Il latino aveva 10 vocali, ciascuna delle quali poteva essere realizzata in due modi dipendenti dalla diversa duranta o quantità della pronuncia, quindi una vocale poteva essere breve o lunga
Una vocale seguita da consonante semplice, è lunga; mentre, seguita da consonante doppia è breve
Nel latino l'opposizione tra vocali brevi e lunghe consentiva di distinguere parole, forme e significati diversi; mentre, in italiano la distinzione tra vocali brevi e lunghe non ha un'analoga capacità
Ad un certo punto le vocali lunghe cominciarono ad essere pronunciate come chiuse e le brevi come aperte, e il senso della quantità iniziò a perdersi.
Nel latino volgare la distinzione tra vocali brevi e lunghe non sopravvisse, ma rimase attiva quella tra aperte e chiuse.
Una sillaba si dice libera, o aperta, se termina per vocale; mentre si dice implicata, o chiusa, se termina per consonante
La E e la O brevi toniche latine in sillaba aperta hanno prodotto rispettivamente il dittongo [j3] e [wo], invece in sillaba chiusa si sono trasformate in [e] e [o] aperte
Esso non accoglie vocali aperte, né il passaggio da I breve ad e chiusa e da U breve a o chiusa
La I lunga e breve, la E lunga toniche latine hanno lo stesso risultato in [i]; analogamente la U breve e lunga, la O lunga toniche latine hanno unico risultato in [u]
Il latino volgare non conosce vocali aperte
Di tipo musicale, consistente in un innalzamento della voce
Dalla durata o quantità della penultima sillaba, se era lunga esso veniva a trovarsi sulla sillaba; in caso contrario su quella che la precedeva, la terzultima
Essa non coincideva necessariamente con la quantità della vocale che la componeva, una vocale breve produceva una sillaba breve nel caso di sillaba libera, ma produceva una sillaba lunga se implicata; invece una vocale lunga produceva in ogni caso una sillaba lunga.
Si ha un accento intensivo, consistente in una particolare forza articolatoria che si concentra sulla sillaba accentata
In alcuni verbi composti, per i quali si è verificato il fenomeno della ricomposizione: nella formazione del composto la vocale tonica si era abbreviata o aveva cambiato timbro; ma, nel passaggio dal latino classico al volgare, e poi all'italiano, i parlanti ripristinarono i verbi, in cui la base era riconoscibile, nella forma e accentazione originaria.
I dittonghi AU, AE e OE iniziarono ad essere pronunciati come una singola vocale
Dittongamento di E e O brevi in sillaba libera tipico del fiorentino e dei dialetti toscani
Si intende la trasformazione delle vocali [e] e [o] rispettivamente in "i" e "u", in seguito ad un innalzamento articolatorio
1. quando la [e] seguita da [gl] e [gn], provenienti dai nessi -LJ- -NJ-, si chiude in [i]
2. quando la [e] e la [o] seguite da una nasale velare, come nelle seguenze -enk-, -eng- e -ong-, si chiudono rispettivamente in [i] e [u]
Alcuni verbi con E e O brevi nella radice si registrano con l'alternanza tra forme dittongate e non dittongate; nelle forme rizotoniche si verifica un dittongamento, mentre in quelle rizoatone non si ha.
Esse tendono a chiudersi progressivamente fino al grado estremo; e aperta diventa i e o aperta una u
In posizione protonica una [e] (proveniente da E breve o lunga, oppure da I breve) tende a chiudersi in [i]
Quando precede la sillaba accentata
La [o] in posizione protonica (proveniente da U breve e da O breve e lunga) tende a chiudersi in [u]
La [e] postonica si chiude in [i]; essa proviene, non da una E breve, bensì da una I breve e non appartiene mai alla sillaba finale, ma sempre interna.
Nelle parole con uscita in -ERIA, con suffisso -ARELLO e -ARECCIO (passati a -ERELLO e -ERECCIO)
Un accento principale su cui si concentra il massimo dell'energia articolatoria e uno secondario su cui si concentra solo una parte di essa.
In alcune parole una [e] e una [i] protoniche seguite, oppure precedute, da una consonante labiale si sono trasformate in [o], o [u].
Alcune consonanti sono rimaste inalterate sia in posizione iniziale, sia all'interno di una parola; in altri casi si è verificato un processo di assimilazione
L'assimilazione regressiva si verifica quando, in un nesso di due consonanti difficili da pronunciare, la seconda consonante assimila a sé la prima, trasformando la sequenza di due consonanti diverse in un'unica doppia.
L'assimilazione progressiva si verifica, invece, quando la seconda consonante assimila a sé la prima.
Le consonanti "m", "s" e "t" in posizione finale
Nel tardo latino davanti alle vocali [e] e [i], le velari [k] e [g] si sono palatalizzate in [c] e [gi].
La velare sorda [k] in posizione inziale e interna e la velare sonora [g] in posizione iniziale (in alcuni casi intensificata, oppure assorbita da una I successiva, detta omorganica).
In posizione iniziale si è trasformato in un'affricata palatale sonora /d3/, mentre in posizione intervocalica in un'affricata palatale sonora intensa.
La combinazione di una velare sorda o sonora [k] e [g] seguita da una semiconsonante [w], producendo rispettivamente una labiovelare sorda [kw] e una sonora [gw].
La labiovelare sorda poteva trovarsi all'inizio o all'interno di una parola, la labiovelare sonora era solo interna.
Primaria se esisteva già in latino, e secondaria se, non esistendo in latino, si è prodotta nel passaggio dal latino volgare all'italiano.
Se seguita da una A, la labiovelare si conserva, mentre in posizione intervocalica si rafforza la componente velare; invece, se seguita da vocale diversa da A, la labiovelare perde la componente labiale [w] e si riduce alla semplice [k].
Si mantiene intatta, qual che sia la vocale che segue; in aree dialettali diverse dal fiorentino la labiovelare secondaria si è ridotta a velare semplice.
In posizione iniziale, o dopo consonante, la B latina si è conservata e seguita da R è diventata più intensa; invece, in posizione intervocalica si è trasformata in labiodentale sonora [v].
Un indebolimento articolatorio per il quale una consonante sorda si è trasformata in sonora.
-PJ-, -BJ- e -VJ- > raddoppiamento della labiale che precede lo IOD
-KJ- e -GJ- > lo [j] ha trasformato le velari in affricata palatale sorda e sonora, in alcuni casi un raddoppiamento dell'affricata precedente, oppure lo [j] si è dileguato davanti al suono palatale omorganico
-TJ- > in alcuni casi si è trasformato in un'affricata dentale sorda doppia o scempia, oppure si è trasformato in una sibilante palatale sonora [3]
-DJ- > ha prodotto un'affricata alveolare sonora [dz] doppia o scempia, oppure un'affricata palatale sonora [d3] intensa
-MJ- e -NJ- > si è prodotto un raddoppiamento della nasale che precede lo IOD, oppure la trasformazione in una nasale palatale intensa
-LJ- > raddoppiamento della laterale precedente, oppure trasformazione in laterale palatale intensa
-RJ- > si è ridotto a [j], o solo [r]
-SJ- > si è trasformato in una sibilante palatale sorda tenue o sonora tenue
-GL- > -GJ- > [ggj]
-PL- > -PJ-
-CL- > -CJ-
-CL-> -KJ-
-BL- > -BL-
-SL- > -SKL- > -skj-
-TL- > -KJ-
Aggiunta di un corpo fonico all'inizio di una parola (una parola terminante per consonante seguita da una parola iniziante per S + consonante, da cui si avrà l'aggiunta di una "i" all'inizio della seconda parola; "in iscena")
Aggiunta di un corpo fonico alla fine di una parola (l'italiano antico tendeva ad evitare le parole tronche, o ossitone, aggiungendo alla vocale finale accentata un'altra vocale).
Aggiunta di un corpo fonico all'interno di una parola, può essere consonantica o vocalica (caso di vocalica= aggiunta di "i" in alcune parole che presentavano la sequenza consonantica -SM; caso di consonantica= in alcune parole in cui originariamente c'era una sequenza di due vocali).
Caduta di un corpo fonico all'inizio di una parola (si può registrare negli aggettivi dimonstrativi "questo, questa, questi, queste" con aferesi della sillaba "que").
Caduta di un corpo fonico all'interno della parola (a cadere sono le vocali o sillabe più deboli e in molti casi ha interessato le vocali postoniche o intertoniche)
Caduta di un corpo fonico in fine di parola (vocalica se a cadere è una vocale, sillabica se invece è una sillaba)
Negli infiniti seguiti da pronome atono, con i sostantivi usati come titoli di rispetto o professione e seguiti da un nome proprio, con l'aggettivo "buono" preceduto da nome.
Data una parola iniziante per "l" o "la", in alcuni casi il parlante interpreta questi foni come forme dell'articolo determinativo e li separa dal resto della parola; in altri casi l'articolo determinativo diventa parte della frase.
Un fenomeno di fonetica sintattica all'interno di una frase, per il quale ad essere pronunciate unite sono una parola terminante per consonante e una successiva iniziante anch'essa per consonante.
Monosillabi forti, parole tronche indipendentemente dal numero di sillabe e dopo quattro polisillabi piani ("come", "dove", "sopra" e "qualche").
Solo quando è di origine germanica