo sfaldamento dello strato funzionale e le mestruazioni.
Il ciclo endometriale può essere suddiviso in tre fasi principali:
1. mestruale; 2. proliferativa; 3. secretiva.
1. FASE MESTRUALE
in assenza di fecondazione si verifica una riduzione della secrezione di entrambi gli ormoni ovarici determinando la scomparsa del corpo luteo.
L’assenza di sostegno a livello ormonale, determina alterazioni nell’endometrio: viene meno l’integrità vascolare e la quota ghiandolare proprie dell’endometrio stesso, causando un processo di degenerazione e sfaldamento, accompagnati dal sanguinamento mestruale.
Dopo le mestruazioni, la superficie dell’utero è costituita da un sottile strato di cellule stromali (epiteliali) con alcune ghiandole residue.
L’epitelio che si genera durante la fase proliferativa, sarà ripristinato grazie alle cellule stromali localizzate nella porzione basale determinando un ispessimento della parete endometriale (si passa da 0,5mm a 5mm).
2. FASE PROLIFERATIVA
Le fasi di proliferazione e differenziazione sono regolate dagli estrogeni prodotti dai nuovi follicoli in via di sviluppo, che aumenteranno anche i recettori per gli estrogeni sullo strato dell’endometrio così da attivare e sensibilizzare le cellule all’azione ormonale.
Giocano un ruolo fondamentale i due ormoni ovarici estradiolo e progesterone
3. FASE SECRETIVA
L’endometrio si rigenera sotto l’egida del progesterone.
Le cellule endometriali aumentano la capacità secretoria, i livelli di glicogeno, la vascolarizzazione e lo spessore dello strato funzionale, raggiungendo il massimo sviluppo tra il ventesimo e ventunesimo giorno.
Segue una fase detta di predecidualizzazione Nella fase luteale tardiva, i livelli di estrogeni e progestinici si riducono determinando lo sfaldamento e la scomparsa dei 2/3 dell’endometrio.
Il processo è dovuto a spasmi ritmici a livello delle arterie spirali determinando lo sfaldamento accompagnato al rilascio di enzimi litici (idrolasi) deterioranti la zona compatta.
Questa necrosi porta anche a microemorragie dei vasi sottostanti producendo le mestruazioni stesse, costituite da sangue, tessuto proveniente dallo strato funzionale e da liquido sieroso prodotto dalle ghiandole secretorie.
Il sangue mestruale non coagula grazie al rilascio di fibrolisine endometriali che favoriscono il flusso di sangue.
in assenza di fecondazione si verifica una riduzione della secrezione di entrambi gli ormoni ovarici determinando la scomparsa del corpo luteo.
L’assenza di sostegno a livello ormonale, determina alterazioni nell’endometrio: viene meno l’integrità vascolare e la quota ghiandolare proprie dell’endometrio stesso, causando un processo di degenerazione e sfaldamento, accompagnati dal sanguinamento mestruale. Dopo le mestruazioni, la superficie dell’utero è costituita da un sottile strato di cellule stromali (epiteliali) con alcune ghiandole residue.
L’epitelio che si genera durante la fase proliferativa, sarà ripristinato grazie alle cellule stromali localizzate nella porzione basale determinando un ispessimento della parete endometriale (si passa da 0,5mm a 5mm).
Le fasi di proliferazione e differenziazione sono regolate dagli estrogeni prodotti dai nuovi follicoli in via di sviluppo, che aumenteranno anche i recettori per gli estrogeni sullo strato dell’endometrio così da attivare e sensibilizzare le cellule all’azione ormonale.
Giocano un ruolo fondamentale i due ormoni ovarici:
a. L’estradiolo
stimola la sintesi e la secrezione di alcuni fattori di crescita funzionali allo sviluppo endometriale:
- fattore di crescita insulino-simile;
- fattori di crescita trasformante;
- fattori di crescita epiteliale.
Questi agiscono sia con azione paracrina che autocrina, inducendo la proliferazione e la
maturazione dell’endometrio stesso.
Inoltre, l’estradiolo induce anche la sintesi di recettori per il progesterone che attivamente
espressi dalle cellule dell’endometrio, al fine di favorire gli effetti determinati dal progesterone.
b. Il progesterone
ha un effetto antiestrogenico; ha la capacità di:
- inibire l’espressione di ER;
- convertire l’estradiolo in estrone (meno attivo);
- favorire la coniugazione degli estrogeni con i gruppi solfato così da inattivarli biologicamente.
Questi processi hanno l’obiettivo di arrestare la fase di proliferazione endometriale e determinare la transizione dalla fase di proliferazione alla fase secretiva.
L’endometrio si rigenera sotto l’egida del progesterone.
Le cellule endometriali aumentano la capacità secretoria, i livelli di glicogeno, la vascolarizzazione e lo spessore dello strato funzionale, raggiungendo il massimo sviluppo tra il ventesimo e ventunesimo giorno.
Segue una fase detta di predecidualizzazione, in cui si ha:
- un accrescimento delle cellule stromali dello strato funzionale;
- vanno ad avvolgere le arterie spirali dell’utero, fondendosi le une con le altre e generando le cosiddette cellule decidue.
- Sulla porzione superiore dell’endometrio, esse generano una sorta di lamina chiamata zona compatta, con la funzione di preparare gli organi accessori nel caso in cui si verifichi una fecondazione, così da permettere l’eventuale annidamento della blastula.
In assenza di fecondazione, questo strato è eliminato ed andrà in necrosi generando il sanguinamento mestruale.
Nella gravidanza, invece, la zona compatta rimarrà stabile fino al momento del parto.
Nella fase luteale tardiva, i livelli di estrogeni e progestinici si riducono determinando lo sfaldamento e la scomparsa dei 2/3 dell’endometrio.
Il processo è dovuto a spasmi ritmici a livello delle arterie spirali determinando lo sfaldamento accompagnato al rilascio di enzimi litici (idrolasi) deterioranti la zona compatta.
Questa necrosi porta anche a microemorragie dei vasi sottostanti producendo le mestruazioni stesse, costituite da sangue, tessuto proveniente dallo strato funzionale e da liquido sieroso prodotto dalle ghiandole secretorie.
Il sangue mestruale non coagula grazie al rilascio di fibrolisine endometriali che favoriscono il flusso di sangue.
L’endometrio è un tessuto altamente specializzato a livello del quale avviene l’annidamento e l’impianto dello zigote.
È fondamentale però, considerare la ristrettezza de periodo di recettività (<4 giorni), tra il 16° e il 19° del ciclo mestruale;
L’impianro deve seguire: il periodo di ovulazione (14° giorno) e la fecondazione (entro 1 giorno dall’ovulazione).
In ambito clinico, al fine di evitare gravidanze indesiderate o a scopi terapeutici, si utilizza la pillola anticoncezionale che permette la somministrazione esogena di estrogeni e progestinici: questi esercitano il loro effetto a feedback negativo sull’asse ipotalamo-ipofisi, inibendo il processo di ovulazione a livello ovarico.
La componente progestinica ha effetti specifici a livello endometriale:
- riduce lo sviluppo dell’endometrio, sfavorendo la possibilità di impianto dell’embrione;
- incide sia sulla motilità dell’utero e degli ovidotti sfavorendo il trasporto e la possibilità di incontro tra ovuli e spermatozoi;
- agisce sulle ghiandole secretive rendendo le secrezioni quantitativamente ridotte e meno viscose rispetto al normale, così da sfavorire la penetrazione degli spermatozoi.
Gli eventi appena descritti sono coordinati e regolati dall’asse ipotalamo-ipofisi che, mensilmente, attiva lo sviluppo di un follicolo dominante in grado di essere ovulato.
Questo processo avviene in un tempo specifico che va dall’inizio della pubertà (12 anni) fino al termine del periodo fertile (52 anni).
In fase di menopausa, nelle ovaie sono presenti pochissimi follicoli funzionali ed una elevata quota di stroma.
Conseguentemente a questi cambi morfologici, si ha una disregolazione nella produzione di ormoni ovarici che non permette di indurre il meccanismo a feedback negativo sull’asse ipotalamo-ipofisi, con aumento di FSH ed LH.
Insieme con queste modifiche, il rilascio di inibine è fortemente diminuito, contribuendo ancor più all’aumento di FSH.
La riduzione dei valori ormonali però, si ripercuote anche a livello sistemico: da qui, la scelta di accompagnare le donne in menopausa con una terapia ormonale sostitutiva (pillola anticoncezionale a bassissimo dosaggio).
Tutto ciò ha lo scopo di prevenire danni ad altri sistemi, primo fra tutti quello scheletrico, prevenendo osteoporosi, problemi di tipo vascolare (coronaropatie), atrofia urogenitale, disfunzioni endometriali sfocianti in tumori. La terapia è generalmente somministrato prim’ancora che la menopausa sia conclamata;
Studi recenti dimostrano che i livelli di FSH aumentano nella donna già dopo i 35 anni.
Gli spermatozoi una volta eiaculati, sono funzionalmente attivi così da permettere le reazioni che permettono la loro capacitazione e iperattivazione.
Il processo di capacitazione avviene a seguito dell’eiaculazione (può avvenire anche in vitro): comporta una serie di modifiche che portano a variazione sia nella concentrazione dello ione calcio, ma anche di metaboliti importanti come l’AMPciclico e il pH, fondamentale per modulare l’attività della dineina coinvolta nei movimenti flagellari degli spermatozoi.
Il progesterone prodotto in prossimità dell’oocita induce un aumento dei movimenti flagellari con la conseguente iperattivazione.
Gli spermatozoi, attratti dall’oocita sia da meccanismi di chemiotassi che di termotassi, raggiungono le tube in cui è presente l’ovulo.
Lungo questa strada, avviene il processo di capacitazione, ovvero la perdita di glicoproteine, così da garantire il legame con la zona pellucida
Inizialmente si ha (1) l’inserimento grazie alla capacità dello spermatozoo di superare le cellule
follicolari e raggiungere la zona pellucida;
il contatto della testa con la ZP determina un aumento della concentrazione di calcio (2) nello spermatozoo e la (3) reazione acrosomiale favorente l’esocitosi della vescicola acrosomiale presente nella porzione apicale della testa.
La vescicola contiene diversi enzimi litici necessari funzionali alla degradazione della zona pellucida.
Importante è la motilità e l’iperattività determinata dal progesterone prodotto dall’oocita attivante il sistema della dineina per permettere un aumento dei movimenti flagellari per l’inserimento e penetrazione della zona pellucida.
Una volta che la testa dello spermatozoo è arrivata in prossimità dell’oocita, si creano dei microvilli sulla membrana plasmatica (4) che permettono la disposizione della testa in senso tangenziale con successivo ingresso del nucleo nel citosol dell’oocita.
Il contatto e la fusione della membrana dello spermatozoo con quella dell’oocita determina una reazione istantanea nell’oocita per l’aumento della concentrazione di calcio che induce la (5) reazione corticale, ossia l’esocitosi di una serie di enzimi modificanti la composizione della ZP, indurendola e sfavorendo l’ingresso di ulteriori spermatozoi nell’ ovulo.
Ciò è importante perché elimina la possibilità di polispermia.
(6) La variazione della [Ca++ intr] all’interno dell’ovulo riporta l’uovo ad uno stato replicamente
attivo, così da completare la meiosi, con la conseguente espulsione del secondo globulo polare.
La testa dello spermatozoo aumenta si dimensione e diventa il pronucleo maschile (7);
Con il processo di fusione tra pronucleo maschile e femminile (8) la fecondazione è completata.
la formazione dello zigote (cellula con numero diploide di cromosomi di cui 23 derivano dal pronucleo femminile, 23 dal maschile) determinerà quello che viene detto uovo fecondato, concepito.
Lo zigote va incontro a una serie di mitosi che porteranno alla formazione di morula, poi blastula che dovrà impiantarsi;
Gemelli omozigoti -> singolo zigote che si divide e forma due embrioni;
Gemeli eterozigoti -> derivano da due diversi zigoti prodotti da 2 oociti fecondati da due spermatozoi. La prima divisione cellulare dello zigote è definita clivaggio;
le seguenti divisioni sono scandite ritmicamento:
- la seconda dopo 48h dalla fecondazione;
- la terza tra le 50-60h, con la formazione della MORULA.
Quest’aggregato di cellule è ora capace di muoversi nella tuba grazie al suo epitelio ciliato e alla muscolatura liscia.
Al sesto giorno si forma la BLASTOCISTI: struttura dotata di una massa interna detta corion ed una esterna.
Raggiunto l’utero, la blastocisti è in grado di legarsi all’endometrio:
lo zigote rilascia una serie di enzimi litici stimolanti la disgregazione della ZP, con il conseguente avvicinamento della blastula all’epitelio deciduale;
segue la fase di adesione ed invasione, in cui il trofoblasto si approfonda nel tessuto endometriale.
La blastocisti stessa è in grado di produrre l’ormone gonadotropina corionica umana (hCG) che, essendo analoga dell’LH, mantiene alti i livelli di estrogeni e progestinici a livello dell’utero funzionali al mantenimento del corpo luteo e all’inibizione delle mestruazioni.
Questo sostentamento dura all’incirca fino alla quinta/sesta settimana, ovvero fino alla formazione della placenta, la maggiore produttrice di ormoni steroidei.
Di fatto tra la quinta e la sesta settimana, sotto lo stimolo dell’hCG il corpo luteo inizia a regredire, mentre l’endometrio è preservato dagli ormoni prodotti dalla placenta in formazione.
È proprio questa finestra che normalmente è utilizzata per il test di gravidanza, generalmente eseguito tra 5°,6° o 7° settimana massimo: si utilizzano degli anticorpi monoclonali diretti contro la subunità β dell’hCG rilevandone quindi le trecce in urine o sangue. Una volta che la blastocisti ha preso contatto e il trofoblasto si è inserito all’interno della decidua, si sviluppa la PLACENTA: la parte esterna che avvolge l’embrione, ovvero il corion, si sviluppa insieme con il tessuto materno (la parte di decidua proveniente dall’endometrio) per formare la futura placenta definitiva.
Una volta che la blastocisti ha preso contatto e il trofoblasto si è inserito all’interno della decidua, si sviluppa la PLACENTA: la parte esterna che avvolge l’embrione, ovvero il corion, si sviluppa insieme con il tessuto materno (la parte di decidua proveniente dall’endometrio) per formare la futura placenta definitiva.
Nella formazione della placenta sarà importante la formazione dei villi coriali, che andranno a invadere la struttura dell’endometrio laddove sono presenti le arterie a spirale.
L’embrione con il cordone ombelicale si ritrova all’interno del sacco amniotico, delimitato appunto dall’amnios stesso. Il sacco è ripieno di liquido rappresentato da una soluzione pressoché isotonica, che, col tempo, soprattutto nei primi 4 mesi, modificherà sostanzialmente nella composizione in seguito alla produzione di urina da parte del feto ed allo sfaldamento di cellule fetali (su queste si può effettuare un’eventuale analisi in seguito ad amniocentesi, poiché hanno la stessa composizione del feto).
Procedendo con la gravidanza, cambia la struttura dell’utero, del miometrio, ma soprattutto dell’endometrio. Tra la terza e la quinta settimana è gia possibile apprezzare la presenza dell’amnios definito che avvolge completamente l’embrione, e del corion che circonda il tutto.
Contemporaneamente alla formazione della placenta, si registra un aumento del volume ematico materno di circa il 40% e una conseguente riduzione delle resistenze periferiche totali, con conseguente vasodilatazione arteriolare importante per garantire la vicinanza tra vasi sanguigni fetali e materni nel tessuto endometriale.
Il processo è funzionale allo scambio passivo di ossigeno tra feto e madre.
Contestualmente, la placenta ha una funzione di protezione grazie alla presenza di enzimi inattivanti eventuali sostanze tossiche presenti nel sangue materno (alcune sostante riescono comunque ad attraversarla: es. alcool -> sindrome da alcolismo fetale).
1. Ormoni proteici:
- hCG, con effetto analogo a quello dell’LH.
- Ormone della crescita placentare (PGH), con effetto analogo al GH, che viene meno intorno
alla 21/25esima settimana di gestazione.
- Somatotropina corionica umana (HCS), ormone integrante il PGH; garantisce un adeguato apporto di glucidi alla placenta e al feto.
2. Ormoni steroidei: hanno il compito di mantenere stabile l’endometrio.
- Progesterone, induce lo sviluppo del tessuto alveolare mammario, al fine di garantire
l’allattamento post-partum.
I livelli alti di questo ormone garantiscono una riduzione della motilità e della contrattilità del miometrio, inibendo le contrazioni uterine.
- Estrogeni, agiscono anch’essi a livello mammario ed inibiscono la secrezione di PRL.
Complessivamente, i livelli di ormoni circolanti variano molto in gravidanza: - gli estrogeni aumentano di circa 500 volte;
- il rapporto estrogeni/progesterone varia da 100/1 a 1/1.
La capacità endocrina della placenta è ascrivibile alla formazione della cosiddetta unità materno- fetale- placentare: si tratta di una struttura che collabora alla produzione e secrezione dei principali ormoni placentari, con lo scopo di tutelare la gravidanza.
A livello clinico, è possibile verificare il corretto funzionamento della placenta analizzando la quantità di estriolo, derivante dalla conversione placentare dell’androstenedione prodotto dalla corteccia surrenalica fetale.
Inoltre, l’androstenedione surrenalico, nelle fasi finali della gestazione ha il compito di stimolare il miometrio inducendo un aumento dei recettori per l’ossitocina e le prostaglandine liberate durante il TRAVAGLIO.
Il travaglio è regolato principalmente da due fattori:
- ossitocina, proveniente dalla neuroipofisi;
- prostaglandine, principali regolatori delle contrazioni.
Infatti, questa fase inizia proprio grazie all’attivazione della corteccia surrenalica fetale, che induce la produzione di corticosteroidi che stimolano la placenta a convertire il progesterone in estrogeni.
La riduzione della [progesterone] contribuiva, difatti, in larga misura, a mantenere uno stato di rilassamento della muscolatura liscia.
In seguito alla nascita, si osserva un ulteriore rilascio di ossitocina necessario al mantenimento del tono muscolare del miometrio, per prevenire eventuali emorragie uterine e diminuire le dimensioni stesse dell’utero, nelle settimane successive.
Parallelamente, la produzione di ormoni steroidei a livello ovarico garantisce lo sviluppo e l’attivazione dell’epitelio duttale del seno, al fine di prepararlo per la successiva fase di lattazione.
Contestualmente però, per l’allattamento sono necessarie altre condizioni, ovvero stimolo di suzione da parte del bambino a livello dei capezzoli che determina una risposta riflessa a livello ipotalamico.
Lo stimolo, infatti, induce il rilascio dell’ormone stimolante la secrezione della PRL, ed inibisce l’ormone inibente il rilascio di PRL.
L’effetto globale è un massivo aumento della prolattina ipotalamica con conseguente produzione ed eiezione di latte.
Le ghiandole endocrine sono di due tipi:
- organi endocrini primari, ossia organi la cui funzione primaria è la secrezione di ormoni, cioè
ipofisi, tiroide, paratiroidi, surrene, gonadi e pancreas endocrino;
- organi endocrini secondari, ossia organi la cui funzione primaria non è quella endocrina ma che contengono cellule ghiandolari in grado di produrre ormoni, cioè rene (eritropoietina), cuore (ANF), tessuto adiposo (leptina), stomaco (gastrina), duodeno (secretina, CCK).
Il sistema endocrino è costituito da ghiandole endocrine, che elaborano ed immettono nel circolo sanguigno delle sostanza chiamate ormoni, che sono in grado di agire su cellule bersaglio poste a distanza;
sono prive di dotti, quindi immettono rilasciano direttamente gli ormoni nel liquido interstiziale, da cui diffondono nel sangue;
Invece le ghiandole esocrine hanno dotti per riversare il proprio secreto nel lume di organi, come nel caso del pancreas, o al di fuori del corpo, come nel caso delle ghiandole sudoripare.
Le ghiandole endocrine sono di due tipi:
- organi endocrini primari, ossia organi la cui funzione primaria è la secrezione di ormoni, cioè
ipofisi, tiroide, paratiroidi, surrene, gonadi e pancreas endocrino;
- organi endocrini secondari, ossia organi la cui funzione primaria non è quella endocrina ma che contengono cellule ghiandolari in grado di produrre ormoni, cioè rene (eritropoietina), cuore (ANF), tessuto adiposo (leptina), stomaco (gastrina), duodeno (secretina, CCK).
Il sistema endocrino è un sistema di controllo che, come anche il sistema nervoso, garantisce la comunicazione e il coordinamento dell’attività corporea;
storicamente al sistema endocrino è stata attribuita la funzione di mantenimento dell’omeostasi del corpo, ma le sue funzioni sono molto più complesse:
1. controllo dell’assunzione e del metabolismo delle sostanze energetiche (ad es. glucagone e insulina entrano in azione nella regolazione del metabolismo del glucosio)
2. controllo del differenziamento e della proliferazione cellulare
3. controllo del volume e della composizione dei liquidi corporei
4. controllo delle risposte dell’organismo alle diverse situazioni ambientali 5. controllo dell’attività riproduttiva
Il sistema endocrino è un sistema di comunicazione tra cellule (l’ormone rappresenta un messaggio che la cellula invia ad una cellula target);
mentre le cellule nervose comunicano tramite messaggi elettrici (che però comunque usano segnali chimici, cioè i NT), le cellule endocrine comunicano con messaggi chimici, cioè gli ormoni
- comunicazione locale di contatto: le molecole messaggere sono ancorate alla membrana della cellula che le produce, quindi si legano ai recettori della cellula bersaglio solo quando questa viene in contatto con la cellula produttrice (ad es. linfociti);
- comunicazione locale paracrina: i cosiddetti fattori locali, cioè le molecole messaggere, vengono liberati e diffondono negli spazi intracellulari, andando a raggiungere solo cellule bersaglio che si trovano nelle strette vicinanze della cellula produttrice;
- comunicazione locale autocrina: la cellula produce un ormone che ha come target la stessa cellula produttrice;
La comunicazione chimica endocrina presenta delle differenze rispetto alle sinapsi chimiche del SN: 1. velocità:
- la comunicazione nel SN (ms) è molto più rapida che nel SE (ore), perché i neuroni hanno gli assoni, che vanno a contattare direttamente la cellula bersaglio;
- le cellule endocrine utilizzano il circolo sistemico come intermezzo; 2. affinità ligando-recettore:
- nel SN i recettori hanno bassa affinità per il ligando -> nelle sinapsi c’è un’altissima concentrazione di NT e di recettori;
- nel SE c’è un’altissima affinità recettore-ligando -> gli ormoni vanno incontro ad una elevata diluizione nel sangue e trovano un basso numero di recettori a livello della cellula target.
L’ipotalamo e l’ipofisi costituiscono un’unità endocrina, che esercita un’influenza fondamentale sui principali processi fisiologici dell’organismo e regola la secrezione della maggior parte degli ormoni;
l’ipotalamo influisce sul rilascio di ormoni ipofisari.
Ai fini della sua attività, è molto importante la
vascolarizzazione dell’asse ipotalamo-ipofisi:
1) A livello dell’eminenza mediana, è presente l’arteria ipofisaria superiore, ramo della carotide interna che dà una serie di capillari;
- questi capillari drenano gli ormoni ipotalamici deputati al controllo dell’ipofisi ad un’altra rete capillare situata a livello dell’adenoipofisi, andando a costituire il sistema portale ipotalamo-ipofisario, che permette agli ormoni ipotalamici di non diluirsi nel circolo sanguigno e quindi di arrivare all’ipofisi molto concentrati;
- grazie a questo sistema, gli ormoni ipotalamici interagiscono con le cellule ipofisarie e regolano l’attività dell’ipofisi.
2) La neuroipofisi è invece irrorata dall’arteria ipofisaria inferiore;
- dà una serie di capillari che raccolgono gli ormoni rilasciati dai neuroni ipotalamici magnocellulari;
Organi circumventricolari
gli ormoni riescono a passare, perché a livello dell’eminenza mediana e della neuroipofisi si verifica un’interruzione della barriera ematoencefalica, cioè eminenza mediana e neuroipofisi sono organi circumventricolari;
Sono organi situati a livello del pavimento del terzo e quarto ventricolo, e in cui non è presente la barriera ematoencefalica:
- organo subfornicale;
- organo vascoloso della lamina terminale; - ghiandola pineale;
- organo subcommessurale;
- area postrema;
- eminenza mediana; - neuroipofisi.
gli ormoni riescono a passare, perché a livello dell’eminenza mediana e della neuroipofisi si verifica un’interruzione della barriera ematoencefalica, cioè eminenza mediana e neuroipofisi sono organi circumventricolari;
Sono organi situati a livello del pavimento del terzo e quarto ventricolo, e in cui non è presente la barriera ematoencefalica:
- organo subfornicale;
- organo vascoloso della lamina terminale; - ghiandola pineale;
- organo subcommessurale;
- area postrema;
- eminenza mediana; - neuroipofisi.
L’ipotalamo è una formazione linguiforme che si trova al di sotto del talamo ed è organizzato in colonne longitudinali attorno al terzo ventricolo;
all’interno delle colonne si possono individuare dei nuclei, di cui i più importanti sono:
- il nucleo paraventricolare; - il nucleo posteriore;
- il nucleo arcuato;
- il nucleo ventro-mediale; - il nucleo dorso-mediale; - il nucleo sopraottico.
L’ipotalamo è un organo estremamente importante, per il fatto che è un fondamentale centro di comunicazione, che riceve:
- informazioni da tutte le aree del SNC (afferenze sinaptiche);
- trovandosi in corrispondenza degli organi circumeventricolari, informazioni relative allo stato sistemico (informazioni ematiche);
a sua volta l’ipotalamo invia efferenze: - sia di natura sinaptica al SNC;
- sia di natura ormonale.
Quindi l’ipotalamo ha una serie di importantissime funzioni:
- omeostasi dei liquidi e della sete
- funzioni immunitarie
- termoregolazione
- regolazione dell’assunzione di cibo,
- regolazione comportamenti per la copulazione - integrazione centrale delle funzioni del SNA
- regolazione neuroendocrina attraverso l’ipofisi.
- omeostasi dei liquidi e della sete
- funzioni immunitarie
- termoregolazione
- regolazione dell’assunzione di cibo,
- regolazione comportamenti per la copulazione - integrazione centrale delle funzioni del SNA
- regolazione neuroendocrina attraverso l’ipofisi.
Per quanto riguarda la funzione dell’ipotalamo nell’ambito del SE, l’ipotalamo presenta delle cellule neuroendocrine in grado di produrre ormoni, in risposta a stimoli elettrici (è sempre necessario un potenziale d’azione):
il potenziale d’azione determina il rilascio di NT a livello delle cellule neuroendocrine, che in risposta rilasciano ormoni.
Queste cellule sono di due tipi e danno origine a due meccanismi differenti.
1. cellule neuroendocrine magnocellulari dimensioni maggiori (soma di 20-40μm). Raggiungono la neuroipofisi e, a questo livello, rilasciano due ormoni nel circolo sistemico:
- ossitocina (localizzati nel nucleo paraventricolare) - ADH (localizzati nel nucleo sopraottico)
2. cellule neuroendocrine parvocellulari dimensioni minori (soma di 15μm).
Queste cellule rilasciano ormoni (liberine e statine) a livello dell’eminenza mediana, nell’arteria
ipofisaria superiore;
tramite il sistema portale ipotalamo-ipofisario, questi ormoni arrivano a livello delle cellule endocrine dell’adenoipofisi e ne regolano l’attività, stimolando o inibendo il rilascio di determinati ormoni adenoipofisari.
In particolare, le liberine e le statine rilasciate da queste cellule sono:
- TRH, ormone rilasciante tireotropina (prodotto dal nucleo paraventricolare);
- GHRH, ormone rilasciante GH (prodotto dal nucleo arcuato e dal nucleo ventro-mediale); - GHRIH, ormone inibente GH (prodotto dal nucleo arcuato e dall’area preottica);
- GnRH, ormone rilasciante gonadotropine (prodotto dal nucleo arcuato);
- CRH, ormone rilasciante ACTH (prodotto dal nucleo paraventricolare);
- PIF, ormone inibente prolattina (prodotto dal nucleo arcuato).
Queste cellule rilasciano ormoni (liberine e statine) a livello dell’eminenza mediana, nell’arteria
ipofisaria superiore;
tramite il sistema portale ipotalamo-ipofisario, questi ormoni arrivano a livello delle cellule endocrine dell’adenoipofisi e ne regolano l’attività, stimolando o inibendo il rilascio di determinati ormoni adenoipofisari.
In particolare, le liberine e le statine rilasciate da queste cellule sono:
- TRH, ormone rilasciante tireotropina (prodotto dal nucleo paraventricolare);
- GHRH, ormone rilasciante GH (prodotto dal nucleo arcuato e dal nucleo ventro-mediale); - GHRIH, ormone inibente GH (prodotto dal nucleo arcuato e dall’area preottica);
- GnRH, ormone rilasciante gonadotropine (prodotto dal nucleo arcuato);
- CRH, ormone rilasciante ACTH (prodotto dal nucleo paraventricolare);
- PIF, ormone inibente prolattina (prodotto dal nucleo arcuato).
L’ipofisi è un organo endocrino primario del peso di 0,5g, che si trova nell’osso sfenoide, a livello della sella turcica; si suddivide in due porzioni: neuroipofisi e adenoipofisi
è formata dagli assoni dei neuroni ipotalamici magnocellulari, che a questo livello immettono gli ormoni (ADH e ossitocina) nel circolo sistemico.
a livello della neuroipofisi non ci sono tipi cellulari, è costituita soltanto da fasci di fibre quindi assoni i cui corpi cellulari hanno origine a livello del sopraottico e paraventricolare. Quindi Gli ormoni della neuroipofisi (o ipofisi posteriore) sono prodotti dalle cellule ipotalamiche neuro- endocrine, che con i loro assoni raggiungono la neuroipofisi e immettono gli ormoni direttamente nel circolo sistemico.
ADH e ossitocina sono prodotti nel nucleo sopra ottico e nel nucleo paraventricolare;
ADH e ossitocina sono prodotti nel nucleo sopra ottico e nel nucleo paraventricolare;
Da un punto di vista chimico questi due ormoni sono molto simili, sono formati da 9 amminoacidi con un ponte disolfuro in posizione 1-6 e differiscono tra di loro soltanto per due amminoacidi in posizione 3 e in posizione 8:
la fenilalanina che è presente nell’ ADH:
- in posizione 3 è sostituita con isoleucina; - in posizione 8 l'arginina con Leucina. Questi ormoni hanno azioni completamente diverse tra di loro ma la differenza molecolare è minima, differiscono soltanto per due amminoacidi.
Vengono sintetizzati da geni molto simili sotto forma di precursori che contengono un peptide di 93 amminoacidi che si chiama neurofisina, in particolare:
- l’ADH (o la vasopressina) è presente sotto forma di precursore con la neurofisina di tipo 2; - l’ossitocina è presente sotto forma di precursore legato alla neurofisina di tipo 1.
In realtà nell’ADH abbiamo anche una glicoproteina che viene liberata insieme all’ormone.
Questi ormoni vengono inclusi in
granuli secretori detti corpi di HERRING;
Questi migrano lungo l'assone, raggiungono le terminazioni assonali e sulla base dell'attività della frequenza di potenziali d'azione rilasciano questi ormoni.
L’ADH è prodotto dalle cellule neuro-endocrine magnocellulari del nucleo ipotalamico sopraottico, e rilasciato nel circolo sanguigno a livello della neuroipofisi.
L’ADH ha tre funzioni:
1) riassorbimento facoltativo di acqua a livello del tubulo contorto distale e del dotto collettore; 2) regolazione del gradiente osmotico midollare
3) vasocostrizione
ADH sta per “ormone anti-diuretico”. Nel rene si verificano due tipi di riassorbimento di acqua:
1. riassorbimento obbligatorio, cioè in quei tratti che sono sempre permeabili all’acqua: - 70% nel TCP per gradiente osmotico generato da Na+, glucosio e aa;
- 10% nel tratto discendente dell’ansa di Henle per gradiente osmotico midollare;
2. riassorbimento facoltativo, cioè in quei tratti che possono o non possono essere permeabili all’acqua (19% nel TCD e dotto collettore);
Questo riassorbimento facoltativo dipende proprio dalla presenza di ADH, che si lega al recettore V2 accoppiato a proteina GS, regola l’espressione delle acquaporine di tipo 2 e può rendere TCD e dotto collettore permeabili all’acqua, in modo che questi possano riassorbire l’ultimo 19% di acqua e far sì che venga escreta solo la quota giornaliera di 1,5L.
Si possono presentare situazioni particolari di sbilancio idrico, che vengono compensate dal rene con un maggiore o minore riassorbimento facoltativo di acqua, grazie a un maggiore o minore rilascio di ADH da parte dell’ipotalamo:
- bilancio idrico positivo: si verifica quando c’è un’eccessiva acquisizione di liquidi (ad es. assunzione di troppa acqua), e quindi si determina una situazione di ipoosmolarità e di ipervolemia, che potrebbe comportare rigonfiamento cellulare e disturbi neurologici;
per liberarsi dell’eccesso di acqua, il rene effettua un minore riassorbimento facoltativo, e questo è possibile grazie al fatto che l’ipotalamo rilascia meno ADH.
- bilancio idrico negativo: si verifica quando c’è un’eccessiva perdita di liquidi (ad es. emorragia, sudorazione eccessiva), e quindi si determina una situazione di ipersmolarità e di ipovolemia, che potrebbe comportare raggrinzimento cellulare;
per trattene più acqua, il rene effettua un maggiore riassorbimento facoltativo, e questo è possibile grazie al fatto che l’ipotalamo rilascia più ADH.
L’ipotalamo sa quando deve produrre quantità maggiori o minori di ADH per correggere lo sbilancio idrico, grazie ad informazioni sia sinaptiche che ematiche;
Si possono presentare situazioni particolari di sbilancio idrico, che vengono compensate dal rene con un maggiore o minore riassorbimento facoltativo di acqua, grazie a un maggiore o minore rilascio di ADH da parte dell’ipotalamo:
- bilancio idrico positivo: si verifica quando c’è un’eccessiva acquisizione di liquidi (ad es. assunzione di troppa acqua), e quindi si determina una situazione di ipoosmolarità e di ipervolemia, che potrebbe comportare rigonfiamento cellulare e disturbi neurologici;
per liberarsi dell’eccesso di acqua, il rene effettua un minore riassorbimento facoltativo, e questo è possibile grazie al fatto che l’ipotalamo rilascia meno ADH.
- bilancio idrico negativo: si verifica quando c’è un’eccessiva perdita di liquidi (ad es. emorragia, sudorazione eccessiva), e quindi si determina una situazione di ipersmolarità e di ipovolemia, che potrebbe comportare raggrinzimento cellulare;
per trattene più acqua, il rene effettua un maggiore riassorbimento facoltativo, e questo è possibile grazie al fatto che l’ipotalamo rilascia più ADH.
L’ipotalamo sa quando deve produrre quantità maggiori o minori di ADH per correggere lo sbilancio idrico, grazie ad informazioni sia sinaptiche che ematiche;
osmolarità
Gli organi circumventricolari, in particolare l’organo vascoloso della lamina terminale, contengono degli osmocettori, cioè dei recettori che, grazie all’interruzione della barriera ematoencefalica, rilevano le variazioni di osmolarità del plasma e contattano i neuroni magnocellulari ipotalamici.
In caso di aumento dell’osmolarità, gli osmocettori aumentano la propria frequenza di scarica, determinando:
- un aumento della frequenza di scarica nei neuroni magnocellulari del nucleo sopraottico;
- con conseguente aumento del rilascio di ADH (e aumento del senso della sete)
- e aumento del riassorbimento facoltativo di acqua.
Nel nostro organismo i livelli di ADH sono molto sensibili alle variazioni di osmolarità, per cui variazioni anche del 2-3% rispetto al valore fisiologico (290mOsm) sono sufficienti a modificare i livelli plasmatici di ADH.
volemia
Le variazioni di volume ematico sono rilevate dai recettori di volume presenti nell’atrio destro e in parte dai barocettori carotidei e aortici: un aumento della volemia stira la parete atriale, determinando l’attivazione di questi recettori, che inviano segnali vagali afferenti;
questi segnali giungono:
- sia al nucleo del tratto solitario;
- sia ai neuroni magnocellulari del nucleo sopraottico;
dove vanno a determinare una diminuzione del rilascio di ADH, con conseguente riduzione del riassorbimento facoltativo e eliminazione di una quantità maggiore di acqua, per riabbassare la volemia.
Nel nostro organismo i livelli di ADH sono meno sensibili alle variazioni di volemia, per cui sono necessarie variazioni almeno del 10% rispetto al valore fisiologico, affinché si modifichino i livelli plasmatici di ADH (si attiva ad esempio in caso di emorragia).
pressione arteriosa
Le variazioni della pressione arteriosa sono rilevate dai barocettori carotidei e aortici: un aumento della pressione arteriosa determina l’attivazione di questi recettori, che inviano segnali vagali afferenti;
questi segnali giungono:
- sia ai centri responsabili della pressione;
- sia ai neuroni magnocellulari del nucleo sopraottico;
dove vanno a determinare una diminuzione del rilascio di ADH, con conseguente riduzione del riassorbimento facoltativo e eliminazione di una quantità maggiore di acqua, per riabbassare la pressione arteriosa tramite riduzione della volemia.
Nel nostro organismo i livelli di ADH sono meno sensibili alle variazioni di pressione, per cui sono necessarie variazioni almeno del 10% rispetto al valore fisiologico, affinché si modifichino i livelli plasmatici di ADH Quindi esiste sia un controllo osmotico sia un controllo emodinamico della secrezione di ADH; ma, poiché il sistema è maggiormente sensibile alle variazioni di osmolarità, si può affermare
che i livelli di ADH sono soprattutto funzionali a mantenere il bilancio idrico e l’osmolarità. Ci sono casi in cui alcuni stimoli possono coesistere
Il diabete insipido centrale è dovuto a una mancata produzione di ADH, che causa l’incapacità di riassorbire il 19% di acqua, e quindi comporta poliuria (escrezione di grandi quantità di acqua nelle urine) e polidipsia (intensa sensazione di sete per compensare perdita di acqua, necessità di bere anche 30L al giorno); può essere ereditario, o legato a traumi cranici, infezioni cerebrali o neoplasie; l’unica terapia possibile è la somministrazione di ADH esogeno.
Il diabete insipido nefrogeno comporta le stesse conseguenze, ma è dovuto alla mancata risposta renale all’ADH, o per mutazione del gene dell’acquaporina 2 o per mutazione del gene del recettore V2.
Gli organi circumventricolari, in particolare l’organo vascoloso della lamina terminale, contengono degli osmocettori, cioè dei recettori che, grazie all’interruzione della barriera ematoencefalica, rilevano le variazioni di osmolarità del plasma e contattano i neuroni magnocellulari ipotalamici.
In caso di aumento dell’osmolarità, gli osmocettori aumentano la propria frequenza di scarica, determinando:
- un aumento della frequenza di scarica nei neuroni magnocellulari del nucleo sopraottico;
- con conseguente aumento del rilascio di ADH (e aumento del senso della sete)
- e aumento del riassorbimento facoltativo di acqua.
Nel nostro organismo i livelli di ADH sono molto sensibili alle variazioni di osmolarità, per cui variazioni anche del 2-3% rispetto al valore fisiologico (290mOsm) sono sufficienti a modificare i livelli plasmatici di ADH.
Le variazioni di volume ematico sono rilevate dai recettori di volume presenti nell’atrio destro e in parte dai barocettori carotidei e aortici: un aumento della volemia stira la parete atriale, determinando l’attivazione di questi recettori, che inviano segnali vagali afferenti;
questi segnali giungono:
- sia al nucleo del tratto solitario;
- sia ai neuroni magnocellulari del nucleo sopraottico;
dove vanno a determinare una diminuzione del rilascio di ADH, con conseguente riduzione del riassorbimento facoltativo e eliminazione di una quantità maggiore di acqua, per riabbassare la volemia.
Nel nostro organismo i livelli di ADH sono meno sensibili alle variazioni di volemia, per cui sono necessarie variazioni almeno del 10% rispetto al valore fisiologico, affinché si modifichino i livelli plasmatici di ADH (si attiva ad esempio in caso di emorragia).
Le variazioni della pressione arteriosa sono rilevate dai barocettori carotidei e aortici: un aumento della pressione arteriosa determina l’attivazione di questi recettori, che inviano segnali vagali afferenti;
questi segnali giungono:
- sia ai centri responsabili della pressione;
- sia ai neuroni magnocellulari del nucleo sopraottico;
dove vanno a determinare una diminuzione del rilascio di ADH, con conseguente riduzione del riassorbimento facoltativo e eliminazione di una quantità maggiore di acqua, per riabbassare la pressione arteriosa tramite riduzione della volemia.
Nel nostro organismo i livelli di ADH sono meno sensibili alle variazioni di pressione, per cui sono necessarie variazioni almeno del 10% rispetto al valore fisiologico, affinché si modifichino i livelli plasmatici di ADH. Quindi esiste sia un controllo osmotico sia un controllo emodinamico della secrezione di ADH; ma, poiché il sistema è maggiormente sensibile alle variazioni di osmolarità, si può affermare
che i livelli di ADH sono soprattutto funzionali a mantenere il bilancio idrico e l’osmolarità.
1) in caso di assunzione di liquido ipotonico (l’acqua che beviamo normalmente), si verifica: - una diminuzione dell’osmolarità plasmatica;
- un aumento della volemia e quindi della pressione arteriosa;
-> tutti e tre gli stimoli comportano una riduzione dei livelli plasmatici di ADH:
minore riassorbimento di acqua -> aumento della escrezione di acqua -> abbassamento di volemia e
pressione e aumento dell’osmolarità;
2) in caso di emorragia, si verifica una diminuzione della volemia e della pressione arteriosa
aumento dei livelli plasmatici di ADH -> maggiore riassorbimento di acqua -> diminuzione della escrezione di acqua -> aumento di volemia e pressione;
Ma diminuisce l’osmolarità, che quindi tenderebbe a ridurre i livelli di ADH e il riassorbimento di acqua, allora interviene meccanismo di riassorbimento Na+, con sistema renina–angiotensina– aldosterone;
3) in caso di sudorazione profusa, c’è perdita di tanta acqua ma di pochi sali, quindi si verifica un aumento dell’osmolarità e una diminuzione della volemia:
aumento dei livelli plasmatici di ADH -> maggiore riassorbimento di acqua -> diminuzione della escrezione di acqua -> aumento di volemia e diminuzione di osmolarità;
Ma si attiva anche il sistema RAA per recuperare i sali che sono stati persi.
infatti il riassorbimento facoltativo di acqua nel TCD e nel dotto collettore dipende dal gradiente che l’ansa di Henle genera nella midollare:
- quando non bisogna riassorbire grandi quantità di acqua (massima diuresi) il gradiente osmotico midollare è abbastanza basso (600mOsm);
- quando c’è necessità di riassorbire grandi quantità di acqua (massima antidiuresi) il gradiente osmotico midollare arriva anche a valori molto alti (1200mOsm).
A determinare l’ampiezza del gradiente osmotico midollare, in base alle esigenze di riassorbimento di acqua, è proprio l’ADH, che fa in modo di:
- mantenere basso il gradiente osmotico quando non bisogna trattenere acqua (per risparmiare la grande quantità di energia che serve per creare il gradiente);
- alzarlo quando bisogna trattenere acqua (altrimenti non servirebbe a niente esprimere le acquaporine sul TCD e dotto collettore, se non ci fosse un sufficiente gradiente osmotico).
L’ADH può determinare un aumento del gradiente osmotico midollare attraverso tre meccanismi:
1. aumenta l’attività dell’NKCC, interagendo con i recettori V2 situati nel tratto ascendente dell’ansa di Henle, e determinando così sia una maggiore efficienza di trasporto, sia un aumento della sintesi ed espressione;
2. aumenta il riassorbimento di urea, interagendo con i recettori V2 del tratto discendente dell’ansa di Henle, e determinando così sia una maggiore fosforilazione ed espressione dei trasportatori UT-A1 e UT-A3
3. Rallenta il flusso nei vasi recta, in modo che questi alterino il meno possibile il gradiente osmotico.
Agisce a livello delle arteriole, legandosi al recettore V1, accoppiato a proteina Gq, e attivando la via della fosfolipasi C:
- formazione IP3 e diacilglicerolo
- rilascio di Ca++ dal RE
- maggiore forza di contrazione della muscolatura liscia.
Questo meccanismo si attiva solo in determinate situazioni, in cui si verifica un brusco e consistente calo pressorio, che l’ADH compensa con una vasocostrizione generalizzata.
1. EFFETTO BAYLISS
Poiché la parete dell’arteriola afferente è stirata o collassa a seconda che ci sia un aumento o una diminuzione della pressione arteriosa, le cellule granulari dell’arteriola afferente risentono direttamente delle variazioni pressorie:
- se si verifica un calo della pressione arteriosa, il parziale collasso dell’arteriola segnala alle cellule granulari di aumentare la produzione di renina;
- un aumento pressorio determina una minore produzione di renina. 2. SNs
il riflesso barocettivo ha effetti anche a livello renale, in quanto delle efferenze simpatiche raggiungono le cellule granulari;
se i barocettori registrano un calo pressorio, le efferenze simpatiche rilasciano noradrenalina a livello dell’apparato iuxta-glomerulare, determinando un aumento della secrezione di renina da parte delle cellule granulari;
3. FEEDBACK TUBULO-GLOMERULARE
è il meccanismo più importante.
Un CALO DELLA PRESSIONE ARTERIOSA comporta una diminuzione della velocità di filtrazione (VFG = PF × K, e PF è data anche dalla pressione idrostatica), e quindi una diminuzione del carico filtrato di Na+;
le cellule della macula densa dell’apparato iuxtaglomerulare sono specializzate nel rilevare variazioni della concentrazione di Na+, perché contengono il trasportatore NKCC che fa da sensore del Na+; le cellule della macula densa rispondono al calo di concentrazione del Na+ dovuto alla ridotta VFG (a sua volta dovuto al calo della pressione arteriosa) con un minore rilascio di adenosina, sostanza paracrina;
A. l’adenosina inibisce tonicamente le cellule granulari, quindi un minore rilascio di adenosina comporta una stimolazione delle cellule granulari e quindi un maggior rilascio di renina;
B. l’adenosina è anche un vasocostrittore, che interviene nell’auto-regolazione renale, regolando il tono arteriolare in funzione del carico di Na+ che giunge al TCD e quindi della pressione arteriosa, per fare in modo che variazioni di quest’ultima non alterino la VFG:
- se la pressione aumenta, aumenta la VFG, aumenta il carico filtrato di Na+, che viene rilevato dalla macula densa, la quale aumenta il rilascio di adenosina, che attua vasocostrizione dell’arteriola afferente e ripristina il valore fisiologico di pressione;
- se la pressione diminuisce, diminuisce la VFG, diminuisce il carico filtrato di Na+, che viene rilevato dalla macula densa, la quale diminuisce il rilascio di adenosina, in modo che si possa determinare vasodilatazione dell’arteriola afferente e ritorno al valore fisiologico di pressione.
Quindi la velocità di filtrazione glomerulare rimane costante.
Poiché la parete dell’arteriola afferente è stirata o collassa a seconda che ci sia un aumento o una diminuzione della pressione arteriosa, le cellule granulari dell’arteriola afferente risentono direttamente delle variazioni pressorie:
- se si verifica un calo della pressione arteriosa, il parziale collasso dell’arteriola segnala alle cellule granulari di aumentare la produzione di renina;
- un aumento pressorio determina una minore produzione di renina.
è il meccanismo più importante.
Un CALO DELLA PRESSIONE ARTERIOSA comporta una diminuzione della velocità di filtrazione (VFG = PF × K, e PF è data anche dalla pressione idrostatica), e quindi una diminuzione del carico filtrato di Na+;
le cellule della macula densa dell’apparato iuxtaglomerulare sono specializzate nel rilevare variazioni della concentrazione di Na+, perché contengono il trasportatore NKCC che fa da sensore del Na+; le cellule della macula densa rispondono al calo di concentrazione del Na+ dovuto alla ridotta VFG (a sua volta dovuto al calo della pressione arteriosa) con un minore rilascio di adenosina, sostanza paracrina;
A. l’adenosina inibisce tonicamente le cellule granulari, quindi un minore rilascio di adenosina comporta una stimolazione delle cellule granulari e quindi un maggior rilascio di renina;
B. l’adenosina è anche un vasocostrittore, che interviene nell’auto-regolazione renale, regolando il tono arteriolare in funzione del carico di Na+ che giunge al TCD e quindi della pressione arteriosa, per fare in modo che variazioni di quest’ultima non alterino la VFG:
- se la pressione aumenta, aumenta la VFG, aumenta il carico filtrato di Na+, che viene rilevato dalla macula densa, la quale aumenta il rilascio di adenosina, che attua vasocostrizione dell’arteriola afferente e ripristina il valore fisiologico di pressione;
- se la pressione diminuisce, diminuisce la VFG, diminuisce il carico filtrato di Na+, che viene rilevato dalla macula densa, la quale diminuisce il rilascio di adenosina, in modo che si possa determinare vasodilatazione dell’arteriola afferente e ritorno al valore fisiologico di pressione.
Quindi la velocità di filtrazione glomerulare rimane costante.
il riflesso barocettivo ha effetti anche a livello renale, in quanto delle efferenze simpatiche raggiungono le cellule granulari;
se i barocettori registrano un calo pressorio, le efferenze simpatiche rilasciano noradrenalina a livello dell’apparato iuxta-glomerulare, determinando un aumento della secrezione di renina da parte delle cellule granulari;
La produzione di angiotensina I a partire dall’angiotensinogeno è mediata dalla renina.
La renina è una glicoproteina di 340 amminoacidi; è una proteasi che attiva la via del sistema
RAA, quindi rappresenta il fattore determinante del sistema RAA:
- se c’è tanta renina si attiva il sistema RAA e si produce aldosterone;
- se c’è poca renina in circolo il sistema RAA è down-regolato.
La renina è prodotta dalle cellule granulari o iuxtaglomerulari, che si trovano a livello dell’APPARATO IUXTAGLOMERULARE, cioè una specializzazione dell’arteriola afferente, in corrispondenza di un punto in cui il TCD prende contatto con l’angolo fra l’arteriola afferente ed efferente; l’apparato iuxtaglomerulare è anche costituito dalla macula densa, un raggruppamento di cellule epiteliali tubulari, che secernono sostanze paracrine ad azione locale.
Il rilascio di renina, che è il fattore limitante nell’attivazione del sistema RAA, è regolato dalla pressione arteriosa:
LA PRESSIONE ARTERIOSA REGOLA L’ATTIVAZIONE DEL SISTEMA RAA TRAMITE LA REGOLAZIONE DEI LIVELLI DI RENINA.
La produzione di aldosterone da parte della corticale del surrene è stimolata dall’angiotensina II.
L’angiotensina deriva dall’angiotensinogeno, una globulina di 485 amminoacidi che viene prodotta nel fegato;
l’angiotensinogeno è trasformato in angiotensina I ad opera della renina, che rimuove 10 amminoacidi N-terminali;
l’angiotensina I viene trasformata in angiotensina II, ad opera dell’enzima ACE, che si trova nei polmoni;
l’angiotensina II è un ormone peptidico di 8 amminoacidi che agisce sulla corticale del surrene stimolando il rilascio di aldosterone.
Quindi la funzione principale dell’angiotensina è quella di stimolare il rilascio di aldosterone, portando quindi a un maggiore riassorbimento di Na+ a livello del dotto collettore e del TCD;
Ma ha anche altre importantissime funzioni:
- stimola indirettamente il rilascio di ADH, perché, aumentando il riassorbimento di Na+, determina un aumento dell’osmolarità, che è il principale parametro che attiva la secrezione di ADH da parte dell’ipotalamo;
- come l’ADH è anche un potente fattore vasocostrittore, che agisce a livello sistemico (tramite recettore accoppiato a proteina Gq, che attiva via della fosfolipasi C; per cui un aumento dei livelli di angiotensina II determina aumento della pressione arteriosa;
- inoltre stimola i centri della sete.
Il sistema RAA è deputato al BILANCIO DEL SODIO.
L’aldosterone è un mineralcorticoide, cioè un corticosteroide (derivante dal colesterolo e liposolubile)
prodotto dalla zona glomerulare della corticale del surrene;
Il cortisolo e l’aldosterone sono molto simili dal punto di vista strutturale (l’aldosterone è privo del gruppo -OH in posizione 17 e presenta un gruppo aldeide in posizione 18, che il cortisolo non ha) ma hanno degli effetti completamente diversi.
lo stimolo più importante per la sintesi e rilascio di questo ormone è l’angiotensina II, una proteina di 8 aminoacidi che deriva dall’angiotensina I (10 aminoacidi).
L’aldosterone regola il riassorbimento di Na+ a livello del TCD e del dotto collettore;
infatti il Na+ viene interamente filtrato a livello renale (ultrafiltrato contiene 150g di Na+ al giorno)
e poi va incontro due tipi di riassorbimento:
1. riassorbimento obbligatorio:
- al 70% nel TCP (in simporto con glucosio tramite SGLT1 e SGLT2, e in simporto con amminoacidi); - al 20% nel tratto ascendente dell’ansa di Henle (con NKCC);
2. riassorbimento facoltativo, cioè il restante 9% nel TCD e dotto collettore (con ENaC).
Il riassorbimento facoltativo di Na+ avviene grazie al fatto che nel TCD e nel dotto collettore l’espressione dei canali ENaC sulla membrana apicale (su quella baso-laterale c’è pompa Na+/K+– ATPasi che crea gradiente per canale ENaC) è sottoposta a controllo ormonale da parte dell’aldosterone:
quando c’è necessità di un maggiore riassorbimento di Na+, l’aldosterone si lega a un recettore intracitoplasmatico a livello delle cellule epiteliali del TCD e del dotto collettore, e determina:
- aumento dell’espressione dei canali ENaC sulla membrana apicale
- aumento dell’espressione dei canali del K+ sulla membrana apicale
- aumento dell’espressione delle pompe Na+/K+–ATPasi sulla membrana baso-laterale
- aumento della produzione di energia da parte dei mitocondri
- attivazione della SGK (chinasi attivata dai glucocorticoidi), una chinasi che ha due ruoli:
1. fosforila la subunità a dei canali ENaC, rendendola più attiva e aumentando così la loro probabilità di apertura;
2. fosforila e inattiva la proteina Nedd-4-2 (coinvolta nel turn-over dei canali ENaC e li rimuove dalla membrana apicale).
L’aldosterone regola il riassorbimento di Na+ a livello del TCD e del dotto collettore;
infatti il Na+ viene interamente filtrato a livello renale (ultrafiltrato contiene 150g di Na+ al giorno)
e poi va incontro due tipi di riassorbimento:
1. riassorbimento obbligatorio:
- al 70% nel TCP (in simporto con glucosio tramite SGLT1 e SGLT2, e in simporto con amminoacidi); - al 20% nel tratto ascendente dell’ansa di Henle (con NKCC);
2. riassorbimento facoltativo, cioè il restante 9% nel TCD e dotto collettore (con ENaC).
Il riassorbimento facoltativo di Na+ avviene grazie al fatto che nel TCD e nel dotto collettore l’espressione dei canali ENaC sulla membrana apicale (su quella baso-laterale c’è pompa Na+/K+– ATPasi che crea gradiente per canale ENaC) è sottoposta a controllo ormonale da parte dell’aldosterone:
quando c’è necessità di un maggiore riassorbimento di Na+, l’aldosterone si lega a un recettore intracitoplasmatico a livello delle cellule epiteliali del TCD e del dotto collettore, e determina:
- aumento dell’espressione dei canali ENaC sulla membrana apicale
- aumento dell’espressione dei canali del K+ sulla membrana apicale
- aumento dell’espressione delle pompe Na+/K+–ATPasi sulla membrana baso-laterale
- aumento della produzione di energia da parte dei mitocondri
- attivazione della SGK (chinasi attivata dai glucocorticoidi), una chinasi che ha due ruoli:
1. fosforila la subunità a dei canali ENaC, rendendola più attiva e aumentando così la loro probabilità di apertura;
2. fosforila e inattiva la proteina Nedd-4-2 (coinvolta nel turn-over dei canali ENaC e li rimuove dalla membrana apicale).
L’aldosterone regola il riassorbimento di Na+ a livello del TCD e del dotto collettore;
infatti il Na+ viene interamente filtrato a livello renale (ultrafiltrato contiene 150g di Na+ al giorno)
e poi va incontro due tipi di riassorbimento:
1. riassorbimento obbligatorio:
- al 70% nel TCP (in simporto con glucosio tramite SGLT1 e SGLT2, e in simporto con amminoacidi); - al 20% nel tratto ascendente dell’ansa di Henle (con NKCC);
2. riassorbimento facoltativo, cioè il restante 9% nel TCD e dotto collettore (con ENaC).
Il riassorbimento facoltativo di Na+ avviene grazie al fatto che nel TCD e nel dotto collettore l’espressione dei canali ENaC sulla membrana apicale (su quella baso-laterale c’è pompa Na+/K+– ATPasi che crea gradiente per canale ENaC) è sottoposta a controllo ormonale da parte dell’aldosterone:
quando c’è necessità di un maggiore riassorbimento di Na+, l’aldosterone si lega a un recettore intracitoplasmatico a livello delle cellule epiteliali del TCD e del dotto collettore, e determina:
- aumento dell’espressione dei canali ENaC sulla membrana apicale
- aumento dell’espressione dei canali del K+ sulla membrana apicale
- aumento dell’espressione delle pompe Na+/K+–ATPasi sulla membrana baso-laterale
- aumento della produzione di energia da parte dei mitocondri
- attivazione della SGK (chinasi attivata dai glucocorticoidi), una chinasi che ha due ruoli:
1. fosforila la subunità a dei canali ENaC, rendendola più attiva e aumentando così la loro probabilità di apertura;
2. fosforila e inattiva la proteina Nedd-4-2 (coinvolta nel turn-over dei canali ENaC e li rimuove dalla membrana apicale).
lo stimolo più importante per la sintesi e rilascio di questo ormone è l’angiotensina II, una proteina di 8 aminoacidi che deriva dall’angiotensina I (10 aminoacidi).
L’angiotensina deriva dall’angiotensinogeno, una globulina di 485 amminoacidi che viene prodotta nel fegato;
l’angiotensinogeno è trasformato in angiotensina I ad opera della renina, che rimuove 10 amminoacidi N-terminali;
l’angiotensina I viene trasformata in angiotensina II, ad opera dell’enzima ACE, che si trova nei polmoni;
l’angiotensina II è un ormone peptidico di 8 amminoacidi che agisce sulla corticale del surrene stimolando il rilascio di aldosterone.
Quindi la funzione principale dell’angiotensina è quella di stimolare il rilascio di aldosterone, portando quindi a un maggiore riassorbimento di Na+ a livello del dotto collettore e del TCD;
Ma ha anche altre importantissime funzioni:
- stimola indirettamente il rilascio di ADH, perché, aumentando il riassorbimento di Na+, determina un aumento dell’osmolarità, che è il principale parametro che attiva la secrezione di ADH da parte dell’ipotalamo;
- come l’ADH è anche un potente fattore vasocostrittore, che agisce a livello sistemico (tramite recettore accoppiato a proteina Gq, che attiva via della fosfolipasi C; per cui un aumento dei livelli di angiotensina II determina aumento della pressione arteriosa;
- inoltre stimola i centri della sete
La produzione di angiotensina I a partire dall’angiotensinogeno è mediata dalla renina.
La renina è una glicoproteina di 340 amminoacidi; è una proteasi che attiva la via del sistema
RAA, quindi rappresenta il fattore determinante del sistema RAA:
- se c’è tanta renina si attiva il sistema RAA e si produce aldosterone;
- se c’è poca renina in circolo il sistema RAA è down-regolato.
La renina è una glicoproteina di 340 amminoacidi; è una proteasi che attiva la via del sistema
RAA, quindi rappresenta il fattore determinante del sistema RAA:
- se c’è tanta renina si attiva il sistema RAA e si produce aldosterone;
- se c’è poca renina in circolo il sistema RAA è down-regolato.
LA PRESSIONE ARTERIOSA REGOLA L’ATTIVAZIONE DEL SISTEMA RAA TRAMITE LA REGOLAZIONE DEI LIVELLI DI RENINA.
1. EFFETTO BAYLISS
2. SNs
3. FEEDBACK TUBULO-GLOMERULARE
in caso di assunzione di cibo troppo ricco di sali si verifica:
- un aumento dell’osmolarità plasmatica;
- aumento dei livelli plasmatici di ADH -> sete e maggiore riassorbimento di acqua;
- riduzione dell’osmolarità ma aumento di volemia e pressione arteriosa; - minore attivazione del sistema RAA;
- minore riassorbimento di Na+ e quindi di acqua;
- riabbassamento della pressione arteriosa;
in caso di emorragia, si verifica:
- una diminuzione della volemia e quindi della pressione arteriosa, senza variazione di omsolarità; - aumento dei livelli plasmatici di ADH -> maggiore riassorbimento di acqua;
- diminuzione della escrezione di acqua (feedback negativo);
- aumento di volemia e pressione, ma diminuisce l’osmolarità;
quindi questo è un meccanismo auto-limitante, perché l’aumento di osmolarità tenderebbe a ridurre i livelli di ADH e quindi a contrastare il riassorbimento di acqua;
allora interviene l’attivazione del sistema RAA:
- maggiore riassorbimento di Na+ e quindi di acqua (perché l’acqua segue il gradiente osmotico); - rinnalzamento della volemia;
in caso di sudorazione profusa, c’è perdita di tanta acqua ma di pochi sali, quindi si verifica un aumento dell’osmolarità e una diminuzione della volemia:
- aumento dei livelli plasmatici di ADH -> maggiore riassorbimento di acqua; - diminuzione della escrezione di acqua;
- aumento di volemia e diminuzione di osmolarità;
ma si attiva anche il sistema RAA per recuperare i sali che sono stati persi.
- un aumento dell’osmolarità plasmatica;
- aumento dei livelli plasmatici di ADH -> sete e maggiore riassorbimento di acqua;
- riduzione dell’osmolarità ma aumento di volemia e pressione arteriosa; - minore attivazione del sistema RAA;
- minore riassorbimento di Na+ e quindi di acqua;
- riabbassamento della pressione arteriosa;
- una diminuzione della volemia e quindi della pressione arteriosa, senza variazione di omsolarità; - aumento dei livelli plasmatici di ADH -> maggiore riassorbimento di acqua;
- diminuzione della escrezione di acqua (feedback negativo);
- aumento di volemia e pressione, ma diminuisce l’osmolarità;
quindi questo è un meccanismo auto-limitante, perché l’aumento di osmolarità tenderebbe a ridurre i livelli di ADH e quindi a contrastare il riassorbimento di acqua;
allora interviene l’attivazione del sistema RAA:
- maggiore riassorbimento di Na+ e quindi di acqua (perché l’acqua segue il gradiente osmotico); - rinnalzamento della volemia;
c’è perdita di tanta acqua ma di pochi sali, quindi si verifica un aumento dell’osmolarità e una diminuzione della volemia:
- aumento dei livelli plasmatici di ADH -> maggiore riassorbimento di acqua; - diminuzione della escrezione di acqua;
- aumento di volemia e diminuzione di osmolarità;
ma si attiva anche il sistema RAA per recuperare i sali che sono stati persi.
L’ossitocina è un nanopeptide di 9 amminoacidi, con un ponte disolfuro.
L’ossitocina è prodotta dalle cellule neuro-endocrine parvocellulari del nucleo ipotalamico paraventricolare, e rilasciato nel circolo sanguigno a livello della neuroipofisi.
L’ossitocina ha tre funzioni:
1) Contrazione della muscolatura uterina; 2) eiezione di latte
3) comparsa del comportamento materno
Essa agisce sulla muscolatura liscia dell’utero (miometrio), legandosi ad un recettore accoppiato a proteina Gq, che attiva via della fosfolipasi C:
- formazione IP3 e diacilglicerolo;
- rilascio di Ca++ dal RE;
- contrazione della muscolatura liscia uterina;
infatti è stato dimostrato che durante il travaglio vengono liberate grandi quantità di ossitocina, e che la rimozione della neuroipofisi rende il travaglio più lungo.
Il rilascio di ossitocina è associato alla stimolazione dei meccanocettori della cervice uterina e della vagina, che inviano afferenze al nucleo ipotalamico paraventricolare, stimolandolo a secernere ossitocina;
quindi il rilascio di ossitocina è regolato tramite un meccanismo a feedback positivo perché la risposta deve essere di carattere esplosivo e rigenerativo: durante il travaglio avviene lo stiramento della cervice uterina, che stimola il rilascio di ossitocina;
l’ossitocina determina le contrazioni uterine che facilitano la fuoriuscita del feto;
il feto, uscendo, spinge contro le pareti uterine e ne determina lo stiramento, che rappresenta lo stimolo per un ulteriore rilascio di ossitocina.
Lavora sinergicamente con la prolattina, che invece stimola la produzione del latte;
il latte prodotto dalla PRL si accumula negli alveoli della ghiandola mammaria; quando inizia la suzione del capezzolo da parte del neonato, vengono stimolati meccanocettori a livello del capezzolo, che inviano afferenze al nucleo paraventricolare, che viene stimolato a secernere ossitocina;
l’ossitocina agisce sulla cellule mioepiteliali che circondano gli alveoli e i dotti, legandosi ad un recettore accoppiato a proteina Gq, che attiva via della fosfolipasi C:
- formazione IP3 e diacilglicerolo;
- rilascio di Ca++ dal RE;
- contrazione delle cellule mioepiteliali;
la contrazione delle cellule mioepiteliali determina una spremitura degli alveoli e dei dotti,
che porta alla fuoriuscita del latte dai dotti galattofori.
In questo caso i recettori per l’ossitocina sono localizzati a livello cerebrale, in particolare vicino ai ventricoli cerebrali;
l’ossitocina stimola la comparsa del comportamento materno tramite un meccanismo poco conosciuto, ma si è visto che i livelli di ossitocina all’interno dei ventricoli cerebrali aumenta moltissimo dopo il parto.
Gli effetti dell’ossitocina sono importanti, ma non indispensabili, per cui essa ha principalmente un effetto facilitatorio: si è visto che i topi knock-out per l’ossitocina riuscivano comunque a terminare il parto, ad allattare e a sviluppare un comportamento materno.
Anche gli uomini producono ossitocina ma non se ne conosce esattamente la funzione;
si è visto che c’è un picco di concentrazione di ossitocina durante l’eccitamento sessuale (viene
secreta anche dal testicolo);
in condizioni basali i livelli di ossitocina nell’uomo e nella donna sono più o meno uguali, ma nella donna aumentano in corrispondenza del parto e dell’allattamento.
Gli ormoni dell’adenoipofisi (o ipofisi anteriore) sono prodotti dalle cellule endocrine ipofisarie, in seguito allo stimolo dei neuroni ipotalamici immessi nel circolo portale ipotalamo-ipofisario.
Gran parte degli ormoni adenoipofisari agiscono su un’altra ghiandola endocrina, stimolando la sintesi di altri ormoni:
- asse ipotalamo-ipofisi-tiroide;
- asse ipotalamo-ipofisi-surrene;
- asse ipotalamo-ipofisi-gonadi;
solamente due ormoni adenoipofisari non hanno questo tipo di effetto, cioè la prolattina, che non agisce su una ghiandola endocrina, e il GH, che agisce su tutte le cellule dell’organismo.
La prolattina (PRL) è un peptide di 199 amminoacidi e dal peso molecolare di 23kDa;
è codificata da un gene localizzato sul cromosoma 6, e ha un’elevata somiglianza strutturale con il GH, pur avendo una funzione molto diversa.
La PRL è prodotta dalle cellule mammotrope, cioè il 15-20% delle cellule adenoipofisarie totali. La sintesi della PRL è sotto il controllo ipotalamico, tramite ormoni (statine e liberine) che le
cellule neuroendocrine parvocellulari ipotalamiche rilasciano nel circolo portale ipotalamo-ipofisi;
in particolare l’ipotalamo regola la secrezione di PRL da parte delle cellule mammotrope tramite due meccanismi:
- meccanismo inibitorio: i neuroni parvocellulari del nucleo ipotalamico arcuato rilasciano una statina, la dopamina o PIF, che agisce sulle cellule mammotrope, interagendo con un recettore metabotropico D2, accoppiato a proteina Gi, e inibendo così il rilascio di PRL.
- meccanismo attivatorio: i neuroni parvocellulari del nucleo ipotalamico paraventricolare rilasciano una liberina, il TRH, che agisce sulle cellule mammotrope (oltre alla sua funzione principale sulle cellule tireotrope), legandosi ad un recettore metabotropico accoppiato a proteina Gq e attivando la via della fosfolipasi C che stimola il rilascio di PRL.
Fattori che stimolano il rilascio di PRL:
- estrogeni;
- angiotensina; - ossitocina;
- stress;
Fattori che inibiscono il rilascio di PRL:
- GABA;
- ACh;
- somatostatina.
La PRL attua, in seguito al suo rilascio, un feedback negativo, per cui va a inibire la propria produzione, agendo a livello ipotalamico e determinando inibizione dei neuroni che producono TRH e stimolazione dei neuroni che producono PIF.
Ha come funzione:
1. PRODUZIONE DEL LATTE
2. SVILUPPO DELLA GHIANDOLA MAMMARIA
La sintesi della PRL è sotto il controllo ipotalamico, tramite ormoni (statine e liberine) che le
cellule neuroendocrine parvocellulari ipotalamiche rilasciano nel circolo portale ipotalamo-ipofisi;
in particolare l’ipotalamo regola la secrezione di PRL da parte delle cellule mammotrope tramite due meccanismi:
- meccanismo inibitorio: i neuroni parvocellulari del nucleo ipotalamico arcuato rilasciano una statina, la dopamina o PIF, che agisce sulle cellule mammotrope, interagendo con un recettore metabotropico D2, accoppiato a proteina Gi, e inibendo così il rilascio di PRL.
- meccanismo attivatorio: i neuroni parvocellulari del nucleo ipotalamico paraventricolare rilasciano una liberina, il TRH, che agisce sulle cellule mammotrope (oltre alla sua funzione principale sulle cellule tireotrope), legandosi ad un recettore metabotropico accoppiato a proteina Gq e attivando la via della fosfolipasi C che stimola il rilascio di PRL.
Fattori che stimolano il rilascio di PRL:
- estrogeni;
- angiotensina; - ossitocina;
- stress;
Fattori che inibiscono il rilascio di PRL:
- GABA;
- ACh;
- somatostatina.
La PRL attua, in seguito al suo rilascio, un feedback negativo, per cui va a inibire la propria produzione, agendo a livello ipotalamico e determinando inibizione dei neuroni che producono TRH e stimolazione dei neuroni che producono PIF.
la PRL agisce a livello della ghiandola mammaria, interagendo con un recettore appartenente alla famiglia delle citochine, che in seguito al legame dimerizza e attiva la tirosin-chinasi JAK2;
JAK2 attiva le proteine STAT5 (che dimerizzano nel nucleo e attivano la sintesi proteica), la MAPK, il gene della b-caseina;
l’attivazione di queste vie determina un aumento della sintesi proteica dei componenti del latte (cioè lattalbumina, b-lattalbumina e caseina) e degli enzimi necessari alla sintesi di lattosio.
Lo stimolo che determina il rilascio di prolattina da parte delle cellule mammotrope è la suzione del capezzolo da parte del neonato, che attiva i meccanocettori situati a livello del capezzolo, che inviano afferenze lungo i nervi spinali al nucleo arcuato e paraventricolare;
questa via riflessa attivata dalla suzione va a:
- stimolare i neuroni ipotalamici del nucleo paraventricolare (-> maggiore secrezione di TRH, che stimola le cellule mammotrope a secernere PRL);
- a inibire i neuroni ipotalamici del nucleo arcuato (-> minore secrezione di PIF, che inibirebbe le cellule mammotrope).
In realtà questa funzione è svolta prevalentemente da estrogeni e progesterone, che nella pubertà determinano lo sviluppo della ghiandola solo nelle donne (mentre dalla mammogenesi nel feto fino alla pubertà è uguale nei due sessi):
- il progesterone determina lo sviluppo degli alveoli;
- gli estrogeni determinano l’accrescimento di corpi lattiferi e areole e la deposizione di
tessuto adiposo e connettivo;
il ruolo della PRL è piuttosto marginale ma comunque esistente.
Nella donna la concentrazione plasmatica di PRL, in condizioni basali, è relativamente bassa (2- 2,5μg/dL), e più o meno uguale a quella presente nell’uomo;
durante la gravidanza l’aumento degli estrogeni fa sì che la concentrazione plasmatica di PRL aumenti di circa 20 volte;
dopo il parto ci sono dei picchi in corrispondenza dell’allattamento, mentre, in assenza di allattamento, la concentrazione plasmatica di PRL cala del 50% e poi torna ai valori basali.
I tumori che interessano l’adenoipofisi molto spesso causano un’eccessiva produzione di PRL, con conseguente anormale produzione di latte (galattorea) sia nell’uomo che nella donna.
Nella donna l’eccessiva produzione di PRL può anche comportare interruzione dei cicli mestruali, in seguito a soppressione di alcuni ormoni sessuali;
nell’uomo l’eccessiva produzione di PRL può determinare riduzione del desiderio sessuale, disfunzionalità sessuale e sviluppo di ghiandole mammarie (ginecomastia).
Il GH è un ormone di 191 amminoacidi, con due ponti disolfuro e del peso molecolare di 22kDa;
è molto importante durante la fase di accrescimento corporeo, ma ha comunque una funzione importante in tutte le fasi della vita.
Il GH è prodotto dalle cellule somatotrope, cioè il 50% delle cellule adenoipofisarie totali. La sintesi del GH è sotto il controllo ipotalamico, tramite statine e liberine che le cellule
neuroendocrine parvocellulari ipotalamiche rilasciano nel circolo portale ipotalamo-ipofisi;
in particolare l’ipotalamo regola la secrezione di GH da parte delle cellule somatotrope tramite due meccanismi:
- meccanismo attivatorio: i neuroni parvocellulari dei nuclei ipotalamici arcuato e ventro- mediale rilasciano una liberina, il GHRH, che è formato da 44 amminoacidi e agisce sulle cellule somatotrope, interagendo con un recettore metabotropico accoppiato a proteina Gs e attivando la via dell’Adenilato ciclasi (-> cAMP -> PKA), che stimola il rilascio di GH.
- meccanismo inibitorio: i neuroni parvocellulari del nucleo arcuato e dell’area preottica rilasciano una statina, il GHRIH o somatostatina, che agisce sulle cellule somatotrope, legandosi ad un recettore metabotropico accoppiato a proteina Gi, che inibisce la via dell’Adenilato Ciclasi, e quindi inibisce il rilascio di GH.
Fattori che stimolano il rilascio di GH: - fattori fisiologici: l’attività fisica
- fattori parafisiologici: il digiuno prolungato (carenza di proteine e glucosio stimola i neuroni ipotalamici a produrre GHRH e inibisce la produzione di somatostatina).
Fattori che inibiscono il rilascio di GH:
- fattori fisiologici: l’invecchiamento (probabilmente il calo di GH è una delle principali cause
della perdita di massa muscolare che avviene con l’avanzare dell’età); - fattori parafisiologici: l’obesità.
Ha un feedback negativo e un rilascio pulsatile.
L’ormone della crescita stimola la sintesi di IGF1 che insieme al GH stesso attuano un feedback negativo sulla secrezione del GH:
IGF1, dopo essere stato prodotto dal fegato, agisce:
- sia a livello ipotalamico (stimola rilascio di somatostatina e inibisce rilascio di GHRH); - sia direttamente sulle cellule somatotrope, inibendole;
anche il GH agisce sia a livello ipotalamico (stimola rilascio di somatostatina e inibisce rilascio di GHRH) sia direttamente sulle cellule somatotrope dell’adenoipofisi, inibendole.
La secrezione di GH da parte delle cellule somatotrope è pulsatile, cioè si verificano dei picchi di secrezione, in particolare verso la mezzanotte e di mattina (10 al giorno nell’uomo, 20 al giorno nella donna; più frequenti e intensi nei bambini);
la tendenza del GH ad essere secreto in modo pulsatile dipende dall’attività ipotalamica, e in particolare dal nucleo soprachiasmatico, che riceve afferenze dal tratto retino-ipotalamico e dal nucleo genicolato laterale e quindi regola la secrezione di GH sulla base del ritmo circadiano.
I livelli di GH sono più alti durante la pubertà, e vanno diminuendo verso la vecchiaia;
nell’adulto la concentrazione plasmatica di GH è di 1- 5ng/mL, nei neonati è di 30-180ng/mL, negli adolescenti raggiunge un picco.
La sintesi del GH è sotto il controllo ipotalamico, tramite statine e liberine che le cellule
neuroendocrine parvocellulari ipotalamiche rilasciano nel circolo portale ipotalamo-ipofisi;
in particolare l’ipotalamo regola la secrezione di GH da parte delle cellule somatotrope tramite due meccanismi:
- meccanismo attivatorio: i neuroni parvocellulari dei nuclei ipotalamici arcuato e ventro- mediale rilasciano una liberina, il GHRH, che è formato da 44 amminoacidi e agisce sulle cellule somatotrope, interagendo con un recettore metabotropico accoppiato a proteina Gs e attivando la via dell’Adenilato ciclasi (-> cAMP -> PKA), che stimola il rilascio di GH.
- meccanismo inibitorio: i neuroni parvocellulari del nucleo arcuato e dell’area preottica rilasciano una statina, il GHRIH o somatostatina, che agisce sulle cellule somatotrope, legandosi ad un recettore metabotropico accoppiato a proteina Gi, che inibisce la via dell’Adenilato Ciclasi, e quindi inibisce il rilascio di GH.
cellule somatotrope, cioè il 50% delle cellule adenoipofisarie totali.
La funzione del GH è quella di PROMUOVERE LA CRESCITA CORPOREA, DETERMINANDO UN AUMENTO DELLE DIMENSIONI CELLULARI E DELLA PROLIFERAZIONE CELLULARE;
infatti il GH non agisce su un solo organo bersaglio, ma agisce a livello di tutte le cellule del nostro organismo (anche se preferenzialmente su alcuni tessuti).
Nelle prime fasi dell’accrescimento il GH determina una crescita di tutti gli organi, comprese le ossa, ma nell’età adulta si verifica la fusione delle epifisi e quindi la crescita solo degli organi molli.
L’azione del GH si esplica attraverso due meccanismi:
1. MECCANISMO DIRETTO
conseguente al diretto legame del GH con specifici recettori delle cellule bersaglio.
In particolare il GH interagisce con un recettore GHR, cioè un recettore della famiglia delle
citochine, che, in seguito al legame con il GH, dimerizza e attiva la tirosin-chinasi JAK2;
JAK2 fosforila residui di tirosina di diverse proteine, e in particolare attiva: - le proteine STAT;
- la MAPK;
- la PKC;
l’attivazione di queste vie determina un aumento della sintesi proteica.
L’effetto determinato dal GH con questo meccanismo, però, non è di lunga durata, perché il GH è
presto catabolizzato nel rene e nel fegato, quindi ha un’emivita abbastanza breve, di soli 20-50min; per allungare un po’ la sua emivita, il GH si lega in circolo alla GHBP, che ha alta affinità per il GH, o
più raramente all’albumina, che ha bassa affinità per il GH.
2. MECCANISMO INDIRETTO
È mediato da un altro ormone prodotto dal fegato, IGF1 (insuline- like growth factor), che è formato da 70 amminoacidi, presenta tre ponti disolfuro e ha un’omologia del 50% con la catena A della proinsulina.
Dopo che il GH stimola il fegato a produrre IGF1, questo viene rilasciato in circolo, ed è trasportato nel plasma da un complesso terziario di 150kDa, che è formato da IGFBP e dalla proteina ALS (subunità acido-labile), e che rende l’emivita di IGF1 di 12-15 ore;
L’effetto del GH mediato da IGF1 ha, al contrario di quello diretto, un’azione a lungo termine;
Inoltre i livelli plasmatici di IGF1, per via della loro lunga emivita, mitigano in parte la concentrazione pulsatile e fluttuante del GH.
Quando raggiunge le cellule bersaglio, IGF1 si lega ad un recettore della famiglia dei recettori per l’insulina, formato da due subunità a e due subunità b, e dotato di attività tirosin-chinasica;
il legame di IGF1 al suo recettore stimola il legame con proteine adattatrici (IRS-1, IRS-2, Shc), che attivano cascate intracellulari, il cui risultato finale è la sintesi proteica e la proliferazione cellulare.
1. L’effetto principale del GH è L’ACCRESCIMENTO DELLA CARTILAGINE E DELL’OSSO
2. EFFETTI SUL METABOLISMO proteico, lipidico, glucidico
È mediato da un altro ormone prodotto dal fegato, IGF1 (insuline- like growth factor), che è formato da 70 amminoacidi, presenta tre ponti disolfuro e ha un’omologia del 50% con la catena A della proinsulina.
Dopo che il GH stimola il fegato a produrre IGF1, questo viene rilasciato in circolo, ed è trasportato nel plasma da un complesso terziario di 150kDa, che è formato da IGFBP e dalla proteina ALS (subunità acido-labile), e che rende l’emivita di IGF1 di 12-15 ore;
L’effetto del GH mediato da IGF1 ha, al contrario di quello diretto, un’azione a lungo termine;
Inoltre i livelli plasmatici di IGF1, per via della loro lunga emivita, mitigano in parte la concentrazione pulsatile e fluttuante del GH.
Quando raggiunge le cellule bersaglio, IGF1 si lega ad un recettore della famiglia dei recettori per l’insulina, formato da due subunità a e due subunità b, e dotato di attività tirosin-chinasica;
il legame di IGF1 al suo recettore stimola il legame con proteine adattatrici (IRS-1, IRS-2, Shc), che attivano cascate intracellulari, il cui risultato finale è la sintesi proteica e la proliferazione cellulare.
L’effetto principale di IGF1 è L’ACCRESCIMENTO DELLA CARTILAGINE E DELLE OSSA, quindi:
- stimolazione della produzione di proteine da parte di condrociti e cellule osteo-geniche
- stimolazione della proliferazione e del differenziamento cellulare di condrociti e cellule osteogeniche; - conversione di condrociti in cellule osteogeniche, con deposizione di osso
Inoltre IGF1 ha una FUNZIONE METABOLICA che consiste nella stimolazione della sintesi proteica
IN SINTESI
GH e IGF1 determinano il differenziamento, l’espansione, la proliferazione e la maturazione di condrociti e cellule osteogeniche, in modo da favorire l’allungamento della cartilagine di coniugazione e la formazione del nuovo osso;
quindi l’accrescimento dell’osso dipende da un’azione sinergica di GH, con azione pulsatile, e
IGF1, con azione più protratta nel tempo grazie alla sua maggiore emivita.
molte azioni di GH e IGF-1 sono simili ma per altre hanno azioni contrapposte: - GH induce lipolisi e riduzione della massa grassa corporea;
- IGF-1 induce lipogenesi.
- GH provoca sul metabolismo glucidico un effetto iperglicemizzante.
- IGF-1 invece di determinare iperglicemia induce ipoglicemia.
- GH induce lipolisi e riduzione della massa grassa corporea;
- IGF-1 induce lipogenesi.
- GH provoca sul metabolismo glucidico un effetto iperglicemizzante.
- IGF-1 invece di determinare iperglicemia induce ipoglicemia.
L’effetto del GH mediato da IGF1 ha, al contrario di quello diretto, un’azione a lungo termine. il GH stimola il fegato a produrre IGF1, questo viene rilasciato in circolo, ed è trasportato nel plasma da un complesso terziario di 150kDa, che è formato da IGFBP e dalla proteina ALS (subunità acido-labile), e che rende l’emivita di IGF1 di 12-15 ore. Quando raggiunge le cellule bersaglio, IGF1 si lega ad un recettore della famiglia dei recettori per l’insulina, formato da due subunità a e due subunità b, e dotato di attività tirosin-chinasica;
il legame di IGF1 al suo recettore stimola il legame con proteine adattatrici (IRS-1, IRS-2, Shc), che attivano cascate intracellulari, il cui risultato finale è la sintesi proteica e la proliferazione cellulare.
L’effetto principale di IGF1 è L’ACCRESCIMENTO DELLA CARTILAGINE E DELLE OSSA
Quando raggiunge le cellule bersaglio, IGF1 si lega ad un recettore della famiglia dei recettori per l’insulina, formato da due subunità a e due subunità b, e dotato di attività tirosin-chinasica;
il legame di IGF1 al suo recettore stimola il legame con proteine adattatrici (IRS-1, IRS-2, Shc), che attivano cascate intracellulari, il cui risultato finale è la sintesi proteica e la proliferazione cellulare.
L’effetto principale di IGF1 è L’ACCRESCIMENTO DELLA CARTILAGINE E DELLE OSSA, quindi:
- stimolazione della produzione di proteine da parte di condrociti e cellule osteo-geniche
- stimolazione della proliferazione e del differenziamento cellulare di condrociti e cellule osteogeniche; - conversione di condrociti in cellule osteogeniche, con deposizione di osso
Inoltre IGF1 ha una FUNZIONE METABOLICA che consiste nella stimolazione della sintesi proteica.
IL MECCANISMO INDIRETTO azione GH È mediato da un altro ormone prodotto dal fegato, IGF1 (insuline- like growth factor), che è formato da 70 amminoacidi, presenta tre ponti disolfuro e ha un’omologia del 50% con la catena A della proinsulina.
Dopo che il GH stimola il fegato a produrre IGF1, questo viene rilasciato in circolo, ed è trasportato nel plasma da un complesso terziario di 150kDa, che è formato da IGFBP e dalla proteina ALS (subunità acido-labile), e che rende l’emivita di IGF1 di 12-15 ore;
L’effetto del GH mediato da IGF1 ha, al contrario di quello diretto, un’azione a lungo termine.
Quando raggiunge le cellule bersaglio, IGF1 si lega ad un recettore della famiglia dei recettori per l’insulina, formato da due subunità a e due subunità b, e dotato di attività tirosin-chinasica;
il legame di IGF1 al suo recettore stimola il legame con proteine adattatrici (IRS-1, IRS-2, Shc), che attivano cascate intracellulari, il cui risultato finale è la sintesi proteica e la proliferazione cellulare.
L’effetto principale di IGF1 è L’ACCRESCIMENTO DELLA CARTILAGINE E DELLE OSSA, quindi:
- stimolazione della produzione di proteine da parte di condrociti e cellule osteo-geniche
- stimolazione della proliferazione e del differenziamento cellulare di condrociti e cellule osteogeniche; - conversione di condrociti in cellule osteogeniche, con deposizione di osso
Inoltre IGF1 ha una FUNZIONE METABOLICA che consiste nella stimolazione della sintesi proteica.
conseguente al diretto legame del GH con specifici recettori delle cellule bersaglio.
In particolare il GH interagisce con un recettore GHR, cioè un recettore della famiglia delle
citochine, che, in seguito al legame con il GH, dimerizza e attiva la tirosin-chinasi JAK2;
JAK2 fosforila residui di tirosina di diverse proteine, e in particolare attiva: - le proteine STAT;
- la MAPK;
- la PKC;
l’attivazione di queste vie determina un aumento della sintesi proteica.
L’effetto determinato dal GH con questo meccanismo, però, non è di lunga durata, perché il GH è
presto catabolizzato nel rene e nel fegato, quindi ha un’emivita abbastanza breve, di soli 20-50min; per allungare un po’ la sua emivita, il GH si lega in circolo alla GHBP, che ha alta affinità per il GH, o
più raramente all’albumina, che ha bassa affinità per il GH.
1. L’effetto principale del GH è L’ACCRESCIMENTO DELLA CARTILAGINE E DELL’OSSO, quindi:
- stimolazione della produzione di proteine da parte di condrociti e cellule osteo-geniche
- stimolazione della proliferazione e del differenziamento cellulare di condrociti e cellule osteogeniche; - conversione di condrociti in cellule osteogeniche, con deposizione di osso; 2. EFFETTI SUL METABOLISMO
si concretizza soprattutto in un aumento del patrimonio proteico, e in un consumo delle riserve
di grassi, che risparmia proteine per l’accrescimento cellulare e glucosio per cuore e cervello;
tuttavia si tratta di un effetto piuttosto limitato, sia per la ridotta emivita del GH, sia per il fatto che gli stessi meccanismi sono sottoposti alla regolazione da parte di altri ormoni con azione più forte (ad es. azione del GH sulla glicemia è molto meno efficiente rispetto ad azione di ormoni
pancreatici)
si concretizza soprattutto in un aumento del patrimonio proteico, e in un consumo delle riserve
di grassi, che risparmia proteine per l’accrescimento cellulare e glucosio per cuore e cervello;
tuttavia si tratta di un effetto piuttosto limitato, sia per la ridotta emivita del GH, sia per il fatto che gli stessi meccanismi sono sottoposti alla regolazione da parte di altri ormoni con azione più forte (ad es. azione del GH sulla glicemia è molto meno efficiente rispetto ad azione di ormoni
pancreatici):
METABOLISMO PROTEICO
- aumento della captazione di amminoacidi
- aumento della traduzione di mRNA
- aumento della trascrizione di DNA per sintetizzare mRNA - riduzione del catabolismo di proteine e amminoacidi;
quindi in sintesi -> aumento della sintesi proteica (per la crescita corporea servono proteine, che costruiscono l’impalcatura cellulare e tissutale)
METABOLISMO LIPIDICO
- liberazione di acidi grassi liberi
- aumento della conversione di acidi grassi ad Acetil-CoA - successivo utilizzo a scopi energetici;
quindi in sintesi -> stimolazione dell’utilizzazione di grassi come substrato energetico (in modo da risparmiare proteine, così utilizzabili per il processo di accrescimento, e il glucosio, che può essere conservato per cuore e cervello; questo porta anche ad una diminuzione della massa grassa)
METABOLISMO GLUCIDICO
- riduzione della captazione di glucosio da parte dei tessuti (soprattutto muscolo e tessuto adiposo)
- aumento della produzione di glucosio da parte del fegato (glicogenolisi e gluconeogenesi);
quindi in sintesi -> aumento della glicemia, quindi il GH è un ormone iperglicemizzante (l’aumento dei livelli di glucosio nel sangue può essere funzionale al cervello e al cuore)
- riduzione della captazione di glucosio da parte dei tessuti (soprattutto muscolo e tessuto adiposo)
- aumento della produzione di glucosio da parte del fegato (glicogenolisi e gluconeogenesi);
quindi in sintesi -> aumento della glicemia, quindi il GH è un ormone iperglicemizzante (l’aumento dei livelli di glucosio nel sangue può essere funzionale al cervello e al cuore)
- aumento della captazione di amminoacidi
- aumento della traduzione di mRNA
- aumento della trascrizione di DNA per sintetizzare mRNA - riduzione del catabolismo di proteine e amminoacidi;
quindi in sintesi -> aumento della sintesi proteica (per la crescita corporea servono proteine, che costruiscono l’impalcatura cellulare e tissutale)
- liberazione di acidi grassi liberi
- aumento della conversione di acidi grassi ad Acetil-CoA - successivo utilizzo a scopi energetici;
quindi in sintesi -> stimolazione dell’utilizzazione di grassi come substrato energetico (in modo da risparmiare proteine, così utilizzabili per il processo di accrescimento, e il glucosio, che può essere conservato per cuore e cervello; questo porta anche ad una diminuzione della massa grassa)
1. L’effetto principale del GH è L’ACCRESCIMENTO DELLA CARTILAGINE E DELL’OSSO, quindi:
- stimolazione della produzione di proteine da parte di condrociti e cellule osteo-geniche
- stimolazione della proliferazione e del differenziamento cellulare di condrociti e cellule osteogeniche; - conversione di condrociti in cellule osteogeniche, con deposizione di osso;
Esistono situazioni patologiche associate al GH:
gigantismo, dovuto all’eccessiva secrezione di GH durante l’infanzia;
nanismo, dovuta alla carenza di GH durante l’infanzia;
acromegalia (eccessivo ingrossamento di mani, piedi, lingua e ossa del volto);
organomegalia (eccessivo aumento del volume degli organi interni), dovuti a un eccesso di GH dopo la pubertà.
I pigmei non sono in grado di sintetizzare IGF1, quindi l’effetto sull’accrescimento della cartilagine e delle ossa è molto più limitato.
L’asse ipotalamo-ipofisi-surrene è un asse endocrino che si attiva in situazioni stressogene, in concomitanza con l’attivazione del SNs:
- terminazioni post-gangliari su sistema cardio-vascolare per aumento pressione, gittata, frequenza; - terminazioni pre-gangliari su midollare surrene per rilascio adrenalina e noradrenalina;
quindi lo stimolo è rappresentato dallo stress, che può essere:
- uno stress fisico (traumi, dolore, ipo-/ipertermia, attività motoria); - psicologico (paura percepita come imminente o prevista);
- biochimico (ipoglicemia, ipovolemia).
Lo stress agisce sul SNC (soprattutto sistema limbico), che integra i segnali ricevuti e stimola i neuroni ipotalamici parvocellulari del nucleo paraventricolare a sintetizzare il CRH, un ormone di 41 amminoacidi, che viene immesso nel circolo portare ipofisario, a livello dell’eminenza, mediana;
la secrezione di CRH è controllata dal SNC, che media le risposte ad una serie di fattori stressogeni e determina un rilascio pulsatile di CRH, secondo il ritmo circadiano:
il nucleo ipotalamico soprachiasmatico riceve:
- input dalla ghiandola pineale;
- input visivi dal tratto retino-ipotalamico e dal nucleo genicolato laterale;
quindi è implicato nella regolazione del ritmo circadiano, e fa sì che ci siano picchi di secrezione di CRH in prossimità del risveglio (di prima mattina) e una diminuzione in tarda serata.
Quando il CRH, tramite il sistema portale ipofisario, raggiunge l’adenoipofisi, agisce sulle cellule corticotrope (cioè il 20% delle cellule adenoipofisarie totali), stimolando la sintesi e il rilascio di ACTH (ormone adrenocorticotropo);
in particolare il CRH si lega ad un recettore accoppiato a proteina Gs e attiva la via dell’Adenilato Ciclasi -> cAMP -> PKA -> fosforilazione dei canali del Ca++ -> maggiore ingresso di Ca++ -> esocitosi di vescicole contenenti ACTH.
in condizioni patologiche (Trauma o forte disidratazione) lo stress stimola le cellule neuroendocrine magnocellulari a rilasciare ADH che, anziché raggiungere la neuroipofisi, raggiunge l’adenoipofisi e stimola le cellule corticotrope a secernere ACTH.
Lo stress agisce sul SNC (soprattutto sistema limbico), che integra i segnali ricevuti e stimola i neuroni ipotalamici parvocellulari del nucleo paraventricolare a sintetizzare il CRH, un ormone di 41 amminoacidi, che viene immesso nel circolo portare ipofisario, a livello dell’eminenza, mediana;
la secrezione di CRH è controllata dal SNC, che media le risposte ad una serie di fattori stressogeni e determina un rilascio pulsatile di CRH, secondo il ritmo circadiano:
il nucleo ipotalamico soprachiasmatico riceve:
- input dalla ghiandola pineale;
- input visivi dal tratto retino-ipotalamico e dal nucleo genicolato laterale;
quindi è implicato nella regolazione del ritmo circadiano, e fa sì che ci siano picchi di secrezione di CRH in prossimità del risveglio (di prima mattina) e una diminuzione in tarda serata.
Quando il CRH, tramite il sistema portale ipofisario, raggiunge l’adenoipofisi, agisce sulle cellule corticotrope (cioè il 20% delle cellule adenoipofisarie totali), stimolando la sintesi e il rilascio di ACTH (ormone adrenocorticotropo);
in particolare il CRH si lega ad un recettore accoppiato a proteina Gs e attiva la via dell’Adenilato Ciclasi -> cAMP -> PKA -> fosforilazione dei canali del Ca++ -> maggiore ingresso di Ca++ -> esocitosi di vescicole contenenti ACTH.
L’ ACTH è un ormone di 39 amminoacidi, sintetizzato in seguito ad una complessa elaborazione
post-traduzionale, che avviene principalmente nell’apparato di Golgi;
Questa consiste nel clivaggio del pro-ormone POMC, il quale viene frammentato dall’enzima pro- ormone–convertasi:
- in peptide N-terminale di 76aa;
- peptide C-terminale di 89aa (b- lipotropina);
- peptide J contenente l’ACTH;
nei granuli di zimogeno l’ACTH è immagazzinato e secreto insieme agli altri peptidi, di cui
però non si conosce ancora il ruolo fisiologico.
Anche la secrezione di ACTH, come quella di CRH, è sottoposta al controllo ipotalamico da parte del nucleo soprachiasmatico, quindi si tratta di una secrezione pulsatile e dipendente dal ritmo circadiano, con picchi di secrezione di prima mattina e cali in tarda serata.
L’ACTH è immesso in circolo e va ad agire a livello del surrene (ghiandola di 5g sul polo superiore di ciascun rene), in particolare sulle cellule della zona fascicolata della corticale, che sono deputate alla secrezione di glucocorticoidi, cioè corticosteroidi che influenzano anche la glicemia.
Queste cellule hanno un citoplasma ricco di gocce lipidiche, formate da esteri del colesterolo, ottenuti tramite l’enzima Acil-Coa–colesterolo–aciltransferasi, a partire dal colesterolo libero captato dal circolo sanguigno;
il colesterolo immagazzinato sotto forma di esteri viene continuamente trasformato in nuovo colesterolo libero, tramite l’enzima colesterolo–estere–idrolasi, quindi il colesterolo libero è in una situazione di equilibrio con gli esteri del colesterolo.
Il colesterolo libero, tramite una serie di enzimi espressi solo nelle cellule della zona fascicolata, può essere convertito in pregnenolone, che è poi trasformato in progesterone, poi in 17-idrossidiprogesterone, poi in 11-desossicortisolo e infine in cortisolo.
L’ACTH, quando raggiunge le cellule surrenaliche della zona fascicolata, si lega al recettore per la melanocortina di tipo 2, accoppiato a proteina Gs, che attiva la via dell’Adenilato Ciclasi;
Questa porta all’attivazione della colesterolo–estere–idrolasi (-> aumenta la concentrazione di colesterolo libero rispetto agli esteri del colesterolo), e attivazione della 17-a-glucoossidasi, enzima fondamentale nella conversione del colesterolo in cortisolo
Anche la secrezione di ACTH, come quella di CRH, è sottoposta al controllo ipotalamico da parte del nucleo soprachiasmatico, quindi si tratta di una secrezione pulsatile e dipendente dal ritmo circadiano, con picchi di secrezione di prima mattina e cali in tarda serata.
L’ ACTH è un ormone di 39 amminoacidi, sintetizzato in seguito ad una complessa elaborazione
post-traduzionale, che avviene principalmente nell’apparato di Golgi;
Questa consiste nel clivaggio del pro-ormone POMC, il quale viene frammentato dall’enzima pro- ormone–convertasi:
- in peptide N-terminale di 76aa;
- peptide C-terminale di 89aa (b- lipotropina);
- peptide J contenente l’ACTH;
nei granuli di zimogeno l’ACTH è immagazzinato e secreto insieme agli altri peptidi, di cui
però non si conosce ancora il ruolo fisiologico.
L’ACTH è immesso in circolo e va ad agire a livello del surrene (ghiandola di 5g sul polo superiore di ciascun rene), in particolare sulle cellule della zona fascicolata della corticale, che sono deputate alla secrezione di glucocorticoidi, cioè corticosteroidi che influenzano anche la glicemia.
Queste cellule hanno un citoplasma ricco di gocce lipidiche, formate da esteri del colesterolo, ottenuti tramite l’enzima Acil-Coa–colesterolo–aciltransferasi, a partire dal colesterolo libero captato dal circolo sanguigno;
il colesterolo immagazzinato sotto forma di esteri viene continuamente trasformato in nuovo colesterolo libero, tramite l’enzima colesterolo–estere–idrolasi, quindi il colesterolo libero è in una situazione di equilibrio con gli esteri del colesterolo.
Il colesterolo libero, tramite una serie di enzimi espressi solo nelle cellule della zona fascicolata, può essere convertito in pregnenolone, che è poi trasformato in progesterone, poi in 17-idrossidiprogesterone, poi in 11-desossicortisolo e infine in cortisolo.
L’ACTH, quando raggiunge le cellule surrenaliche della zona fascicolata, si lega al recettore per la melanocortina di tipo 2, accoppiato a proteina Gs, che attiva la via dell’Adenilato Ciclasi;
Questa porta all’attivazione della colesterolo–estere–idrolasi (-> aumenta la concentrazione di colesterolo libero rispetto agli esteri del colesterolo), e attivazione della 17-a-glucoossidasi, enzima fondamentale nella conversione del colesterolo in cortisolo
Il colesterolo libero, tramite una serie di enzimi espressi solo nelle cellule della zona fascicolata, può essere convertito in pregnenolone, che è poi trasformato in progesterone, poi in 17-idrossidiprogesterone, poi in 11-desossicortisolo e infine in cortisolo.
L’ACTH, quando raggiunge le cellule surrenaliche della zona fascicolata, si lega al recettore per la melanocortina di tipo 2, accoppiato a proteina Gs, che attiva la via dell’Adenilato Ciclasi;
Questa porta all’attivazione della colesterolo–estere–idrolasi (-> aumenta la concentrazione di colesterolo libero rispetto agli esteri del colesterolo), e attivazione della 17-a-glucoossidasi, enzima fondamentale nella conversione del colesterolo in cortisolo
Il colesterolo libero, tramite una serie di enzimi espressi solo nelle cellule della zona fascicolata, può essere convertito in pregnenolone, che è poi trasformato in progesterone, poi in 17-idrossidiprogesterone, poi in 11-desossicortisolo e infine in cortisolo.
L’ACTH, quando raggiunge le cellule surrenaliche della zona fascicolata, si lega al recettore per la melanocortina di tipo 2, accoppiato a proteina Gs, che attiva la via dell’Adenilato Ciclasi;
Questa porta all’attivazione della colesterolo–estere–idrolasi (-> aumenta la concentrazione di colesterolo libero rispetto agli esteri del colesterolo), e attivazione della 17-a-glucoossidasi, enzima fondamentale nella conversione del colesterolo in cortisolo. Il cortisolo è quindi un ormone derivante dal cortisone e, una volta prodotto nella corticale del surrene, è rilasciato in circolo, dove si trova:
- per l’85% legato alla transcortina o CBG;
- per il 15% legato ad albumina;
- per il 5% in forma libera (concentrazione plasmatica di cortisolo è di 10-20μg/dL).
Il cortisolo ha un’emivita di 70 minuti, e il suo catabolismo dipende dal rene e dal fegato, che lo inattivano a cortisone, tramite l’enzima 11b-idrossisterone–deidrogenasi di tipo 2, e poi il cortisone viene eliminato dal rene;
la trasformazione del cortisolo in cortisone è un’inattivazione reversibile, perché il cortisone può essere ritrasformato in cortisolo, tramite l’enzima 11b-idrossisterone–deidrogenasi di tipo 1, presente nel rene, ma soprattutto nel fegato e nella cute (ad es. pomate cortisoniche rilasciano cortisone, che viene trasformato in cortisolo).
L’azione del cortisolo sulle cellule bersaglio avviene tramite legame con il recettore GRa, un recettore intracellulare legato alle proteine inibitorie HSP90 e HSP56;
il legame del cortisolo al suo recettore determina un cambio conformazionale che causa il distacco delle proteine inibitorie e quindi la dimerizzazione e attivazione del recettore:
il recettore attivato trasloca nel nucleo, lega specifiche sequenze di riconoscimento, e induce la trascrizione dell’RNA e la sintesi di determinate proteine.
il colesterolo immagazzinato sotto forma di esteri viene continuamente trasformato in nuovo colesterolo libero, tramite l’enzima colesterolo–estere–idrolasi, quindi il colesterolo libero è in una situazione di equilibrio con gli esteri del colesterolo.
Il colesterolo libero, tramite una serie di enzimi espressi solo nelle cellule della zona fascicolata, può essere convertito in pregnenolone, che è poi trasformato in progesterone, poi in 17-idrossidiprogesterone, poi in 11-desossicortisolo e infine in cortisolo.
L’ACTH, quando raggiunge le cellule surrenaliche della zona fascicolata, si lega al recettore per la melanocortina di tipo 2, accoppiato a proteina Gs, che attiva la via dell’Adenilato Ciclasi;
Questa porta all’attivazione della colesterolo–estere–idrolasi (-> aumenta la concentrazione di colesterolo libero rispetto agli esteri del colesterolo), e attivazione della 17-a-glucoossidasi, enzima fondamentale nella conversione del colesterolo in cortisolo
L’azione del cortisolo sulle cellule bersaglio avviene tramite legame con il recettore GRa, un recettore intracellulare legato alle proteine inibitorie HSP90 e HSP56;
il legame del cortisolo al suo recettore determina un cambio conformazionale che causa il distacco delle proteine inibitorie e quindi la dimerizzazione e attivazione del recettore:
il recettore attivato trasloca nel nucleo, lega specifiche sequenze di riconoscimento, e induce la trascrizione dell’RNA e la sintesi di determinate proteine.
la trasformazione del cortisolo in cortisone è un’inattivazione reversibile, perché il cortisone può essere ritrasformato in cortisolo, tramite l’enzima 11b-idrossisterone–deidrogenasi di tipo 1, presente nel rene, ma soprattutto nel fegato e nella cute (ad es. pomate cortisoniche rilasciano cortisone, che viene trasformato in cortisolo
L’asse ipotalamo-ipofisi-surrene è regolato da un meccanismo a feedback negativo:
l’ACTH ha un’azione inibitoria sulla secrezione di CRH da parte dei neuroni parvocellulari ipotalamici del nucleo paraventricolare;
il cortisolo un’azione inibitoria:
- sia sulla secrezione di CRH da parte dei neuroni parvocellulari ipotalamici; - sia sul rilascio di ACTH da parte delle cellule corticotrope adenoipofisarie.
Quindi l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene è stimolato positivamente dal ritmo circadiano e da fattori stressogeni, ed è inibito a feedback negativo da ACTH e cortisolo.
1. GARANTIRE LA DISPONIBILITÀ DI RISORSE ENERGETICHE, SOPRATTUTTO AL CERVELLO, PER ASSICURARE L’AZIONE COSCIENTE E VOLONTARIA DELL’INDIVIDUO IN SITUAZIONI DI STRESS;
quindi il principale effetto del cortisolo si esplica nel metabolismo, e in particolare il cortisolo ha effetto su:
METABOLISMO GLUCIDICO: stimolazione della gluconeogenesi epatica
METABOLISMO PROTEICO
riduzione delle proteine cellulari nei tessuti
METABOLISMO LIPIDICO lipolisi
2. È UN AGENTE ANTI-INFIAMMATORIO Il cortisolo ha l’effetto sia di prevenire lo sviluppo dell’infiammazione, sia di favorirne la risoluzione anche se questa è già conclamata.
diversi tipi di traumi possono innescare una risposta infiammatoria, che, se non venisse controllata, potrebbe essere lesiva.
Il cortisolo ha l’effetto sia di prevenire lo sviluppo dell’infiammazione, sia di favorirne la risoluzione anche se questa è già conclamata.
Questo effetto del cortisolo sulle cellule del sangue e sull’immunità è sfruttato nella pratica clinica nel corso di malattie infettive;
inoltre il cortisolo blocca la componente infiammatoria delle reazioni allergiche (farmaci contro le allergie a base di cortisone).
Quindi il cortisolo è fondamentale per il nostro organismo, infatti in sua assenza si determina: - alterazione del metabolismo dei carboidrati e dei lipidi;
- incapacità di resistere a forme di stress;
- possibilità che lievi infiammazioni diventino letali.
Quando interviene una situazione di stress, si hanno effetti diversi a seconda della sede:
- nel cervello si verifica un maggiore apporto di glucosio;
- nel fegato si verificano glicogenolisi e gluconeogenesi;
- nel tessuto adiposo si verifica lipolisi, e una diminuzione di lipogenesi e captazione di glucosio tramite GLUT4;
- nel muscolo scheletrico si verifica aumento della proteolisi e diminuzione della sintesi proteica, aumento della glicogenolisi e diminuzione della captazione di glucosio tramite GLUT4.
Tutte le risposte metaboliche che induce il cortisolo sono quindi volte a supportare
energeticamente il cervello, fornendogli la massima quantità possibile di glucosio
lipolisi (mobilizzazione di acidi grassi dal tessuto adiposo), dovuta probabilmente al minore uptake di glucosio da parte del tessuto adiposo (minore espressione di GLUT4), che quindi non può sintetizzare a-glicerofosfato necessario per deposizione e mantenimento di trigliceridi, e perciò può liberare in circolo gli acidi grassi;
la funzione della lipolisi è quella di fornire acidi grassi come fonte energetica a tutte le cellule, dato che queste hanno un ridotto uptake di glucosio, il quale è risparmiato per il cervello.
Tuttavia, se c’è una concentrazione aumentata di cortisolo per un periodo prolungato di tempo (ad es. sindrome di Cushing che comporta aumento di ACTH, o pazienti che sono sottoposti a cura a base di cortisone), si verifica un aumento della massa grassa (soprattutto a livello di faccia e addome), perché gli effetti sul metabolismo lipidico cambiano e la lipogenesi subentra alla lipolisi (e inoltre il cortisolo stimola l’appetito).
riduzione delle proteine cellulari nei tessuti, grazie:
- a ridotta sintesi proteica (dovuta a diminuzione di trasporto aa e di sintesi RNA); - aumento del catabolismo proteico;
la minore concentrazione delle proteine nei tessuti e il ridotto uptake di amminoacidi da parte delle cellule tissutali, hanno la funzione di determinare:
- un aumento delle proteine in fegato e plasma (grazie a maggiore sintesi proteica epatica); - un aumento della concentrazione plasmatica di amminoacidi, che raggiungono il fegato per
essere utilizzati come precursori gluconeogenici.
stimolazione della gluconeogenesi epatica, grazie a:
- sintesi di enzimi per la trasformazione di amminoacidi in glucosio; - mobilizzazione di amminoacidi da tessuti extraepatici;
alla produzione di glucosio da parte del fegato si aggiunge la ridotta utilizzazione di glucosio da parte delle cellule grazie a minore espressione di trasportatori GLUT4;
tutto questo determina un AUMENTO DELLA GLICEMIA, che porta ad un maggiore rilascio di insulina, la quale però non può attuare la sua azione ipoglicemizzante perché il cortisolo ha anche un effetto di insulino-resistenza:
quindi l’insulina non è capace di contrastare l’effetto iperglicemizzante del cortisolo e la glicemia rimane alta, anche del 50% al di sopra dei valori normali (“diabete surrenalico”).
L’aumento della glicemia e la ridotta capacità di uptake di glucosio da parte delle cellule è
funzionale alla conservazione del glucosio per il cervello, che in situazione di stress deve essere maggiormente supportato dal punto di vista energetico (metabolismo energetico del cervello si basa quasi esclusivamente sulla glicolisi).
CORTISOLO
Il surrene svolge un ruolo fondamentale nelle risposte a molti tipi di stress, non solo tramite il rilascio di cortisolo da parte delle cellule corticali, ma anche tramite il rilascio di catecolamine da parte delle cellule midollari.
Infatti la midollare del surrene è costituita dalle cellule cromaffini, ossia cellule neuroendocrine derivanti dalla cresta neurale, che producono e secernono adrenalina e noradrenalina, comportandosi come un ganglio simpatico modificato.
In seguito a stimolo stressogeno viene attivato il SNs, che: - oltre a liberare noradrenalina con le fibre post-gangliari;
- stimola, tramite le fibre colinergiche pre-gangliari, le cellule cromaffini del surrene e le induce a secernere gli ormoni noradrenalina (20%) e soprattutto adrenalina (80%), come se fossero neuroni post-gangliari che hanno perso il prolungamento assonale.
In queste cellule cromaffini avviene la particolare biosintesi di adrenalina e noradrenalina, che presenta alcune tappe citoplasmiche e altre all’interno dei granuli secretori:
il precursore della sintesi è l’amminoacido tirosina;
CITOPLASMA
- la tirosina è idrossilata a L-DOPA (diidrossifenilalanina), tramite l’enzima tirosina–idrossilasi; - DOPA è decarbossilata a dopamina, tramite l’enzima amminoacido–decarbossilasi;
la dopamina è trasportata nei GRANULI SECRETORI dove è idrossilata a noradrenalina, tramite l’enzima dopamina– b-idrossilasi;
la noradrenalina esce dai granuli ed è riportata nel CITOPLASMA dove è metilata ad adrenalina, tramite l’enzima feniletanolammina- N-metiltransferasi;
poi l’adrenalina entra nuovamente nel GRANULO SECRETORIO e, attraverso un processo di esocitosi, può essere rilasciata in circolo.
In seguito a stimolazione simpatica, questa via biosintetica viene potenziata e si ha un maggiore rilascio di adrenalina e noradrenalina;
in particolare il SNs stimola l’attività:
- della tirosina–idrossilasi;
- della dopamina–b-idrossilasi;
- della feniletanolammina-N-metiltransferasi.
il precursore della sintesi è l’amminoacido tirosina;
CITOPLASMA
- la tirosina è idrossilata a L-DOPA (diidrossifenilalanina), tramite l’enzima tirosina–idrossilasi; - DOPA è decarbossilata a dopamina, tramite l’enzima amminoacido–decarbossilasi;
la dopamina è trasportata nei GRANULI SECRETORI dove è idrossilata a noradrenalina, tramite l’enzima dopamina– b-idrossilasi;
la noradrenalina esce dai granuli ed è riportata nel CITOPLASMA dove è metilata ad adrenalina, tramite l’enzima feniletanolammina- N-metiltransferasi;
poi l’adrenalina entra nuovamente nel GRANULO SECRETORIO e, attraverso un processo di esocitosi, può essere rilasciata in circolo.
Adrenalina e noradrenalina, dopo essere state immesse in circolo, agiscono sulle cellule bersaglio tramite recettori adrenergici, che sono di cinque tipi: β1, β2, β3, α1 e α2.
I recettori β1, β2 e β3 sono accoppiati a proteina Gs, quindi il legame delle catecolamine a questi recettori attiva la via dell’Adenilato Ciclasi;
il recettore a1 è accoppiato a proteina Gq, quindi il legame delle catecolamine a questo recettore attiva la via della fosfolipasi C;
il recettore a2 è accoppiato a proteina Gi, quindi il legame delle catecolamine a questo recettore inibisce la via dell’Adenilato Ciclasi.
In condizioni di stress il rilascio delle catecolamine da parte del surrene agisce in sinergia con il rilascio di noradrenalina da parte delle fibre post-gangliari simpatiche:
cuore
tramite un recettore β1, le catecolamine determinano:
- un aumento della forza di contrazione cardiaca (effetto inotropo positivo);
- un aumento della frequenza cardiaca (effetto cronotropo positivo);
- un aumento della velocità di conduzione nel tessuto cardiaco (effetto lusitropo positivo)
vasi sistemici
tramite un recettore a1, le catecolamine determinano vasocostrizione a livello delle arteriole, per aumentare le resistenze periferiche totali e determinare così un aumento della pressione arteriosa e della gittata cardiaca;
muscolo scheletrico
tramite un recettore β2, le catecolamine causano, eccezionalmente in questo distretto, una vasodilatazione, per aumentare l’afflusso di sangue e quindi di ossigeno e glucosio.
apparato digerente
le catecolamine determinano vasocostrizione, perché le funzioni digestive sono secondarie, in una situazione di stress acuto.
apparato respiratorio
tramite un recettore β2, a livello dei bronchioli le catecolamine determinano broncodilatazione, per favorire un aumento degli scambi gassosi e quindi un maggior apporto di ossigeno al cervello
metabolismo
le catecolamine determinano un aumento della glicemia (e anche della concentrazione plasmatica di altri substrati energetici, come corpi chetonici, acidi grassi, lattato, glicerolo), per permettere il rifornimento di glucosio al cervello:
nel tessuto adiposo, tramite recettori β2 e β3, le catecolamine portano ad una minore captazione del glucosio e alla conseguente lipolisi (manca a-glicerofosfato);
nel muscolo scheletrico determinano minore captazione di glucosio e glicogenolisi; nel fegato stimolano glicogenolisi, gluconeogenesi e chetogenesi;
nel pancreas determinano minore secrezione di insulina da parte delle cellule β e maggiore secrezione di glucagone da parte delle cellule a.
Adrenalina e noradrenalina, dopo essere state immesse in circolo, agiscono sulle cellule bersaglio tramite recettori adrenergici, che sono di cinque tipi: β1, β2, β3, α1 e α2.
I recettori β1, β2 e β3 sono accoppiati a proteina Gs, quindi il legame delle catecolamine a questi recettori attiva la via dell’Adenilato Ciclasi;
il recettore a1 è accoppiato a proteina Gq, quindi il legame delle catecolamine a questo recettore attiva la via della fosfolipasi C;
il recettore a2 è accoppiato a proteina Gi, quindi il legame delle catecolamine a questo recettore inibisce la via dell’Adenilato Ciclasi.
tramite un recettore β1, le catecolamine determinano:
- un aumento della forza di contrazione cardiaca (effetto inotropo positivo);
- un aumento della frequenza cardiaca (effetto cronotropo positivo);
- un aumento della velocità di conduzione nel tessuto cardiaco (effetto lusitropo positivo)
(I recettori β1, β2 e β3 sono accoppiati a proteina Gs, quindi il legame delle catecolamine a questi recettori attiva la via dell’Adenilato Ciclasi)
tramite un recettore β2, le catecolamine causano, eccezionalmente in questo distretto, una vasodilatazione, per aumentare l’afflusso di sangue e quindi di ossigeno e glucosio.
( recettori β1, β2 e β3 sono accoppiati a proteina Gs, quindi il legame delle catecolamine a questi recettori attiva la via dell’Adenilato Ciclasi)
tramite un recettore a1, le catecolamine determinano vasocostrizione a livello delle arteriole, per aumentare le resistenze periferiche totali e determinare così un aumento della pressione arteriosa e della gittata cardiaca;
(il recettore a1 è accoppiato a proteina Gq, quindi il legame delle catecolamine a questo recettore attiva la via della fosfolipasi C;)
le catecolamine determinano vasocostrizione, perché le funzioni digestive sono secondarie, in una situazione di stress acuto
tramite un recettore β2, a livello dei bronchioli le catecolamine determinano broncodilatazione, per favorire un aumento degli scambi gassosi e quindi un maggior apporto di ossigeno al cervello
(recettori β1, β2 e β3 sono accoppiati a proteina Gs, quindi il legame delle catecolamine a questi recettori attiva la via dell’Adenilato Ciclasi;)
le catecolamine determinano un aumento della glicemia (e anche della concentrazione plasmatica di altri substrati energetici, come corpi chetonici, acidi grassi, lattato, glicerolo), per permettere il rifornimento di glucosio al cervello:
nel tessuto adiposo, tramite recettori β2 e β3, le catecolamine portano ad una minore captazione del glucosio e alla conseguente lipolisi (manca a-glicerofosfato);
nel muscolo scheletrico determinano minore captazione di glucosio e glicogenolisi; nel fegato stimolano glicogenolisi, gluconeogenesi e chetogenesi;
nel pancreas determinano minore secrezione di insulina da parte delle cellule β e maggiore secrezione di glucagone da parte delle cellule a.
Il Ca++ è fondamentale per l’organismo, perché è interessato: - nella contrazione muscolare;
- nella trasmissione sinaptica (liberazione NT);
- nell’esocitosi Ca++-mediata di molti ormoni;
- nelle vie di segnalazione intracellulare (secondo messaggero); - nell’attivazione/inattivazione di molti enzimi.
Quindi è molto importante che la concentrazione plasmatica di Ca++ (calcemia) venga mantenuta costante entro il valore fisiologico di 2,2-2,6mM (cioè 8,8-10,6mg/dL);
la concentrazione di Ca++ totale è costituita:
- per il 45% da Ca++ in forma libera;
- per il 45% da Ca++ legato ad albumina;
- per il 10% da Ca++ complessato con citrati o ossalati a formare sali.
Tale concentrazione plasmatica di Ca++ viene mantenuta costante grazie a tre meccanismi: 1) filtrazione e riassorbimento a livello renale;
2) assorbimento e secrezione a livello intestinale;
3) deposizione e assorbimento (da parte del plasma) a livello osseo;
la concentrazione plasmatica è mantenuta costante grazie al fatto che:
- nell’osso la deposizione eguaglia l’assorbimento;
- la quantità assorbita dall’intestino (175mg) è uguale a quella escreta dal rene.
la concentrazione di Ca++ totale è costituita:
- per il 45% da Ca++ in forma libera;
- per il 45% da Ca++ legato ad albumina;
- per il 10% da Ca++ complessato con citrati o ossalati a formare sali.
Tale concentrazione plasmatica di Ca++ viene mantenuta costante grazie a tre meccanismi: 1) filtrazione e riassorbimento a livello renale;
2) assorbimento e secrezione a livello intestinale;
3) deposizione e assorbimento (da parte del plasma) a livello osseo;
la concentrazione plasmatica è mantenuta costante grazie al fatto che:
- nell’osso la deposizione eguaglia l’assorbimento;
- la quantità assorbita dall’intestino (175mg) è uguale a quella escreta dal rene.
- nella contrazione muscolare;
- nella trasmissione sinaptica (liberazione NT);
- nell’esocitosi Ca++-mediata di molti ormoni;
- nelle vie di segnalazione intracellulare (secondo messaggero); - nell’attivazione/inattivazione di molti enzimi.
Quindi è molto importante che la concentrazione plasmatica di Ca++ (calcemia) venga mantenuta costante entro il valore fisiologico di 2,2-2,6mM (cioè 8,8-10,6mg/dL);
2,2-2,6mM (cioè 8,8-10,6mg/dL)
A livello renale il Ca++ è liberamente filtrato (10g/giorno) e ne viene escreto solo l’1% (quindi riassorbimento del 99%).
Il Ca++ è riassorbito per:
- il 65% nel TCP, per diffusione semplice tramite via paracellulare non regolata da sistemi
endocrini;
- il 25% nel tratto ascendente spesso dell’ansa di Henle, per diffusione semplice tramite via paracellulare non regolata da sistemi endocrini e dovuta al gradiente elettrico generato dall’NKCC (trasportatore elettro-neutro perché 1Na+, 1K+, 2Cl-, ma K+ in parte torna nel lume tubulare, quindi si crea eccesso di cariche positive nel lume e un DV di 8mV, che spinge il Ca++ ad abbandonare il lume). Il riassorbimento di Ca++ sottoposto a regolazione ormonale avviene: - nel TCD (8%);
- nel dotto collettore (1%);
Tale riassorbimento è facoltativo ed avviene per via transcellulare.
Vi sono dei canali per il calcio, definiti TRP 5 e TRP 6 (TRP channels = Transient receptor potential channels) o in alternativa ECaC1 e ECAC2 (ECaC = Epithelial Calcium Channels).
Tali canali sono sempre aperti, quindi non sono voltaggio-dipendenti e consentono il passaggio di calcio dal lume del tubulo al citoplasma cellulare (ovviamente ciò è reso possibile dal fatto che la concentrazione citoplasmatica di calcio sia più bassa rispetto alla concentrazione luminale di calcio, ragion per cui il gradiente ionico spinge il calcio ad entrare).
Sulla membrana basolaterale, invece, vi sono sia una pompa ATPasica in controtrasporto con 2 ioni H+, sia uno scambiatore Na+/Ca++ che consentono il riassorbimento netto dello ione calcio.
A questo livello il riassorbimento di Ca++ è potenziato dal PTH e dalla vitamina D.
A livello renale il Ca++ è liberamente filtrato (10g/giorno) e ne viene escreto solo l’1% (quindi riassorbimento del 99%).
Il Ca++ è riassorbito per:
- il 65% nel TCP, per diffusione semplice tramite via paracellulare non regolata da sistemi
endocrini;
- il 25% nel tratto ascendente spesso dell’ansa di Henle, per diffusione semplice tramite via paracellulare non regolata da sistemi endocrini e dovuta al gradiente elettrico generato dall’NKCC
Il riassorbimento di Ca++ sottoposto a regolazione ormonale avviene: - nel TCD (8%);
- nel dotto collettore (1%);
Tale riassorbimento è facoltativo ed avviene per via transcellulare.
Il Ca++ è riassorbito per:
- il 65% nel TCP, per diffusione semplice tramite via paracellulare non regolata da sistemi
endocrini;
- il 25% nel tratto ascendente spesso dell’ansa di Henle, per diffusione semplice tramite via paracellulare non regolata da sistemi endocrini e dovuta al gradiente elettrico generato dall’NKCC (trasportatore elettro-neutro perché 1Na+, 1K+, 2Cl-, ma K+ in parte torna nel lume tubulare, quindi si crea eccesso di cariche positive nel lume e un DV di 8mV, che spinge il Ca++ ad abbandonare il lume). Il riassorbimento di Ca++ sottoposto a regolazione ormonale avviene: - nel TCD (8%);
- nel dotto collettore (1%);
Tale riassorbimento è facoltativo ed avviene per via transcellulare.
Vi sono dei canali per il calcio, definiti TRP 5 e TRP 6 (TRP channels = Transient receptor potential channels) o in alternativa ECaC1 e ECAC2 (ECaC = Epithelial Calcium Channels).
Tali canali sono sempre aperti, quindi non sono voltaggio-dipendenti e consentono il passaggio di calcio dal lume del tubulo al citoplasma cellulare (ovviamente ciò è reso possibile dal fatto che la concentrazione citoplasmatica di calcio sia più bassa rispetto alla concentrazione luminale di calcio, ragion per cui il gradiente ionico spinge il calcio ad entrare).
Sulla membrana basolaterale, invece, vi sono sia una pompa ATPasica in controtrasporto con 2 ioni H+, sia uno scambiatore Na+/Ca++ che consentono il riassorbimento netto dello ione calcio.
A questo livello il riassorbimento di Ca++ è potenziato dal PTH e dalla vitamina D.
Il Ca++ è riassorbito per:
- il 65% nel TCP, per diffusione semplice tramite via paracellulare non regolata da sistemi
endocrini;
- il 25% nel tratto ascendente spesso dell’ansa di Henle, per diffusione semplice tramite via paracellulare non regolata da sistemi endocrini e dovuta al gradiente elettrico generato dall’NKCC (trasportatore elettro-neutro perché 1Na+, 1K+, 2Cl-, ma K+ in parte torna nel lume tubulare, quindi si crea eccesso di cariche positive nel lume e un DV di 8mV, che spinge il Ca++ ad abbandonare il lume).
Il riassorbimento di Ca++ sottoposto a regolazione ormonale avviene: - nel TCD (8%);
- nel dotto collettore (1%);
Tale riassorbimento è facoltativo ed avviene per via transcellulare. Sulla membrana basolaterale, invece, vi sono sia una pompa ATPasica in controtrasporto con 2 ioni H+, sia uno scambiatore Na+/Ca++ che consentono il riassorbimento netto dello ione calcio. A questo livello il riassorbimento di Ca++ è potenziato dal PTH e dalla vitamina D.
a livello intestinale, vengono ingeriti 1000mg/giorno di Ca++ (soprattutto mediante latte e formaggi), ma ne vengono assorbiti solo 175mg/giorno, tramite due vie:
1. Nel duodeno il riassorbimento avviene per via transcellulare (regolazione ormonale):
- il Ca++ entra nella cellula tramite canali TRPV5 e TRPV6 situati sulla membrana apicale; - nell’enterocita si lega a calbindina (lo tiene a [basse] per permettere ulteriore ingresso); - passa nell’interstizio tramite la pompa PMCA situata sulla membrana baso-laterale;
2. Nel resto dell’intestino tenue il riassorbimento avviene per via paracellulare (non sottoposta a regolazione ormonale).
A questo livello l’assorbimento di Ca++ è potenziato dalla vitamina D (non direttamente dal PTH)
1. Nel duodeno il riassorbimento avviene per via transcellulare (regolazione ormonale):
- il Ca++ entra nella cellula tramite canali TRPV5 e TRPV6 situati sulla membrana apicale; - nell’enterocita si lega a calbindina (lo tiene a [basse] per permettere ulteriore ingresso); - passa nell’interstizio tramite la pompa PMCA situata sulla membrana baso-laterale;
2. Nel resto dell’intestino tenue il riassorbimento avviene per via paracellulare (non sottoposta a regolazione ormonale).
a livello osseo, è presente 1kg di Ca++, e ogni giorno 280g vengono rimossi e assorbiti dal plasma e 280g vengono depositati.
Questo processo di rimodellamento avviene nelle “unità multicellulari di base”, costituite da osteoblasti e osteoclasti (che secernono enzimi idrolitici e protoni per distruggere la matrice e permettere la liberazione e l’assorbimento di Ca++).
Gli osteoclasti derivano da un processo di differenziamento (precursore della famiglia dei fagociti -> pre-osteoclasto -> osteoclasto maturo), che dipende da molecole (M-CSF e RANKL) rilasciate dagli osteoblasti:
- più gli osteoblasti rilasciano questi fattori;
- più aumenta il numero di osteoclasti maturi attivi;
- aumenta il riassorbimento osseo e aumenta la concentrazione plasmatica di Ca++ (RANKL promuove anche l’attività dell’osteoclasto maturo);
gli osteoblasti possono anche inibire l’attività degli osteoclasti, rilasciando OPG, una citochina che lega RANKL e ne impedisce l’attività.
Quei fattori che stimolano il rilascio di OPG determinano un minor riassorbimento osseo e quindi riducono la calcemia;
Quei fattori che stimolano il rilascio di RANKL e M-CSF portano a un maggior riassorbimento osseo e quindi aumentano la calcemia.
A questo livello il riassorbimento di Ca++ è potenziato dal PTH e dalla vitamina D
a livello osseo, è presente 1kg di Ca++, e ogni giorno 280g vengono rimossi e assorbiti dal plasma e 280g vengono depositati.
Questo processo di rimodellamento avviene nelle “unità multicellulari di base”, costituite da osteoblasti e osteoclasti (che secernono enzimi idrolitici e protoni per distruggere la matrice e permettere la liberazione e l’assorbimento di Ca++).
Gli osteoclasti derivano da un processo di differenziamento (precursore della famiglia dei fagociti -> pre-osteoclasto -> osteoclasto maturo), che dipende da molecole (M-CSF e RANKL) rilasciate dagli osteoblasti:
- più gli osteoblasti rilasciano questi fattori;
- più aumenta il numero di osteoclasti maturi attivi;
- aumenta il riassorbimento osseo e aumenta la concentrazione plasmatica di Ca++ (RANKL promuove anche l’attività dell’osteoclasto maturo);
gli osteoblasti possono anche inibire l’attività degli osteoclasti, rilasciando OPG, una citochina che lega RANKL e ne impedisce l’attività.
Quei fattori che stimolano il rilascio di OPG determinano un minor riassorbimento osseo e quindi riducono la calcemia;
Quei fattori che stimolano il rilascio di RANKL e M-CSF portano a un maggior riassorbimento osseo e quindi aumentano la calcemia.
1) filtrazione e riassorbimento a livello renale;
2) assorbimento e secrezione a livello intestinale;
3) deposizione e assorbimento (da parte del plasma) a livello osseo;
A livello renale il Ca++ è liberamente filtrato (10g/giorno) e ne viene escreto solo l’1% (quindi riassorbimento del 99%). A questo livello il riassorbimento di Ca++ è potenziato dal PTH e dalla vitamina D..
a livello intestinale, vengono ingeriti 1000mg/giorno di Ca++ (soprattutto mediante latte e formaggi), ma ne vengono assorbiti solo 175mg/giorno. A questo livello l’assorbimento di Ca++ è potenziato dalla vitamina D (non direttamente dal PTH).
a livello osseo, è presente 1kg di Ca++, e ogni giorno 280g vengono rimossi e assorbiti dal plasma e 280g vengono depositati. A questo livello il riassorbimento di Ca++ è potenziato dal PTH e dalla vitamina D
da entrambi A LIVELLO OSSEO e A LIVELLO RENALE, solo dalla vitamina D (non direttamente dal PTH) A LIVELLO INTESTINALE,
Il paratormone (PTH) è un ormone di 84 amminoacidi, prodotto dalle cellule principali delle ghiandole paratiroidi, quattro ghiandole che si trovano sulla superficie posteriore dei lobi tiroidei.
Il PTH è sintetizzato da partire da un pre-pro-ormone di 115 amminoacidi:
- nel RER è sottoposto a un clivaggio di 25 amminoacidi dall’estremità N-terminale e si forma il
pro-ormone;
- successivamente nel Golgi avviene un ulteriore clivaggio di 6 amminoacidi e si forma l’ormone
che viene inserito nel granulo secretorio.
Il PTH è rilasciato nel plasma in forma libera; ha un’emivita di 10 minuti e il suo catabolismo avviene
a livello renale ed epatico.
Lo stimolo che regola la secrezione di PTH da parte delle cellule principali è esclusivamente la
calcemia stessa, per cui:
- alti livelli di Ca++ (ipercalcemia) inibiscono il rilascio di PTH;
- bassi livelli di Ca++ (ipocalcemia) stimolano il rilascio di PTH:
infatti le cellule principali presentano dei sensori per il Ca++, che sono dei recettori metabotropici accoppiati a proteina Gq (CaRS); quando il Ca++ è presente ad alte concentrazioni plasmatiche, si lega a questi recettori e attiva la via della fosfolipasi C, che determina l’inibizione della secrezione di PTH;
è un ormone di 84 amminoacidi, prodotto dalle cellule principali delle ghiandole paratiroidi, quattro ghiandole che si trovano sulla superficie posteriore dei lobi tiroidei.
Il PTH è sintetizzato da partire da un pre-pro-ormone di 115 amminoacidi:
- nel RER è sottoposto a un clivaggio di 25 amminoacidi dall’estremità N-terminale e si forma il
pro-ormone;
- successivamente nel Golgi avviene un ulteriore clivaggio di 6 amminoacidi e si forma l’ormone
che viene inserito nel granulo secretorio.
Il PTH è rilasciato nel plasma in forma libera; ha un’emivita di 10 minuti e il suo catabolismo avviene
a livello renale ed epatico.
Lo stimolo che regola la secrezione di PTH da parte delle cellule principali è esclusivamente la
calcemia stessa, per cui:
- alti livelli di Ca++ (ipercalcemia) inibiscono il rilascio di PTH;
- bassi livelli di Ca++ (ipocalcemia) stimolano il rilascio di PTH:
infatti le cellule principali presentano dei sensori per il Ca++, che sono dei recettori metabotropici accoppiati a proteina Gq (CaRS); quando il Ca++ è presente ad alte concentrazioni plasmatiche, si lega a questi recettori e attiva la via della fosfolipasi C, che determina l’inibizione della secrezione di PTH
La funzione del PTH è quella di AUMENTARE LA CALCEMIA, cioè la concentrazione plasmatica di Ca++.
Il PTH agisce con effetto diretto su due livelli: 1) A LIVELLO RENALE
2) A LIVELLO OSSEO
Inoltre il PTH ha anche un effetto indiretto sull’INTESTINO, in quanto, pur non agendo esso stesso a quel livello, stimola la sintesi di vitamina D che regola l’assorbimento intestinale di Ca++.
Per evitare che si generi una situazione esplosiva, in cui l’aumento della calcemia è esagerato, a sua volta la vitamina D attua un meccanismo a feedback negativo, con il quale va a inibire il rilascio di PTH da parte delle cellule principali.
1. LIVELLO RENALE
il PTH agisce sulle cellule tubulari del TCD, interagendo con il recettore PTH1R, accoppiato: - sia a proteina Gs -> via dell’Adenilato Ciclasi
- a proteina Gq -> via dell’Adenilato Ciclasi
queste due vie hanno l’effetto di determinare un aumento dell’espressione e dell’attività: - dei trasportatori TRPV5 e TRPV6 sul versante apicale;
- della pompa PMCA1b e dello scambiatore Na+/Ca++ NCX1 sul versante baso-laterale:
in questo modo si determina un maggiore riassorbimento di Ca++ a livello renale (e minore riassorbimento di Pi)
2. LIVELLO OSSEO
il PTH agisce sugli osteoblasti, interagendo con il recettore PTH1R, accoppiato: - sia a proteina Gs -> via dell’Adenilato Ciclasi
- a proteina Gq -> via dell’Adenilato Ciclasi
queste due vie hanno l’effetto di:
- stimolare il rilascio dei fattori RANKL e M-CSF, che promuovono il differenziamento degli
osteoclasti;
- inibire il rilascio di OPG:
in questo modo si determina un maggiore riassorbimento osseo e quindi una maggiore mobilizzazione di Ca++ a livello osseo.
Memoria esplicita o dichiarativa
si tratta di una memoria accessibile alla coscienza;
viene anche definita “memoria dichiarativa”, perché siamo in grado di dire perché ricordiamo qualcosa (ad es. mi ricordo questa cosa perché l’ho studiata, o mi ricordo questa cosa perché mi è accaduta).
A sua volta si distingue in:
- memoria semantica, se riguarda fatti studiati o appresi ma che non sono stati vissuti di persona; - memoria episodica, se riguarda fatti vissuti e appartenenti alla diretta esperienza.
Memoria implicita o non dichiarativa
si tratta di una memoria non accessibile alla coscienza;
viene anche definita “memoria non dichiarativa”, perché non siamo in grado di dire perché ricordiamo
qualcosa o sappiamo fare qualcosa (ad es. risolvere enigmi, abilità motorie, ecc...) Questi due tipi di memoria hanno substrati anatomici diversi:
1. la memoria dichiarativa dipende da strutture del lobo temporale mediale;
2. la memoria non dichiarativa è indipendente dal lobo temporale mediale ma dipendente da varie altre strutture a seconda del tipo di memoria implicita che si considera; osserviamo:
- ruolo del cervelletto nelle acquisizioni di memorie motorie
- ruolo dei gangli della base nelle memorie procedurali/abitudini
si tratta di una memoria accessibile alla coscienza;
viene anche definita “memoria dichiarativa”, perché siamo in grado di dire perché ricordiamo qualcosa (ad es. mi ricordo questa cosa perché l’ho studiata, o mi ricordo questa cosa perché mi è accaduta).
A sua volta si distingue in:
- memoria semantica, se riguarda fatti studiati o appresi ma che non sono stati vissuti di persona; - memoria episodica, se riguarda fatti vissuti e appartenenti alla diretta esperienza.
si tratta di una memoria non accessibile alla coscienza;
viene anche definita “memoria non dichiarativa”, perché non siamo in grado di dire perché ricordiamo
qualcosa o sappiamo fare qualcosa (ad es. risolvere enigmi, abilità motorie, ecc...) Questi due tipi di memoria hanno substrati anatomici diversi:
1. la memoria dichiarativa dipende da strutture del lobo temporale mediale;
2. la memoria non dichiarativa è indipendente dal lobo temporale mediale ma dipendente da varie altre strutture a seconda del tipo di memoria implicita che si considera; osserviamo:
- ruolo del cervelletto nelle acquisizioni di memorie motorie
- ruolo dei gangli della base nelle memorie procedurali/abitudini
La memoria è la capacità di immagazzinare le informazioni fornite dall’esperienza, e di recuperare gran parte di esse, sia consciamente che inconsciamente.
La memoria è parte integrante del processo di apprendimento, poiché permette non solo l’immagazzinamento ma anche e soprattutto il recupero delle informazioni.
Memoria immediata
consiste nell’acquisizione di informazioni per frazioni di secondo;
ha a che fare con i sistemi sensoriali, per cui riguarda il processo di acquisizione di stimoli uditivi, visivi (ad es. durante i movimenti saccadici degli occhi).
Se l’informazione è ritenuta rilevante, viene immagazzinata e passa nella memoria a breve termine
Memoria a breve termine
consiste nell’immagazzinamento di informazioni per secondi o minuti, con uno scopo (si possono ricordare max 7/9 cifre);
viene infatti chiamata “working memory”, perché l’informazione acquisita rimane per la durata di uno scopo, e poi viene dimenticata (ad es. quando si deve ricordare un numero di telefono);
però con la ripetizione, l’attenzione e la motivazione, l’informazione può passare nella memoria a lungo termine
Memoria a lungo termine
consiste nell’immagazzinamento di informazioni per giorni e anni, può durare anche per tutta la vita;
si basa su un processo definito “engramma”, per cui il consolidamento dell’informazione avviene tramite modificazioni dell’efficacia delle sinapsi o del numero di sinapsi;
l’informazione passa dalla memoria a breve termine a questo tipo di memoria, quando è sottoposta a processi di ripetizione, di attenzione e di motivazione.
Il processo che coinvolge e sostiene la memoria a lungo termine prevede una riorganizzazione di un circuito, una modificazione plastica (strutturale) del cervello.
Infatti la memoria è un fenomeno plastico e osserviamo una:
- plasticità a breve termine, come quella che riguarda il meccanismo della memoria a breve termine
- plasticità a lungo termine, cioè una modificazione che perdura nella forza delle connessioni, nella struttura, nel numero delle connessioni tra i neuroni che appartengono ai circuiti coinvolti nell’immagazzinamento della traccia amnesica, il cosiddetto engramma.
consiste nell’acquisizione di informazioni per frazioni di secondo;
ha a che fare con i sistemi sensoriali, per cui riguarda il processo di acquisizione di stimoli uditivi, visivi (ad es. durante i movimenti saccadici degli occhi).
Se l’informazione è ritenuta rilevante, viene immagazzinata e passa nella memoria a breve termine
consiste nell’immagazzinamento di informazioni per secondi o minuti, con uno scopo (si possono ricordare max 7/9 cifre);
viene infatti chiamata “working memory”, perché l’informazione acquisita rimane per la durata di uno scopo, e poi viene dimenticata (ad es. quando si deve ricordare un numero di telefono);
però con la ripetizione, l’attenzione e la motivazione, l’informazione può passare nella memoria a lungo termine
consiste nell’immagazzinamento di informazioni per giorni e anni, può durare anche per tutta la vita;
si basa su un processo definito “engramma”, per cui il consolidamento dell’informazione avviene tramite modificazioni dell’efficacia delle sinapsi o del numero di sinapsi;
l’informazione passa dalla memoria a breve termine a questo tipo di memoria, quando è sottoposta a processi di ripetizione, di attenzione e di motivazione.
Il processo che coinvolge e sostiene la memoria a lungo termine prevede una riorganizzazione di un circuito, una modificazione plastica (strutturale) del cervello.
Infatti la memoria è un fenomeno plastico e osserviamo una:
- plasticità a breve termine, come quella che riguarda il meccanismo della memoria a breve termine
- plasticità a lungo termine, cioè una modificazione che perdura nella forza delle connessioni, nella struttura, nel numero delle connessioni tra i neuroni che appartengono ai circuiti coinvolti nell’immagazzinamento della traccia amnesica, il cosiddetto engramma.
Un engramma è una sorta di traccia mnemonica che si organizza nel sistema nervoso come conseguenza di processi di apprendimento e di esperienza. Talvolta un engramma è anche considerato come una rete neurale o un frammento di memoria
memoria a breve termine
ha sede nella corteccia pre-frontale dorso-laterale, in cui i meccanismi di immagazzinamento si basano sulla plasticità dell’eccitabilità, per cui aumenta il firing dei neuroni in concomitanza con il mantenimento dell’informazione.
memoria a lungo termine
ha sede:
- nell’ippocampo e nel lobo temporale mediale, per quanto riguarda la ricezione e la memorizzazione dell’informazione;
- in una molteplicità di cortecce, per quanto riguarda il sito di immagazzinamento;
infatti l’ippocampo si occupa di consolidare l’informazione acquisita, tramite LTP, cioè potenziamento a lungo termine dell’efficienza delle connessioni sinaptiche;
poi ritrasmette l’informazione consolidata a un vasto numero di cortecce (infatti solo lesioni cerebrali molto estese comportano la perdita della memoria a lungo termine retrograda).
tre tipi di memoria hanno substrati anatomici diversi:
memoria a breve termine ha sede nella corteccia pre-frontale dorso-laterale, memoria a lungo termine
ha sede:
- nell’ippocampo e nel lobo temporale mediale, per quanto riguarda la ricezione e la memorizzazione dell’informazione;
- in una molteplicità di cortecce, per quanto riguarda il sito di immagazzinamento.
CASO CLINICO
A conferma di questo sono gli studi effettuati sul paziente H.M., che aveva un’epilessia intrattabile farmacologicamente con focolaio nel lobo temporale mediale, e fu quindi sottoposto a chirurgia invasiva, per rimuovere il lobo temporale mediale bilateralmente, con perdita dell’amigdala, dell’uncus e dell’ippocampo;
il paziente mantenne intatte le funzioni vitali, i processi cognitivi, l’intelligenza, la memoria a breve termine (questo ha permesso di comprendere che la working memory non ha sede nel lobo temporale mediale) e la memoria a lungo termine retrograda (questo ha permesso di comprendere che anche la memoria a lungo termine retrograda non ha sede nel lobo temporale mediale, infatti le informazioni non vengono immagazzinate nell’ippocampo, ma questo le ritrasmette a molte aree cerebrali);
tuttavia perse la capacità di immagazzinare nuove informazioni, cioè la memoria a lungo termine anterograda (infatti è proprio l’ippocampo la sede in cui le informazioni destinate alla memoria a lungo termine vengono acquisite e consolidate, tramite il processo di LTP: se manca l’ippocampo, non possono essere consolidati nuovi ricordi).
quattro distinte fasi:
1) Codificazione -> processo tramite il quale D8- a patologie neurodegenerative;
l’informazione viene acquisita (può trattarsi di un’informazione visiva, uditiva, di un concetto...);
il sistema presta attenzione ad uno stimolo considerato rilevante che viene quindi incanalato verso i circuiti coinvolti nel consolidamento e nell’ immagazzinamento.
2) Consolidamento -> processo tramite il quale l’informazione passa dalla memoria a breve termine alla memoria a lungo termine;
prevede modificazioni epigenetiche, cioè cambiano le caratteristiche cellulari dei neuroni, in termini di espressione genica e modificazioni più o meno permanenti a livello del DNA.
3) Conservazione -> consiste in una serie di meccanismi e aree cerebrali in cui quella traccia amnesica viene conservata:
- in strutture che la conservano per breve tempo (come la corteccia dorsolaterale pre- frontale)
- in strutture che la conservano per lungo tempo;
fino a che eventi scatenanti che posso essere la volontà stessa di ricordare o stimoli che richiamano quella traccia di memoria portano al processo del recupero
4) Recupero -> processo tramite il quale l’informazione viene richiamata e ri- rappresentata
Deficit a livello delle aree coinvolte nei processi di memorizzazione possono essere dovuti:
- a lesioni traumatiche;
in entrambi i casi si verifica la perdita della memoria, definita amnesia, che può essere di due tipi:
- amensia anterograda -> incapacità di immagazzinare nuove informazioni e stabilire nuovi ricordi;
- amnesia retrograda -> incapacità di recuperare ricordi stabiliti e presenti prima che intervenisse l’evento patologico.
è importante cosi come memorizzare anche il processo di dimenticare, di rimuovere informazioni che possono essere prive di significato per una reale attività;
esistono patologie che comportano deficit dei meccanismi che consentono di dimenticare, con conseguenze negative sulla capacità di condurre un normale stile di vita, perché si immagazzinano tutti gli input, compresi quelli inutili, e si verifica un overload di informazioni.
L’ippocampo riceve informazioni dalle strutture para-ippocampali e dalle cortecce in particolare la corteccia entorinale, che veicola le informazioni sensoriali che riguardano lo stimolo che poi costituirà la traccia della memoria.
Queste informazioni arrivano nell’ippocampo nel quale è possibile individuare due principali circuiti:
- un circuito diretto;
- un circuito indiretto;
che vedono come uscita dalla corteccia i neuroni piramidali della CA1 che poi:
- proiettano al subiculum;
- ri-inviano direttamente le informazioni alle cortecce da cui hanno ricevuto il segnale.
Il Circuito indiretto è un circuito tri- sinaptico che prevede: 1. una prima sinapsi glutammatergica (eccitatoria) delle fibre afferenti che portano le informazioni sensoriali sui dendriti delle cellule dei granuli del giro dentato.
2. Una seconda sinapsi glatammatergica (eccitatoria) in cui le cellule dei granuli del giro dentato si proiettano verso cellule piramidali della regione CA3.
3. Una terza sinapsi glutammatergica (eccitatoria) la regione CA3 proietta i suoi assoni verso la CA1, costituendo il noto fascio collaterale di Schaffer, facendo sinapsi con i dendriti dei neuroni piramidali della CA1.
Il Circuito indiretto è un circuito tri- sinaptico che prevede:
1. una prima sinapsi glutammatergica (eccitatoria) delle fibre afferenti che portano le informazioni sensoriali sui dendriti delle cellule dei granuli del giro dentato.
2. Una seconda sinapsi glatammatergica (eccitatoria) in cui le cellule dei granuli del giro dentato si proiettano verso cellule piramidali della regione CA3.
3. Una terza sinapsi glutammatergica (eccitatoria) la regione CA3 proietta i suoi assoni verso la CA1, costituendo il noto fascio collaterale di Schaffer, facendo sinapsi con i dendriti dei neuroni piramidali della CA1.
:
Viene rilasciato glutammato:
- si aprono i recettori AMPA;
- gli NMDA sono chiusi dal blocco da Mg++;
Se la trasmissione sinaptica avviene ad elevata frequenza il flusso entrante di Na+ attraverso gli AMPA determina una depolarizzazione tale da rimuovere rapidamente il blocco da Mg++ e apire i canali NMDA, con conseguente ingresso dei calcio;
L’elevata concentrazione di calcio attiva le chinasi (CaM-chinasi II e PKA) che tramite fosforilazione determina il rafforzamento della sinapsi.
Aumenti della concentrazione di Ca2+ nell’ordine di 5 micromolari portano a questo potenziamento a lungo termine;
Aumenti moderati nell’ordine di 1-2 micromolare danno luogo ad un fenomeno opposto ovvero la long term depression, utilizzata come controllo omeostatico a livello delle sinapsi.
La LTP ha sia una fase precoce sia una fase tardiva (mantiene attiva l’efficacia della sinapsi nel tempo).
1. La fase precoce è indipendente dall’espressione genica e si basa sul processo di induzione NMDA dipendente e sui meccanismi correlati all’aumento del Ca2+ intracellulare, si tratta di plasticità funzionale
2. La fase tardiva corrisponde al consolidamento della memoria ed è associata alla espressione genica:
il consolidamento, il mantenimento a lungo termine si basa meccanismi molecolari e pathway intracellulari innescati sempre dal Ca2+, ma che poi esitano nell’espressione genica di neurotrofine o di elementi strutturali della spina dendritica, che aumentano il numero delle spine dendritiche e la loro dimensione, associando alla aumentata funzione della sinapsi (ovvero la cosiddetta plasticità funzionale).
Questa è quella che viene chiamata la plasticità strutturale, che è una modificazione a lungo termine del circuito, del livello di forza e di connettività tra neuroni che hanno risposto a quello stimolo sensoriale complesso, processato dalle cortecce che trasmettono l’informazione all’ippocampo.
La memoria spaziale è una forma di memoria ippocampo-dipendente sia nell’uomo sia negli animali. La capacità di ricordare il percorso da effettuare per raggiungere un determinato luogo, è una memoria dichiarativa che può essere testata nel modello animale con test piuttosto semplici come ad esempio il Test del labirinto d’acqua di Morris. Si basa sulla presenza di:
PLACE CELLS (CELLULE DI LUOGO)
Sono delle cellule presenti nell’ippocampo e scaricano in maniera specifica quando l’animale occupa una specifica posizione nello spazio;
Non codificano lo spazio punto a punto, il codice per la scarica di questi neuroni non è determinato solo dalla posizione spaziale ma anche dalla scelta e dal valore di contenuto dell informazione
GRID CELLS (CELLULE GRIGLIA)
Sono delle cellule presenti nella corteccia entorinale che scaricano quando l’animale si trova in una delle posizioni all’interno di un esagono:
non codificano per una sola posizione ma hanno un campo recettivo più ampio
La memoria spaziale può essere testata nel modello animale con test piuttosto semplici come ad esempio il Test del labirinto d’acqua di Morris.
in una vasca ripiena d’acqua viene messa in una posizione specifica una piattaforma non visibile all’animale (qualche millimetro sotto il pelo dell’acqua). All’esterno della vasca ci sono dei punti di riferimento spaziali (esterni quindi alla piattaforma) visibili all’animale e che identificano la posizione della piattaforma. L’animale, non amando nuotare, una volta messo nell’acqua, cercherà una via d’uscita che è rappresentata dalla piattaforma.
Quindi il paradigma sperimentale è il seguente:
1. L’animale viene messo nella vasca
2. Inizia a nuotare
3. la prima volta l’animale troverà casualmente la piattaforma che gli consentirà di uscire dall’acqua
4. Si ripete il paradigma ponendo l’animale in punti diversi della vasca ma non variando i punti di riferimento esterni.
5. Quello che accade è che dopo numerosi trials successivi l’animale impiegherà molto meno tempo a raggiungere la piattaforma.
Si possono misurare:
- la latenza -> il tempo impiegato per raggiungere la piattaforma;
- la lunghezza del percorso;
entrambi diminuiranno nel tempo in animali sani, che rispetto alla prima identificazione casuale della piattaforma, nel tempo utilizzeranno riferimenti spaziali per ritrovare quella determinata posizione (anche se si varia il punto di partenza, ovvero il punto in cui l’animale è messo nella vasca).
Tale capacità di apprendimento è alterata, invece, in animali in cui sono state effettuate delle lesioni al livello dell’ippocampo e ciò dimostra che l’ippocampo è fondamentale nei processi di apprendimento.
Con lo stesso test si può anche testare la memoria: Ciò si testa ripetendo il paradigma dopo uno o più giorni eliminando la piattaforma. Ciò che si misura è il tempo trascorso nel quadrante prima occupato dalla piattaforma.
Si osserva che se l’animale è sano trascorre più tempo nel quadrante dove prima si trovava la piattaforma poiché ricorderà la sua posizione.
Il tempo trascorso nel quadrante target è l’indice misurabile di memoria spaziale.
Sono delle cellule presenti nell’ippocampo e scaricano in maniera specifica quando l’animale occupa una specifica posizione nello spazio;
Non codificano lo spazio punto a punto e soprattutto non rispondono solo a campi locazionali di tipo spaziale.
Queste rispondono:
- a stimoli correlati alla posizione dell’animale nell’ambiente;
- a stimoli che associano altre caratteristiche alla posizione dell’animale nell’ambiente;
Ad esempio: l’associazione dello stimolo con una ricompensa, con uno stimolo odoroso, con uno stimolo di altra natura. Quindi il codice per la scarica di questi neuroni non è determinato solo dalla posizione spaziale.
Questo è stato dimostrato con un altro esperimento che utilizza un labirinto ad Y, che si chiama ‘’Y maze’’: l’animale deve, per ottenere una ricompensa, attraversare il labirinto e andare o verso il braccio destro o verso il braccio sinistro.
Se le cellule di luogo codificassero per la posizione dell’animale nello spazio, ci aspetteremmo che le stesse cellule scarichino quando questo attraversa il punto comune di questo labirinto, sia quando va a destra che quando va a sinistra.
Invece, accade che le cellule di luogo sono diverse anche quando l’animale va a destra rispetto a quando va a sinistra.
Quindi indicano un percorso ma associato ad una scelta (in questo caso verso quale luogo andare).
Queste cellule quindi hanno un valore sia spaziale che un valore di contenuto di informazione.
Sono delle cellule presenti nella corteccia entorinale che scaricano quando l’animale si trova in una delle posizioni all’interno di un esagono:
non codificano per una sola posizione ma hanno un campo recettivo più ampio per cui scaricano quando l’animale si trova in una delle sei posizioni o perlomeno quando si trova all’interno di questa griglia esagonale.
Il compito dell’ippocampo è quello di porre in relazione (legare tra loro) gli elementi di un episodio. Il ruolo dell’ippocampo è non tanto di creare una mappa spaziale ma di mettere assieme informazioni
diverse che riguardano nel loro insieme l’informazione che viene acquisita e conservata nella memoria.
Il flusso di informazioni relative all’esperienza che stiamo memorizzando, convergono a collo di bottiglia a livello dell’ippocampo (all’ingresso del giro dentato), dove, grazie al sostegno della plasticità sinaptica, vengono messe insieme.
L’informazione nell’ippocampo non rimane come memoria a lungo termine ma viene solo immagazzinata per un breve periodo (non è la memoria a lungo termine).
Dopo un certo tempo queste memorie vengono ritrasferite ad altri centri (non si sa quali siano ma sappiamo che sono più di uno, quindi per perdere completamente la memoria anterograda è necessario davvero una distruzione dell’intero cervello). Dall’ippocampo vi sono proiezioni diffuse di nuovo verso le cortecce che hanno inviato le informazioni e molto probabilmente le stesse cortecce da cui il segnale è nato prevalentemente (se l’informazione è di natura visiva prevalentemente a livello delle cortecce visiva, se è di natura uditiva a livello delle cortecce uditive).
Dall’ippocampo vi sono proiezioni diffuse di nuovo verso le cortecce che hanno inviato le informazioni e molto probabilmente le stesse cortecce da cui il segnale è nato prevalentemente (se l’informazione è di natura visiva prevalentemente a livello delle cortecce visiva, se è di natura uditiva a livello delle cortecce uditive).
Questo ha a che fare anche con il meccanismo di recupero dell’informazione: laddove uno stimolo è molto spesso uno stimolo che ha a che fare con con quello che ha per primo suscitato l’espediente, è in grado di determinarne il recupero.
Sicuramente un ruolo importante nel processo di recupero delle informazioni è attribuito alla corteccia frontale che risulta attivata (misurabile tramite analisi del metabolismo cerebrale ) in modo particolare durante compiti di recupero della memoria.
la traccia di memoria a lungo termine è conservata in più zone. L’informazione nell’ippocampo (che mettere assieme informazioni
diverse che riguardano nel loro insieme l’informazione che viene acquisita e conservata nella memoria, ponendo in relazione (legare tra loro) gli elementi di un episodio) non rimane come memoria a lungo termine ma viene solo immagazzinata per un breve periodo (non è la memoria a lungo termine).
Dopo un certo tempo queste memorie vengono ritrasferite ad altri centri (non si sa quali siano ma sappiamo che sono più di uno, quindi per perdere completamente la memoria anterograda è necessario davvero una distruzione dell’intero cervello). infatti l’ippocampo si occupa di consolidare l’informazione acquisita, tramite LTP, cioè potenziamento a lungo termine dell’efficienza delle connessioni sinaptiche;
poi ritrasmette l’informazione consolidata a un vasto numero di cortecce (infatti solo lesioni cerebrali molto estese comportano la perdita della memoria a lungo termine retrograda).
è un tipo di MEMORIA A BREVE TERMINE. coinvolge la corteccia frontale ed in particolare la corteccia frontale dorsolaterale.
I meccanismi sono ben più complessi proprio per la durata di questo tipo di memoria, non coinvolgono in maniera così importante il processo di potenziamento a lungo termine (di rafforzamento della sinapsi) ma più probabilmente coinvolgono un processo di potenziamento dell’attività di scarica.
Quindi, l’informazione in memoria a breve termine sarebbe codificata da un aumento persistente della frequenza di scarica in associazione all’evento che porta a trattenere l’informazione per il tempo necessario per svolgere un compito.
La memoria implicita è quella funzione che ci consente di conservare delle forme di nozioni acquisite senza un‘applicazione cosciente che guidano il comportamento in maniera inconscia;
Anche l’apprendimento per associazione e l’apprendimento non associativo e il priming) sono considerati forme di memoria implicita.
Fa parte della MEMORIA IMPLICITA (PROCEDURALE/NON DICHIARATIVA) .
Il priming (chiamato anche ‘’facilitazione’’ o innesco) è quel processo attraverso cui informazioni a cui si è esposti anche non volontariamente, condizionano un comportamento successivo.
ESEMPIO: studio in cui dei volontari sono stati esposti ad una serie di parole, senza saperne il motivo, con un pretesto futile. Esposti a queste parole i soggetti venivano poi testati in una prova in cui gli si chiedeva di riempire una lista di parole di cui veniva data solo l’iniziale o le prime 2/3 lettere, quindi con numerose combinazioni possibili. Si osservava che la maggior parte dei partecipanti completava le parole con la parola/una delle parole a cui era stato esposto il giorno precedente. Quindi quelle parole erano rimaste nella memoria e avevano condizionato la loro scelta successiva.
Fa parte della MEMORIA IMPLICITA (PROCEDURALE/NON DICHIARATIVA) .
Assuefazione: progressiva diminuzione dell’ampiezza o della probabilità di una risposta a una monotona presentazione di uno stimolo non nocivo.
Quindi la prolungata esposizione ad uno stimolo non nocivo determina una modificazione plastica in un circuito che risponde di meno allo stimolo.
Sensibilizzazione: aumento della risposta ad un stimolo innocuo in conseguenza della ricezione di uno. stimolo di forte intensità o nocivo.
Anche in questo caso si ha un cambiamento classico a livello del circuito che porta ad un aumento della risposta (quindi un aumento di contatti sinaptici) a livello del sistema efferente/motorio.
Fa parte della MEMORIA IMPLICITA (PROCEDURALE/NON DICHIARATIVA) .
CONDIZIONAMENTO CLASSICO DI PAVLOV: lo stimolo che per normalmente non induce quella risposta, per associazione, determina quel tipo di risposta.
CONDIZIONAMENTO OPERANTE: il soggetto deve fare qualcosa (operare sull'ambiente) per ottenere un risultato. Il soggetto impara che uno specifico comportamento è strumentale per ottenere un certo risultato: - Se il risultato è favorevole, il soggetto tende a ripetere quel dato comportamento; - se il risultato è svantaggioso, quel certo comportamento non viene ripetuto.
Fa parte della MEMORIA IMPLICITA (PROCEDURALE/NON DICHIARATIVA, dell APPRENDIMENTO ASSOCIATIVO
CONDIZIONAMENTO OPERANTE: il soggetto deve fare qualcosa (operare sull'ambiente) per ottenere un risultato. Il soggetto impara che uno specifico comportamento è strumentale per ottenere un certo risultato: - Se il risultato è favorevole, il soggetto tende a ripetere quel dato comportamento; - se il risultato è svantaggioso, quel certo comportamento non viene ripetuto. Quindi mentre nel condizionamento classico si ha una ripetuta associazione tra due stimoli che porta ad una nuova risposta nelle condizionamento operante si ha l'associazione di uno stimolo con la conseguenza che può essere una ricompensa o una punizione e questo influenzerà l'azione
- bipolari -> misurano le differenze di potenziale tra due elettrodi;
- monopolari -> se misurano la differenza di potenziale tra un elettrodo e l’elettrodo di riferimento.
L’enorme numero di fenomeni bioelettrici che si verifica in ogni istante nella corteccia cerebrale determina la generazione di oscillazioni di potenziale elettrico (onde) registrabili mediante elettrodi applicati al cuoio capelluto.
Dalla registrazione di questi segnali elettrici si ottiene l’EEG.
Tutta l’attività elettrica cerebrale porta alla formazione di dipoli elettrici, che generano un campo elettrico, il quale può essere misurato con elettrodi applicati superficialmente (cioè al cuoio capelluto) in punti specifici (stabiliti da convenzioni cliniche), detti punti di derivazione;
si ottengono così registrazioni simultanee dell’attività elettrica cerebrale da più punti di riferimento. Le misurazioni possono essere:
- bipolari -> misurano le differenze di potenziale tra due elettrodi;
- monopolari -> se misurano la differenza di potenziale tra un elettrodo e l’elettrodo di riferimento. Quello che si sa con un buon grado di certezza è che:
- l’elettrodo di superficie registra gli eventi elettrici delle porzioni più superficiali della corteccia; - l’attività elettrica registrata non è dovuta a potenziali d’azione ma in particolar modo ad eventi
post-sinaptici;
QUINDI le onde sul tracciato sarebbero la risultante delle correnti elettriche che si generano all’arrivo di segnali eccitatori prevalentemente sui dendriti apicali di neuroni piramidali del V strato o del II e III.
Questi eventi elettrici sono correlati prevalentemente alle proiezioni talamo-corticali, le quali direttamente, o indirettamente attraverso circuiti locali, determinano eventi di depolarizzazione o iper-polarizzazione a livello dei dendriti di neuroni piramidali.
Inoltre gli elettrodi di superficie non registrano il singolo evento di depolarizzazione, o iper- polarizzazione, ma la somma di tutti gli eventi che si stanno manifestando nello stesso istante in un determinato punto, quello in cui è applicato l’elettrodo.
Vi sono sia potenziali post-sinaptici eccitatori che inibitori.
l’attività elettrica registrata non è dovuta a potenziali d’azione ma in particolar modo ad eventi
post-sinaptici;
QUINDI le onde sul tracciato sarebbero la risultante delle correnti elettriche che si generano all’arrivo di segnali eccitatori prevalentemente sui dendriti apicali di neuroni piramidali del V strato o del II e III.
Questi eventi elettrici sono correlati prevalentemente alle proiezioni talamo-corticali, le quali direttamente, o indirettamente attraverso circuiti locali, determinano eventi di depolarizzazione o iper-polarizzazione a livello dei dendriti di neuroni piramidali.
Inoltre gli elettrodi di superficie non registrano il singolo evento di depolarizzazione, o iper- polarizzazione, ma la somma di tutti gli eventi che si stanno manifestando nello stesso istante in un determinato punto, quello in cui è applicato l’elettrodo.
Il ritmo α, caratteristico della veglia ad occhi chiusi, è caratterizzato da onde con: - piccola ampiezza (nell’ordine di mV) -> desincronizzata
- frequenza dagli 8-13 HZ.
Il ritmo β, caratteristico della veglia ad occhi aperti, è caratterizzato da onde (β) con: - frequenza maggiore (superiore ai 13 Hz);
- un’ampiezza inferiore.
L'apertura degli occhi porta, infatti, ad un flusso di informazioni visive che devono essere processate dalla corteccia, e conseguentemente aumentano le proiezioni talamo-corticali;
Le onde β sono più facilmente registrabili nei punti di derivazione a livello del lobo occipitale e parietale.
Quello che notò Hans Berger è che le diverse bande sul tracciato EEG correlavano poi con un diverso comportamento, ovvero che nel passaggio dalla veglia al sonno si assiste ad una progressiva diminuzione della frequenza delle onde sul tracciato e ad un aumento della loro ampiezza.
Le onde θ (theta), caratteristiche delle prime fasi del sonno (addormentamento), hanno, infatti: - una frequenza dai 4-8 HZ;
- ampiezza maggiore rispetto alle α e β (si arriva fino ai 200 mV).
In realtà, queste onde possono comparire fisiologicamente anche nello stato di veglia.
Nel sonno profondo con le onde δ si assiste ad un ulteriore - diminuzione della frequenza (minore ai 4 Hz);
- aumento dell’ampiezza.
nel passaggio dalla veglia al sonno si assiste ad una progressiva diminuzione della frequenza delle onde sul tracciato e ad un aumento della loro ampiezza.
Il ritmo α, caratteristico della veglia ad occhi chiusi, è caratterizzato da onde con: - piccola ampiezza (nell’ordine di mV) -> desincronizzata
- frequenza dagli 8-13 HZ. Il ritmo β, caratteristico della veglia ad occhi aperti, è caratterizzato da onde (β) con: - frequenza maggiore (superiore ai 13 Hz);
- un’ampiezza inferiore.
Le onde θ (theta), caratteristiche delle prime fasi del sonno (addormentamento), hanno, infatti: - una frequenza dai 4-8 HZ;
- ampiezza maggiore rispetto alle α e β (si arriva fino ai 200 mV).
Nel sonno profondo con le onde δ si assiste ad un ulteriore - diminuzione della frequenza (minore ai 4 Hz);
- aumento dell’ampiezza.
Il ritmo α, caratteristico della veglia ad occhi chiusi, è caratterizzato da onde con: - piccola ampiezza (nell’ordine di mV) -> desincronizzata
- frequenza dagli 8-13 HZ.
Il ritmo β, caratteristico della veglia ad occhi aperti, è caratterizzato da onde (β) con: - frequenza maggiore (superiore ai 13 Hz);
- un’ampiezza inferiore.
L'apertura degli occhi porta, infatti, ad un flusso di informazioni visive che devono essere processate dalla corteccia, e conseguentemente aumentano le proiezioni talamo-corticali;
Le onde β sono più facilmente registrabili nei punti di derivazione a livello del lobo occipitale e parietale.
- funzioni ristorative -> la calorimetria non cambia tantissimo in termini di consumo energetico, ma il consumo energetico del cervello diminuisce sicuramente.
- conservazione dell’energia (per il cervello, agli astrociti di immagazzinare glucosio come glicogeno che poi sarà reso disponibile ai neuroni)
- ricalibrazione dei circuiti neuronali -> sono stati messi in evidenza fenomeni di plasticità durante le
fasi del sonno.
- consolidamento della memoria
- omeostasi sinaptica -> riduzione del numero di spine e di processi dendritici durante il sonno.
Il sonno può essere definito da un punto di vista elettrofisiologico come caratterizzato da onde cerebrali caratteristiche, la fase del sonno è associata da un’attività celebrale diversa da quella che noi abbiamo durante la fase di veglia.
Da un punto di vista comportamentale il sonno può essere definito come uno stato in cui abbiamo una sospensione temporanea della coscienza, uno stato in cui il nostro cervello si distacca dal mondo esterno e le informazioni sensoriali vengono bloccate o in ingresso (cancello talamico) o successivamente (a livello corticale).
fase NON REM -> comprende degli stadi che si susseguono in sequenza temporale: N1, N2, N3.
SONNO NREM, STADIO 1 (N1)
Il passaggio dalla veglia al sonno avviene attraverso uno stadio di transizione, in cui l’attività α scompare e il tracciato EEG è dominato da onde di basso voltaggio e
frequenza mista, con predominanza di attività θ.
I movimenti oculari rallentano e il tono muscolare si riduce.
Nello stadio 1 la capacità di rispondere a stimoli sensoriali è ridotta, ma un soggetto risvegliato da questa fase di sonno spesso è convinto di non essersi addormentato.
L’attività motoria può persistere per vari secondi durante lo stadio 1 e in alcuni casi ci sono improvvise contrazioni muscolari (scosse ipniche) a volte accompagnate da una sensazione di cadere nel vuoto e da immagini di tipo onirico.
SONNO NREM, DRADIO 2 (N2)
Lo stadio 1 è seguito dopo alcuni minuti dallo stadio 2, che si annuncia sul tracciato EEG con la comparsa di complessi K e fusi del sonno. I complessi K sono Formati da un’onda acuta negativa di grande ampiezza seguita da un’onda lenta positiva.
I fusi del sonno sono oscillazioni di ampiezza crescente e decrescente con una frequenza di 12-14 cicli al secondo.
Sia i movimenti oculari sia il tono muscolare sono ridotti.
La soglia per il risveglio è nettamente aumentata e soggetti risvegliati da questa fase di sonno in genere confermano che stavano dormendo e riferiscono brevi sogni. SONNO NREM, STADIO 3 (N3)
Lo stadio 2 è seguito, soprattutto nella prima parte della notte, da un periodo di sonno durante il quale il tracciato EEG è dominato da onde lente (onde δ) che nell’uomo hanno una frequenza inferiore ai due cicli al secondo.
Più il sonno diventa profondo, più:
- l’oscillazione lenta aumenta di ampiezza; - l’oscillazione lenta diventa più frequente (quindi si ha una bassa frequenza). I movimenti oculari sono del tutto assenti durante gli stadi 3 e 4 e l’attività muscolare si riduce ulteriormente rispetto allo stadio 2.
Gli stadi 3 e 4 costituiscono insieme il sonno a onde lente, detto anche sonno δ o sonno profondo perché la soglia per il risveglio è più alta di quella dello stadio 2.
Il risveglio dal sonno a onde lente è spesso accompagnato da una certa confusione e l’attività onirica è ridotta o assente.
Mettiamo a confronto:
- l’elettroencefalogramma (EEG) nell’area 4 (corteccia motoria);
- l’elettroencefalogramma (EEG) nell’area 21 (corteccia parietale);
- l’EOG (l’elettrooculogramma, in grado di registrare il movimento degli occhi);
- l’EMG (elettromiografia riferita a un gruppo specifico di muscoli);
- la registrazione dell’attività elettrica dei neuroni corticali piramidali (RI: registrazione intracellulare).
Il passaggio dalla veglia al sonno avviene attraverso uno stadio di transizione, in cui l’attività α scompare e il tracciato EEG è dominato da onde di basso voltaggio e
frequenza mista, con predominanza di attività θ.
I movimenti oculari rallentano e il tono muscolare si riduce.
Nello stadio 1 la capacità di rispondere a stimoli sensoriali è ridotta, ma un soggetto risvegliato da questa fase di sonno spesso è convinto di non essersi addormentato.
L’attività motoria può persistere per vari secondi durante lo stadio 1 e in alcuni casi ci sono improvvise contrazioni muscolari (scosse ipniche) a volte accompagnate da una sensazione di cadere nel vuoto e da immagini di tipo onirico.
Lo stadio 1 è seguito dopo alcuni minuti dallo stadio 2, che si annuncia sul tracciato EEG con la comparsa di complessi K e fusi del sonno.
I complessi K sono Formati da un’onda acuta negativa di grande ampiezza seguita da un’onda lenta positiva.
I fusi del sonno sono oscillazioni di ampiezza crescente e decrescente con una frequenza di 12-14 cicli al secondo.
Sia i movimenti oculari sia il tono muscolare sono ridotti.
La soglia per il risveglio è nettamente aumentata e soggetti risvegliati da questa fase di sonno in genere confermano che stavano dormendo e riferiscono brevi sogni.
Lo stadio 2 è seguito, soprattutto nella prima parte della notte, da un periodo di sonno durante il quale il tracciato EEG è dominato da onde lente (onde δ) che nell’uomo hanno una frequenza inferiore ai due cicli al secondo.
Più il sonno diventa profondo, più:
- l’oscillazione lenta aumenta di ampiezza; - l’oscillazione lenta diventa più frequente (minore frequenza)
Una precedente nomenclatura distingueva stadio 3 e 4 in base alla percentuale delle onde δ:
- meno del 50% nello stadio 3;
- più del 50% nello stadio 4;
poi questo tipo di classificazione è venuta meno.
I movimenti oculari sono del tutto assenti durante gli stadi 3 e 4 e l’attività muscolare si riduce ulteriormente rispetto allo stadio 2.
Gli stadi 3 e 4 costituiscono insieme il sonno a onde lente, detto anche sonno δ o sonno profondo perché la soglia per il risveglio è più alta di quella dello stadio 2.
Il risveglio dal sonno a onde lente è spesso accompagnato da una certa confusione e l’attività onirica è ridotta o assente.
Dopo un progressivo approfondirsi dallo stadio 2 allo stadio 4, il sonno NREM torna ad alleggerirsi e ritorna allo stadio 2, per poi lasciare spazio allo stadio REM il cui nome è dovuto alla presenza di movimenti oculari rapidi.
Il sonno REM è anche chiamato sonno paradossale perché il tracciato EEG è simile a quello della veglia o dello stadio 1 del sonno. Nel sonno REM si distinguono fenomeni tonici (persistenti) e fasici (episodici).
I fenomeni tonici includono il tracciato EEG “attivato” e una profonda atonia dei muscoli antigravitazionali (i muscoli che normalmente assicurano la posizione del corpo opponendosi all’azione della gravità).Il tono muscolare persiste, invece, nei muscoli extraoculari e nel diaframma.
I fenomeni fasici includono scariche irregolari di movimenti oculari e scosse muscolari rapide.
Il sonno REM è una fase di sonno profondo, nel senso che la soglia per il risveglio è alta quanto quella del sonno a onde lente.
Tuttavia, soggetti risvegliati dal sonno REM, soprattutto durante le ore del mattino, riferiscono quasi invariabilmente sogni vividi e prolungati
Il ciclo di sonno NREM-REM nell’uomo dura 90-110 minuti e si ripete 4-5 volte nell’arco di una notte.
Il sonno a onde lente prevale nella prima fase della notte, soprattutto durante il primo periodo di sonno NREM, e poi si riduce.
Nel corso della notte, mentre le onde lente si attenuano, la fase di sonno REM si allunga e diviene più ricca di attività fasiche.
In soggetti adulti normali, la percentuale di tempo trascorso nei diversi stadi di sonno e la loro successione sono molto stabili. il sonno REM viene definito il sonno in cui il cervello è elettricamente attivo in un corpo inattivo; il sonno non-REM definito il sonno in cui c’è un corpo attivo in un cervello inattivo.
In realtà nessuno dei due modi di dire è corretto, nel senso che il cervello è sempre attivo (per attivo intendiamo la capacità di ricevere segnali dal mondo esterno), seppure in modo diverso nelle due condizioni.
il sonno REM viene definito il sonno in cui il cervello è elettricamente attivo in un corpo inattivo; il sonno non-REM definito il sonno in cui c’è un corpo attivo in un cervello inattivo.
Durante il sonno REM il tracciato torna ad essere attivato come nella veglia o nello stadio N1 di sonno.
La base di questa attivazione è la stessa della veglia: la depolarizzazione tonica dei neuroni talamici e corticali dovuta alla chiusura dei canali per il k+.
Questa chiusura è dovuta al fatto che i livelli di acetilcolina torna ad essere elevati.
Ci sono ipotesi secondo le quali durante la fase REM l’attenzione sarebbe rivolta più all’attività intrinseca del cervello anziché agli stimoli esterni. Questo oerche I neuroni colinergici della sostanza reticolare attivante sono coinvolti nella genesi del sonno REM:
- hanno una scarica elevata sia durante la veglia sia durante il sonno REM
Nel sonno REM però tutti i livelli dei neuromodulatori sono bassi ad eccezione dell’acetilcolina, responsabile della chiusura dei canali del potassio e quindi dello stato di depolarizzazione che accompagna l’upstate.
Durante lo stato di veglia i livelli di tutti questi neuromodulatori sono alti e questo dà l’upstate dei neuroni del talamo e della corteccia.
Nelle condizioni di downstate, di oscillazione lenta, tutti i neuromodulatori sono a livelli bassi e l’attività di questi centri è ridotta.
Nel sonno REM però tutti i livelli dei neuromodulatori sono bassi ad eccezione dell’acetilcolina, responsabile della chiusura dei canali del potassio e quindi dello stato di depolarizzazione che accompagna l’upstate.
Durante la veglia l’area ipotalamica laterale produce l’oressina, la cui diminuzione induce lo stato di sonno fino alla narcolessia, in caso di una sua alterazione importazione.
la stimolazione elettrica della sostanza reticolare attivata del tronco dell’ encefalo poteva interrompere il sonno ad onde lente e far passare l’animale nello stato di veglia.
La stimolazione elettrica del talamo a bassa frequenza induce il sonno a onde lente.
Il sonno REM è caratterizzato da onde:
- originano nella sostanza reticolare pontina;
- si propagano al nucleo genicolato laterale e alla corteccia occipitale;
-> onde ponto-genicolo-occipitali che segnalano l’inizio del sonno REM.
La sostanza reticolare attivante proietta ai collicoli superiori e genera il movimento degli occhi caratteristico del sonno REM.
- hanno una scarica elevata sia durante la veglia sia durante il sonno REM (in assenza di stimoli visivi i segnali endogeni dalla sostanza reticolare pontina vengono trasmessi ai motoneuroni dei collicoli superiori che governano il movimento oculare)
- hanno scarsa attività nel sonno NREM.
Durante il sonno REM il tracciato torna ad essere attivato come nella veglia o nello stadio N1 di sonno.
La base di questa attivazione è la stessa della veglia: la depolarizzazione tonica dei neuroni talamici e corticali dovuta alla chiusura dei canali per il k+.
Questa chiusura è dovuta al fatto che i livelli di acetilcolina torna ad essere elevati.
All’addormentamento nella corteccia e nel talamo si riduce notevolmente il rilascio di acetilcolina e di altri neuromodulatori.
Questo ha come conseguenza l’apertura dei canali del k+ sulla membrana dei neuroni corticali Che attraverso la fuoriuscita degli ioni k+ determina iperpolarizzazione.
L’iperpolarizzazione induce una serie di correnti ioniche intrinseche che inducono un’oscillazione lenta del potenziale della durata di circa un secondo.
L’oscillazione lenta è composta da due fasi: - down-state (iperpolarizzazione) -> onda negativa di grande d’ampiezza nell’EEG;
- up-state (depolarizzazione) -> condizione di scarica tonica.
L’oscillazione lenta è presente in tutti i neuroni corticali, si sincronizza in tutta la corteccia mediante le connessioni cortico-corticali e diventa registrabile mediante EEG.
L’oscillazione lenta si comporta come un’onda viaggiante che attraversa ampie regioni della corteccia cerebrale.
Le oscillazioni lente sono molto rare durante N1, occorrono con una frequenza di circa 5 al minuto nello stadio N2 e 10-20 al minuto nello stadio N3.
Nella maggior parte dei casi iniziano nella parte anteriore del cervello e si propagano verso le regioni posteriori (l’andamento ricorda le onde di contrazione e rilassamento le cuore e originando dal pacemaker sinusale si propagano lungo il sistema di conduzione e attraversano il tessuto cardiaco). I complessi K dello stadio N2 non sono altro che singole oscillazioni lente, spesso indotte da stimoli esterni, che spiccano con particolare evidenza nel tracciato EEG semplicemente perché infrequenti.
I fusi del sonno avvengono durante la fase di depolarizzazione dell’oscillazione lenta e vengono scatenati nei circuiti talamici quando la corteccia cerebrale entra nell’up-state.
Questo avviene perché la forte scarica corticale associata all’up-state eccita i neuroni del nucleo reticolare del talamo, che a loro volta inibiscono fortemente i neuroni talamocorticali.
La forte inibizione dei neuroni talamocorticali scatena correnti ioniche intrinseche che determinano una scarica di potenziali d’azione di rimbalzo (rebound).
Queste scariche si diffondono attraverso i circuiti talamoreticolari locali e producono scariche oscillatorie di circa 8-12 cicli al secondo che, sincronizzate dai circuiti corticotalamici, appaiono nel tracciato EEG come fusi del sonno.
Le onde lente dello stadio N3 sono espressione pura di oscillazioni lente (meno di un ciclo al secondo) che si propagano all’intera corteccia cerebrale.
Il tracciato EEG della veglia contiene attività irregolare a basso voltaggio e alta frequenza (classico ritmo β ad occhi aperti).
Tale “attivazione” si riferisce al fatto che la maggior parte dei neuroni della corteccia cerebrale è tonicamente depolarizzata e vicina alla soglia di scarica del potenziale d’azione.
La depolarizzazione sembrerebbe correlata alla chiusura dei canali per il potassio sotto il controllo dei recettori metabotropici associati all’acetilcolina.
L’acetilcolina e gli altri neuromodulatori mantengono lo stato di arousal caratterizzato dall’attività di scarica dei neuroni depolarizzati in relazione a input talamici.
L’oscillazione lenta è presente in tutti i neuroni corticali, si sincronizza in tutta la corteccia mediante le connessioni cortico-corticali e diventa registrabile mediante EEG.
L’oscillazione lenta si comporta come un’onda viaggiante che attraversa ampie regioni della corteccia cerebrale.
L’oscillazione lenta è composta da due fasi: - down-state (iperpolarizzazione) -> onda negativa di grande d’ampiezza nell’EEG;
- up-state (depolarizzazione) -> condizione di scarica tonica. Il passaggio dall'up State in cui i neuroni cortico cali scaricano in maniera tonica 40 Hz al Down State in cui si ha un'assenza completa dell'attività sinaptica nelle reti neuronali corticali caratteristica del sonno si ha per la riduzione dell'acetilcolina che porta all'apertura dei canali del potassio e all'iperpolarizzazione che induce una serie di correnti ioniche intrinseche che inducono l'oscillazione lenta del potenziale per un secondo
I fusi del sonno avvengono durante la fase di depolarizzazione dell’oscillazione lenta e vengono scatenati nei circuiti talamici quando la corteccia cerebrale entra nell’up-state. I fusi del sonno sono oscillazioni di ampiezza crescente e decrescente con una frequenza di 12-14 cicli al secondo.
Questo avviene perché la forte scarica corticale associata all’up-state eccita i neuroni del nucleo reticolare del talamo, che a loro volta inibiscono fortemente i neuroni talamocorticali.
La forte inibizione dei neuroni talamocorticali scatena correnti ioniche intrinseche che determinano una scarica di potenziali d’azione di rimbalzo (rebound).
Queste scariche si diffondono attraverso i circuiti talamoreticolari locali e producono scariche oscillatorie di circa 8-12 cicli al secondo che, sincronizzate dai circuiti corticotalamici, appaiono nel tracciato EEG come fusi del sonno.
effetto inibitorio verso TE, inibiti centri di controllo motorio e si ha paralisi muscolari. effetto eccitatorio sul collicolo superiore che porta a movimenti oculari e sulla corteccia che porta a ripresa attivita cerebrale
La funzione del PTH è quella di AUMENTARE LA CALCEMIA.
il PTH agisce sulle cellule tubulari del TCD, interagendo con il recettore PTH1R, accoppiato: - sia a proteina Gs -> via dell’Adenilato Ciclasi
- a proteina Gq -> via dell’Adenilato Ciclasi
queste due vie hanno l’effetto di determinare un aumento dell’espressione e dell’attività: - dei trasportatori TRPV5 e TRPV6 sul versante apicale;
- della pompa PMCA1b e dello scambiatore Na+/Ca++ NCX1 sul versante baso-laterale:
in questo modo si determina un maggiore riassorbimento di Ca++ a livello renale (e minore riassorbimento di Pi)
La funzione del PTH è quella di AUMENTARE LA CALCEMIA, cioè la concentrazione plasmatica di Ca++.
il PTH agisce sugli osteoblasti, interagendo con il recettore PTH1R, accoppiato: - sia a proteina Gs -> via dell’Adenilato Ciclasi
- a proteina Gq -> via dell’Adenilato Ciclasi
queste due vie hanno l’effetto di:
- stimolare il rilascio dei fattori RANKL e M-CSF, che promuovono il differenziamento degli
osteoclasti;
- inibire il rilascio di OPG:
in questo modo si determina un maggiore riassorbimento osseo e quindi una maggiore mobilizzazione di Ca++ a livello osseo.
La vitamina D agisce con effetto diretto su tre livelli: 1. LIVELLO RENALE
a livello renale, la vitamina D agisce sulle cellule tubulari del TCD, interagendo con un recettore intracitoplasmatico, che determina un aumento dell’espressione e dell’attività:
- dei trasportatori TRPV5 e TRPV6 sul versante apicale;
- della pompa PMCA1b e dello scambiatore Na+/Ca++ NCX1 sul versante baso-laterale:
in questo modo si determina un maggiore riassorbimento di Ca++ a livello renale
2. LIVELLO OSSEO
a livello osseo, La vitamina D agisce sugli osteoblasti:
- stimolando il rilascio dei fattori RANKL e M-CSF, che promuovono il differenziamento degli
osteoclasti;
- inibendo il rilascio di OPG:
in questo modo si determina un maggiore riassorbimento osseo e quindi una maggiore mobilizzazione di Ca++ a livello osseo.
3. LIVELLO INTESTINALE
A livello intestinale, la vitamina D agisce sugli enterociti, permettendo una maggiore espressione dei canali TRPV5 e TRPV6 e della pompa PMCA, e determinando quindi un maggiore riassorbimento di Ca++ a livello intestinale.
Anche se determina un maggiore processo degradativo dell’osso che porta Ca++ nel sangue, si dice che la vitamina D facilita la formazione di osso, perché aumenta l’assorbimento di Ca++ a livello intestinale, quindi fa sì che comunque ci sia più Ca++ disponibile per la formazione di osso.
a livello renale, la vitamina D agisce sulle cellule tubulari del TCD, interagendo con un recettore intracitoplasmatico, che determina un aumento dell’espressione e dell’attività:
- dei trasportatori TRPV5 e TRPV6 sul versante apicale;
- della pompa PMCA1b e dello scambiatore Na+/Ca++ NCX1 sul versante baso-laterale:
in questo modo si determina un maggiore riassorbimento di Ca++ a livello renale
a livello osseo, La vitamina D agisce sugli osteoblasti:
- stimolando il rilascio dei fattori RANKL e M-CSF, che promuovono il differenziamento degli
osteoclasti;
- inibendo il rilascio di OPG:
in questo modo si determina un maggiore riassorbimento osseo e quindi una maggiore mobilizzazione di Ca++ a livello osseo.
A livello intestinale, la vitamina D agisce sugli enterociti, permettendo una maggiore espressione dei canali TRPV5 e TRPV6 e della pompa PMCA, e determinando quindi un maggiore riassorbimento di Ca++ a livello intestinale.
Anche se determina un maggiore processo degradativo dell’osso che porta Ca++ nel sangue, si dice che la vitamina D facilita la formazione di osso, perché aumenta l’assorbimento di Ca++ a livello intestinale, quindi fa sì che comunque ci sia più Ca++ disponibile per la formazione di osso.
La vitamina D è, nella sua forma attiva, l’1,25-diidrossicolecalciferolo.
Essa deriva dalla vitamina D3, ossia il pre-ormone colecalciferolo, che viene:
- assunta con la dieta;
- prodotta a livello cutaneo a partire dal 7-deidrocolesterolo, grazie ai raggi solari;
la vitamina D3 viene trasportata:
- dalla pelle al fegato, tramite la proteina di trasporto DBP; - dall’intestino al fegato, tramite i chilomicroni;
nel fegato la vitamina D3 viene idrossilata a 25-idrossivitamina D, tramite l’enzima a-idrossilasi; Viene trasportata nel rene dove la 25-idrossivitamina D è ulteriormente idrossilata a 1,25-
diidrossivitamina D, cioè la forma attiva della vitamina, tramite l’enzima a-idrossilasi–ribonucleare.
Quest’ultimo passaggio, che porta all’attivazione della vitamina D, è regolato dal PTH, che agisce sulle cellule del TCP, legandosi ad un recettore accoppiato a proteina Gs, e attivando la via dell’Adenilato Ciclasi, che determina una maggiore produzione di 1,25-diidrossivitamina D (stimolando maggiore trascrizione del gene per l’ a-idrossilasi–ribonucleare).
A sua volta, la vitamina D attua un meccanismo a feedback negativo, con il quale va a inibire il rilascio di PTH, per non rischiare una situazione esplosiva di aumento del Ca++.
La funzione della vitamina D è quella di AUMENTARE LA CALCEMIA, cioè la concentrazione plasmatica di Ca++.
Essa deriva dalla vitamina D3, ossia il pre-ormone colecalciferolo, che viene:
- assunta con la dieta;
- prodotta a livello cutaneo a partire dal 7-deidrocolesterolo, grazie ai raggi solari;
la vitamina D3 viene trasportata:
- dalla pelle al fegato, tramite la proteina di trasporto DBP; - dall’intestino al fegato, tramite i chilomicroni;
nel fegato la vitamina D3 viene idrossilata a 25-idrossivitamina D, tramite l’enzima a-idrossilasi; Viene trasportata nel rene dove la 25-idrossivitamina D è ulteriormente idrossilata a 1,25-
diidrossivitamina D, cioè la forma attiva della vitamina, tramite l’enzima a-idrossilasi–ribonucleare.
Quest’ultimo passaggio, che porta all’attivazione della vitamina D, è regolato dal PTH, che agisce sulle cellule del TCP, legandosi ad un recettore accoppiato a proteina Gs, e attivando la via dell’Adenilato Ciclasi, che determina una maggiore produzione di 1,25-diidrossivitamina D (stimolando maggiore trascrizione del gene per l’ a-idrossilasi–ribonucleare).
la 25-idrossivitamina D Viene trasportata nel rene dove è ulteriormente idrossilata a 1,25-
diidrossivitamina D, cioè la forma attiva della vitamina, tramite l’enzima a-idrossilasi–ribonucleare.
Quest’ultimo passaggio, che porta all’attivazione della vitamina D, è regolato dal PTH, che agisce sulle cellule del TCP, legandosi ad un recettore accoppiato a proteina Gs, e attivando la via dell’Adenilato Ciclasi, che determina una maggiore produzione di 1,25-diidrossivitamina D (stimolando maggiore trascrizione del gene per l’ a-idrossilasi–ribonucleare).
A sua volta, la vitamina D attua un meccanismo a feedback negativo, con il quale va a inibire il rilascio di PTH, per non rischiare una situazione esplosiva di aumento del Ca++.
La calcitonina è un ormone peptidico di 32 amminoacidi, prodotto dalle cellule C della tiroide (situate accanto alle cellule follicolari);
pur essendo coinvolto nell’omeostasi del Ca++, questo ormone non ha in realtà un ruolo fondamentale, per cui l’asportazione della tiroide non altera significativamente i valori plasmatici di Ca++.
Lo stimolo che regola la secrezione di calcitonina da parte delle cellule C è la calcemia stessa: - alti livelli di Ca++ (ipercalcemia) stimolano il rilascio di calcitonina;
- bassi livelli di Ca++ (ipocalcemia) inibiscono il rilascio di calcitonina;
infatti le cellule C presentano dei sensori per il Ca++, cioè dei recettori metabotropici
accoppiati a proteina Gq;
quando il Ca++ è presente ad alte concentrazioni plasmatiche, si lega a questi recettori e attiva la via della fosfolipasi C, che in questo caso determina l’attivazione della secrezione di calcitonina.
La funzione della calcitonina è quella di RIDURRE LA CALCEMIA, cioè la concentrazione plasmatica di Ca++.
La calcitonina agisce su due livelli:
- determina un minore riassorbimento di Ca++ a livello renale
- determina una minore mobilizzazione di Ca++ a livello osseo, perchè porta un aumento dell’apposizione di Ca++ mediante l’inibizione diretta degli osteoclasti;
La calcitonina agisce a livello osseo, legandosi al recettore della calcitonina accoppiato a proteina Gs che attiva l’adenilato ciclasi che a sua volta attiva la proteina chinasi A (PKA) che induce una diminuzione del riassorbimento osseo, facilitandone l’apposizione.
maggiore secrezione di PTH da parte delle cellule principali delle paratiroidi che avvertono la diminuita concentrazione di Ca++ grazie ai recettori CaRS, e aumentano il rilascio di PTH, che avrà questi effetti:
- aumento del riassorbimento di Ca++ nel rene - aumento del riassorbimento di Ca++ dall’osso
- stimolazione dell’attivazione della vitamina D, che porta aumento dell’assorbimento di Ca++ nell’intestino (ed effettua un controllo a feedback negativo sul PTH)
Tutti questi meccanismi portano ad un aumento della concentrazione di Ca++, per contrastare il calo iniziale.
minore secrezione di PTH da parte delle cellule principali delle paratiroidi che registrano l’aumento della concentrazione di Ca++ grazie ai recettori CaRS, che attivano la proteina Gq e diminuiscono il rilascio di PTH, con questi effetti:
- minore riassorbimento di Ca++ nel rene
- minore riassorbimento di Ca++ dall’osso
- minore attivazione della vitamina D, quindi minore assorbimento di Ca++ nell’intestino
maggiore secrezione di calcitonina da parte delle le cellule C della tiroide che registrano
l’aumento della concentrazione di Ca++, e aumentano il rilascio di calcitonina, che avrà questi effetti:
- minore riassorbimento di Ca++ nel rene - minore riassorbimento di Ca++ dall’osso
L’omeostasi del Pi è intimamente collegata a quella del Ca++, sia perché è regolata dagli stessi ormoni, sia perché Ca++ e Pi formano i cristalli di idrossiapatite (fosfati di calcio) che costituiscono la porzione maggiore dell’osso.
- nella struttura dell’ATP;
- nel meccanismo di attivazione/inattivazione di enzimi e altre proteine, basato sulle modifiche covalenti reversibili fosforilative/defosforilative.
Quindi è molto importante che la concentrazione di Pi sia mantenuta costante entro il valore fisiologico di 2,5-4,5mg/dL, che rappresenta la concentrazione di Pi totale, costituita:
- per il 50% da Pi in forma libera;
- per il 40% da Pi complessato con altri ioni;
- per il 10% da Pi legato a proteine;
il Pi deve essere mantenuto entro i limiti fisiologici, ma il margine di tolleranza è maggiore rispetto alla concentrazione di Ca++.
2,5-4,5mg/dL, che rappresenta la concentrazione di Pi totale, costituita:
- per il 50% da Pi in forma libera;
- per il 40% da Pi complessato con altri ioni;
- per il 10% da Pi legato a proteine;
il Pi deve essere mantenuto entro i limiti fisiologici, ma il margine di tolleranza è maggiore rispetto alla concentrazione di Ca++.
1) filtrazione e riassorbimento a livello renale;
2) assorbimento e secrezione a livello intestinale;
3) deposizione e assorbimento (da parte del plasma) a livello osseo;
la concentrazione plasmatica è mantenuta costante grazie al fatto che nell’osso la deposizione eguaglia l’assorbimento, e la quantità assorbita dall’intestino (900mg) è uguale a quella escreta dal rene.
Poiché il PTH è coinvolto sia nell’omeostasi del Ca++ sia nell’omeostasi del Pi, le patologie delle paratiroidi hanno effetti sia sulle concentrazioni del Ca++ sia sulle concentrazione di Pi.
Nel caso dell’iperparatiroidismo, si verifica un’eccessiva produzione di PTH, che porta come conseguenze:
- ipercalcemia ([Ca++] > 10mg/dL); - ipofosfatemia;
- demineralizzazione ossea;
- formazione di calcoli renali;
- alterazioni delle funzioni neuronali (sindromi depressive, affaticamento mentale...).
Nel caso dell’ipoparatiroidismo, si verifica un deficit di produzione di PTH, che porta come conseguenze:
- ipocalcemia ([Ca++] < 8mg/dL);
- iperfosfatemia;
- maggiore eccitabilità neuro-muscolare (tetania, spasmi muscolari e crampi...):
- alterazioni delle funzioni neuronali (atassia, attacchi epilettici, labilità emotiva...).
In caso di iperparatiroidismo viene somministrata vitamina D, perché, anche se aumenta l’assorbimento di Ca++, ha l’effetto di bloccare il PTH, che ha un effetto maggiore sull’aumento della calcemia
A livello osseo avviene un processo di rimodellamene nelle unità multicellulari di base costituite da osteoblasti e osteoclasti, che porta alla liberazione e all’assorbimento da parte del plasma non solo di Ca++, ma anche di Pi.
Più gli osteoblasti rilasciano RANKL e M-CSF, più aumenta il numero di osteoclasti maturi attivi, quindi aumenta il riassorbimento osseo (inoltre RANKL promuove anche l’attività dell’osteoclasto maturo) e la liberazione di Pi;
gli osteoblasti possono anche inibire l’attività degli osteoclasti, rilasciando OPG, una citochina che lega RANKL e ne impedisce l’attività.
A livello osseo il riassorbimento di Pi è potenziato dal PTH e dalla vitamina D.
Il PTH:
- stimola il riassorbimento di Pi a livello osseo; - lo inibisce a livello renale;
probabilmente per evitare che i livelli plasmatici di Pi si innalzino eccessivamente, e possano determinare, insieme al Ca++ liberato dall’osso, la formazione di fosfati di calcio
a livello intestinale, il Pi è assorbito tramite trasportatori Na+-dipendenti situati sia sulla membrana apicale sia sulla membrana baso-laterale.
La vitamina D (non il PTH) aumenta l’espressione dei canali per il Pi Na+-dipendenti; quindi a livello intestinale l’assorbimento di Pi è potenziato dalla vitamina D
a livello renale, il vengono filtrati 7g/giorno di Pi e ne viene escreto solo l’10% (quindi riassorbimento di 6,1g/giorno).
Il Pi è riassorbito:
- per l’80% nel TCP; - per il 10% nel TCD;
in entrambi i casi per via transcellulare mediata da trasportatori Na+-dipendenti situati sulla membrana apicale (meccanismo baso-laterale sconosciuto), cioè NaPi-IIa (2Na+ per ogni Pi), NaPi-IIc (3Na+ per ogni Pi), PiT-2 (2Na+ per ogni Pi). Questo meccanismo è sensibile al PTH (e non alla vitamina D), che ha un effetto inibitorio sul riassorbimento di Pi perché aumenta l’endocitosi dei trasportatori;
quindi a livello renale il riassorbimento di Pi è inibito dal PTH (quindi iperparatiroidismo causa, oltre a calcemia elevata, pure fosfatemia bassa)
è un tessuto epiteliale specializzato nella volta della cavità nasale (sotto la lamina cribrosa e il cornetto nasale superiore), a cui le molecole odorose giungono per via ortonasale (narici) o retronasale (rinofaringe). Copre un’area di 5 cm2 e presenta 3 tipi di cellule e le ghiandole di Bowman:
• Neuroni sensoriali olfattivi→ sono neuroni bipolari: il dendrite apicale termina con una protuberanza da cui si dipartono 5-20 ciglia (lunghe ca 50 μm), vere responsabili della trasduzione olfattiva, immerse nel muco che ricopre la superficie dell’epitelio (in contatto con l’aria), mentre l’assone amielinico attraversa un foro della lamina cribrosa e giunge al bulbo olfattivo. Hanno una vita media di 30-60 giorni
• Cellule basali→ non raggiungono la superficie; costituiscono le staminali dei neuroni sensoriali olfattivi
• Cellule di sostegno→ cellule epiteliali cilindriche, attraversano tutto lo spessore dell’epitelio e hanno microvilli apicali; importanti nel mantenimento dell’equilibrio ionico nel muco
• Ghiandole di Bowman→ tubuloacinose a secrezione sierosa, producono il muco fondamentale per: prevenire disidratazione della mucosa; intrappolare molecole dall’aria per favorire l’interazione con le ciglia; permettere la trasduzione mantenendo costanti le concentrazioni ioniche all’esterno delle ciglia
I recettori olfattivi sono alcune centinaia e non è possibile definire odori primari.
sono alcune centinaia e non è possibile definire odori primari. Appartengono alla famiglia dei recettori metabotropici accoppiati alle proteine G e possono essere attivati ciascuno da svariate ma specifiche molecole odorose, che vi si legano sulla base di caratteristiche strutturali. Il modello proposto per il sistema olfattivo è combinatorio: la presenza di un tipo di molecola odorosa è codificata dall’attivazione di una combinazione unica di recettori olfattivi attivati.
avviene nelle ciglia dei neuroni sensoriali olfattivi. Il legame della molecola porta a attivazione di una proteina G che stimola l’adenilatociclasi→ aumento cAMP→ apertura canali ionici da parte del cAMP→ corrente di trasduzione di Na+ e Ca2+→ apertura di canali del Cl- attivati dal calcio (la concentrazione intracellulare di Cl- in queste cellule è molto alta, 50 mM)→ fuoriuscita di cloro→ depolarizzazione che produce un potenziale d’azione che dal soma va al bulbo olfattivo con l’assone.
è causato da vari meccanismi fisiologici, ma inizia già a livello della trasduzione: la risposta iniziale è seguita da un periodo di sensibilità ridotta perché il complesso calcio-calmodulina abbassa la probabilità di apertura dei canali attivati dal cAMP, condizione ristabilita con estrusione del calcio tramite scambiatore sodio/calcio nelle ciglia.
è la prima area encefalica per l’analisi dell’informazione dai neuroni sensoriali olfattivi; è una struttura ovale pari, sotto la superficie ventrale del lobo frontale (V = ca 100 mm3), con 3 classi di neuroni:
• Fibre afferenti primarie→ assoni dei neuroni sensoriali olfattivi, che sono la componente prevalente delle proiezioni al bulbo (ne riceve altre dalla corteccia olfattiva)
• Neuroni principali (neuroni olfattivi secondari)→ dendriti che ricevono dai neuroni olfattivi e assoni che proiettano alla corteccia olfattiva
o Cellule mitrali→ hanno un singolo dendrite apicale (attraversa lo strato 4 e si ramifica per formare contatti in un singolo glomerulo nello strato 5), un assone mielinico basale che proietta alla corteccia olfattiva e pochi dendriti basali (sinapsi con cellule granulari nello strato 4)
o Cellule a pennacchio • Interneuroni
o Cellule periglomerulari
o Cellule granulari→ sprovvisti di assone; albero dendritico molto sviluppato
con spine (sinapsi dendrodendritiche con dendriti basali delle cellule mitrali, con trasmissione bidirezionale)
A livello del bulbo olfattivo c’è un’enorme convergenza: ogni glomerulo riceve assoni da migliaia di neuroni olfattivi; ogni neurone principale è in contatto con un solo glomerulo, quindi riceve l’informazione da un solo tipo di recettore olfattivo.
Questa precisa organizzazione topografica indica che una data molecola odorosa attiva una determinata combinazione di glomeruli e quindi neuroni olfattivi secondari (principali).
È inoltre presente inibizione laterale (per aumentare il contrasto) sia a livello glomerulare che delle cellule mitrali: le cellule periglomerulari attivate da un glomerulo fanno sinapsi GABAergiche con cellule mitrali sia dello stesso glomerulo che degli adiacenti. Invece nello strato plessiforme esterno è dovuta alle cellule granulari, eccitate dalle mitrali: in queste, l’eccitazione si propaga in via antidromica nei dendriti basali e il glutammato liberato sulle spine delle granulari le attiva; queste liberano GABA mediando inibizione sul dendrite basale della cellula mitrale stessa e delle circostanti
1. Strato delle cellule granulari→ soma delle cellule granulari
2. Strato plessiforme interno→ assoni dei neuroni principali e dendriti periferici
delle cellule granulari
3. Strato delle cellule mitrali→ contiene il soma delle cellule mitrali
4. Strato plessiforme esterno→ contiene i dendriti dei neuroni principali e delle
cellule granulari; qui si hanno numerose sinapsi tra cellule mitrali e granulari
5. Strato glomerulare→ contiene i glomeruli, strutture di neuropilo (100-200 μm), dove convergono gli assoni di tutti i neuroni olfattivi che esprimono un particolare recettore (solitamente su due glomeruli separati, uno mediale e uno
laterale), facendo sinapsi eccitatorie glutammatergiche con i neuroni principali
e con gli interneuroni periglomerulari
6. Strato del nervo olfattivo→ contiene le fibre afferenti primarie
La corteccia olfattiva primaria riceve proiezioni dirette dal bulbo olfattivo ed è composta da 5 aree distinte: nucleo olfattivo anteriore, corteccia piriforme, tubercolo olfattivo, corteccia entorinale e parte dell’amigdala.
La prima peculiarità del sistema olfattivo è l’assenza di connessioni primarie col talamo, che è raggiunto successivamente (poi questo trasmette le informazioni alla regione orbitofrontale). Seconda caratteristica è l’esteso numero di connessioni efferenti verso il bulbo olfattivo (da tutte le aree tranne il tubercolo olfattivo), a scopo modulatorio anche in relazione a informazioni provenienti da altri stimoli sensoriali.
ha il maggior numero di afferenze dal bulbo olfattivo (senza passare dal talamo); è composta da 3 strati principali:
• Strato I (il più superficiale), suddiviso in Ia e Ib, contenente assoni del tratto olfattivo: sia in a che in b fanno sinapsi con dendriti apicali di neuroni piramidali, in b ci sono anche fibre intracorticali (collaterali assoniche dei neuroni piramidali).
• Strato II→ soma e dendriti basali dei neuroni piramidali superficiali.
• Strato III→ soma e dendriti basali dei neuroni piramidali profondi e vari
interneuroni inibitori.
Ogni neurone principale fa sinapsi con neuroni piramidali (fortemente interconnessi tra loro) in varie parti della corteccia piriforme: per ogni molecola odorosa si ha una caratteristica attivazione spaziale e temporale.
si intende la sensazione evocata dalle molecole contenute nel cibo ingerito, dovuto all’attivazione dei sistemi gustativo (sapore), trigeminale (temperatura e consistenza) ma soprattutto olfattivo (per via retronasale).
salato, acido, dolce, amaro, umami. Ogni sapore è rilevato dalle cellule gustative con trasduzioni differenti; le cellule sensoriali gustative si trovano principalmente sulla superficie della lingua (ma anche palato, epiglottide, faringe, laringe e esofago) raggruppate in gemme gustative, localizzate per la maggior parte in protuberanze dette papille. Ne esistono 3 tipi gustative (fungiformi nella parte anteriore, circumvallate nel V linguale e foliate nei margini laterali) e un tipo meccanico (filiformi).
Ogni gemma gustativa (50μm) ha forma sferica, con un poro gustativo alla sommità, ed è formata da 50-150 cellule sensoriali gustative (e basali) di vario tipo:
Ogni gemma gustativa (50μm) ha forma sferica, con un poro gustativo alla sommità, ed è formata da 50-150 cellule sensoriali gustative (e basali) di vario tipo:
• Cellule di tipo I→ fusiformi, con microvilli apicali e grandi granuli intracellulari; per il salato
• Cellule di tipo II→ fusiformi, con microvilli apicali e localizzate alla periferia; non hanno strutture sinaptiche e sembrano essere prevalenti; per umami, dolce e amaro
• Cellule di tipo III (5-7%)→ con un singolo microvillo apicale, uniche ad avere
strutture sinaptiche; immagazzinano vescicole con serotonina; per il sapore acido
• Cellule di tipo IV→ cellule basali che non raggiungono il poro; sono le cellule
staminali (vita media di due settimane)
Tramite il poro le sostanze entrano nella gemma; le cellule sensoriali gustative sono eccitabili ma non hanno assoni→ alla base delle gemme arrivano gli assoni di neuroni afferenti che mandano impulsi al SNC. All’interno della gemma sono presenti vari tipi di cellule sensoriali e avviene una prima elaborazione dell’informazione gustativa. Le uniche cellule che fanno sinapsi con neuroni afferenti sono quelle di tipo III; le cellule di tipo II, stimolate aprono (quindi tramite aumento [Ca2+] intracellulare) emicanali di pannessina 1 (vedi cap. 6) che consentono la liberazione di ATP, che eccita i neuroni afferenti legandosi ai recettori ionotropici P2X2 e P2X3 presenti su questi e induce la liberazione di serotonina dalle cellule di tipo III.
I recettori gustativi si trovano sui microvilli.
• Recettori per l’amaro→ il sapore amaro genera solitamente repulsione e ha bassa soglia di attivazione (ci mette in allerta, possono essere sostanze dannose); tra i composti più amari ci sono le ammidi, gli alcaloidi (caffeina, nicotina), alcuni AA, i fenoli e l’urea. Il processo di trasduzione è metabotropico, e i recettori per l’amaro sono codificati dai geni T2R. Una singola cellula gustativa può avere molti T2R (ma non T2R e T1R insieme).
• Recettori per il dolce→ il sapore dolce è provocato da carboidrati sia semplici che complessi, alcuni AA (gly), peptidi (aspartame) e alcoli alifatici (xilitolo). Il processo è metabotropico e il recettore principale è un dimero dato da T1R2 e T1R3 (la differenza strutturale tra T1R e T2R è che il dominio amminoterminale extracellulare è molto esteso nei primi, dove ci sono i siti di legame).
• Recettori per l’umami→ sapore associato al glutammato di sodio (carni, formaggi stagionati); processo metabotropico, recettore dimero di T1R1 e T1R3.
• Recettori per il salato→ canali ENaC (canale epiteliale per il sodio sensibile all’amiloride) e altri ancora da identificare; il sapore è dovuto a cationi di sali ionizzati (soprattutto Na+, ma anche K+, litio e ammonio) e alcuni anioni
• Recettori per l’acido→ sapore dovuto a sostanze che producono un aumento di ioni H+ nella cavità orale o di acidi organici parzialmente dissociati; sembra un recettore sia il dimero PKD2L1-PKD1L3
Per quello che riguarda le trasduzioni, portano tutte a depolarizzazione della cellula gustativa:
- Trasduzione gustativa per amaro, dolce e umami→ le cellule gustative con recettori T1R e T2R esprimono anche gustoducina, una proteina G che media almeno due meccanismi:
o Attivazione PLCβ2→ idrolisi fosfatidilinositolo-3,4-bisfosfato a diacilglicerolo e IP3→ aumento di [IP3] porta a liberazione Ca2+ dai depositi→ Ca2+ attiva canale ionico TRMP5 con conseguente influsso di Na+ e depolarizzazione
o Attivazione fosfodiesterasi→ cala [cAMP]→ riduzione attività di PKA che non inibisce (fosforilandoli) più i canali selettivi al potassio
- Trasduzione gustativa per il salato→ Na+ diffonde secondo gradiente attraverso gli ENaC, quindi se ce n’è molto nella cavità orale genera depolarizzazione
- Trasduzione gustativa per l’acido→ il recettore è ionotropico→ ingresso Na+ e Ca2+
I neuroni afferenti che raggiungono le gemme gustative decorrono nei nervi:
- Facciale (VII; nella corda del timpano, neurone nel ganglio genicolato)→ papille fungiformi (apice linguale)
- Glossofaringeo (IX; nel ramo linguale, neurone nel ganglio petroso)→ papille fungiformi (V linguale) e foliate (lati)
- Vago (X; neurone nel ganglio nodoso)→ gemme gustative di laringe, epiglottide e parte superiore dell’esofago
Le informazioni giungono al nucleo gustativo del tratto solitario, e da qui decorrono ipsilateralmente fino alla porzione parvicellulare del nucleo ventrale posteromediale del talamo. Questo proietta all’insula e all’opercolo frontale (corteccia gustativa), che sembrano responsabili della percezione cosciente e della discriminazione dei vari sapori. Dal nucleo gustativo del tratto solitario altre efferenze raggiungono ipotalamo e amigdala e sembrano coinvolte in appetito, sazietà e tono affettivo.
- Facciale (VII; nella corda del timpano, neurone nel ganglio genicolato)→ papille fungiformi (apice linguale)
- Glossofaringeo (IX; nel ramo linguale, neurone nel ganglio petroso)→ papille fungiformi (V linguale) e foliate (lati)
- Vago (X; neurone nel ganglio nodoso)→ gemme gustative di laringe, epiglottide e parte superiore dell’esofago
1. ELIMINAZIONE DEI PRODOTTI DEL CATABOLISMO DELL’AZOTO TRAMITE FILTRAZONE (depura il sangue da urea, acido urico, creatinina e solfati;)
2. REGOLAZIONE DELL’EQUILIBRIO IDRICO-SALINO
3. REGOLAZIONE DELL’OSMOLARITÀ DEL PLASMA E DEI LIQUIDI CORPOREI
4. REGOLAZIONE DEL pH (si occupa dell acidosi metabolica insieme ai sistemi di tamponamento del sangue mentre l apparatorespiratorio dell acidosi resporatoria)
5. DETOSSIFICAZIONE ED ELIMINAZIONE DEI COMPOSTI TOSSICI insieme al fegato
contenuto idrico del nostro organismo è il 60% del peso corporeo totale (42L), di cui:
1. il 40% è volume idrico intracellulare (28L): - 2L a livello dei soli eritrociti;
2. il 20% è volume idrico extracellulare (14L): - 15% acqua a livello dell’interstizio (10,5L);
- 5% acqua a livello del plasma (3,5L).
Avvalendoci di questa relazione : La concentrazione è data dalla quantità di sostanza in un volume di soluzione C=Q/V;
da questa si ricava che il volume è dato dalla quantità diviso la concentrazione V=Q/C.
1. determinare il liquido extracellulare -> somministrare in circolo una sostanza che resti confinata nel compartimento extracellulare, ovvero che non abbia la capacità di attraversare le membrane (es: l’inulina e il mannitolo).
Quindi si somministra una quantità nota della sostanza, si determina la concentrazione nel plasma; nota la quantità e nota la concentrazione, si può conoscere il volume del liquido extracellulare.
2. determinare il contenuto di acqua totale -> somministrare in circolo una sostanza che possa attraversare la membrana cellulare in modo da distribuirsi in maniera omogenea tra il compartimento intracellulare ed extracellulare.
3. determinare il volume dell’acqua intracellulare -> operare per sottrazione in quanto non abbiamo una sostanza che, messa in circolo, venga intrappolata esclusivamente all’interno delle cellule e rimossa totalmente dal compartimento extracellulare.
liquido intracellulare= acqua tot. – acqua extracellulare (LIC = VAT – LEC).
4. determinare il volume del plasma -> utilizziamo una sostanza che resta confinata nel plasma
e non va fuori dal distretto vasale (es: Proteine, albumina).
È importante determinare i volumi di acqua nell’organismo, per capire se avviene uno sbilanciamento; La concentrazione è data dalla quantità di sostanza in un volume di soluzione C=Q/V;
da questa si ricava che il volume è dato dalla quantità diviso la concentrazione V=Q/C. per determinare il volume del plasma -> utilizziamo una sostanza che resta confinata nel plasma
e non va fuori dal distretto vasale (es: Proteine, albumina).
Questo può risultare molto importante poiché modificazioni della volemia hanno un impatto molto rilevante, dal punto di vista fisiologico, sulla pressione arteriosa (fattori che contribuiscono alla regolazione della pressione arteriosa: la volemia, le resistenze dei vasi e la gittata cardiaca).
- bambino e lattante -> 75%
- adulto -> 60%
- anziano -> 50%
quello che più cambia nel corso dell’età è la distribuzione nei diversi compartimenti: - Il liquido extracellulare nel lattante è circa il 47%;
- Il liquido extracellulare nell’adulto è circa il 25%;
- Il liquido extracellulare nell’anziano è circa il 18%;
a fronte di una massa solida che aumenta dal 23% nel neonato al 47% nell’anziano.
L’acqua viene acquisita tramite:
- l’alimentazione (acqua bevuta e acqua contenuta negli alimenti);
- le reazioni di ossidazione a carico di glucidi e lipidi -> 300mL al giorno;
L’acqua viene persa tramite:
- sudorazione -> 0,5-5L/gg
- espirazione (aria presente a livello alveolare ha elevato tenore di vapore acqueo) -> 350mL/gg - minzione -> 1,5L/gg
Quindi, nel regolare l’omeostasi dell’acqua, il rene si occupa di mantenere un equilibrio fra le forme di approvvigionamento di acqua e le forme di perdita di acqua.
se viene modificata la volemia viene modificata la pressione arteriosa quindi cambierà la gittata sistolica e la gittata cardiaca in maniera rilevante mentre allo stesso tempo cambia la distribuzione di acqua tra i vari compartimenti perché si ha una variazione dell'osmolalità e l'acqua si sposta secondo gradiente osmotico dal compartimento reso più diluito
- mantenere equilibrato il contenuto di sali e di acqua;
- mantenere corretto il gradiente osmotico dei fluidicorporei, quindi a evitare che un aumento della volemia vada a modificare la pressione arteriosa e quindi l'agitata sistolica e cardiaca e inoltre che una modifica dell'osmolalità vada a spostare il gradiente osmotico e quindi cambi la distribuzione dell'acqua tra i vari compartimenti
: Pressione idrostatica necessaria a contrastare il passaggio di acqua da una soluzione meno concentrata ad una più concentrata, separate da un membrana permeabile al solvente ma non al soluto.
condizioni affinché si abbia l’osmosi (passaggio di solvente dalla soluzione [meno] alla soluzione [più]: - Presenza di un gradiente di concentrazione;
- Presenza di una membrana semipermeabile che non lasci passare il soluto.
La pressione osmotica dipende dal numero di particelle di soluto / numeor di particelle di solvente.
L’osmolarità indica il n° di osmoli di soluto per 1L di soluzione;
L’osmolalità indica il numero di osmoli per 1kg disolvente.
L’osmolalità del plasma vale circa 300 mOsm/kg, invece quella delle urine è estremamente variabile, da 100 a 1500 con una media di 1000 mOsm/kg.
300 mOsm/kg.
Pressione generata dalla differente concentrazione delle proteine.
le proteine sono presenti nelle cellule, nel plasma, ma non nell’interstizio;
quindi, chi fa una grande differenza, in termini di osmolalità, non sono gli elettroliti (che passano di sia nell’interstizio che nel plasma che nelle cellule) ma sono per l’appunto le proteine.
Quindi la pressione colloidosmotica, sebbene rappresenti quantitativamente una frazione minima (0,5%) della pressione osmotica, svolge un ruolo chiave nel guidare la migrazione dell’acqua da un compartimento all’altro.
nel plasma è 25 mmHg
il passaggio di acqua e soluti da un compartimento capillare all’ interstizio e viceversa è regolato dal gioco tra pressione idrostatica e pressione oncotica.
Estremità arteriosa del capillare:
pressione idrostatica (32/35 mmHg) > pressione colloidosmotica (25 mmHg) -> pressione netta di filtrazione; Estremità venosa: pressione idrostatica < pressione colloidosmotica
-> richiama acqua dall’interstizio all’interno del capillare: pressione netta di assorbimento.
1) AGGIUNGO ACQUA (SOLUZIINE IPOTONICA) NEL COMPARTIMENTO EXTRACELLULARE (PLASMA)
- nel compartimento extracellulare diminuisce l’osmolarità e aumenta il volume;
- essendo più bassa l’osmolarità del plasma, l’acqua viene richiamata verso il compartimento con maggior concentrazione di soluto, quindi passa dal compartimento extracellulare (plasma) a quello intracellulare.
Aggiungere acqua nel plasma abbassa l’osmolarità ed aumenta il volume sia del compartimento extracellulare, che di quello intracellulare.
2) AGGIUNGO UNA SOLUZIONE IPERTONICA (SOLUTO) NEL COMPARTIMENTO EXTRACELLULARE (VASALE)
- nel compartimento extracellulare aumenta l’osmolarità;
- l’acqua viene richiamata dal compartimento intracellulare a quello extracellulare;
Aggiungere soluzione ipertonica nel compartimento extracellulare aumenta l’osmolarità del compartimento extracellulare con conseguente aumento del volume nel compartimento extracellulare e diminuzione del volume nel compartimento intracellulare.
3) AGGIUNGO UNA SOLUZIONE ISOTONICA NEL COMPARTIMENTO EXTRACELLULARE
- Aumenta il volume extracellulare;
- il volume intracellulare rimane invariato;
-> non c’è gradiente osmotico per cui non c’è spostamento di acqua;
se ho una condizione di shock, di ipotensione, per compensare questo deficit, si può aumentare della volemia iniettando una soluzione isotonica in circolo. Questo mi dà un aumento della volemia e conseguentemente della pressione arteriosa.
- Aumenta il volume extracellulare;
- il volume intracellulare rimane invariato;
-> non c’è gradiente osmotico per cui non c’è spostamento di acqua;
se ho una condizione di shock, di ipotensione, per compensare questo deficit, si può aumentare della volemia iniettando una soluzione isotonica in circolo. Questo mi dà un aumento della volemia e conseguentemente della pressione arteriosa.
La mantiene variando osmolalità delle urine ovvero il rene elimina l'eccesso di soluti introdotti con la dieta accompagnandoli da un volume estremamente variabile di acqua
contribuiscono alla regolazione del pH: - polmone
- sistemi tampone del plasma
- rene
Il modo in cui il polmone influisce sulla regolazione del pH è tramite la modifica della ventilazione polmonare:
- un aumento della ventilazione polmonare (iperventilazione) determina una diminuzione della pressione parziale di CO2 (CO2 e acqua formano acido carbonico) -> eliminare molta CO2 con un’unica ventilazione, significa eliminare acidità, quindi spingere verso l’alcalosi respiratoria.
- Un’ipoventilazione determinerà nel polmone un accumulo di CO2, cioè un accumulo di idrogenioni, acqua, acido carbonico con conseguente acidosi respiratoria.
Il rene è in grado di contribuire in maniera significativa alla regolazione del pH con due meccanismi: - regolando il riassorbimento del bicarbonato presso tubulo contorto prossimale
- regolando l’escrezione degli ioni H+ presso segmento distale tubulo
Questi due fenomeni avvengono in due distinti punti del tubulo renale e sono appannaggio di cellule diverse, di meccanismi di trasporto diversi.
DETOSSIFICAZIONE ED ELIMINAZIONE DEI COMPOSTI TOSSICI Il rene, oltre ai prodotti del catabolismo azotato, elimina una gran quantità di sostanza esogene e composti tossici, e qui lavora in sinergia, in tandem con il fegato.
- Il fegato determina modificazioni chimiche di alcune molecole che vengono rese idrosolubili, diventano eliminabili attraverso il rene;
- il fegato stesso elimina alcune sostanze liposolubili attraverso la bile, e quindi il tratto digerente;
- in maniera complementare e sinergica concorrono a liberare il nostro organismo da sostanze esogene e composti tossici, come i farmaci.
Il rene contiene dei tipi cellulari che si sono differenziati con una funzione endocrina, per cui può produrre ormoni e altre sostanze con funzione di segnale, come la renina (coinvolta nel sistema renina–angiotensina–aldosterone per la regolazione della pressione arteriosa), l’eritropoietina (per la stimolazione dell’eritropoiesi), il calcitriolo (coinvolto nel metabolismo del calcio), prostaglandine, bradichinina, cAMP.
1. ELIMINAZIONE DEI PRODOTTI DEL CATABOLISMO DELL’AZOTO TRAMITE FILTRAZONE
Il rene si occupa di depurare il sangue dai prodotti del catabolismo azotato, cioè urea, acido urico, creatinina e solfati;
Tali prodotti derivano soprattutto dal catabolismo proteico;
I prodotti del catabolismo glucidico e lipidico sono H2O e CO2, che vengono eliminate
dall’apparato respiratorio.
In seguito a insufficienza renale si hanno patologie da accumulo di prodotti del catabolismo azotato.
Il rene riceve il 20% della gittata cardiaca cioe 1,1 L (flusso ematico che raggiunge il rene è 7 volte maggiore rispetto a quello che arriva al cervello), ma questo abbondante apporto ematico non è legato al fabbisogno del parenchima renale (che rappresenta meno dello 0,5% del peso corporeo), ma alla funzione di filtro che il rene deve svolgere;
il 90% di questo flusso ematico arriva alla corticale, mentre solo il 10% raggiunge la midollare; una così bassa perfusione nella midollare è funzionale, perché:
- i glomeruli si trovano solo nella corticale (85% in posizione esterna, 5% iuxtamidollari cioè al confine con la midollare e presentano un’ansa di Henle che si approfonda attraverso tutto lo spessore della midollare);
- il tubulo renale spende tanta energia per creare un’elevata concentrazione di soluti all’interno della midollare, quindi una perfusione ingente sarebbe dannosa perché si porterebbe via tutti i soluti (inoltre la midollare del rene non contiene vasi linfatici).
- i glomeruli si trovano solo nella corticale (85% in posizione esterna, 5% iuxtamidollari cioè al confine con la midollare e presentano un’ansa di Henle che si approfonda attraverso tutto lo spessore della midollare);
- il tubulo renale spende tanta energia per creare un’elevata concentrazione di soluti all’interno della midollare, quindi una perfusione ingente sarebbe dannosa perché si porterebbe via tutti i soluti (inoltre la midollare del rene non contiene vasi linfatici).
flusso ematico 1100-1200 mL/min (20% della gittata cardiaca )
flusso plasmatico 600-650 mL/min
La vascolarizzazione del rene è a carico dell’arteria renale, ramo dell’aorta addominale, che entra direttamente nel rene portando sangue con alta pressione;
l’arteria renale si ramifica nelle arterie interlobari, che decorrono nelle colonne renali e si ramificano nelle arterie arcuate, che decorrono lungo la base delle piramidi e danno origine alle arterie interlobulari, che risalgono nella corticale e formano le arteriole afferenti;
Le arteriole afferenti formano i capillari glomerulari, da cui si formano le arteriole efferenti, che danno origine:
- sia a una rete di capillari peritubulari;
- sia ai vasa recta, che scendono a forcina all’interno della midollare.
È importante il fatto che ci siano due gruppi di capillari,
1. nei capillari sistemici la filtrazione e il riassorbimento sono svolte nello stesso capillare
(filtrazione sul versante arteriolare e riassorbimento sul versante venulare); 2. nel rene queste due funzioni sono distinte:
- Nel glomerulo, la pressione idrostatica prevale sempre sulla colloido-osmotica, quindi abbiamo solo filtrazione.
- Nel capillare peritubulare si ha una bassa pressione idrostatica e un’alta pressione colloido- osmotica, tutto ciò rende possibile il riassorbimento;
la pressione idrostatica è crollata, grazie alle resistenze offerte dai capillari e dall’arteriola efferente, al tempo stesso essendo avvenuta un’importante filtrazione (acqua e soluti hanno abbandonato il distretto capillare, mentre le proteine no) la concentrazione delle proteine ha subito un incremento.
si ha una bassa pressione idrostatica e un’alta pressione colloido- osmotica, infatti la pressione idrostatica è crollata, grazie alle resistenze offerte dai capillari e dall’arteriola efferente, al tempo stesso essendo avvenuta un’importante filtrazione (acqua e soluti hanno abbandonato il distretto capillare per finire nell interstizio, mentre le proteine no) la concentrazione delle proteine ha subito un incremento.
Nei capillari del circolo sistemico la pressione viene abbattuta a valori di circa 35 mmHg grazie alla grande resistenza offerta dalle arteriole. Nel rene, invece, l’organizzazione del sistema vascolare determina un calo di pressione meno marcato di quanto non avvenga a livello sistemico. Quindi -nei capillari glomerulari subito a valle dell arteriola afferente la pressione non è 30 mmHg come nei capillari del circolo sistemico, ma vale 45-50 mmHg, si crea una prima rete capillare ad alta pressione che sara sede di filtrazione
- nei capillari glomerulari la pressione non è 30 mmHg come nei capillari del circolo sistemico, ma vale 45-50 mmHg;
- a valle dell’arteriola efferente, che offre resistenza, noi abbiamo una pressione assai bassa nei capillari peritubulari, che vale circa 10 mmHg.
Mentre nei capillari sistemici la pressione viene abbattuta a valori di circa 35 mmHg grazie alla grande resistenza offerta dalle arteriole e la filtrazione e il riassorbimento sono svolte nello stesso capillare
(filtrazione sul versante arteriolare e riassorbimento sul versante venulare); 2. nel rene queste due funzioni sono distinte:
- Nel glomerulo, la pressione idrostatica prevale sempre sulla colloido-osmotica, quindi abbiamo solo filtrazione.
- Nel capillare peritubulare si ha una bassa pressione idrostatica e un’alta pressione colloido- osmotica, tutto ciò rende possibile il riassorbimento;
la pressione idrostatica è crollata, grazie alle resistenze offerte dai capillari e dall’arteriola efferente, al tempo stesso essendo avvenuta un’importante filtrazione (acqua e soluti hanno abbandonato il distretto capillare, mentre le proteine no) la concentrazione delle proteine ha subito un incremento.
- nei capillari glomerulari la pressione non è 30 mmHg come nei capillari del circolo sistemico, ma vale 45-50 mmHg; (FILTRAZIONE)
- a valle dell’arteriola efferente, che offre resistenza, noi abbiamo una pressione assai bassa nei capillari peritubulari, che vale circa 10 mmHg.(ASSORBIMENTO)
- normali cellule muscolari lisce che ne determinano lo stato di contrazione (innervazione da
parte del sistema nervoso ortosimpatico);
- delle cellule muscolari lisce differenziate con funzione endocrina, che prendono il nome di cellule granulari e sono responsabili della produzione di renina.
nell’angolo tra l’arteriola afferente e l’arteriola efferente, si va a disporre il tubulo contorto distale; in questa regione, fra il tubulo contorto distale e le due arteriole, si dispongono delle cellule specializzate, che compongono la cosiddetta macula densa.
Le cellule della macula densa hanno la capacità di rilevare la composizione del fluido che scorre nel tubulo e di liberare di conseguenza fattori che regolano la funzione renale.
1) Processo di filtrazione, che porta alla formazione di ultrafiltrato, cioè un fluido con volume e composizione diversi da quella che sarà l’urina; questo processo avviene all’interno del glomerulo, grazie ai capillari glomerulari
2) Rimaneggiamento dell’ultrafiltrato tramite processi di secrezione (sostanze sono aggiunte al fluido) e riassorbimento (acqua e soluti ripassano dall’ultrafiltrato al plasma), che porta alla formazione di urina; questo processo avviene durante il transito dell’ultrafiltrato nel tubulo renale, grazie ai capillari peritubulari.
L’unità funzionale del rene è il nefrone e il rene contiene circa 1,2 milioni di nefroni (eccedono in gran numero la quantità necessaria per svolgere la funzione per questo anche se ne perdiamo una quantità consistente il rene riesce a svolgere la sua funzione e possiamo sopravvivere anche senza un rene)
è dato dal quantitativo filtrato (QF), meno la quantità che abbandona l’ultrafiltrato per tornare nel plasma, cioè il quantitativo riassorbita (QR), più la quantità che viene aggiunta all’ultrafiltrato, cioè il quantitativo secreto (QS):
QE = QF – QR + QS
La quantità di sostanza è data dal prodotto del volume per la concentrazione (Q=C×V), ma nell’ambito della fisiologia del rene si preferisce sostituire il volume con il flusso (cioè volume nell’unità di tempo).
Si può determinare la quantità di sostanza filtrata (QF), come prodotto fra la concentrazione della sostanza nell’ultrafiltrato e il flusso, cioè il volume di ultrafiltrato nell’unità di tempo (che corrisponde alla VFG);
si può calcolare la quantità di sostanza escreta (QE), come prodotto fra la concentrazione della sostanza nell’urina e il flusso urinario, cioè il volume di urina nell’unità di tempo.
ghiandola situata nel collo, al
di sotto della cartilagine tiroidea, composta da
due lobi collegati dall’istmo. La tiroide contrae
rapporti con un fascio che comprende la
carotide comune, la giugulare interna e il
nervo vago.
La porzione posteriore della tiroide presenta
quattro bottoncini, le ghiandole paratiroidee, di
cui parleremo in relazione al bilancio del calcio
e del fosforo. Inoltre, all'interno della tiroide ci
sono cellule che producono calcitonina,
contribuendo anch'esse al metabolismo del
calcio.
Il primo motivo è il dosaggio del calcio.
Durante gli interventi alla tiroide, il chirurgo
potrebbe accidentalmente rimuovere le
ghiandole paratiroidee o il tessuto iperplastico
da asportare potrebbe non permettere di lasciare
tutte le paratiroidi in sede. Anche lo stress chirurgico potrebbe portare a un abbassamento
transitorio dei livelli di calcio.
Il secondo motivo riguarda il nervo laringeo. La tiroide è in rapporto anatomico con questo nervo,
quindi a seguito di un intervento si può riscontrare un abbassamento della voce. È fondamentale
evitare il danneggiamento di questo nervo, poiché controlla la fonazione e un suo danno avrebbe un
impatto significativo sulla qualità della vita del paziente.
la ghiandola tiroidea è
costituita da follicoli rivestiti da un epitelio
monocellulare, con al centro una sostanza acidofila
chiamata colloide, una glicoproteina. Inoltre, la
ghiandola tiroidea è estremamente irrorata. Le cellule che
rivestono queste aree contenenti colloide sono le cellule
follicolari, da cui derivano la maggior parte dei tumori
alla tiroide. Sono presenti anche un altro tipo di cellule, le
cellule C, che secernono la calcitonina, un ormone
coinvolto nella regolazione del metabolismo del calcio.
Considerate che il follicolo tiroideo, normalmente,
quando la tiroide è a riposo, ha una grossa dimensione e
una grande quantità di colloide al suo interno. Nel
momento in cui la tiroide viene stimolata, questo follicolo
si modifica, rilasciando una discreta quantità di colloide e
quindi cambiando la sua struttura.
cellule tireotrope all'interno dell'adenoipofisi che
rilasciano l’ormone stimolante della tiroide, il TSH. La produzione e il rilascio di TSH sono
controllati da due peptidi ipotalamici: il TRH, rilasciato dal nucleo arcuato, che stimola le cellule
tireotrope a produrre TSH, e la somatostatina, prodotta nella regione periventricolare, che inibisce
il rilascio di TSH. cellule tireotrope in risposta al
legame del TRH al suo recettore, attivando la fosfolipasi C, producendo inositolo trifosfato e
rilasciando calcio. Una volta liberato, il TSH entra in circolo e si lega alla porzione basale del suo
recettore specifico sulle cellule follicolari della tiroide. Questo legame attiva una via intracellulare
che coinvolge l'adenilato ciclasi, portando alla produzione di AMP ciclico e alla sintesi degli
ormoni tiroidei T3 e T4.
FT3, FT4 e TSH. Gli ormoni tiroidei sono regolati da un asse
ipotalamo-ipofisi (cellule tireotrope all'interno dell'adenoipofisi che
rilasciano l’ormone stimolante della tiroide, il TSH. La produzione e il rilascio di TSH sono
controllati da due peptidi ipotalamici: il TRH, rilasciato dal nucleo arcuato, che stimola le cellule
tireotrope a produrre TSH, e la somatostatina, prodotta nella regione periventricolare, che inibisce
il rilascio di TSH. ) Quando analizziamo tutti e tre questi analiti, possiamo diagnosticare diverse
condizioni: se troviamo elevati livelli di T3 e T4 e bassi livelli di TSH, possiamo definire questa
condizione come ipertiroidismo. Al contrario, se troviamo bassi livelli di T3 e T4 accompagnati da
elevati livelli di TSH, possiamo definire questa condizione come ipotiroidismo. Naturalmente, il
TSH varia in maniera opposta agli ormoni tiroidei, a causa di un meccanismo di feedback negativo
per cui l'ipofisi tenta di compensare.
oni tiroidei derivano dalla tirosina attraverso un processo di iodinazione, producendo la
monoiodotirosina e la diiodotirosina,
che sono precursori. Successivamente,
otteniamo gli ormoni classici T4
(tetraiodotironina) e T3
(triiodotironina), in cui gli atomi di
iodio sono aggiunti in 2 e in 3, uno
nell’anello interno e uno nell’anello
esterno, oppure in tutte e quattro le
posizioni dell’ormone. La tiroide
produce sia T4 che T3, ma in un
rapporto di 9:1, quindi il 90% degli
ormoni tiroidei è costituito da T4. Il T3
è prodotto principalmente attraverso un
processo di deiodinazione a livello
periferico. I prodotti di secrezione della tiroide sono
principalmente T3 e T4, con una piccola
concentrazione di T3 inversa, derivata da una
deiodazione nell'anello interno, ma è una forma
praticamente inattiva come ormone tiroideo
. La
sintesi di questi ormoni richiede la disponibilità
di ione iodio, con una dose raccomandata di
150 microgrammi al giorno dalla dieta,
facilmente ottenibile attraverso il sale iodato o
una dieta varia che includa pesce. In realtà la
grossa quantità di iodio assunta con la dieta è
sufficiente perché la tiroide ne capta solo 80
microgrammi al giorno per la sintesi degli
ormoni tiroidei. Tuttavia, la carenza di iodio rimane la causa principale di ipotiroidismo.
L'eccesso di iodio viene eliminato principalmente attraverso le feci e le urine, con un parziale
riassorbimento a seguito di una filtrazione completa a livello renale.
La sintesi e il rilascio degli ormoni tiroidei avvengono all'interno delle cellule follicolari della
ghiandola tiroide. Inizialmente, si sintetizza una proteina cruciale chiamata tireoglobulina. Dopo il
processamento nel reticolo
endoplasmatico e nell'apparato di
Golgi, la tireoglobulina può essere
rilasciata nel lume follicolare. Qui si
trova un enzima fondamentale
chiamato tireoperossidasi, utilizzato
anche in diagnostica perchè alcune
patologie tiroidee, che danno
soprattutto ipotiroidismo, possono
essere causate dalla presenza di
autoanticorpi, ossia anticorpi contro
componenti fisiologiche
dell’organismo. Gli autoanticorpi
contro la tireoglobulina o la
tireoperossidasi (TPO) sono
comunemente dosati per valutare
queste condizioni.
L'enzima tireoperossidasi è responsabile dell'ossidazione dello iodio e della sua incorporazione nei
gruppi tirosinici della tireoglobulina, producendo un precursore degli ormoni tiroidei. Lo iodio
viene assorbito dalle cellule follicolari grazie a un cotrasporto con il sodio sul lato basale, favorito
dalla pompa sodio-potassio ATPasica. Successivamente, attraversa la cellula follicolare e viene
secreto nel lume follicolare attraverso un canale chiamato pendrina, che è un antiporto cloro-iodio. Quindi il rilascio di tireoglobulina, di iodio
e l’attività della tireoperossidasi danno
luogo a questo macrocomplesso di
precursori, che poi potrà essere captato
nuovamente dalla cellula follicolare
attraverso vari meccanismi: il recettore
megalina o anche la presenza di
pseudopodi aiuta a invaginare questa
vescicola di colloide. Quest’ultima verrà
ulteriormente processata enzimaticamente
dalle iodasi cellulari all’interno delle
cellule follicolari. Per cui si otterranno
delle forme mono- e di-iodate che possono
essere nuovamente riutilizzate e, in parte,
si otterranno gli ormoni T3 e T4 che
possono essere liberati in circolazione. La quantità di T4 prodotta sarà sensibilmente maggiore
rispetto a quella di T3. A livello della tireoglobulina abbiamo quindi la iodazione delle tirosine. Da
ogni molecola di tireoglobulina si possono ottenere 134 residui di tirosina, di cui 25-30 sono iodati;
questi, accoppiandosi, danno luogo a circa 4-5 tironine per molecola di tireoglobulina. Una volta
prodotto questo precursore, verranno ricaptate attraverso meccanismi di micro- e macro-pinocitosi. Una volta che entra di nuovo all’interno della
cellula follicolare, viene indirizzata di nuovo
al pathway lisosomiale al suo interno, dove
avvengono dei clivaggi ad opera di proteasi
che liberano gli ormoni T3 e T4. Questi poi,
attraverso il trasportatore del
monocarbossilato 8 (MCT8), possono essere
liberati nel circolo. Quindi è fondamentale,
una volta che il macrocomplesso si è formato
ed è stato riassorbito dalla cellula follicolare,
sia la formazione del lisoendosoma, sia i
meccanismi enzimatici di deiodinazione che
consentiranno, tra l’altro, il parziale riutilizzo
delle mono- e di-iodotirosine.